PRAGA, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PRAGA, Marco

Livia Cavaglieri

PRAGA, Marco. – Nacque a Milano il 20 giugno 1862, da Emilio, poeta, e Annetta Benfereri.

Costretto a dodici anni ad abbandonare il ginnasio e a diplomarsi in ragioneria, in seguito alla separazione dei genitori (1873) e alla morte del padre (1875), per mantenere sé e la madre, con la quale visse sempre (a parte la parentesi di un breve matrimonio con la dattilografa Isotta Brigliadori), si impiegò come contabile presso un’Opera pia, mentre a tempo perso si dedicava alle lettere.

Fu scrittore (prevalentemente, ma non solo) di teatro, traduttore, critico drammatico, organizzatore e capocomico. Collaborò al settimanale letterario-artistico Penombre e riscosse il primo successo con l’atto unico L’amico (1886). Le vergini (1889) e La moglie ideale (1890) furono le sue commedie più importanti e fortunate, il successo delle quali stimolò Praga non ancora trentenne a intensificare l’impegno nella drammaturgia (anche come traduttore-adattatore dal francese).

Nelle Vergini, anticipatrici delle Demi-vièrges di Marcel Prévost, colpisce l’antitesi «fra le due sorelle che sono vergini impure e la terza sorella – Paolina – che è una pura non vergine; il contrasto fra ciò che la società reputa essenziale, mentre è secondario, e ciò che la società reputa secondario, mentre è essenziale» (Sanesi, 1944, p. 619). Si impone subito uno fra i motivi dominanti dell’intera opera praghiana, l’«opposizione Ipocrisia-Sincerità» (Barsotti, 1988, p. 270), mentre il personaggio amaramente orgoglioso di Paolina, che trova la forza di ribellarsi al moralismo convenzionale, al prezzo di rinunciare al fidanzato Dario, si staglia in un’opera che pure rimane d’ambiente.

Evidentemente contigua per tematica, ma indipendente per concezione dalla Parisienne di Henry Becque, La moglie ideale è considerata l’opera più riuscita di Praga. Essa offre una nuova tipologia di personaggio femminile: Giulia, capace si dividersi equamente e lucidamente tra il marito («coll’animo e col cervello») e l’amante («col corpo e col cuore») e di realizzare così «uno strano ma benefico equilibrio» (spiega Costanzo, il raisonneur) tra le sue due vite, salvando perfettamente le apparenze. Contribuirono alla riuscita della commedia i suggerimenti e l’interpretazione di Eleonora Duse, con la quale Praga intrecciò una stretta amicizia.

Con queste due pièces, antitetiche per poetica e stile all’opera paterna, Praga raggiunse subito una posizione di prestigio all’interno della scuola verista settentrionale, beneficiando del trovarsi in un contesto dominante nella cultura italiana dell’epoca, quale l’ambiente teatrale milanese, cui rimase sempre saldamente legato, anche quando la sua attività raggiunse statura nazionale (nel 1893 collaborò con Domenico Oliva e Luigi Illica alla stesura del libretto di Manon Lescaut di Giacomo Puccini).

Il verismo delle sue opere teatrali giovanili (cui si può accostare il romanzo La biondina, Milano 1893) segue il percorso tracciato da Becque e Alexandre Dumas figlio, associandovi lo psicologismo di Paul Bourget. L’azione è stringata, lo sguardo e l’analisi si concentrano su caratteri e ambienti della coeva società borghese (in particolare la borghesia medio-alta milanese), il dramma s’appunta su matrimonio e adulterio, temi di pressoché esclusivo interesse del teatro di Praga. I personaggi maschili sono superficiali, ottusamente conformisti, cinici e grettamente egoisti. «L’ambivalenza della legge morale per l’uomo e la donna» è per loro «un sacro, inviolabile presupposto del […] vivere civile» (Pullini, 1960, p. 98).

Il drammaturgo predilige lo scavo nella psicologia dei personaggi femminili e pone in forte risalto il contrasto realtà/apparenza che caratterizza il rapporto della donna con la società e della moglie con il marito. Le protagoniste (Susanna in Il bell’Apollo, 1894; Lucia in La morale della favola, 1899; Emilia in Il divorzio, 1915) esprimono di frequente la necessità di arrivare a una verità unica, certa, oggettiva. Così il teatro di Praga è «spesso arido e secco, rappresentando l’urto irrimediabile e irriducibile di volontà diverse e di differenti caratteri che agiscono con le parole come coi fatti» (Ferrigni, 1921, p. 209).

