MINUCIO FELICE, Marco

Enciclopedia Italiana (1934)

MINUCIO FELICE, Marco

Mario Niccoli

Scrittore cristiano del sec. II o III, autore di un dialogo apologetico, l'Octavius, che ha grandissima importanza, soprattutto come documento letterario e per le discussioni che ha suscitate fra gli studiosi moderni. Sappiamo da S. Girolamo e da Lattanzio che M. esercitava la professione dell'avvocato a Roma, ma alcune particolarità del suo stile, per tacere d'altro, rivelano chiaramente l'origine africana di M., il quale, a sua stessa confessione, era un convertito.

Queste sono le uniche notizie che abbiamo sulla persona di M., al quale, all'epoca di S. Girolamo, era attribuito, con tutta probabilità arbitrariamente, un De Fato vel contra mathematicos, che non ci è giunto.

Il dialogo ci presenta tre amici, M., Ottavio Ianuario e Cecilio Natale - il secondo cristiano, il terzo pagano (Cecilio Natale probabilmente originario di Cirta) - in vacanza sulla spiaggia di Ostia. Una frase pungente di Ottavio a proposito di Cecilio che ha devotamente salutato una statua di Serapide, dà occasione alla disputa. Parla prima Cecilio in favore del paganesimo; risponde Ottavio confutando gli argomenti dell'amico, il quale si dichiara convinto prima ancora che, giusta gli accordi, M. intervenga come arbitro.

L'Octavius ha suscitato grande interesse fra gli studiosi ed è stato oggetto di copiosissime indagini per alcune sue caratteristiche che gli conferiscono un posto unico in tutta la letteratura cristiana. M. non rivela certo in esso una mente originale e, come ha mutuato da Cicerone il quadro generale del dialogo, la deliziosa lucentezza dell'eloquio, non turbata dai frequenti africanismi, e lo stile raffinato ed elegante, così ha attinto per ogni dove, soprattutto da Cicerone e da Seneca, idee, argomenti ed espressioni. Ma il suo lavorio di mosaicista non si rivela mai e non turba affatto la fluidità dell'argomentazione - sempre stringata ed efficace, sia che fiorisca sulle labbra del pagano Cecilio, sia che venga diretta contro lui - né la vena inesauribile del suo slancio oratorio. Avvocato esperto in ogni scaltrezza del suo mestiere, letterato colto e raffinato, egli, edotto delle accuse rivolte al cristianesimo dall'ambiente colto in cui vive, sembra avere voluto vincere il suo avversario con le sue stesse armi: mentre attinge di preferenza a scrittori pagani, sembra ignorare persino la Scrittura (nel dialogo essa non è mai citata) e persino gli stessi dogmi fondamentali del cristianesimo. Egli si limita a dimostrare l'infondatezza delle accuse rivolte contro il cristianesimo (la requisitoria di Cecilio sembra rifletta gli argomenti di uno scritto di Frontone contro i cristiani) e a dimostrare al lume della ragione naturale la fragile inconsistenza del mondo religioso pagano: quasi egli voglia limitarsi, da letterato e da filosofo, a rimuovere le difficoltà che un letterato e un filosofo del suo tempo avrebbero potuto opporre all'accettazione della fede cristiana.

Chi voglia giudicare lo scritto di M. per quello che è e vuole essere, non potrà che meravigliarsi delle ipotesi (disciplina dell'arcano, catecumenato di M.; suo spirito tendenzialmente ereticale, o quanto meno assenza, in lui, di vero spirito cristiano) emesse per spiegare certe sue espressioni e l'assenza di chiari accenni ai dogmi cristiani, ipotesi che non reggono a una critica oculata.

Una questione più controversa è quella della data dell'opera e, quindi, dell'epoca in cui sarebbe vissuto M. Le date estreme sono rappresentate dal 170 circa e dal 258, anni della morte rispettivamente di Frontone e di S. Cipriano: il primo, quando M. scriveva, aveva già pronunciato la sua orazione contro i cristiani, alla quale si accenna nell'Octavius; il secondo ha largamente utilizzato il dialogo di M. nel suo Quod idola dii non sint. Il confronto con l'Apologeticum di Tertulliano complica la questione. Infatti fra i due scritti esistono punti di contatto tali, che si è potuto parlare di plagio. Ma chi il plagiario? Tre ipotesi sono state fatte: la prima (difesa soprattutto da W. Hartel, ma che ha avuto pochi seguaci) vuole che Tertulliano e M. abbiano attinto a una fonte comune oggi perduta, una seconda ipotesi (difesa soprattutto da A. Ebert, M. Schanz, E. Norden, J.-P. Waltzing, O. Bardenhewer) afferma la priorità di M., che in tale caso sarebbe il primo scrittore cristiano latino e sarebbe vissuto nell'ultimo quarto del sec. II; l'ipotesi della priorità di Tertulliano è stata difesa soprattutto da G. Boissier, P. Monceaux, A. Harnack, P. de Labriolle.

In realtà non sembra che si possa, allo stato attuale della disputa e con i mezzi a disposizione, giungere a una conclusione certa: a meno che non si voglia dedurre argomento dal fatto che, mentre in M. non c'è una frase - anche a prescindere da Tertulliano - della quale non si possa cercare la fonte, tale procedimento sarebbe del tutto eccezionale in uno scrittore così impetuosamente originale quale è Tertulliano.

Il testo dell'Octavius ci è stato conservato da un unico manoscritto (parigino-lat., 1661). Le migliori edizioni sono quelle di C. Halm, in Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, II, Vienna 1867, e di J.-P. Waltzing, Lipsia 1926. Vedi anche quella di A. Valmaggi, Torino 1916. Più recente quella di J. Martin, Bonn 1930. Buona la traduzione italiana con testo a fronte, a cura di U. Moricca (Roma 1933).

Bibl.: È oltremodo vasta: quella essenziale (fino al 1924) si trova registrata da E. Amann, in Dictionnaire de théologie catholique, s. v. Per la bibliografia posteriore al 1924 si cfr. J. Marouzeau, L'année philologique, I (1927) e seguenti.