CORNER, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORNER, Marco

Giuseppe Gullino

Nacque a Venezia nel 1412, ultimogenito di Nicolò di Marco dottore e di Elisabetta Corner di Marco.

Il padre, che trasferì la sua dimora dalla natia parrocchia dei SS. Apostoli a quella di S. Margherita, dove abitava il suocero, era legato alla famiglia della sposa, oltre che da una parentela abbastanza stretta, anche da rapporti economici, giacché questi due rami dei Corner si erano consorziati nel commercio col Levante e con le Fiandre. Morto il padre del C. fra il 1414 ed il 1419, la direzione dell'azienda passò al fratello della madre, Nicolò, e, dopo la sua morte (1436), allo stesso Corner. Oltre alle case di S. Margherita, la famiglia possedeva una vasta proprietà a Perenzin, presso Treviso, che però non garantiva una rendita tale da consentire al C. - ed ai suoi tre fratelli maschi - di aspirare alle cariche primarie dello Stato, per cui la sua carriera politica si svolse tutta nell'ambito dell'apparato amministrativo e burocratico della Repubblica.

Il 7 sett. 1438 il C. fu eletto giudice dell'Esaminador, e un mese più tardi castellano a Corfù, ma rifiutò, per cui solo dopo alcuni anni il suo nome riappare tra i registri del Segretario alle voci: il 1° luglio 1442 venne nominato ufficiale alla Giustizia vecchia, incarico che gli avrebbe offerto occasione di stendere la sua prima scrittura in materia di acque. Nell'ambito di tale magistratura, infatti, il C. dovette risolvere il grave problema dell'approvvigionamento per la città della legna da ardere, e ciò gli diede motivo di compiere un'accurata ispezione ai luoghi compresi fra il Sile ed il Tagliamento, dei quali lasciò una minuziosa relazione, in cui località, canali interni e fiumi offrono lo spunto per una quantità di notizie ed osservazioni idrografiche e topografiche.

L'anno seguente sposò Elisabetta Salomon di Giovanni di Pietro, che gli portò in dote 1.200 ducati e dalla quale ebbe quattro figli maschi: Francesco, Giovanni, Pietro e Nicolò. In quello stesso 1443, il 9 dicembre, entrò a far parte della Quarantia civile e criminale, il massimo organo giudiziario veneziano; quindi, il 26 luglio 1444, divenne console dei Mercanti e podestà a Serravalle, dove rimase dal 4 apr. 1445 all'8 marzo 1446.

Fu probabilmente questa permanenza tra le Prealpi bellunesi a suggerirgli l'idea di conciliare l'utile pubblico con quello privato mediante lo sfruttamento delle miniere agordine. L'impresa, alla quale si accinse qualche anno più tardi, compendia in sé quelle che furono le caratteristiche precipue del C.: spirito d'iniziativa e spiccati interessi naturalistici e scientifici. Il Cadore, in effetti, era venuto da poco a far parte del dominio veneto e la valorizzazione delle sue risorse minerarie si presentava impresa tanto suggestiva quanto redditizia. Il C. chiese, dunque, ed ottenne dal Senato, il 29 sett. 1452, il privilegio di poter scavare nei monti di Serravalle, Belluno e Cadore "ut inveniatur, si fieri poterit, aliqua vena sive minera auri et argenti vel aliorum metalorum". Senonché il progetto si rivelò assai meno gratificante del previsto, e il C. riuscì a sfruttare solo una miniera di piombo ad Auronzo, per cui, allo scadere del decennio preventivato, il Senato non gli rinnovò la concessione, preferendo in tale circostanza le migliori condizioni offerte dal tedesco Thomas Prifeger, che in questo campo avrebbe avuto più fortuna, o capacità, del Corner.

L'impresa mineraria fu comunque episodio marginale nella vita del C., il quale dopo la podestaria di Serravalle continuò la carriera politica: nuovamente membro della Quarantia nel 1446, dal maggio dell'anno successivo al 15 genn. 1449 ricoprì la carica di provveditore nella greca Naupatto e subito dopo, appena tornato in patria, divenne camerlengo a Padova, dove fu apprezzato amico del dotto e potente vescovo Fantino Dandolo. Eletto giudice dei Procuratori il 23 ag. 1450, il 27 apr. 1455 diventava giudice di Petizion e, due anni più tardi, savio alle Acque.

Era ormai considerato un esperto di idraulica, e la carica aveva infatti il significato di un pubblico riconoscimento nel momento in cui appariva manifestamente insufficiente la soluzione, adottata nel 1452, di far sfociare il Brenta nella laguna di fronte a Malamocco. L'opinione del C. in proposito era nota: per la salvaguardia di Venezia era necessario deviare il Brenta più a monte, a Stra, e condurlo attraverso il canale delle Bebbe fino a Brondolo, cioè sotto Chioggia, in mare aperto; operazione ora resa possibile dalla conquista veneziana della Terraferma. Nacque dunque, in un vivace contesto di progetti e discussioni, la sua seconda e più famosa scrittura sulla laguna, terminata certamente dopo il 1459, nella quale, dopo aver ricordato le continue diversioni del Brenta dal 1142 all'ultima del 1452, giungeva ad accusare l'incuria dei concittadini e a riproporre la sua convinzione circa la necessità di un radicale disalveamento del fiume. Uno scritto di ampio respiro, poggiante su una serie di incontrovertibili dimostrazioni e corredato da felici intuizioni, specie a proposito del rapporto acque salse-acque dolci; una proposta che assegna al C. il ruolo e la statura di un grande pioniere tra gli scrittori di idraulica veneta, ma che per allora non venne seguita, anche a causa dei molteplici interessi privati che essa veniva a calpestare (quasi tutti i mulini e gli impianti posti lungo il Brenta appartenevano al patriziato). Solo mezzo secolo più tardi, premuto dal deteriorarsi della situazione, il Senato avrebbe posto mano alla realizzazione dei suggerimenti del Corner. I suoi lavori sono stati pubbl. a cura di G. Pavanello: Scritture sulla laguna, in Antichi scrittori d'idraulica veneta, I, Venezia 1919.

Il C. poi, il 10 genn. 1464, venne nominato sopraintendente alle munizioni dell'armata veneziana in Morea; era un incarico che lo portava lontano dai suoi interessi economici e dai suoi affetti, ma l'indole dinamica e l'innata curiosità del carattere gli fecero accettare di buon animo, come sempre, il servizio della patria. Ma appunto nella Morea, mentre combatteva contro i Turchi, morì di peste nell'estate del 1465, probabilmente in agosto.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii, III, p. 110; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 162, c. 72v; Ibid., Segretario alle voci. Misti, regg. 4, cc. 3v, 7r, 8r, 9r, 26r, 38v, 55r, 58r, 74r, 111v, 116v; 5, c. 32v; Ibid., Senato, Mar, reg. 7, c. 144r. Una attenta ricostruzione della vita del C. alle pp. 11-22 dell'opera cit. Scritture sulla laguna. V.anche F. Rubelli, Degli scritti sulla laguna della famiglia Cornaro, in Gazz. ufficiale di Venezia, 2 genn. 1955; G. Pavanello, Note sull'industria mineraria presso la Repubblica veneta, in L'Ateneo veneto, s. 4, XXXVIII (1915), pp. 203-08; S. Ciriacono, Scrittori d'idraulica e politica delle acque, in Storia della cultura veneta, III, 2, Dal Primo Quattrocento al Concilio di Trento, Vicenza 1980, pp. 492, 495, 500 ss., 595 ss.

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