In vicende in cui dominano ipocrisia e simulazione, i personaggi femminili che provano a ribellarsi soccombono e sono ridotti alla «Solitudine totale» (Barsotti, 1988, p. 259). Unica scampata alla «morsa inesorabile» (Possenti, 1929, p. 162) in cui Praga stringe i suoi personaggi, è la Giulia della Moglie ideale, la quale, con la sua «logica esibita dell’amoralità» (Pullini, 1960, p. 72), riesce a ribaltare a proprio favore la situazione conformista.

Dalla metà degli anni Novanta, il teatro di Praga «registra una diminuzione della produzione di testi, ma presenta una modalità di scrittura più raffinata, capace di sfruttare i codici della scena, soprattutto quelli visivi e prossemici» (Cambiaghi, 2013, p. 99). In La crisi (1904) e La porta chiusa (1913, interpretata dalla Duse) verismo e positivismo si dissolvono e si impone una più sfumata apertura ai conflitti interiori, al tormento umano, vi troviamo insomma «una più matura concezione della vita» (Ruberti, 1928, p. 539).

In La crisi (apprezzata da James Joyce, cfr. P. Raisor, Grist for the mill: James Joyce and the naturalists, in Contemporary literature, XV (1974), 4, pp. 457-473) assistiamo dapprima al dramma dell’orgoglio di Nicoletta, decisa a non mentire al marito, e della disperazione di quest’ultimo. Ma poi «si respira un’atmosfera nuova per la sincerità spregiudicata del dialogo» (Pullini, 1960, p. 114) e si osserva lo sforzo di superare la solita morale di comodo fino al raggiungimento di un mutamento d’animo, alla conquista di un sentimento di amore autentico e reale da parte dei due coniugi. In La porta chiusa la peculiarità, invece, forse di inconsapevole ispirazione ibseniana, sta nel dramma à rebours, nella rievocazione e nel racconto di situazioni passate piuttosto che nella loro messa in azione.

«Interprete duro e veritiero della crisi dei valori borghesi tra la fine del Vecchio secolo e il Nuovo» (Barsotti, 1988, p. 260), Praga fu autore dallo stile schietto e lineare, dai dialoghi piani e colloquiali, costruiti su scambi concisi e disadorni. Per Piero Gobetti (1974) fu «l’autore drammatico meno disprezzabile del ventennio 1890-1910» e tuttavia limitato da un «pregiudizio romantico», che lo fece rinunciare «alla sua vera originalità di ironista e di critico, di psicologico paradossale per inseguire il fantasma di un contenuto drammatico» e della conclusione ad alta drammaticità risolutiva (p. 597). Ciò che non gli mancò fu «una robusta, solida e sicura mano di costruttore scenico», che esprimeva in «quel suo fare sbrigativo e spavaldo di piantarvi davanti situazioni e personaggi in modo succinto e preciso e di condurre gli uni e le altre, in continua progressione drammatica, in stretta coerenza logica, a una precisa ed esauriente catastrofe» (D’Ambra, 1929, p. 538).

Estremamente severo verso se stesso e gli altri, in tarda età Praga sconfessò la quasi totalità delle proprie commedie, salvando solamente La moglie ideale, La crisi, La porta chiusa, Le Vergini (cfr. prefazione a Il Bell’Apollo, 1920).

Lasciato l’impiego di contabile per dedicarsi completamente al teatro, nel 1896 Praga divenne direttore generale della Società italiana degli autori (SIA) e intrecciò il mestiere di drammaturgo con quello di organizzatore. Fu soprattutto grazie a tale veste che egli esercitò duratura influenza sul teatro italiano («influence véritablement tyrannique»: J. Carrére, La mort de Marco Praga et la fin d’une légende artistique, in Temps, 3 marzo 1929). Restò direttore della SIA fino al 1911, ne fu presidente nel 1918-19 (ma operativamente già dal 1916, essendo malato Arrigo Boito, presidente in carica), poi nel 1921 direttore della sezione Diritti erariali, rimanendo una figura chiave del sodalizio fino a quando esso fu inquadrato negli ordinamenti corporativi e trasferito da Milano a Roma (1926).

