LOMBARDO RADICE, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani (2019)

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LOMBARDO RADICE, Marco

Matteo Fiorani

Nacque a Roma il 15 aprile 1949 da Lucio e Adele Maria Jemolo.

UNA GRANDE FAMIGLIA

Secondogenito tra Daniele, nato due anni prima, e Giovanni, nato nel 1954, apparteneva a una grande famiglia della cultura italiana, con radici cattoliche e comuniste e una storia di attenzione umana e scientifica all’infanzia.

Il nonno paterno, Giuseppe, pedagogista di fama internazionale, collaboratore di Giovanni Gentile alla riforma della scuola varata nel 1923, si era dimesso dagli incarichi ministeriali dopo il delitto Matteotti per protesta contro il fascismo; sua moglie, Gemma Harasim, poliglotta di origini istriane, insegnante pedagogista e socialista internazionalista, si era opposta alla collaborazione del marito con Gentile e aveva partecipato all’attività cospirativa antifascista. Nella famiglia materna degli Jemolo, il nonno Arturo Carlo, legato al sacerdote modernista Ernesto Buonaiuti (scomunicato nel 1926), era docente universitario di diritto ecclesiastico, tra i firmatari nel 1925 del manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce e sostenitore, da cattolico, della laicità dello Stato; la nonna, Adele Morghen, studiosa dei problemi educativi infantili, aveva lavorato come maestra in piccoli paesi del Lazio e nelle classi differenziali organizzate a Roma dallo psichiatra Giuseppe Ferruccio Montesano a partire dal 1907.

Il padre, cresciuto fra Catania e Roma, all’attività di assistente presso la facoltà di matematica dell’Università di Roma, affiancava quella politica nel Partito comunista italiano. Uomo poliedrico, sostenitore dell’unità della cultura e di una concezione umanistica della scienza, era allo stesso tempo pedagogista, scrittore, traduttore e giornalista. La madre, donna di notevoli risorse intellettuali, cattolica non osservante ma cristiana nel senso evangelico del termine, si era laureata in medicina nel 1948 quando era incinta di Marco. Per assecondare la carriera del marito, si dedicò alla cura dei figli e solo quando questi furono grandi lavorò in maniera continuativa.

L’amore tra i genitori era nato a Roma, nel periodo della lotta contro il fascismo. Lucio, amico fraterno di Giaime Pintor, si era opposto al regime (finendo due volte in carcere per ordine del tribunale speciale) assieme a un nucleo di giovani comunisti tra cui Antonio Amendola, Paolo Bufalini, Pietro Ingrao (che nel 1944 aveva sposato sua sorella Laura), Aldo e Ugo Natoli e Bruno Sanguinetti. Adele Maria, legata a un gruppo di studenti accumunati dall’antifascismo e dalla ricerca di una cultura nuova (Marisa Musu, Laura e Ubalda Comandini, Lauretta Calogero e altri), aveva preso parte a numerose azioni partigiane e curato in ambito comunista i rapporti con i cattolici di sinistra Marisa Cinciari, Adriano Ossicini, Franco Rodano e Antonio Tatò.

Marco Lombardo Radice crebbe in questo ambiente culturalmente ampio e variegato, con immense biblioteche cui attingere, dove era diffusa la convinzione che fosse necessario dedicarsi agli altri per perseguire valori di giustizia sociale.

Nel novembre del 1949 la famiglia si trasferì da via delle Botteghe Oscure a piazza Bainsizza, nel quartiere Prati, vicino a parenti e amici. Marco trascorreva molto tempo a casa dei nonni Jemolo, in via Fulcieri Paulucci de Calboli, oppure giocando con le cugine Ingrao (Celestina, Bruna e Chiara) nel giardino del palazzo di via Ruffini, dove abitavano la nonna Gemma e la zia Giuseppina Lombardo Radice. Nei pressi, in via Giuseppe Ferrari, risiedevano i coniugi Luigi Pintor e Marina Girelli; fin dall’infanzia Marco strinse con il loro figlio, Giacomo (Giaime), una profonda amicizia che durò tutta la vita.

Nel 1956, quando Marco frequentava la seconda elementare, la famiglia si trasferì a Palermo, dove il padre era stato chiamato come professore straordinario di geometria analitica alla facoltà di scienze. La madre si iscrisse alla scuola di specializzazione in igiene e partecipò alle esperienze di intervento sociale condotte in Sicilia da Danilo Dolci. La casa palermitana dei Lombardo Radice divenne luogo di ospitalità anche per un giovanissimo Goffredo Fofi, venuto a lavorare proprio con Dolci, che strinse un forte legame con Lucio e Adele Maria.

FORMAZIONE E IMPEGNO, 1961-1973

Nel 1961 il padre ottenne un incarico all’Università di Roma e la famiglia fece ritorno nella casa di piazza Bainsizza. Lombardo Radice frequentò le scuole medie al Belli e poi si iscrisse al Mamiani, liceo classico della borghesia colta romana, istituto che apparteneva alla tradizione familiare, in cui avevano studiato i genitori e dove la zia Giuseppina, sorella di Lucio e notevole grecista, aveva insegnato.

Assieme all’amico Giaime Pintor, Marco si legò ad un gruppo di studenti intellettualmente molto attivi, tra cui Roberto Pietroforte, Giovanni Pietro Lombardo, Massimo Grasso, Guido Di Giammatteo e Corrado Sannucci. Furono anni di viaggi a Londra e Parigi per imparare le lingue e di molte e intense letture, solitarie e condivise. Innamorati di Tolstoj, con Pintor giocavano a incarnare i personaggi di Guerra e pace: Marco il saggio principe Andrej Bolkonskij; Giaime il nevrotico Pierre Bezuchov. E poi Dostoevskij, Hemingway, Pavese, le strisce a fumetti Peanuts e soprattutto Salinger. Fra i quindici e i diciotto anni lesse almeno otto volte Il giovane Holden, un cult-book che non lo avrebbe mai abbandonato e attraverso cui rappresentare e capire l’adolescenza e il rapporto con l’età adulta.

