MAREA

Enciclopedia Italiana (1934)

MAREA (fr. marée; sp. marea; ted. Gezeiten, Tiden; ingl. tide)

Luigi CARNERA
Francesco VERCELLI

Le maree sono oscillazioni periodiche delle masse acquee marine, dovute a piccole forze periodiche derivate dall'attrazione della luna o del sole. Si tratta di un fenomeno universale, persistente, periodico, nettamente distinto quindi dai moti marini che traggono origini da altre cause. Le fluttuazioni delle maree constano di moti verticali e di scorrimenti orizzontali. Ai primi soltanto spetta propriamente il nome di maree; ai secondi si dà la qualifica di correnti di marea. Il massimo livello raggiunto dall'acqua, nelle alternanze di marea, si chiama alta marea; il minimo livello bassa marea. La differenza di livello fra alta e bassa marea è l'ampiezza della marea. Il medio valore dei livelli marini osservati durante un lungo periodo di tempo, in una località, è il livello medio.

Mareografi. - L'osservazione dei variabili livelli del mare viene fatta leggendo l'altezza dell'acqua su aste graduate; dette scale di marea, a intervalli uniformi di tempo; ovvero è compiuta, in modo continuato, mediante apparecchi registratori detti mareografi. Questi apparecchi constano di un tamburo girevole, mosso da dispositivo di orologeria e portante la carta destinata al tracciamento del mareogramma, e di un organo che trasmette i dislivelli del mare alla punta scrivente. Sono in uso due tipi principali di organi di trasmissione: uno di essi è costituito di un galleggiante, appoggiato sull'acqua, sospeso da filo, o nastro metallico, che si eleva, si avvolge sopra una carrucola e termina a un contrappeso; il moto di salita e di discesa del galleggiante viene trasmesso alla punta scrivente con dispositivi diversi, previa opportuna riduzione di scala. Un secondo tipo consiste nell'impiego di manometri, nei quali le variazioni di pressione sono proporzionali alle ampiezze dei dislivelli marini. A quest'ultimo gruppo appartengono gli apparecchi destinati a rilievi mareografici in pieno mare.

Principi della teoria delle maree. - I fenomeni dl marea hanno, in ogni tempo, richiamato l'attenzione dell'uomo, specie nei mari dove si sviluppano con rilevante ampiezza.

L'analogia di ritmo fra le alternanze della marea e i cicli dei moti lunari fece attribuire alla luna la causa generatrice delle maree. In Plinio, come nelle opere moderne, le ore dell'alta marea sono espresse mediante il ritardo di esse rispetto alle culminazioni lunari. La misteriosa azione lunare sulle maree si trova espressa anche da Dante (Par., XVI, 82). Ma la forza attrattiva lunare, come causa generatrice delle maree, non fu ritenuta ammissibile da uomini sommi, quali Galileo e Kepler. Solo con la scoperta della legge della gravitazione universale, per merito di Newton, si raggiunsero i principi che consentirono di precisare in modo definitivo il meccanismo delle forze generatrici della marea.

I punti del globo terrestre hanno distanze differenti rispetto a un dato astro; le attrazioni di questo risultano quindi diverse da punto a punto della terra. La marea sorge a causa di queste differenze di attrazione. Teoricamente ogni astro può generare marea. Ma è chiaro che solo gli astri aventi masse rilevanti e distanze relativamente piccole dalla terra possono destare maree sensibili; solo le azioni del sole e della luna risultano praticamente efficienti. L'azione lunare, per la piccola distanza del satellite, prevale su quella solare, e quindi le periodicità delle maree rispecchiano principalmente i ritmi dei moti lunari.

Le maree sono sensibili all'osservazione, in quanto la terra è ferma e l'acqua si sposta. Effettivamente anche il globo solido terrestre subisce periodiche deformazioni sotto l'azione delle forze di marea; i fenomeni che osserviamo risultano da spostamenti relativi fra acque e terra, e sono minori di quelli che si avrebbero, se la terra fosse del tutto rigida.

Nella teoria delle maree oceaniche si suole supporre, in prima approssimazione, che la terra sia rigida. Si devono adottare poi altre ipotesi semplificatrici, non essendo possibile tenere conto delle complicatissime distribuzioni delle acque e dei continenti. Ma anche con tali schematizzazioni il problema delle maree si presenta come questione assai complessa; una soluzione teorica generale, anche solo approssimata, costituisce tuttora un ideale non raggiunto dalla scienza. La teoria si limita a considerare le maree sopra un globo ideale, o in bacini aventi forme geometricamente semplici; deduce alcune leggi di applicazione generale e dà le basi per l'interpretazione e la previsione del fenomeno; solo per singoli bacini, assimilabili a forme semplici, riesce a determinare il regime reale delle maree in modo abbastanza approssimato.

Per avere idea dei fattori generanti la marea e conoscere alcuni caratteri essenziali del fenomeno, conviene considerare il caso ideale di un globo interamente ricoperto dal mare. Esaminiamo l'azione esercitata dalla luna. Le particelle liquide situate sulla calotta affacciata alla luna subiscono un'accelerazione rivolta verso la luna maggiore di quella subita da masse eguali poste al centro della terra; ne deriva una forza relativa che tende a elevare il livello delle acque sulla calotta considerata. Nell'emisfero opposto, avendo le particelle distanze maggiori che non il centro, rispetto alla luna, si ha accelerazione decrescente con la distanza, e quindi un ritardo di moto rispetto al moto del centro; a ciò corrisponderà ancora un allontanamento delle particelle liquide dal centro, cioè un innalzamento di livello. La fascia interposta fra le due calotte considerate presenterà un abbassamento di livello; ivi la forza relativa lunare è rivolta verso l'interno della terra.

Se l'oceano acquistasse, a ogni istante, la posizione di equilibrio corrispondente al campo di forze considerato, la superficie dell'oceano assumerebbe la forma di uno sferoide allungato con l'asse rivolto verso il centro lunare. Rispetto alla terra immobile lo sferoide ruota con la velocità oraria della luna, attorno all'asse terrestre; per ogni punto P della terra il livello risulta quindi variato con continuità, in guisa da presentare i massimi valori due volte al giorno (quando la luna transita nel piano meridiano) e i minimi pure due volte al g10rno (quando la luna è a 90° dal piano meridiano).

Se la luna è sul piano dell'equatore, le successive alte o basse maree sono eguali; in caso diverso si ha una disuguaglianza diurna, la quale cresce col valore assoluto della declinazione lunare.

È chiaro che tutte le ineguaglianze di posizioni e di distanza che la luna presenta, nel suo movimento complicatissimo, rispetto alla terra, si devono riverberare in variazioni nella posizione e nelle altezze delle intumescenze della superficie oceanica, e quindi nelle maree.

Per interpretare i ritmi di marea occorre ricordare alcuni dati astronomici relativi ai moti della luna e della terra, che riproduciamo dal manuale del Warburg. La rotazione della terra attorno al proprio asse (giorno sidereo) avviene in ore 23,9345. La velocità angolare della terra risulta quindi:

La luna rispetto alle stelle fisse compie una rivoluzione (mese tropico) in giorni 27,3216. Questo è anche il pariodo della declinazione lunare. La velocità angolare di tale moto sarà μ = 0°,5490 all'ora.

La velocità angolare della terra, nel moto di rivoluzione annuo attorno al sole (giorni 365,2422), è σ = 0°,0411 all'ora. L'asse dell'orbita lunare non è fisso, ma ruota attorno alla terra facendo un giro in anni 8,85; perciò il tempo di passaggio della luna da uno ad altro perigeo (mese anomalistico) è alquanto maggiore di un mese tropico. La velocità angolare dell'asse lunare è p = 0°,0046 per ora. Dai valori assoluti si ′leducono quelli dei moti relativi: velocità angolare del sole rispetto a un punto della teria = ε − σ = 15° all'ora; idem della luna = ε − μ = 14°,4921 all'ora; velocità della luna nella sua orbita rispetto all'asse dell'orbita = μ − p = 0°,5444 all'ora; velocità della luna rispetto al sole come appare dalla terra: μ − σ = 0°,5079 all'ora.