«La difesa ‘implacabile’ degli autori italiani fu la causa alla quale Praga dedicò le sue migliori energie» (Lopez, 1949, p. 217): affiancato da un gruppo eterogeneo di drammaturghi, compositori, editori, giuristi, critici e politici, Praga promosse in primo luogo in Italia un programma di estensione e consolidamento dell’istituto giuridico del diritto d’autore.

Massimo risultato fu il regio decreto-legge 7 novembre 1925 n. 1950, che introdusse novità essenziali, come il riconoscimento dei diritti morali dell’autore; la durata della protezione dell’opera determinata non più sulla data di pubblicazione, ma sulla vita dell’autore; l’introduzione dell’istituto del diritto demaniale sulle rappresentazioni teatrali e musicali.

Secondariamente Praga riuscì a radicare la SIA quale unico organo di tutela della proprietà intellettuale in Italia (sul modello della francese Société des auteurs et compositeurs dramatiques). Operandone il risanamento economico e aumentandone l’efficienza, Praga rese la SIA una struttura articolata e potente, dotata di un’anima imprenditoriale, di stabilità finanziaria e di prosperità economica, allorché fu riconosciuta dallo Stato italiano come fida collaboratrice e intermediaria sul piano fiscale (1929). Parimenti egli si impegnò nel tentativo di limitare il predominio del repertorio teatrale francese; lottò contro attori e capocomici per il riconoscimento dell’autorialità del drammaturgo nella dimensione della messinscena; promosse l’allontanamento di impresari e intermediari privati dalla sfera dell’organizzazione teatrale (ingaggiando vere e proprie battaglie contro Adolfo Re Riccardi, i fratelli Chiarella, Paolo Giordani). Fu un’azione in ogni caso controversa, imperniata sull’accentramento sindacale-corporativo degli autori drammatici nella SIA e ammantata dai sacri crismi della battaglia ideale a favore dell’autore patrio e della definizione di un repertorio drammatico nazionale.

La «leggendaria dirittura morale di Praga» (Camilleri, 1959, p. 68) si deve soprattutto al suo scrupoloso operato in seno alla SIA, dettato da temperamento risoluto, battagliero e fiero e da una tenace e disperata volontà di riscatto e affermazione rispetto al tragico scacco paterno.

Smise di scrivere commedie regolarmente quando, nel 1912, divenne direttore artistico della Compagnia del teatro Manzoni di Milano.

Essa rappresentò un esperimento di compagnia drammatica stabile, i cui cauti obiettivi riformistici possono essere sintetizzati in repertorio decoroso; abolizione del sistema dei ruoli e creazione di una compagnia di complesso; cura e pulizia formale della messinscena nelle componenti di allestimento scenico e coordinamento d’insieme. La prima formazione (fino al 1915) fu imperniata su Tina di Lorenzo e Armando Falconi e lanciò Dario Niccodemi, nonostante la scelta dei testi fosse conformata «un po’ ai limitati orizzonti culturali di Praga, un po’ al gusto salottiero e mondano dei due primi attori» (Pullini, 1960, p. 25). La seconda formazione (scioltasi nel 1917), invece, ebbe come prima attrice Irma Gramatica e presentò un repertorio più vario, includendo qualche classico e alcune novità, fra cui testi simbolisti e Se non così (La ragione degli altri), di un Pirandello esordiente nella drammaturgia.

Dal 1919 fino alla morte Praga fu, con lo pseudonimo Emmepì, il critico teatrale dell’Illustrazione italiana, per la quale scrisse quasi 300 articoli (poi riuniti in Cronache teatrali 1919-1928, I-X, Milano 1920-1929), dopo collaborazioni brevi e sporadiche a varie testate.

«Stilisticamente ineccepibile» (Cronache teatrali del primo Novecento, 1979, p. 10), indipendente e reciso nei giudizi, Praga ebbe uno stile lontanissimo «dal rigore del saggista quanto dall’impersonalità del cronista di mestiere» (Pullini, 1960 p. 123). La sua rubrica, autorevole e reazionaria, fu «la testimonianza più evidente della sua incapacità di aderire alla vita teatrale contemporanea e ai risultati della sua ricerca espressiva […]. Tenacemente legato a forme espressive che egli stesso aveva contribuito a formare Praga vi si rinchiuse dentro rifiutando poi in modo assoluto di capire che la drammaturgia italiana ed europea cercava intanto strade nuove e nuovi linguaggi» (P.D. Giovanelli, La società teatrale in Italia fra Otto e Novecento. Lettere ad Alfredo Testoni, III, Roma 1984, p. 1480).