Con alcuni compagni condivideva un interesse, ampio e di tipo culturale, per la psichiatria e la psicoanalisi, materie approfondite attraverso letture e discussioni. Riferimento su tali discipline era Adriano Ossicini, psicologo e psicoanalista amico di famiglia.

Con un notevole bagaglio culturale e una familiarità con la politica acquisita sin dall’infanzia, al liceo fece le prime esperienze concrete di impegno in prima persona.

Nel novembre 1966, assieme a Giaime Pintor e altri compagni di scuola, fu tra i molti giovani che andarono a Firenze per spalare il fango dell’alluvione. L’anno dopo si diplomò, ma prese comunque parte alle vivaci contestazioni studentesche del Sessantotto al Mamiani. Lo fece da militante di base, critico nei confronti del dogmatismo e della tendenza leaderistica che si erano affermati nel movimento (Testimonianza di M. L. R, in P. Ghione - M. Morbidelli, Rosso di lusso. I primi anni della contestazione nel Liceo Mamiani, Roma 1991, p. 286).

Nell’ottobre 1967, in occasione della morte di Ernesto Che Guevara, promosse un corteo davanti alla scuola con la foto del rivoluzionario che sarebbe diventata un simbolo. Il marxismo e il rapporto con la Federazione giovanile comunista italiana (FGCI) avevano lasciato il posto al ‘guevarismo’, a una visione ‘terzomondista’ e ‘insurrezionalista’, che, sebbene ancora «confusa, priva di un progetto politico coerente» e in larga parte basata sulla «simpatia che circondava questo personaggio», rappresentò una tappa importante nel percorso di politicizzazione di Lombardo Radice e di molti altri (testimonianza di M. L. R, in ivi, p. 109).

Il primo marzo ’68 partecipò alla manifestazione studentesca di Valle Giulia, dove ebbero luogo violenti scontri tra studenti e polizia. Lo stesso mese, prese parte all’occupazione del Mamiani e alla successiva protesta per lo sgombero della scuola.

Su cosa fare dopo il liceo discusse molto con i compagni di classe Grasso e Lombardo, anch’essi intenzionati a seguire un percorso che li portasse a specializzarsi in psicologia, materia per cui in Italia non esisteva ancora un corso di laurea specifico (i primi nel 1971 a Roma e Padova).

Mentre gli amici scelsero filosofia, Lombardo Radice si iscrisse, nel 1967, alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Milano. Proseguiva così nella vocazione familiare per professioni di pubblica utilità, capaci di unire aspirazioni ideali e impegno concreto.

Rimase nell'ateneo milanese appena due mesi. Il 10 gennaio 1968 si trasferì in quello di Roma.

Il 19 giugno 1970 perse la madre, morta a 44 anni per un tumore. Seppur all’interno di un rapporto complicato, che rispecchiava un ambiente familiare non risolto, Marco le era molto legato. Per lui fu una figura particolarmente importante che ne influenzò lo sguardo sul mondo.

Il 3 gennaio dell’anno dopo sposò Marina Grappelli, sorella del suo compagno di classe Claudio, che aveva conosciuto al liceo. Il matrimonio venne celebrato a Roma in chiesa, a Sant’Antonio dei Portoghesi, soprattutto per volere dei nonni materni dello sposo. La coppia si trasferì in via Timavo, nello stesso stabile dove abitavano il padre Lucio e il fratello Giovanni.

Risale a questo periodo un primo suo contatto diretto con la pratica psicoanalitica, attraverso alcuni incontri con Ossicini.

Nel frattempo, proseguiva negli studi universitari, frequentando come allievo interno gli istituti di anatomia comparata, malattie infettive e fisiologia umana.

CORPO, MENTE, SOCIETÀ, 1973-1979

Si laureò con lode il 24 luglio 1973, discutendo una tesi sperimentale su Attività cardiaca e lavoro mentale, seguita dal fisiologo umano Sergio Cerquiglini. Nell’ottobre dello stesso anno vinse per concorso una borsa di addestramento didattico e scientifico del ministero della Pubblica Istruzione presso l’Istituto di psicologia, facoltà di magistero, dell’Università di Roma. Decise di utilizzarla presso la cattedra di psicologia fisiologica di Riccardo Venturini, già collaboratore di Ossicini.

Il fascino che aveva avuto su Lombardo Radice il lavoro della madre, biologa nel laboratorio di virologia dell’Istituto superiore di sanità, trovò nelle ricerche sperimentali un modo per concretizzarsi. La psicofisiologia era probabilmente anche una risposta a una sua esigenza, personale e politica, di interpretare i problemi fondamentali dell’uomo e i sistemi di convivenza sociale attraverso solide basi scientifiche.

Come borsista svolse esercitazioni, affiancò gli studenti nelle tesi di laurea e tenne seminari settimanali su vari temi: correlati psicofisiologici del lavoro mentale; l’età biologica e la sua misura; tecniche di studio del sistema nervoso vegetativo; biologia neurofisiologica del riflesso condizionato; aspetti psicologici e antropologici della morte.