Consegue che il giorno solare medio ha durata di 24 ore; il giorno lunare medio di ore 24,8412; la lunghezza del mese anomalistico è di giorni 27,5546; la lunghezza del mese sinodico, o dell'intervallo fra successive congiunzioni (sizigie) del sole e della luna, di giorni 29,5306.

Premesse queste notizie, diamo un cenno sommario sulla cosiddetta teoria statica delle maree; seguiremo uno sviluppo analogo a quello dato dal Darwin e dal Prey.

Sia P un punto della superficie terrestre (v. fig. accanto), supposta sferica di raggio ρ0. Siano m e r la massa della luna e la distanza geocentrica del centro lunare L; poniamo R = PL. Sia ζ il dislivello che assume il punto P per effetto della marea rispetto alla terra sferica; la distanza geocentrica di P sarà ρ = ρ0 + ζ. La funzione potenziale dell'attrazione lunare in P sarà, indicando con k2 la costante dell'attrazione universale, k2 m/R.

Le forze che derivano da questo potenziale si riferiscono in parte al moto della terra come globo, in parte allo sviluppo delle maree. La parte attiva nei fenomeni di marea corrispomle alla differenza tra il potenziale nel punto P quello nel centro della terra. La forza di attrazione lunare al centro terrestre O è k2 m/r2. Il corrispondente potenziale, índicando con z la proiezione OP1 di OP su OL, e con ψ l'angolo POL, sarà

Il potenziale V delle forze lunari generatrici della marea sarà dunque

Si ha:

e quindi

Sviluppando il secondo membro in serie di potenze del rapporto ρ/r (parallasse lunare), sopprimendo la costante m/r e limitando lo sviluppo al termine che contiene i quadrati della parallasse, il che è praticamente sufficiente, si ha:

Espressione analoga si ha per il potenziale V′ delle forze solari: dette m′, r′, ψ′ la massa, la distanza e l'angolo zenitale del sole sí avrà

È facile verificare che le forze di marea relative ad altri astri, derivate da formule analoghe alle precedenti, sono trascurabili.

Il potenziale U dell'attrazione e della forza centrifuga teriestre in P è uguale prossimamente a una costante diminuita di gζ, ove g è il valore della gravità superficiale, e ζ rappresenta il dislivello di P per effetto della marea.

La teoria statica ammette che la superficie delle acque, a ogni istante, si disponga nella posizione di equilibrio corrispondente al campo di forze generatrici della marea; tale superficie è equipotenziale, cioè deve essere

ossia

La costante viene determinata con la condizione che il volume della massa oceanica, nei moti di marea, resti immutato. La (6) assume in definitiva l'espressione seguente:

I dislivelli di marea ζ, per la (7), sono proporzionali ai potenziali delle forze generatrici di marea. A parità di altre condizioni le maree sono massime quando sia ψ = 0°, ovvero ψ = 180°; ψ′ = 0°, ovvero ψ′ = 180°; e minime quando ψ e ψ′ valgono ± 90°.

Si verifica facilmente che le massime elevazioni ζ risultano di circa m. (0,36 + 0,16) = m. 0,52. Invece le massime depressioni risultano di m. (− 0,18 − o,08) = − m. 0,26. Non si ha simmetria fra alte e basse maree.

Per alcune importanti deduzioni conviene trasformare l'espressione (7). Riferiamo il punto P e il centro lunare a un sistema di coordinate geocentriche; il piano x, y coincida con l'equatore e l'asse x sia rivolto verso il punto vernale (nodo ascendente). Siano x, y, z le coordinate di P; a, b, c le coordinate di L; ϕ, ϑ, la latitudine geocentrica e il tempo sidereo di P; α, δ l'ascensione retta e la declinazione di L. Sarà:

Si deduce:

e quindi

Espressione analoga vale per il corrispondente termine solare. Sostituendo gli sviluppi tipo (8) nel secondo membro della (7) l'altezza ζ risulta espressa dalla somma di tre gruppi di termini, che consideriamo separatamente, indicandoli con ζ1, ζ2, ζ3.

1° gruppo:

Questa espressione può essere ridotta a forma monomia. Per l'identità

risulta

Poniamo:

da cui

La (9) può essere scritta

Tanto il coefficiente B′, quanto la fase β′, sono quantità variabili. Considerando come uniche variabili le ascensioni rette del sole e della luna, si ha che B′ è massima quando α = α′, ovvero α = α′ + 180°, cioè nelle sizigie (plenilunio o novilunio). Ma allora è anche β′ = 0.

Il massimo valore di ζ1 si avrà quando, oltre a essere B′ massima, sia anche ϑ = α, ovvero ϑ = α + 180°, cioè nei transiti lunari in meridiano (circa ore 12 e 24) in epoca sizigiale. Le alte e le basse maree di tale epoca hanno ampiezze massime nel ciclo sinodico semimensile; sono dette maree sizigiali.

I minimi di B′ si hanno per α = α′ ± 90°, cioè nelle quadrature lunari (primo e ultimo quarto). Per tali valori anche β′ = 0. I massimi di ζ1 si avranno allora quando sia ϑ = α ovvero ϑ = α + 180°, cioè ancora nei transiti lunari nel piano meridiano (ore 6 e 18 circa). Le alte maree corrispondenti sono le minime maree nel ciclo quindicinale sinodico; sono dette maree delle quadrature.

ln altre epoche è sempre β′ ≠ 0; in un periodo diurno lunare si hanno due alte e due basse maree; le ore dei massimi e dei minimi non coincidono con quelle delle culminazioni lunari.

Se ora teniamo conto separatamente delle altre variabili, risulta che, a parità di altre condizioni: le massime fluttuazioni di ζ1 si hanno quando δ e δ′ tendono a zero (δ e δ′ sono simultaneamente nulle solo nelle sizigie equinoziali); la marea è massima quando r e r′ sono minime, cioè nel perigeo lunare e solare; l'ampiezza di marea varia con la latitudine terrestre come cos2 ϕ, ed è massima all'equatore, nulla ai poli.

2° gruppo:

Come la (9) così si può ridurre la (10) a espressione monomia:

ove

Si verifica che ζ2 ha normalmente ampiezza minore di ζ1, poiché cos2δ varia fra 0,78 e 1, mentre sen 2 δ oscilla fra 0 e 0,83.

Il massimo di B″ si ha per α = α′ (novilunio), il minimo per α = α′ + 180° (plenilunio). In entrambi i casi β″ = 0.

L'alta marea ζ2 si avrà allora quando ϑ = α, ossia nella culminazione superiore della luna; la bassa marea quando ϑ = α + 180°, cioè nella culminazione inferiore. In ogni altra epoca si avrà pure alta e bassa marea una sola volta al giorno, ma con ritardo di fase rispetto ai transiti lunari.

Tenendo conto degli altri elementi variabili, come nel gruppo 1, si osserva che: le massime fluttuazioni di ζ2 si hanno quando δ e δ′ sono massime; la marea cresce al diminuire di r e r′; la marea varia con la latitudine come sen 2 ϕ, ed è nulla tanto ai poli quanto all'equatore.

3° gruppo:

La ζ3 è funzione quadratica delle declinazioni lunari e solari, assume quindi eguali valori nei due cicli delle declinazioni positive e negative: si avranno in corrispondenza variazioni con ritmo semimensile (tropico) per la luna e semiannuo per il sole.

La luna si scosta dal piano dell'eclittica di un massimo di circa 5°; perciò ∣δ∣ 〈 28°, 3 sen2 δ − 1 〈 0. Alle latitudini ϕ 〈 35° è pure 3 sen2ϕ − 1 〈 0; e il termine lunare nella (11) risulta positivo. Analoga deduzione vale per il termine solare.

Si conclude che la marea corrispondente al gruppo di termini (11) mantiene nella zona tropicale una permanente sopraelevazione di livello.

Le precedenti considerazioni illustrano alcuni aspetti caratteristici delle maree, quali sono i ritmi semidiurno e diurno nelle alternanze delle alte e basse maree, il ciclo semimensile nelle variazioni delle ampiezze, ecc. Ma le deduzioni relative alle ampiezze delle maree e le relazioni stabilite fra i transiti lunari e le ore di alte e basse maree non corrispondono affatto ai dati dell'osservazione. In particolare la figurazione schematica delle maree dianzi considerate, se vale a dare idea sulla genesi delle maree, non trova alcuna corrispondenza coi fenomeni reali, che si manifestano dipendenti dalle configurazioni relative delle terre e dei mari, mutando fortemente da mare a mare e da si o a sito in uno stesso bacino.