Di temperamento scontento, irremovibile negli odi come negli amori, Praga morì suicida il 31 gennaio 1929, nel sanatorio di Varese, dove era ricoverato per una grave malattia polmonare.

Opere (non citate nel testo). Testi teatrali: Le due case (1884, con Virgilio Colombo); Giuliana (1887); Mater dolorosa (1889, dal romanzo di G. Rovetta); L’innamorata (1891); L’Alleluja (1892); L’incanto (1892); L’erede (1893); La mamma (1895); Il dubbio (1899); Ondina (1903); La medaglia d’argento (1918); Oreste, Pilade e Pippo ovvero Quattro anni dopo (1927). Racconti: Storie di palcoscenico (Milano 1895); La storia di Tom (Milano 1919); I tre Maurizii (Milano 1919); Anime a nudo. Lettere di donne e di fanciulle (Milano 1920). Poesie: Quando muore l’amore (Como 1935).

Fonti e Bibl.: A. Bloch, Un auteur dramatique italien. M. P., in Revue d’art dramatique, VIII (1899), ottobre, pp. 136-145; M. Ferrigni, in Annali del teatro, I, Milano 1921, pp. 208 s.; C. Levi, Autori drammatici italiani, Bologna 1922, pp. 67-110; G. Ruberti, Storia del teatro contemporaneo, II, Bologna 1928, pp. 538-545; L. D’Ambra, M. P., in Nuova Antologia, 16 febbraio 1929, pp. 533-540; S. D’Amico, Appunti su M. P., in Pegaso, 1929, 3, p. 351; E. Possenti, M. P., in La lettura, 3 marzo 1929, pp. 161-168; R. Simoni, La figura di M. P. rievocata in una serie di cerimonie, in Corriere della sera, 31 aprile 1930; C. Antona Traversi, La verità sul teatro italiano dell’Ottocento, Udine 1940, pp. 37-50; I. Sanesi, La commedia, II, Milano 1944, pp. 618-622; M. Forgione, La vita e l’arte di M. P., tesi di laurea, Università degli studi di Padova, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1944-45; S. Lopez, S’io rinascessi, Milano 1949, pp. 216-227; G. Lopez, Carteggio M. P. - Sabatino Lopez 1889-1929, in Il Dramma, XXXIV (1958), 267, pp. 63-93; A. Camilleri, I teatri stabili in Italia (1898-1918), Bologna 1959, pp. 66-91; Ricordo di M. P., Roma 1959; G. Pullini, M. P., Bologna 1960; L. Personè, M. P. e la società del suo tempo, in Nuova Antologia, giugno 1963, pp. 243-254; P. Gobetti, Scritti di critica teatrale, a cura di G. Guazzotti - C. Gobetti, Torino 1974, pp. 586-598; G. Lopez, M. P. capocomico, in La Martinella di Milano, XXXIII (1979), 11-12, pp. 311-320; Cronache teatrali del primo Novecento, a cura di R. Rimini, Firenze 1979, ad ind.; M. Praga, Lettere a Federico De Roberto, a cura di N. Leotta, Catania 1987; A. Barsotti, P. drammaturgo: tre casi di solitudine femminile, in Italianistica, XVII (1988), 2, maggio/agosto, pp. 257-277; G. Antonucci, Storia della critica teatrale, Roma 1990, pp. 163-178; G. Lopez, M. P. e Silvio D’Amico. Lettere e documenti (1919-1929), Roma 1990; S. Felisso, M. P. e il suo ‘doppio’ Emmepì, in Ariel, 1999, vol. 41, pp. 59-111; A. Barsotti, P. - Pirandello: un nodo gordiano, ibid., 2001, vol. 46-47, pp. 93-126; Id., Un drammaturgo-ragioniere a capo della SIA: il “caso M. P.”, in Il castello di Elsinore, 2002, vol. 41, pp. 75-91; L. Cavaglieri, Trust teatrali e diritto d’autore (1894-1910), Corazzano 2012; M. Cambiaghi, Il caffè del Teatro Manzoni, Milano-Udine 2013, pp. 79-106, 125-150.

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