Entrato a far parte nel 1973 della redazione dell’Enciclopedia medica italiana – curando per oltre tre anni la sezione di biologia e fisiologia –, sotto la guida di Venturini si dedicò a un’attività di ricerca pura in campo psicofisiologico. In tale ambito, pubblicò Lo sviluppo sessuale come indice di maturazione biologica (in Neuropsichiatria infantile, 1975, n. 171, pp. 645-667); Età biologica e la sua misura (in Enciclopedia medica italiana, vol. 6, Firenze 1978, col. 368); Sistema neurovegetativo e personalità (con V. Ruggieri - R. Venturini, Roma 1979); Guida a Biologia e neurofisiologia del riflesso condizionato (con P. Sammartini, Roma 1979); Il color word test o test di Stroop (con R. Venturini - M.G. Imperiali, Firenze 1983).

In un periodo in cui il sistema psicologico-psichiatrico era già da alcuni anni al centro del dibattito pubblico, investito dalla contestazione dei movimenti antiautoritari e antistituzionali, Lombardo Radice appoggiò la lotta contro i manicomi (con lo pseudonimo Veltro, L’ultimo paziente dello psichiatra Coda, in Lotta continua, 6 dicembre 1977) e allo stesso tempo sostenne il valore della scienza criticando le diffuse semplificazioni sociologiche nell’approccio alla genesi delle patologie psichiche. Più in generale, rivendicò la necessità di tenere insieme natura e cultura nell’interpretazione dell’umano, oltre gli steccati ideologici e contro ogni appiattimento dottrinale o riduzione di tutto a sovrastruttura politica (con R. Venturini - V. Ruggieri, Psichiatria ed emarginazione sociale e Psichiatria: significato di un dissenso, in Psichiatria e società, a cura di G. Berlinguer - S. Scarpa, Roma 1975, pp. 34-42; il volume raccoglieva oltre quattro mesi di dibattito su l’Unità, aperto il 30 luglio 1974 da una lettera di Lombardo Radice, Ruggieri e Venturini sugli aspetti biologici e sociali della psichiatria).

Lombardo Radice condivise con Venturini interessi e passioni di ricerca. Marxista gramsciano vicino al PCI, persona curiosa e non appiattita su una visione riduzionista della psicofisiologia, Venturini si era laureato prima in filosofia e poi in medicina (anche lui con Cerquiglini) e aveva approfondito all’estero lo studio della psichiatria fenomenologica e della psicoanalisi.

I due condussero in collaborazione studi nel solco della tradizione psicofisiologica russa (Ivan Pavlov, Konstantin M. Bykov, Pëtr K. Anochin, Konstantin V. Sudakov). Da questa prospettiva, intervennero su temi allora di grande attualità come le implicazioni politiche della ricerca psicologica, i rapporti tra biologia e società nel determinare i processi psichici (normali e patologici) e i bisogni umani nella teoria marxista (con R. Venturini, Introduzione a K.V. Sudakov, Le motivazioni biologiche, ed. italiana a cura di R. Venturini - M. Lombardo Radice, Firenze 1976, pp. V-IX).

Lavorarono inoltre sulla sessualità, guardando con interesse all’opera e al pensiero di Wilhelm Reich, nello stesso momento al centro di studi sistematici di altri allievi della cattedra di psicofisiologia (con R. Venturini, Un acre sapore sulle tue labbra, in J. Cousins, Facciamolo bene. Per una vita sessuale libera e felice: una guida per adolescenti, Roma 1978, pp. 121-144).

In questo periodo, con un approccio psicologico-psicoanalitico, pubblicò La masturbazione adolescenziale: significato e problemi di igiene mentale (con M. Grasso, in Neuropsichiatria infantile, 1976, n. 176, pp. 173-191). Invitava a valutare l’adolescenza come fase decisiva per lo sviluppo umano e inseriva il fenomeno della masturbazione nella più ampia cornice dei rapporti tra scienza e politica e tra sessualità e società.

Nel 1976 avviò un’analisi personale con lo junghiano Lucio Pinkus, frate eterodosso, professore di psicologia presso la facoltà di magistero di Roma e futuro supporto psicoanalitico per i terroristi rossi.

Dal gennaio 1977 allo stesso mese dell’anno successivo svolse il servizio militare a Roma.

GLI ANNI DEI MOVIMENTI, 1973-1980

Dopo le lotte studentesche del Sessantotto, gli anni passati alla cattedra di psicofisiologia furono per Lombardo Radice di nuovo e intenso impegno politico.

Tra i tanti rivoli in cui si era diviso il movimento, aveva scelto di legarsi al gruppo di Lotta continua (LC) di cui fu un fiancheggiatore più che un membro organico, critico nei confronti delle forme ottuse di militanza. In tale contesto ritrovò Goffredo Fofi, fu al fianco di amici di vecchia data come Giaime Pintor e Corrado Sannucci, conobbe Marino Sinibaldi e strinse un’amicizia fraterna con Luigi Manconi.

Nell’ambito della 'nuova sinistra' si dedicò a riflessioni su bisogni e desideri della sfera privata in relazione a quella pubblica. Animò da una prospettiva originale e con sguardo da psicologo il dibattito sui rapporti fra corpo e sessualità, fra soggettività e politica, fra giovani e adulti. Temi nuovi all’interno del movimento, osteggiati dai più perché considerati, rispetto all’operaismo, poco politici.

Nel 1973 entrò a far parte della redazione della nuova serie di Ombre rosse, rivista culturale «di critica al movimento dal suo interno» diretta da Piergiorgio Bellocchio prima e da Fofi e Manconi poi. Nello stesso tempo stabilì una collaborazione con i Circoli ottobre – strutture culturali legate a LC –, fu vicino all’Agenda rossa dell’editore Savelli, a Muzak, periodico musicale avviato dall’amico Pintor, e a Il Pane e le rose, supplemento ai Quaderni piacentini animato da Livia Ravera.