La discordanza fra teoria e osservazione deriva sia dalle ipotesi semplificatrici, troppo diverse dalla realtà, supposte nella teoria, sia dal fatto che il principio stesso della teoria statica costituisce solo una prima grossolana approssimazione. Le acque non si dispongono, a ogni istante, nelle condizioni dell'equilibrio rispetto al campo delle forze perturbatrici; e quando raggiungessero tale equilibrio non vi si potrebbero mantenere, a causa dell'inerzia. Solo per le maree di periodo quindicinale, o maggiore, la teoria statica trova migliore corrispondenza coi moti quali essi sono in realtà; per le maree aventi periodo dell'ordine di quello della rotazione terrestre il problema è di natura dinamica, non statica, e va trattato sulla base delle equazioni dell'idrodinamica.

La teoria statica, iniziata da D. Bernoulli, sviluppata da Mac Laurin e da Eulero, aprì la via per la conoscenza di alcuni principî generali sul fenomeno delle maree. I successivi progressi derivarono dallo sviluppo della teoria dinamica, compiuto dal Laplace e perfezionato poi da molti altri autori, sulla base dell'integrazione delle equazioni dell'idrodinamica.

La teoria del Laplace ammette queste ipotesi semplificatrici: il mare ricopra l'intera superficie terrestre; l'attrito interno sia trascurabile nei moti forzati di marea, ma tale da impedire la formazione di oscillazioni libere persistenti; l'accelerazione verticale dovuta alle forze generatricì di marea sia trascurabile di fronte all'attrazine terrestre (ipotesi paradossale, in apparenza, ma giustificata dal latto che le maree traggono exssenzialmente origine da scorrimenti orizzontali, dovuti alle componenti orizzontali delle forze, agenti in piena libertà).

Siccome queste ipotesi sono ben lontane dalle condizioni effettive, rimane chiaro che le deduzioni della teoria dinamica del Laplace risultano inadeguate per spiegare i complessi moti di marea, quali essi si presentano in natura. Le acque sono delimitate dai continenti; i bacini marini hanno profondità variabili, estensione e forme assai diverse da caso a caso; le oscillazioni forzate, destate dai moti di marea, dipendono non soltanto dalle cause agenti, ma dal modo particolare con cui ogni bacino può oscillare liberamente in assenza di forze perturbanti esterne. In altre parole le maree reali sono manifestazioni locali d'un fenomeno generale; lo studio di esse deve essere compiuto tenendo conto non solo delle forze perturbatrici, ma anche delle configurazioni relative locali fra terre e mari.

Una delle conseguenze capitali dedotte dal Laplace è questa: Delle forze luni-solari agenti sulle maree bisogna conservare solo la forma (i periodi) lasciando all'esperienza il compito di determinare i fattori numerici (ampiezze, fasi) relativi al porto considerato.

Le teorie dinamiche, dopo Laplace, si svolsero principalmente nel senso di analizzare il fenomeno delle maree in bacini di forma geometricamente semplice, per esempio in canali a sezione rettangolare. Dal punto di vista matematico lo studio delle oscillazioni forzate di marea viene compiuto con metodi affini a quello delle oscillazioni libere (dette sesse) del bacino. Le maree risultano costituite dì onde progressive, simili a onde marine regolari di enorme lunghezza d'onda, ovvero di onde stazionarie analoghe a quelle di un bacino chiuso, ovvero da sovrapposizione di tali due tipi di oscillazioni. I moti orizzontali, o correnti di marea, avvengono parallelamente all'asse longitudinale nei canali molto ristretti e regolari; dànno origine anche a correnti derivate, normali alle pareti laterali nei canali molto larghì o con fondali degradanti sui fianchi. In quest'ultimo caso le correnti risultano dalla somma di due elementi, orientati ad angolo retto, e il motoglobale assume l'aspetto di un vettore rotante nel verso dell'orologio o in verso opposto.

In ogni caso si osserva che le parole flusso e riflusso, usate per indicare gli scorrimenti dell'acqua verso la riva o in opposta direzione, hanno un significato che non ha un rapporto definito e costante rispetto alle fasi delle alte o basse maree. I rapporti mutano sostanzialmente a seconda che l'onda di marea appartiene all'uno e all'altro dei tipi di onde dianzi accennati.

La teoria delle maree in bacini geometricamente semplici porta a deduzioni che possono trovare piena corrispondenza coi fenomeni reali quando siano estese a mari che si approssimino alle configurazioni supposte dalla teoria. Notevoli applicazioni furono fatte ai mari interni, con ottimi risultati.

Per lo sviluppo delle teorie dinamiche dobbiamo però rinviare alle opere speciali in argomento; possono servire di guida la bibliografia e glì schemi storici elaborati da J. Proudman.

Figurazione armonica delle maree. - La via di collegamento fra la teoria e l'osservazione è stata tracciata dal Laplace ed è fondata sul seguente principio: Le piccole oscillazioni di un sistema meccanico, nel quale l'attrito annulli i moti dipendenti dello stato iniziale, si mantengono indipendenti e hanno periodi eguali a quelli delle forze agenti sul sistema.

Se quindi le forze generatrici di marea sono espresse da funzioni sinusoidali, di dati periodi, moltiplicate per coefficienti costanti, anche le maree saranno rappresentate da corrispondenti funzioni armoniche, di eguale periodo. I coefficienti di ampiezza delle maree parziali e le fasi di esse, nell'istante assunto come iniziale, saranno tuttavia quantità valutabili solo in casi particolari, e normalmente determinabili sulla base di lunghe serie di osservazioni.

Un primo passo verso la scomposizione della funzione potenziale delle forze di marea in somma di funzioni armoniche è rappresentato dagli sviluppi delle formule (8), (9), (10) e (11). In esse però i coefficienti e le fasi degli armonici sono quantità variabili. La scomposizione può essere maggiormente sviluppata, tenendo conto delle variazioni della declinazione e delle distanze degli astri, sino ad avere la funzione potenziale espressa dalla somma di elementi armonici semplici. Anche la marea risulterà espressa da un'analoga somma, nella quale i periodi dei singoli termini sono assegnati dalla teoria e i coefficienti di ampiezza e le fasi devono invece essere dedotti dai dati di osservazione.

I termini armonici della funzione potenziale, e quindi anche le corrispondenti maree parziali, sono elementi di carattere universale. Essi servono per caratterizzare il regime di marea di qualsiasi stazione. Date le grandi variazioni che, da sito a sito, subiscono le ampiezze relative e assolute dei cofficienti e gli argomenti che rappresentano i ritardi di fase, consegue che, mentre in taluni siti la marea risulta rappresentata con buona approssimazione mediante la somma di un ristretto numero di armonici, altrove occorre invece considerare un numero assai rilevante di termini. Nel quadro seguente riportiamo un elenco parziale di armonici di marea, indicando i simboli ora in uso per rappresentarli, i periodi e i coefficienti di ampiezza (relativì alla prima onda, posta eguale a 100).

Le onde parziali di marea, corrispondenti ai termini periodici considerati nello sviluppo della funzione potenziale, sogliono essere espresse sotto la forma:

ove σ è la velocità angolare, t il tempo solare medio locale, contato da un'origine arbitraria; x il ritardo di fase rispetto al passaggio dell'astro corrispondente in meridiano (ovvero − x = fase al tempo t = 0), h l'altezza parziale di marea al tempo t.

L'analisi armonica determina le quantità R e x (ovvero le funzioni R cos x, R sen x), sulla base dei dati di osservazione.

Il calcolo sarebbe assai semplice se si trattasse di un'onda isolata o di un'onda sovrapposta ad altre aventi periodi multipli di 15° (corrispondenti all'intervallo di un'ora). Si hanno invece numerose onde sovrapposte, con periodi spesso molto prossimi fra loro. Ogni metodo di calcolo risulta necessariamente laborioso e si riduce sostanzialmente all'esecuzione di combinazioni lineari fra le ordinate successive in un mareogramma (lette ordinariamente a intervalli orarî), con lo scopo di ottenere una nuova curva in cui sia amplificata un'onda componente e le altre onde siano ridotte a valori trascurabili.