In questi e altri luoghi, con intenti politici e pedagogici, scrisse di sesso, amore, affettività; campi in cui seminò dubbi, sottolineò contraddizioni e sostenne la necessità di una ricerca anticonformista finalizzata a modificare i rapporti umani (Sesso e repressione sessuale, in Ombre rosse, 1975, n 11-12, pp. 28-36; Sesso: l’individuo, la coppia, la società, ibid., 1976, n. 13, pp. 72-73). Promosse la valorizzazione di una nuova cultura giovanile, interrogandosi sul confronto fra le generazioni e sulle fratture fra giovani e adulti riguardo a valori e aspirazioni (Tre domande nel dibattito sulla famiglia, ibid., 1976, n. 14, pp. 54-56; Giovani senza rivoluzione, ibid., 1976, n. 15-16, pp. 11-23). Intervenne nel dibattito sulla droga, mettendo in guardia da una lettura esclusivamente politica della questione e invitando a considerare le ragioni psicologiche e personali di tale scelta (I giovani e la droga, ibid., 1975, n. 9-10, pp. 65-66; Due libri sulla droga, ibid., 1977, n. 22-23, pp. 165-171).

L’impegno di Lombardo Radice nel movimento non si esauriva negli scritti. I suoi interessi scientifici e le sue passioni civili si intrecciarono in un groviglio indistinguibile con la vita privata e professionale.

Nel 1973 si era trasferito con la moglie al numero 23 di via Claudia, a due passi dal Colosseo. Vivevano con un’altra coppia, in una casa 'aperta' e sempre stracolma di giovani. Molti di questi partecipavano agli incontri che Lombardo Radice organizzava su sesso, masturbazione, famiglia, omosessualità, droga. Per i ragazzi, non per forza politicizzati, stretti tra il perbenismo borghese e la controcultura movimentista, divenne un riferimento, un fratello maggiore, qualcuno con cui parlare perché capace di ascoltare, seminare dubbi e dare spunti di riflessione.

Nel 1975 incontrò Lidia Ravera, che per un periodo fu ospite a via Claudia. A metterli in contatto fu Giaime Pintor, che l’aveva conosciuta a Milano a una riunione nazionale dei Circoli ottobre.

I due nel 1976 firmarono con gli pseudonimi di Rocco e Antonia (riuscendo per poco a mantenere l’anonimato) quello che sarebbe sorprendentemente diventato un best seller infinite volte ristampato e tradotto in tutto il mondo: Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti (Roma 1976). Preceduto da una storia apparsa nel giugno 1975 su Il pane e le rose, sotto la testatina Primoamore, e da un’inchiesta di Muzak sulla sessualità nelle scuole, era il frutto di infinite discussioni collettive su liberazione sessuale e rivoluzione politica. Alla ideazione del libro – che nel titolo si riferiva, non a caso, al detto inglese Pigs have wings riportato da David Cooper in The Death of the Family (London 1971, trad. it. 1971) – avevano contribuito Pintor e Annalisa Usai, che per la prima edizione scrissero una postfazione in forma di dialogo.

Attraverso le storie intimo-politiche di due studenti borghesi di sinistra del liceo Mamiani, il libro voleva «contribuire alla discussione, la riflessione critica, la ricerca concreta e la maturazione politica di uno strato di giovani» considerati protagonisti e «motori del movimento rivoluzionario» (Cosa voleva essere, in Lotta continua, 21 settembre 1976; Ma questi porci sono davvero felici? a cura di P. Flores d’Arcais, in Nuova generazione, XIX (1976), 14, pp. 37-41). Processato e sequestrato per oscenità, il libro ebbe una pessima ricezione all’interno del movimento – con amichevoli stroncature di Fofi su Lotta continua (21 settembre 1976) e di Manconi e Marcello Sarno su Ombre rosse (1976, n. 17, pp. 68-72) – e migliore al di fuori. Comunque, divenne impossibile non parlarne. Un anno dopo la pubblicazione Paolo Pietrangeli ne trasse un film, che Lombardo Radice disprezzò.

Il libro aveva inaugurato la collana "Il pane e le rose", erede dello spirito della rivista da cui prendeva il nome, che l’editore Giulio Savelli aveva affidato alla direzione di Lombardo Radice, Pintor e Ravera.

Dopo l’uscita di Porci con le ali partì come medico volontario nella guerra civile in Libano, prestando servizio nei campi in Palestina. A spingerlo furono da una parte l’esigenza di allontanarsi dal frastuono provocato dal successo; dall’altra, la necessità di aiutare le persone attraverso la propria professione. Sul fronte libanese conobbe Gabriel Caro Montoya, giovane rivoluzionario colombiano. Affascinato dai suoi racconti, decise di pubblicargli, nella collana "Il pane e le rose", A eccezione del cielo. Romanzo autobiografico di un rivoluzionario adolescente (Roma 1977).

In un quadro di crisi e mutamento culturale a sinistra, con lo scioglimento di Lotta continua (1976) e un acceso dibattito sui bisogni avviato nello stesso momento (che divise il gruppo di Ombre rosse), individuò nelle elaborazioni del movimento omossessuale e femminista modelli da seguire per mantenere viva la spinta di un dibattito che altrimenti sembrava esaurirsi. Del primo apprezzava le pratiche anticonformiste (Fra maschi, in Ombre rosse, 1977, 21, pp. 74-84); del secondo la capacità di mettere in crisi i ruoli e di coniugare vissuto emozionale e agire politico (Introduzione a L’ultimo uomo. Quattro confessioni-riflessioni sulla crisi del ruolo maschile, Roma 1977).

Per Lombardo Radice il dibattito e lo scontro non erano soltanto esterni, ma anche interni alla famiglia. Il nonno Jemolo aveva preso malissimo la pubblicazione di Porci con le ali, nascondendolo alla moglie perché non lo leggesse. Con il padre Lucio – comunista non allineato, ma critico per la scelta che definiva 'gruppettara' del figlio – i rapporti sul piano politico, e non solo, erano difficili benché di continua ricerca.

La crisi e i cambiamenti investirono anche la sua vita privata. In questo periodo si separò dalla moglie, dalla quale tuttavia non divorziò mai, continuando a intrattenere con lei un rapporto molto intenso. Nel 1978 decise di prendere con sé un bambino eritreo, figlio di una militante del Fronte popolare di liberazione dell’Eritrea che dovendo tornare a combattere aveva pensato  di lasciarlo in un istituto, per poi tornare a riprenderlo. La scelta era coerente con lo spirito comunitario dell’epoca, ma nasceva anche da esigenze personali. Il rapporto divenne quello tra un padre e un figlio, in pratica un’adozione anche se non sul piano legale.

Nel clima di tensione e violenza che caratterizzò l’Italia fra anni Settanta e Ottanta, cercò di interpretare, in vari scritti, il sentimento di smarrimento che aleggiava nella nuova sinistra. Si interrogò sulla lotta armata e sul perché di questa scelta (“C’è un clima di guerra…”. Intervista sul terrorismo diffuso, con Sinibaldi, in La violenza e la politica, a cura di L. Manconi, Roma 1979, pp. 121-138; Giorgio, Memorie. Dalla clandestinità un terrorista non pentito si racconta, curato con L. Manconi, Roma 1981). Tornò sul tema della droga e in particolare sulla cocaina, specchio di una crisi della militanza e del privato (Introduzione a D.S. Worthon, Coca e cocaina. Dalla divina pianta degli incas alla polvere bianca di Manhattan, Roma 1980). Vide in Kim di Rudyard Kipling una lezione utile per fuggire le semplificazioni che si stavano diffondendo in merito alla religiosità indiana. Ma Kim, per lui, era qualcosa di più: un «modello ideale generale di rapporto fra giovani e adulti», tema ormai centrale nella sua riflessione e azione (Un mondo grande e terribile, in R. Kipling, Kim, Roma 1979, p. 415).

Trovò nella narrativa una forma più libera, autentica e divertente per interpretare ciò che stava accadendo. Fra il 1978 e il 1980 pubblicò due romanzi molto diversi da Porci con le ali. Rinunciò così a cavalcare il successo e dimostrò come quel libro fosse una tappa di un percorso politico, ma anche di ricerca scientifica, ben più ampio. Cucillo se ne va. Viaggio per parole e immagini nel paese dell’ultima rivolta (Roma 1978), raccontava in forma di sceneggiatura l’attrazione esercitata dalla violenza terrorista su un gruppo di adolescenti. Lavoro ai fianchi. Alcuni giorni nella vita del commissario Luigi Longo (Milano 1980), scritto a quattro mani con Manconi, era un noir centrato sull’intreccio tra politica e criminalità nei giorni del sequestro di Aldo Moro.

In questo periodo capì che la ricerca pura non faceva per lui, che aveva sempre cercato il contatto con le persone. Non potendolo più trovare nella politica, lo cercò nel lavoro. Decise così di dedicarsi all’attività clinica con bambini e adolescenti, scelta che interpretò come «accettazione del proprio essere adulto» (Noi non siamo più porci con le ali, in La Stampa, 28 giugno 1980).

IL MONDO SALVATO CON I RAGAZZINI, 1980-1989

Nell’anno accademico 1978-79 si trasferì all’Istituto di neuropsichiatria infantile dell’Università di Roma, mantenendo il posto di borsista e iniziando la specializzazione. Qui ebbe modo di formarsi in un’ambiente innovativo, aperto alle sperimentazioni e agli scambi internazionali, fondato da Giovanni Bollea che lo dirigeva nella sede di via dei Sabelli 108 (quartiere San Lorenzo). Amico di vecchia data della famiglia, Bollea fu per Lombardo Radice un riferimento e una guida, una sorta di secondo padre soprattutto dopo la morte di Lucio (1982).

In questo snodo, scrisse una breve e significativa nota sul Giovane Holden. Ne riconobbe l’importanza non solo personale ma anche generazionale, simboleggiata proprio dalla fantasia del sedicenne protagonista del romanzo di essere The catcher in the Rye, «l’uomo che sull’orlo di un precipizio salva l’umanità bambina quando, trascinata dal gioco, sta per cadervi» (Anche noi volevamo attraversare un campo di segale, in Tutto libri, supplemento a La Stampa, 25 ottobre 1980).

Nel 1980 interruppe l’analisi con Pinkus e fu nominato ricercatore.

Non ancora terminato il perfezionamento, Bollea decise di affidargli la responsabilità di uno dei due reparti di degenza dell’Istituto, che accoglieva casi psichiatrici e neurologici (per lo più epilettici, insufficienti mentali, affetti da lievi disturbi del comportamento) in una fascia di età tra i 6 e i 18 anni. Senza alcuna intenzione riformatrice o di rottura, anzi impaurito rispetto a un lavoro per cui si sentiva impreparato, cominciò ad aprire il reparto ai cosiddetti 'casacci' (psicotici, borderline, caratteriali gravissimi), altrimenti rifiutati da altre strutture di Roma e di tutto il centro-sud Italia. Un gesto che innescò la trasformazione della popolazione interna, che arrivò in tempi rapidi a comporsi per il 90% da emergenze psichiatriche, soprattutto adolescenziali.