I metodi storicamente più notevoli proposti per l'analisi armonica delle maree sono i seguenti: 1. metodo della British Association, elaborato dal Thompson, dal Roberts e dal Darwin fra il 1866 e il 1885; 2. metodi del Darwin, 1892, ampiamente usati oggi ancora; 3. metodo del Geodetic Survey degli Stati Uniti, 1893; 4. metodo del Börgen, 1894, usato in Germania; 5. metodo del Doodson, 1927, adottato di recente dall'ammiragliato inglese.

Tutti i procedimenti di analisi derivano dall'applicazione del noto principio del metodo dei minimi quadrati.

L'altezza hn della marea globale, per un dato valore tn di t, con la figurazione armonica risulta espressa dalla somma di un certo numero di elementi costituenti aventi la forma (12); sarà:

la quale, ponendo

assume la forma

Le costanti Ai e Bi (e quindi anche Ri e xi) vengono determinate sulla base di un grande numero N di valori di hn, variando n fra 0 e N, con la condizione

Mettendo in evidenza i coefficienti A0 e B0 di un elemento costituente e ponendo eguale a zero le derivate parziali della (13) rispetto ad A0 e B0, si hanno le seguenti relazioni nelle quali il numero delle ordinate considerate in corrispondenza di N valori equidistanti di t cresce a infinito:

In pratica il numero N è limitato e le formule risultano solo approssimate. Scegliendo il numero N in modo opportuno, ed eseguendo alcune correzioni, si ottengono approssimazioni sufficienti anche se l'intervallo considerato è prossimamente di un anno, o anche solo di sei mesi, di un mese, ovvero di 15 giorni.

I diversi metodi differiscono fra loro per il modo con cui sono raggruppate le ordinate che vanno moltiplicate per valori comuni di cos σt e sen σt, per la disposizione dei calcoli e per le semplificazioni che vengono adottate.

Per un gran numero di stazioni mondiali sono state calcolate le costanti armoniche; i dati ottenuti sono raccolti e pubblicati nei manuali pratici e nelle Tavole di marea edite da diversi uffici idrografici (Londra, Washington, Berlino, ecc.). In generale si suppone che la formula (12) sia scritta nel modo seguente:

ove f è una quantità lievemente variabile con ciclo diciottennale ed è costante per tutte le stazioni. Per ogni sito e per ogni onda basta quindi dare le due costanti H e x, dette costanti armoniche di marea.

Nelle recenti edizioni delle Admiralty Tide Tables, in luogo della costante x è adottata la costante g, proposta dal Doodson, legata a x dalla relazione seguente:

ove L è la longitudine del sito, positiva a ovest di Greenwich, negativa a est;

S = ora locale = L/15;

p = indice del simbolo dell'onda;

σ = velocità angolare dell'elemento costituente, in gradi per ora.

L'impiego della costante g è subordinato all'adozione del tempo medio civile del fuso orario nel quale si trova la stazione considerata. Nelle Tavole delle costanti armoniche, accanto al valore di g, è perciò indicato il tempo standard a cui tale costante si riferisce.

Invece l'uso della costante x suppone l'adozione del tempo medio del meridiano locale. Per valutare le altezze di marea in tempo medio civile occorrono alcune correzioni, che sono rese rapide dalle speciali tabelle date nei manuali.

Dal raffronto delle costanti armoniche rilevato per le diverse regioni del globo risulta che non solo le ampiezze delle maree sono assai diverse da sito a sito, ma anche i rapporti fra le ampiezze degli armonici mutano fortemente e quindi le curve mareografiche debbono presentare forme variabilissime. I tipi principali di mareogrammi possono aggrupparsi nelle tre forme caratteristiche seguenti:

1. Maree sinodiche. - La variazione prevalente nelle ampiezze di marea ha ritmo semimensile sinodico, con massimi nelle epoche sigiziali e minimi nelle quadrature lunari. Le principali maree parziali componenti sono quelle semidiurne lunare e solare. Le disuguaglianze diurne sono assai piccole. Questo tipo di marea è predominantc sulle coste dell'America Settentrionale e dell'Europa.

2. Maree anomalistiche. - La principale variazione nelle ampiezze dl marea segue il ritmo delle distanze lunari; una volta soltanto al mese si hanno massime maree, e precisamente nell'epoca sizigiale che è prossima al perigeo lunare; in altre epoche le maree hanno ampiezze uniformi. In ogni caso le disuguaglianze diurne sono assai limitate. Il termine anomalistico N2 ha ampiezza di ordine pari o superiore a S2. Le maree anomalistiche sono tipiche nel Mar Rosso (escluse le zone nodali delle maree semidiurne, come quella di Assab, ove la marea è del terzo tipo), nella Baia di Fundy e nello stretto di Hudson nell'America Settentrionale, ecc.

3. Maree declinazionali. - Le variazioni dipendenti dalla declinazione, fra cui in primo luogo le ineguaglianze fra le due maree di uno stesso giorno, sono così ampie da costituire il carattere distintivo della marea. I termini di periodo diurno sono prevalenti su quelli di periodo semidiurno. In diversi settori del Pacifico (specie sulle coste dell'Indocina), nel golfo di S. Lorenzo, nel Baltico, ecc., s'incontrano esempî assai notevoli di maree declinazionali. Sono possibili tutti i tipi misti fra i tre gruppi di maree ora considerati. Nel Mediterraneo, ad esempio, si hanno maree di tipo prevalentemente sinodico, misto però col tipo declinazionale; le disuguaglianze diurne sono rilevanti, specie in epoca di quadratura.

La figurazione armonica delle maree consente di risolvere nel modo migliore possibile il problema delle previsioni delle maree. Si tratta di fare la sintesi delle onde componenti per l'epoca desiderata. Il calcolo è reso agevole con l'impiego delle tabelle degli argomenti astronomici e dei prodotti, riferite nei manuali e nelle tavole delle maree, per esempio nelle Admiralty Tide Tables. Viene consigliata la previsione delle maree col metodo armonico agli stessi naviganti, tanto il procedimento è reso semplice e spedito. Quando però la previsione debba essere estesa a intervalli assai lunghi di tempo, ovvero il numero degli armonici che si debbono considerare nel calcolo sia molto elevato, la sintesi degli armonici, a scopo di previsione, diviene impresa assai lunga e laboriosa. S'impiegano allora le macchine predicitrici di marea, che, in poche ore, tracciano il diagramma di previsione per un intero anno.

Il principio adottato nella costruzione delle varie macchine esistenti nel mondo è stato posto da lord Kelvin; la prima macchina fu realizzata e applicata da E. Roberts. Lo schema annesso in figura (v.) illustra il principio del Kelvin nel caso in cui si vogliano sommare quattro soli armonici.

Un filo fisso a un estremo J scorre su una serie di pulegge, in parte fisse e in parte mobili verticalmente, e termina a una penna P che è a contatto con un tamburo girevole attorno a un asse verticale. Sul tamburo è avvolto un foglio, destinato al tracciamento del diagramma. Ogni puleggia pobile ha uno scorrimento verticale regolato da una guida e da un sistema di biella e manovella. La lunghezza del filo è stabilita in guisa che quando tutte le manovelle sono disposte sull'asse orizzontale XY, la penna P si trovi sull'asse orizzontale X′ Y′.

Se il centro di ogni carrucola mobile viene spostato verticalmente con moto armonico eguale (secondo una scala di riduzione fissata) a quello di ciascuna onda di marea, lo spostamento verticale h del punto P rispetto all'asse X′ Y′ sarà eguale al doppio della somma dei moti armonici degli elementi componenti considerati, sarà cioè

La penna P traccerà la curva di marea se:

1. Il moto verticale di ogni puleggia mobile viene regolato da una manovella, avente lunghezza proporzionale all'ampiezza R di ogni armonico, e velocità di rotazione proporzionale alla velocità angolare σ dell'armonico stesso.

2. La rotazione uniforme del tamburo corrisponde al tempo medio;

3. Le manovelle, nell'istante considerato come iniziale, sono disposte in guisa da formare con l'asse XY angoli eguali ai ritardi di fase dei singoli armonici (− x) aumentati dall'angolo orario corrispondente, per ogni elemento, all'istante considerato.

Essendo costanti i periodi per tutte le stazioni, le velocità di rotazione delle manovelle e del tamburo vengono fissate una volta per sempre. Basterà quindi adattare le lunghezze delle manovelle e gli angoli iniziali di esse alle costanti armoniche del sito e dell'epoca considerata, perché la macchina possa tracciare il grafico con precisione per qualsiasi stazione.

Le macchine in uso sommano da 20 a 40 armonici. La precisione che con esse si raggiunge è generalmente soddisfacente sotto ogni rapporto.

Figurazione delle maree con costanti non armoniche. - Molto usate nei manuali nautici e nelle carte di navigazione sono le figurazioni delle maree mediante costanti dette non armoniche, per quanto, sostanzialmente, esse pure corrispondano agli armonici principali di marea. Tali costanti dànno una rappresentazione meno precisa che non le costanti armoniche; tuttavia sono usate perché consentono stime semplici e rapide sulle altezze di marea.

Un primo gruppo di costanti non armoniche, usate nelle tavole di marea per caratterizzare il regime d'una località, è rappresentato dalle differenze di marea. Scelto un porto standard, per il quale siano valutate le altezze di marea col metodo armonico, per altre località di una zona circostante vengono date queste costanti: 1. intervallo di tempo con cui l'alta marea locale anticipa o ritarda rispetto al tempo assegnato per il porto standard; 2. il rapporto fra le ampiezze delle maree locali e quelle del porto di riferimento.

L'impiego di tali costanti (ove il valore assoluto di esse sia contenuto entro limiti ristretti) consente spesso un sufficiente grado di approssimazione.

Un secondo gruppo di costanti non armoniche, largamente usato tuttora, è costituito dai seguenti dati:

1. Altezze delle medie alte maree in epoca sizigiale; altezze delle alte maree in epoca di quadrature;

2. Intervallo di tempo fra il transito della luna in meridiano e l'alta marea. Questo intervallo è noto col nome di stabilimento di porto, con la qualifica di volgare se si riferisce ai valori proprî del novilunio e del plenilunio, di medio se risulta dalla media dei valori variabili nel corso di una mezza lunazione;

3. Età della marea, ossia numero deì giorni che decorrono fra il novilunio, o plenilunio, e l'epoca delle massime alte maree sizigiali.

La posizione dell'onda M2 avanza di ore 0,8 circa ogni giorno rispetto alla posizione di S2. Queste due onde vengono perciò a trovarsi in concordanza di fase ogni 14,8 giorni (14,8 × 0,8 ore = 12 ore, periodo di S2). In tale ciclo semimensile l'ampiezza della marea composta M2 + S2 varia fra i valori estremi rappresentau dalla somma e dalla differenza fra le ampiezze delle due onde. Le onde M2 e S2 hanno differenti ritardi di fase rispetto ai transiti del sole e della luna in meridiano. Indichiamo con M2° e S2° tali ritardi. In generale S2° > M2°. La somma dei due armonici M2 e S2 assume il valore massimo non nelle sizigie, ma dopo giorni (S2° − M2°)/0,8; questo intervallo è l'età della marea. Nell'istante corrispondente all'età della marea non si ha in generale alta marea; la marea massima sarà l'alta marea che si ha in prossimità di tale punto.

L'età della marea oscilla generalmente attorno al valore di giorni 1,5; ma può differire fortemente da tale cifra.

In conclusione le massime alte e basse maree si avranno dopo il novilunio o il plenilunio, con un ritardo approssimativo espresso dall'età della marea; con lo stesso ritardo si presentano le minime alte e basse maree delle quadrature.

Lo stabilimento nei giorni di massime o di minime alte maree è uguale al medio stabilimento di porto; le variazioni di fase che si hanno in altre epoche si compensano nel corso di una lunazione, perché le maree anticipano di fase fra l'epoca dei massimi e quella dei minimi; ritardano nel caso opposto.

Le variazioni di ampiezza e di fase nella marea rappresentata dalla somma M2 + S2 sono chiamate ineguaglianze di fase. Di esse si tiene conto nel metodo non armonico. Sono invece usualmente trascurate tutte le ineguaglianze derivanti dalla presenza dei termini diurni, declinazionali e anomalistici; il metodo non armonico viene a perdere quindi ogni significato quando la marea non sia costituita prevalentemente dei soli armonici semidiurni M2 e S2.

Nelle Admiralty Tide Tables sono date perciò queste avvertenze capitali circa l'impiego delle costanti non armoniche: "Le previsioni col metodo delle costanti non armoniche, o delle differenze di marea, possono riuscire fortemente errate; in taluni casi e sotto certe condizioni astronomiche l'errore può essere tale da rendere le previsioni prive di valore. Non vi è modo di accertare sicuramente se le previsioni compiute con l'uno o con l'altro dei metodi indicati siano sufficienti per scopi nautici. Invece le previsioni computate con le costanti armoniche sono invariabilmente accurate; queste costanti debbono perciò essere sempre usate quando sia possibile. In generale si può osservare che le previsioni con le costanti non armoniche sono corrette solo quando le ineguaglianze diurne siano inesistenti; l'errore cresce con l'ampiezza delle ineguaglianze diurne e quando esso è grande le previsioni sono prive di valore".

Per l'impiego delle costanti non armoniche a scopo di previsione dobbiamo rinviare ai manuali speciali in argomento.

Si riportano i valori dello stabilimento del porto e della media altezza delle alte maree sizigiali per varie località (da O. Krümmel, Handbuch der Ozeanographie, II, Stoccarda 1911, da M. Tenani, Nozioni elementari sulle maree, Genova 1932, e da altri scritti):

Influenze atmosferiche. - Le azioni meteorologiche sulle maree sono molto rilevanti. Se fra due aree di uno stesso mare, o di mari contigui, si presenta una differenza di pressione, il livello dell'acqua tende a elevarsi in corrispondenza delle minori pressioni e a deprimersi nell'area ove la pressione è maggiore. Non si può stabilire tuttavia una relazione definita fra i dislivelli e le differenze di pressione, trattandosi di un fenomeno dinamico, non statico, influenzato dalla legge di variazione delle pressioni e dalle condizioni morfologiche locali.

Il vento tende a sopraelevare il livello nell'area sotto vento, e a deprimerlo nell'area opposta, dando origine a correnti superficiali e a controcorrenti interne di compensazione. Tutte le mutazioni atmosferiche si riverberano sulle condizioni del livello medio e sulle oscillazioni delle acque. Nei periodi temporaleschi, ad es., le curve mareografiche avvertono variazioni molto irregolari e ampie nei livelli del mare. Se poi le condizioni atmosferiche destano oscillazioni ripetute (sesse) nella massa marina, tali fluttuazioni si sommano con quelle di marea, e il moto risultante può differire fortemente da quello semplice di pura marea: nel porto di Leningrado, ove le maree sono quasi nulle, si possono avere dislivelli di circa due metri per azione di fattori atmosferici; nel porto di Malta le oscillazioni destate da azioni atmosferiche sono spesso più ampie delle maree.

Le osservazioni precedenti pongono in chiaro la necessità di rilevare non solo i fenomeni di marea, ma di analizzare anche le fluttuazioni di origine atmosferica, specie ove queste presentino una certa regolarità, come in presenza di sesse o di fluttuazioni di livello legate al ritmo delle stagioni.

Le irregolarità derivanti dalle perturbazioni meteorologiche, non del tutto eliminate nei calcoli delle costanti armoniche, sono fonte di errori. Anche le previsioni possono risultare falsate; solo col tempo calmo e in presenza di lente variazioni di pressione le maree astronomiche corrispondono alle reali; le deformazioni atmosferiche hanno però aspetti tipici e possono essere preannunciate come le condizioni del tempo.

Sintesi delle osservazioni. - Per confrontare le posizioni che una stessa onda componente di marea ha, in un dato istante, in siti diversi, conviene adottare un orologio di riferimento regolato sul tempo speciale relativo a tale onda, in un meridiano assegnato, generalmente quello di Greenwich. Nel caso dell'onda principale M2, ad es., occorrerà un orologio regolato sul tempo lunare al meridiano di Greenwich, con velocità di 30° all'ora. Il ritardo di fase dell'onda M2, diviso per 30°, esprimerà il ritardo, in ore lunari, fra il transito della luna in meridiano e l'alta marea parziale M2. Le ore lunari dell'alta marea semidiurna lunare, segnate dall'orologio considerato, sono dette ore cotidali del sito relative a M2. Indicando con M2° il numero x dell'onda M2, sarà:

ora cotidale = M2°/30° + longitudine espressa in ore (+ a ovest).