Lombardo Radice si ritrovò così ad affrontare una situazione nuova, che implicava molti problemi concreti e un enorme coinvolgimento emotivo. Costruì un’operatività e una teoria nella prassi, attraverso l’affermazione del proprio ruolo istituzionale con la tecnica (continuamente ridiscussa e ridefinita) e una dedizione umana totale nei confronti dei pazienti. Sperimentò percorsi medici, psicoterapeutici, educativi e sociali utili a restituire ai ragazzini autonomia e libertà e ad evitare che il disturbo in età evolutiva diventasse malattia mentale. Pose limiti e allo stesso tempo, quando necessario, ruppe le regole dell’istituzione (dormendo in reparto, facendo uscire i degenti per il quartiere, tenendo un cane in corsia). Individuò nella continuità del rapporto terapeutico (non solo psicoanalitico, ma anche psichiatrico), nell’affetto e nell’attenzione, la possibilità di comprendere e curare patologie gravissime per cui non esistevano protocolli.

Per sopperire alla mancanza di strutture intermedie che favorissero il reinserimento sociale (case-famiglia o comunità terapeutiche), ospitava i pazienti nella propria abitazione fuori Roma, a Borgata Finocchio, dove si era trasferito con l’amato cane Blu. Per alcuni ragazzi il reparto e la casa di Lombardo Radice divennero luoghi di vita, ritenuti migliori e necessari rispetto a qualsiasi altra soluzione. Decise di tenere con sé uno di questi ragazzi, facendogli da padre.

Attorno a Lombardo Radice si formò un gruppo di lavoro appassionato, fatto di medici, specializzandi e paramedici legati da solidarietà e disponibilità. Altri operatori rifiutarono sforzi professionali che andavano al di là dei doveri.

La sua indipendenza e curiosità intellettuale e un quadro piuttosto sconfortante nel campo degli studi sugli adolescenti gravi, lo portarono a cercare autonomamente riferimenti operativi e teorici con uno sguardo rivolto soprattutto ai modelli britannici. Fece frequenti viaggi di studio in Gran Bretagna, durante i quali visitò varie comunità terapeutiche per adolescenti. Approfondì il pensiero di Donald Winnicott e guardò con interesse alla formulazione teorico-clinica del developmental breakdown dei coniugi Moses ed Eglé Laufer (Una domanda impossibile, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, LIV (1987), 6, pp. 691-694; con A. Giannotti, Breakdown antisociale in adolescenza, relazione presentata al convegno Il lavoro clinico con gli adolescenti, poi non pubblicata nel volume degli atti dall'omonimo titolo (Padova 1988). Strinse un forte legame umano e professionale con Christopher Bollas, visiting professor a via dei Sabelli nell’ambito del corso di formazione psicoanalitica per psicoterapeuti dell’età evolutiva avviato nel 1976 da Adriano Giannotti e Andrea Giannakoulas. Con Bollas, formatosi alla Tavistock Society of Psychotherapists e alla British Psychoanalytical Society, analizzato da Masud Khan e curatore dell’opera di Winnicott, discuteva periodicamente i casi clinici. Bollas lo mise inoltre in contatto per una supervisione (che si svolse a Londra) con Khan, di cui Lombardo Radice aveva apprezzato gli scritti sulle perversioni e l’articolata concezione della situazione analitica (con M. Monniello, È proprio utile il concetto di trattabilità?, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, LIV(1987), 4, pp. 417-423).

Nell’istituto romano di neuropsichiatria infantile aveva svolto fin dall’inizio attività psicoterapeutica con supervisioni di Adriano Giannotti, Arnaldo Novelletto e Eleonora Fé d’Ostiani. Riconosceva alla psicoanalisi una funzione non solo nella comprensione dell’adolescenza, ma anche nel trattamento dei casi gravi. Costretto però a confrontarsi con pazienti per cui non esisteva una risposta codificata nella psicoterapia classica, criticò fumosità e ideologizzazioni di chi valutava come sempre efficace tale pratica. Individuò nel controtrasfert una delle migliori armi a disposizione del terapeuta. Era però aperto anche all’utilizzo degli psicofarmaci, tutt’altro che scontato in età evolutiva (con M. Accinni, Considerazioni critiche a proposito di alcune recenti monografie di psicofarmacologia pediatrica, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, LI (1984), 2, pp. 223-227).

Il lavoro in prima linea stimolò la sua attività di ricerca scientifica, condotta con originalità e spesso in collaborazione. Il contatto con casi clinici adolescenziali non inquadrabili in categorie diagnostiche soddisfacenti, lo portarono a interessarsi alle perversioni che, con un approccio psicoanalitico derivato dalle letture di Masud Khan, Robert Stoller, Mervin Glasser, Evelyne Kestemberg, inquadrò come momento di passaggio tra nevrosi e psicosi (con A. Novelletto, La scelta inconscia fra nevrosi e perversione in adolescenza, in Neuropsichiatria infantile, 1982, n. 256-257, pp. 857-862; con M. Grasso, L’importanza dell’organizzazione perversa in età evolutiva e i suoi rapporto con la psicosi: osservazioni cliniche su patologie adolescenziali, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, LI (1984), 4-5, pp. 441-450;  con M. Grasso - P. Ferro, Organizzazione perversa in età evolutiva: definizione di un quadro clinico, ibid., LIV (1987), 1, pp. 29-36). I casi impossibili, quelli per cui sembrava non esistere alcuna risposta, gli fecero capire limiti teorici e istituzionali, da arginare con il massimo della professionalità e una spinta volontaristica all’aiuto (Due casi impossibili: come nasce (o non nasce) un caso impossibile, ibid., LII (1985), 6, 1985, pp. 631-642). La necessità di imporre il ricovero ai ragazzini o toglierli alla famiglia lo portò a riflettere sui rapporti tra etica, diritto e libertà nel trattamento dei minori (con M. Cappabanca - D. Bosi - F. Brazzi, Ragione e passione. Cura e costrizione nel trattamento psichiatrico dei minorenni, in Giornale di neuropsichiatria dell’età evolutiva, VI (1986), 1, pp. 85-89).