Per ogni armonico componente si può considerare la rispettiva ora cotidale. Si suole anche considerare l'ora cotidale per onde composte della somma di più armonici, per es., per il gruppo delle maree semidiurne, o diurne.

Riunendo con linee continue i punti aventi eguali ore cotidali si hanno linee cotidali (o isorachie), che rappresentano il luogo dei punti per i quali transita la cresta dell'onda di marea all'ora indicata dalla linea. Così la linea di ore IV indica il luogo dei punti nei quali si ha alta marea 4 ore lunari dopo il transito della luna nel meridiano di Greenwich. Le ore cotidali sono numerate da I a XII; dalle ore XIII alle XXIV si ripete lo stesso ciclo precedente. Dall'ordine con cui si succedono le ore cotidali si rileva il verso di propagazione dell'onda di marea.

Le nostre conoscenze sulle ore cotidali si riferiscono quasi solo a punti costieri. Raccordando, con linee continue, i punti di eguale ora attraverso mari estesi, si compie un'interpolazione arbitraria; le carte cotidali hanno quindi sempre qualcosa d'ipotetico, specie nelle distese oceaniche.

Quando la marea si presenta con forma analoga alle onde stazionarie, si hanno linee lungo le quali la marea è costantemente nulla (linee nodali). Ai due lati di una linea nodale si hanno allora aree cotidali; ognuna di tali aree ha maree sincrone; le maree in un'àrea sono opposte a quelle dell'altra, così che i due bacini adiacenti alla linea nodale oscillano come i due bracci di una leva attorno al fulcro. Uno stesso mare può presentare diverse linee nodali; la forma della superficie, con le alternanze di alte maree, di linee nodali e di basse maree ricorda la successione dei venti e dei nodi in una corda vibrante. Effettivamente nei mari non si hanno linee nodali, nel senso geometrico della parola, ma solo strisce o zone nodali, ove si presenta un fascio assai ristretto di linee nodali, corrispondente a rapidissime variazioni nelle fasi della marea; invece i bacini ventrali rappresentano zone ove le variazioni di fase sono estremamente lente.

Esistono punti nei quali la marea è costantemente nulla; in tali punti s'incrociano tutte le linee cotidali della zona marina. Sono detti punti anfidromici. Meccanicamente le anfidromie sono spiegate con l'interferenza di due sistemi di onde stazionarie, oscillanti in diverse direzioni.

L'esame delle carte cotidali ha suggerito, da tempo, l'idea di tentare la formulazione di una sintesi meccanica delle osservazioni, che spieghi la genesi e le particolarità locali dei fenomeni di marea. I due tipi principali di sintesi meccaniche sinora proposte sono quello di Whewell e quello di Harris.

Il modello proposto da Whewell, un secolo addietro, era basato su conoscenze troppo ristrette. Esso suppone che le maree siano originate nell'anello oceanico circumantartico e da esso si propaghino nei tre oceani adiacenti. Ma l'ipotesi di Whewell non regge né sotto il punto di vista teorico, né alla stregua dei numerosi dati di osservazione che ora possediamo.

Molto interessante è invece il modello meccanico proposto da R. A. Harris. L'idea direttiva della sintesi di Harris è ispirata al principio della risonanza.

Se un bacino marino è suscettibile di avere oscillazioni proprie libere, con periodi prossimi a quelli di singole maree parziali, tali maree riusciranno amplificate per risonanza e diverranno dominanti; il bacino considerato sarà in pari tempo centro di emanazione per le maree stesse, le quali tenderanno a divenire onde stazionarie. Harris scompose i bacini oceanici in sistemi, o conche, delimitati da coste, o da dorsali sottomarine; assimilando tali conche a forme semplici, considerandole come chiuse fra pareti solide, calcolò i periodi delle oscillazioni proprie; giunse così a spiegare la distribuzione delle maree reali e a precisare quali siano le regioni suscettibili di generare maree particolarmente dominanti, propagantisi verso le regioni circostanti. Nei mari interni e adiacenti la formazione di onde stazionarie si verifica effettivamente; ma negli oceani il fenomeno non pare possa avere la generalità ammessa da Harris; né la divisione degli oceani in sistemi pare solidamente confermata dal punto di vista fisico. Si deve inoltre tenere presente che l'andamento reale delle linee cotidali attraverso gli oceani è in gran parte ipotetico.

Il livello medio marino. - Nella figurazione armonica, o anarmonica, delle maree figura un termine costante, che rappresenta il livello medio dell'acqua, con riferimento a un punto fisso assunto come zero, scelto in guisa da essere eguale o inferiore al minimo livello osservato in lungo periodo di anni. Conviene osservare che il livello medio marino non coincide col livello di equilibrio che assumerebbe l'acqua in assenza delle forze luni-solari generatrici della marea; e ciò sia per le influenze di ordine meteorologico, di cui fu fatto cenno, sia per alcune dissimmetrie che le maree presentano rispetto alla superficie di equilibrio ora considerata, accennate parlando della teoria statica delle maree.

Nelle Tavole delle maree sono dati i livelli medî delle singole stazioni. Perché tali livelli siano confrontabili fra loro occorre che i punti zero di ogni stazione siano collegati fra loro con una rete di livellazione di precisione. Il collegamento dei capisaldi di marea è relativamente facile per distanze brevi. Si trova allora che i livelli medî del mare differiscono da sito a sito di quantità dell'ordine di qualche centimetro, salvo che influenze meteorologiche locali (vento), o differenze nella densità delle acque, non siano tali da mantenere differenze di livello più rilevanti.

Quando il livellamento debba estendersi attraverso interi continenti, valicando zone montuose, si hanno difficoltà notevoli; gli errori di osservazione e quelli delle stadie usate si sommano in guisa da riuscire globalmente rilevanti. Col perfezionamento dei mezzi di osservazione si è però constatato che non esistono i rilevanti dislivelli fra mare e mare, ritenuti possibili un tempo (come fra Mar Rosso e Mediterraneo, prima dell'apertura del Canale di Suez); le differenze di livello che ancora si presentano nelle livellazioni raggiungono al massimo 30-40 cm. e sono spiegate oltre che per errori di osservazione, sulla base delle differenze di densità delle acque o delle azioni atmosferiche locali (pressione e vento).

I livelli medî marini variano da un giorno all'altro, sia per le mutevoli condizioni atmosferiche, sia per la presenza di maree di lungo periodo; talune variazioni, assai cospicue, hanno un ritmo di variazione stagionale, legato al ciclo del vento e degli altri fattori atmosferici. I medî valori mensili di tali variazioni, per diverse stazioni, sono riferiti nelle Tavole delle maree.

Correnti di marea. - Le correnti di marea dipendono in parte dagli spostamenti orizzontali dell'onda di marea, ma principalmente dai dislivelli che si stabiliscono fra aree contigue nei fenomeni di marea; sono quindi. movimenti periodici, con ritmi eguali a quelli delle maree. Negli oceani le correnti di marea non possono assumere velocità notevoli; invece in prossimità delle coste, e soprattutto nelle vie di comunicazione fra mare e mare, esse possono assumere velocità assai rilevanti, così da interessare la navigazione più che non le maree stesse. Basti ricordare le correnti della classica via di Messina, che nell'antichità diedero origine ai miti di Scilla e di Cariddi e furono tanto temute dai naviganti da preferire "con largo indugio e lunga volta girar Pachino e la Trinacria tutta" piuttosto che affrontare i pericoli della navigazione nello stretto.

Come si è già osservato, nei canali ristretti le correnti di marea sono alterne, scorrono cioè in un verso per alcune ore, si annullano, e poi volgono in verso opposto, con ritmo affine a quello delle maree nei bacini adiacenti, mantenendo direzione conforme a quella dell'asse del canale; nei canali larghi, e così pure al largo delle coste nei mari aperti, la corrente è invece giratoria, muta cioè azimut con continuità, compiendo, in ogni ciclo, un intero giro d'orizzonte, senza annullarsi; essa può essere figurata da un vettore rotante come il raggio di un'ellisse avente l'asse maggiore parallelo alla costa.

Passando sopra soglie sottomarine, accanto a sporgenze costiere, e in generale incontrando ostruzioni al libero moto, la corrente aumenta di velocità. Le ineguaglianze nel fondo e le differenze di moto che si possono avere da strato a strato, dànno origine a moti turbolenti e vorticosi, talora così cospicui da essere evidenti a grandi distanze, come avviene in taluni settori dello stretto di Messina.

È chiaro che il regime delle correnti, dipendendo dalle condizioni delle maree nelle aree adiacenti e dalla morfologia delle coste e del fondo, deve riuscire assai diverso da sito a sito, così da non essere esprimibile con norme di carattere generale. Ove sia possibile eseguire serie abbastanza lunghe di misurazioni, mediante nave fissa all'ancora e strumenti opportuni (correntometri), si può dare alle correnti di marea una figurazìone armonica simile a quella in uso per i dislivelli di marea; anche la previsione delle correnti viene allora fatta col metodo armonico, come si usa per le maree. Le correnti risultano però spesso meno perturbate dalle variazioni atmosferiche di quanto avviene per i dislivelli di marea.

Tra le recenti esplorazioni, figurazioni e previsioni fatte seguendo tale indirizzo ricordiamo quelle relative allo stretto di Messina (1922-23) e agli stretti di Bab el-Mandeb (1923-24; 1929), compiute per iniziativa della R. Marina e del R. Comitato talassografico italiano.

Le correnti di marea possono presentarsi quasi pure, come a Messina, o essere invece sovrapposte ad altre correnti, originate da differenze di densità, dal vento, da compensazioni per evaporazione, ecc., come è il caso comune degli stretti marini. I due ordini di movimenti sussistono in modo quasi indipendente.

Però in acque basse e in presenza di correnti stazionarie, come negli estuarî dei fiumi, la propagazione della marea subisce deformazioni caratteristiche; l'onda di marea avanza contro corrente presentando la fronte anteriore alterata così da essere simile a una cateratta imponente, alta parecchi metri, pericolosa per i navigli. È il fenomeno noto col nome di barra (in fr. barre, o mascaret; in ingl. bore). Nello Yang-tze kiang lo stramazzo alla fronte della barra raggiunge persino l'altezza di 8 m.; nel Rio delle Amazzoni e nel Gange si arriva a 6 m.; all'estuario della Senna si hanno 2 m., ecc. Il fenomeno non è apprezzabile nei mari ove la marea assuma piecole ampiezze.

Attrito della marea. - Diversi autori (Darwin, Taylor, Jeffreys) hanno valutato le perdite di energia conseguenti all'attrito dell'acqua nei fenomeni di marea. L'attrito è piccolo negli oceani, ma assai elevato nei mari poco profondi. L'analisi dell'azione esercitata da tale perdita di energia porta a curiose conclusioni: la luna dovrebbe gradualmentc allontanarsi dalla terra; la durata del giorno sidereo terrestre e del periodo della rivoluzione lunare dovrebbero in diversa misura aumentare, sino al punto da essere eguali; la terra presenterebbe allora sempre lo stesso emisfero affacciato alla luna; non vi sarebbero più maree; i due astri ruoterebbero attorno al comune centro di gravità, come se fossero rigidamente congiunti. Effettivamente la luna presenta un'accelerazione di 9″ per secolo, che può essere in gran parte spiegata come effetto dell'attrito di marea. Quanto alla ritardazione della rotazione terrestre, si tratta di un fenomeno che viene influenzato in senso opposto dalle fluttuazioni atmosferiche dovute alla radiazione solare e dalla contrazione terrestre per raffreddamento; ad ogni modo nessuna conferma sperimentale sicura fu data ancora circa un'eventuale variazione nella durata del giorno sidereo.

Utilizzazione industriale delle maree. - L'idea di sfruttare, a scopo industriale, i ritmici dislivelli destati dalle maree venne affrontata sotto diversi punti di vista. All'energia ricavata qai fenomeni di marea viene dato il nome di carbone azzurro. Per quanto l'energia marina sia nota all'umanità sino dalle epoche primitive, pure essa figura tuttora tra le conquiste di più difficile attuazione. Negli stessi mari ove i dislivelli di marea raggiungono valori elevati e le condizioni delle coste sembrano particolarmente propizie, come nelle profonde insenature, il problema dell'utilizzazione della marea presenta serie difficoltà. Lo sfruttamento della forza viva delle correnti urta contro la necessità di opere idrauliche costose, precarie, e comunque superiori probabilmente ai progressi della tecnica attuale. Lo sfruttamento industriale si è orientato verso il concetto di utilizzare i dislivelli di marea al di sopra e al disotto del livello medio. Il modo più semplice di valersi di tali dislivelli sarebbe quello di trasformare il moto alternativo di un enorme galleggiante; ma tale sistema darebbe un ben meschino rendimento. Altra via ideata consiste nell'impiegare l'acqua, che sale con l'alta marea, per comprimere l'aria di grandi serbatoi, utilizzando poi l'aria compressa come forza motrice; ma per quanto ingegnoso, questo sistema si presenta piuttosto delicato e tale da esigere spese sproporzionate al rendimento, almeno in impianti abbastanza grandiosi. Il mezzo apparso sinora come più idoneo è simile a quello in uso per le ordinarie centrali idrauliche: captamento dell'acqua in bacini, e sfruttamento del salto di livello fra il bacino e il mare. Questo modo di utilizzazione è stato ampiamente studiato ed è in via di attuazione in Francia sulle coste della Normandia. Nel progetto formulato per la costruzione di un impianto alle foci del fiume Aber Vrac'h è prevista anche l'utilizzazione integrativa di un bacino di acqua dolce, alimentato dal ruscello Diouris. Il rendimento è però previsto in cifre piuttosto modeste. Comunque i primi esperimenti potranno dare nuovi orientamenti alla tecnica, per giungere a utilizzare su scala più vasta e con rendimento maggiore l'enorme quantità di energia che i fenomeni di marea possono mettere a disposizione dell'umanità.

Bibl.: La bibliografia estesissima sulle maree sino al 1928 è stata pubblicata, in forma abbastanza completa, da J. Proudman, Bibliographie des marées, nei bollettini nn. 12 e 17 della Sezione oceanografica dell'unione geodetico-geofisica internazionale, Venezia 1929 e 1931. Una trattazione storica molto sintetica sullo sviluppo della teoria dinamica è data nel boll. n. 15, stessa serie, ed è dovuta a J. Proudman e S. F. Grace: Historical Review of dynamical explanations of Tides and Seiches in narrow seas and lakes, Venezia 1930.

Nel testo è fatto riferimento anche alla seguente trattazione di A. Prey, non elencata nella bibliografia del Proudman, Theorie der Gezeiten, vol. I, capitolo 4° del trattato: Einführung in die Geophysik, Berlino 1922.

Tra le pubblicazioni d'indole generale, uscite dopo il 1928, ricordiamo: F. Hopfner, Die Gezeiten der Meere, nel vol. XXV, parte 2ª, del trattato: Handbuch der Experimentalphysik di W. Wien e H. Harms, Lipsia 1931. Tra gli studiosi italiani si sono occupati delle maree G. Grablovitz, G. Magrini, L. De Marchi e più recentemente M. Tenani, con Nozioni elementari sulle maree (Genova 1932) e studî sulle maree nel Mar Glaciale Artico, nell'Egeo, nel Mar Rosso, ecc. (in Boll. Comit. Naz. geog. e geod. del C. N. R., Rendic. R. Acc. Lincei, Atti IX Congr. geogr. ital., ecc., 1929-1932).

Maree terrestri.