Nel 1984, allo scopo di realizzare una comunità residenziale post ricovero per adolescenti borderline e psicotici, diede vita, con l’aiuto di medici, infermieri e assistenti sociali, all’Associazione per il sostegno e il trattamento di minori con problemi psicologici e psichiatrici. Nello stesso periodo, coinvolto dalla zia Laura Lombardo Radice, cominciò a insegnare psicologia come volontario ai detenuti del carcere di Rebibbia.

Quando Bollea lasciò l’insegnamento (1984), Lombardo Radice iniziò a lavorare direttamente con Adriano Giannotti. Nel 1988 prese il posto di Arnaldo Novelletto come responsabile del Servizio di psicoterapia per gli adolescenti dell’Istituto e avviò un’analisi didattica con Efrem Ferretti della Società psicoanalitica italiana. Parallelamente, seguiva pazienti privati in uno studio nei pressi di piazza Bologna aperto con i colleghi Anna Chagas Bovet e Fabrizio Brazzi.

In questo periodo la vocazione missionaria nei confronti del lavoro con i ragazzi assorbiva completamente il suo tempo, e anche le inquietudini che lo avevano accompagnato nel corso della vita. Di esplicitamente politico, in pratica, non faceva più niente. Era nella redazione di Linea d’ombra – rivista di cultura e politica diretta da Goffredo Fofi –, ma partecipava pochissimo; scriveva occasionalmente articoli che dovevano però essergli strappati dalle mani.

Fu in una di queste occasioni che, nell'ottobre 1986, raccontò in una piccola rivista ideata e curata da un gruppo di vecchi amici politici, Il piccione viaggiatore  (n. 3, suppl. al n. 15 di Linea d'ombra, pp. 3-7), la sua esperienza di neuropsichiatra infantile. Lo scritto «faticoso e occasionale» si intitolava il Raccoglitore nella segale (ovvero il mio mestiere di neuropsichiatra infantile), riecheggiando quello originale del Giovane Holden (The Catcher in the Rye). Lombardo Radice parlava del suo lavoro 'normale', molto lontano da quelli abituali del gruppo a cui si rivolgeva, e affrontava dubbi, problemi e ripensamenti nati con l’attività istituzionale. Chiariva, rispetto a certe storture ideologiche del decennio passato, come il curare fosse un problema professionale che andava assunto con tutte le sue ambiguità e compromissioni e anche tutta la sua violenza. Spiegava la personale conquista di una militanza professionale in sostituzione di quella politica e rifletteva sul rapporto tra motivazioni personali e movimenti collettivi. E proprio in questo intreccio trovava la continuità con quello che aveva sempre voluto fare ed essere nella vita: l’acchiappatore nella segale che, citando letteralmente l’Holden di Salinger parafrasato quasi dieci anni prima, stando sul bordo di un dirupo salvava quanti più ragazzini possibile dalla caduta.

Il 15 luglio 1989 fu colpito da infarto a Cortina d’Ampezzo, dove si trovava per una breve vacanza con la moglie Marina. Trasportato in un presidio ambulatoriale a Cortina, preferì non ricoverarsi. All’alba del giorno dopo, un nuovo attacco cardiaco gli fu fatale. Morì il 16 luglio nell’ospedale di Pieve di Cadore a quarant’anni. Bollea e Giannotti, in una dichiarazione all’università, ipotizzarono un collegamento tra la causa della morte e lo stress provocato dal suo lavoro con le patologie adolescenziali gravi.

Fu seppellito nel cimitero di Tai di Cadore con la partecipazione di molti ragazzi. A parlare al funerale furono Luigi Manconi, l’attore Giuseppe Cederna e il fratello Giovanni, per cui era sempre stato un riferimento.

La prematura scomparsa di Lombardo Radice lasciò un vuoto non solo privato, ma anche pubblico. Fu immediatamente avvertita l’esigenza di costruire la narrazione di un’esperienza ritenuta importante non solo per le persone coinvolte, ma per la collettività.

Gli operatori dell’Istituto cercarono nel suo lavoro e nel suo impegno un’identità di servizio. Chi aveva condiviso con lui la militanza politica e culturale lo rappresentò come un modello (al pari di Alexander Langer e Mauro Rostagno) capace di portare avanti individualmente, restando dalla parte dei più deboli, i valori collettivi degli ‘anni ’68’.

Luigi Manconi e Marino Sinibaldi curarono Una concretissima utopia. Lavoro psichiatrico e politica (Milano 1991), raccolta postuma dei suoi saggi e interventi, frutto di un lavoro collettivo che aveva coinvolto medici, operatori e pazienti del reparto di via dei Sabelli.  Conteneva l’inedito Dimmi chi erano i Beatles, riflessione sull’importanza che «la morte e le sue tematiche hanno nell’adolescente e dunque nella relazione terapeutica» e su come l’adulto possa aiutare i ragazzi ad avere «una memoria di sé, del mondo, che travalichi la disperazione dell’oggi; che tolga alla perdita dell’innocenza quanto meno il sapore della non-umanità» (pp. 111-120).

La regista Francesca Archibugi trasse dall’esperienza di Marco Lombardo Radice a via dei Sabelli il film Il grande cocomero (1993). Sul set nacque, con lo stesso nome, un’associazione di volontariato impegnata nel post-cura e nel recupero di bambini e adolescenti.

FONTI E BIBLIOGRAFIA

Notizie si trovano a: Milano, Università degli Studi di Milano, Centro Apice (Archivi della Parola, dell'Immagine e della Comunicazione Editoriale), Archivio storico, Archivio proprio, Segreterie di facoltà, sottoserie 2.2.13, registro matricola n. 19; Roma, Sapienza Università di Roma, Archivio del personale, Serie personale docente, M.L.R.; Ivi., Fondazione Gramsci, Archivio Lucio Lombardo Radice, serie Personalia, b. 1, fasc. 6 "Figli”; Ivi, Archivio storico del liceo Mamiani, Registri generali, 1962-1967.

Atre informazioni si ricavano dalle testimonianze raccolte dall’autore: Giovanni Lombardo Radice, 23 gennaio 2018; Giovanni Pietro Lombardo, 29 gennaio 2018; Chiara Ingrao, 1 febbraio 2018; Massimo Grasso, 2 febbraio 2018; Graziella Bastelli, 21 febbraio 2018; Marina Grappelli, 14 marzo e 6 aprile 2018; Chiara Simonelli, 13 aprile 2018; Giuseppe Cederna, 10 maggio 2018; Mauro Ferrara, 23 gennaio 2019; Tito Baldini, 15 febbraio 2019.

Tra i vari ricordi di Lidia Ravera su M.L.R. e Porci con le ali, vedi almeno: Io e Marco con le ali, in l’Unità, 21 agosto 2004; Tempi moderni e intuizioni di M.L.R. Adulti e figli adolescenti, in Adolescenza e psicoanalisi, III (2008), 2, pp. 23-25; Prefazione a Porci con le ali, Milano 2008, pp. 5-10; Introduzione a Porci con le ali, Milano 2013, pp. 5-10. Della vasta produzione su Porci con le ali, vedi almeno i recenti: A. Armano, Il procuratore generale e gli studentelli in tempesta ormonale. Lombardo Radice e Ravera, Porci con le ali, in Id., Maledizioni. Processi, sequestri e censure a scrittori e editori in Italia dal dopoguerra a oggi, anzi domani, Torino 2013, pp. 436-447; G. Simonetti, Nascita dello scrittore giovane. “Porci con le ali” (1976), in Id. La letteratura circostante. Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea, Bologna 2018, pp. 324-328.

A.M. Jemolo Lombardo Radice, Viva la tartaruga. Raccolta di scritti tra il 1939 e il 1970, Roma 1980, in particolare l’introduzione di L. Lombardo Radice, Vita di Adele Maria, pp. 5-36; G. Pintor, Il principe Andrej ci ha lasciati, in Il Manifesto, 18 luglio 1989; M. Sinibaldi, Nella politica, dopo la politica. Un modo di vivere grande e disordinato, ibid.; G. Bollea, In ricordo di M.L.R., in Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, 1989, n. 56, pp. 611-613; G. Fofi, Ricordo di M.L.R., in Id., Prima il pane, Roma 1990, pp. 134-139; L. Manconi, Introduzione a M. Lombardo Radice, Una concretissima utopia. Lavoro psichiatrico e politica, Milano 1991, pp. 7-14; G. Bettin - F. La Porta - A. Giannotti, commenti a Gli scritti e il lavoro di M.L.R., in La terra vista dalla luna, 8, suppl. a Linea d’ombra, 1992, n. 71, pp. 14-16; M. Sinibaldi, M.L.R. e Il grande cocomero, in Linea d’ombra, 1993, n. 80, pp. 5-6; S. Fiori, Il ragazzo che non volle farsi Re, [colloquio con Giaime Pintor], in La Repubblica, 21 agosto 1996;  G. Fofi, M.L.R. dopo il “movimento”, in Id., Le nozze coi fichi secchi, Napoli 1999, pp. 262-267; G. Cederna, Il grande viaggio, Milano 2004, pp. 40, 41, 256; T. Baldini, “Raccoglitore” di adolescenti. Capacità esplorative psicoanalitiche con adolescenti tormentati, in Adolescenza e psicoanalisi, III (2008), 2, pp. 15-22; F. Bocci, In memoria di M.L.R. psichiatra e educatore, in Ricerche pedagogiche, CLXXI (2009), 43, pp. 37-40; L. Manconi - M. Sinibaldi, Introduzione a M. Lombardo Radice, Una concretissima utopia, Roma 2010, pp. 7-14; Udire con gli occhi. Adriano Giannotti tra neuropsichiatria infantile e psicanalisi, a cura di M. De Simone - V. Giannotti - F. Troncarelli, Viterbo 2010; G. Bastelli, Raccoglitori nella segale, in Gli asini, I (2011), 4, pp. 41-46; G. Spaziani, M.L.R., ieri e oggi, in ivi, pp. 46-50; L. Manconi (con V. Brinis), La musica è leggera. Racconto su mezzo secolo di canzoni, Milano 2012, pp. 144, 220, 221, 225, 261; S. Martin, Di mestiere faccio l'organizzatore. Storia vera di un ragazzo che pensava di fare la rivoluzione, Torino 2014; G. Lombardo Radice, Una vita da zombie. Vita privata e carriera di una star dell'horror, Colli al Metauro (Pu) 2016; L. Manconi, Corpo e anima, a cura di C. Raimo, Roma 2016, pp. 35, 172, 202, 224.

Foto per cortesia l’Unità

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