Se immaginiamo, per semplicità, la Terra sferica e omogenea, o almeno a strati concentrici omogenei, è noto che la forza di attrazione, esercitata da essa su di un punto esterno, è diretta, ove si prescinda da ogni forza perturbatrice, verso il centro della sfera, e che il luogo dei punti soggetti a egual forza è una sfera concentrica, che si trasforma in un ellissoide di rotazione, quando alla forza di attrazione si aggiunga pure quella centrifuga in conseguenza del moto rotatorio, e in un geoide quando ancora si tenga conto della effettiva non omogeneità. Tutte queste superficie, equipotenziali, godono sempre della proprietà, che in ogni loro punto la normale alla superficie coincide con la direzione della verticale o della gravità. Se ora immaginiamo che al di fuori della Terra si trovi un corpo, che per distanza e massa possa esercitare un'azione sensibile su di un punto di una delle superficie equipotenziali or ora considerate, e che questo corpo non conservi una posizione fissa rispetto a una terna di assi avente l'origine nel centro della Terra, e sia mobile con essa nel suo moto rotatorio, è ovvio che il centro comune di gravità dovrà subire continui spostamenti, e che conseguentemente dovranno pur subire delle deformazioni le superficie equipotenziali. Se la Terra fosse coperta da un fluido ideale, perfettamente deformabile, privo di attriti o coesioni interne, la sua superficie si dovrebbe disporre secondo una di quelle superficie equipotenziali, e subire quindi per effetto della Luna deformazioni continue. Preso invece un segmento di superficie solida terrestre, se questa fosse rigida e indeformabile, ancora per effetto della Luna dovrebbe variare in ogni suo punto e in ciascun istante la direzione della verticale o della gravità, modificandosi in ciascun istante la posizione del comune centro di massa. Ma come praticamente le acque dei mari, pur non godendo di tutte le qualità di quel fluido ideale e intervenendo inoltre cause perturbatrici, ci dànno pur tuttavia il modo di constatare e studiare nelle onde di marea le deformazioni delle superficie di livello, così la superficie solida terrestre non essendo rigida né indeformabile in modo assoluto, se non ci permette di constatare gli spostamenti, che teoricamente dovrebbe subire la verticale, ci dà però il modo di constatare le tenui deformazioni della superficie solida, ossia di studiare le maree terrestri. Ma se lungo le coste è relativamente facile constatare e studiare il fenomeno delle maree oceaniche, anche la pura e semplice constatazione effettiva di quelle terrestri è invece congiunta a somme difficoltà, sia perché mancano punti fissi ai quali potersi riferire, sia perché intervengono cause perturbatrici, che facilmente possono mascherare il fenomeno; e si è quindi costretti a procedere per via indiretta, deducendo qualitativamente e quantitativamente il fenomeno della marea della crosta solida dalle differenze constatate e misurate fra gli spostamenti effettivi, che subisce la verticale, e quelli, che essa teoricamente dovrebbe subire, se la superficie della Terra fosse perfettamente rigida.

Se indichiamo con M e m le masse rispettive della Terra e della Luna e con r il raggio terrestre diretto a un punto P della superficie, e con R la distanza geocentrica della Luna, ove z sia l'angolo compreso fra r e R, si trova con semplici considerazioni di meccanica, che in conseguenza dell'attrazione lunare la direzione della verticale in P deve esser deviata della quantità

Introducendo in questa espressione per il rapporto delle masse il valore 1/82, e per quello delle distanze il valor medio 1/60, si trae che la deviazione teorica della verticale causata dalla Luna dovrebbe essere: 0,017″ sen 2z. In modo perfettamente analogo si deduce, che l'effetto del Sole deve essere: 0,0080″ sen 2z. Se ora nel piano tangente in P immaginiamo due assi oftogonali, uno dei quali abbia la direzione del meridiano, e indichiamo con A l'angolo (azimut), che una direzione qualsiasi uscente da P forma col meridiano, e contiamo questi angoli al solito modo partendo da S., troviamo che le componenti della deviazione della verticale secondo N.-S. e, rispettivamente, O.-E. saranno date da

dalle quali si passa immediatamente alle relazioni in cui appaiono esplicite le coordinate della Luna e del punto P. Tenendo infatti presenti le formule di trasformazione delle coordinate

ove ϕ indica la latitudine del punto P, e δ e t sono rispettivamente la declinazione e l'angolo orario della Luna per il meridiano di P, si deducono immediatamente le espressioni seguenti per le due componenti della deviazione della verticale:

Esse mettono evidentemente in luce come tali spostamenti debbano avere carattere periodico, ed è facile comprendere che in conseguenza dei termini in cui compare t, ovvero 2 t, vi dovranno apparire periodi di un semigiorno, o di un giorno lunare, e in conseguenza dei termini in cui appare δ, ovvero 2 δ, si avranno dei periodi di una semilunazione o di una lunazione intera.

Se poi dalle espressioni delle deviazioni risaliamo a quella del potenziale della forza, che produce la deviazione, ossia a

ove con g è indicata l'accelerazione di gravità normale, si ricava immediatamente quale debba essere il sollevamentoi o abbassamento, che subisce la superficie del geoide in conseguenza della perturbazione subita dalla forza di gravità: è dato dall'espressione

Questa espressione, che assume evidentemente i valori massimi per z = 0° ovvero 180°, e i minimi per 90° e 270°, ci mostra che, ove si tenga conto dei soliti valori per i rapporti delle masse e delle distanze, la differenza fra il massimo rigonfiamento del geoide e il minimo deve aggirarsi sui 54 centigradi se si tratta della Luna, e di soli 25 centigradi se si tratta del Sole. La piccolezza di questi valori e sufficiente a far comprendere quale enorme precisione e delicatezza debba esser richiesta agli strumenti, per giungere col loro mezzo a constatazioni attendibili. Se già nel 1844 C. A. F. Peters aveva determinato l'entità massima che può raggiungere la deviazione della verticale, e ancora prima di lui nel 1828 J. Gruithuisen aveva tentato a Monaco di Baviera di determinare tali spostamenti servendosi di un lungo pendolo verticale, fu solo più tardi che Hender intravvide la via giusta proponendo di adottare per tali ricerche uno strumento basato sui concetti dei pendoli orizzontali, che dovevano esser più tardi realizzati da F. Zoellner, e perfezionati ulteriormente da E. RebeurPaschwitz. Ma pur essendosi potuto realizzare così uno strumento capace d'indicare con sicurezza e precisione deviazioni piccolissime della verticale, il Rebeur-Paschwitz non poté giungere che a risultati molto incerti; e analogamente si dimostrarono ancora insufficienti le ricerche posteriori di R. Ehlert e I. E. Kortazzi, nonostante i mezzi sensibilmente migliori da essi impiegati. Fu Ecker, per primo, che riuscì a portare a termine una serie di misure di grande valore, servendosi di una coppia di pendoli orizzontali, del tipo proposto da Rebeur-Paschwitz, collocati in un pozzo profondo 25 m. ove si poteva sperare che le influenze esterne e della radiazione superficiale, fossero tanto attenuate, da non doverne più temere gli effetti. Ma, pur essendo i risultati di notevole attendibilità, e risultando da essi che le deviazioni della verticale avevano circa 2/3 dell'ampiezza, che si sarebbe dovuto osservare, se la Terra fosse stata rigida, c'era ancora adito a dubbî in conseguenza dell'effetto troppo sensibile dell'influenza della radiazione solare. Fu allora che O. Hecker prima, e W. Schweydar dopo, ebbero a stabilire nel 1910 in una galleria delle miniere di Freiberg in Sassonia due pendoli orizzontali del tipo suggerito originariamente dallo Zoellner. Gli strumenti, che già per sé stessi dovevano esser di gran lunga più sensibili, erano collocati questa volta a ben 189 m. al di sotto della superficie esterna della Terra e a oltre un chilometro dall'ingresso della miniera, onde era lecito attendersi finalmente risultati scevri da influenze esterne e quindi degni della più grande fiducia. Iniziate le misure nel 1910, vennero proseguite per ben 5 anni, e nel 1921 apparve la memoria contenente i risultati e la discussione completa del materiale raccolto. Per rendere possibile il confronto dei risultati pratici dati dagli strumenti con quelli che seguono dalla teoria, si dovette anzitutto dare forma più opportuna alle espressioni dianzi trovate per le componenti delle deviazioni della verticale, scindendo i diversi termini periodici, onde poter sottoporre all'analisi armonica i risultati; e poi, confrontando le corrispondenti ampiezze, ricavare il coefficiente di rigidità della Terra, così da arguirne la deformazione, che essa subisce per effetto della marea. Adottando i simboli abituali con i quali si usano designare le diverse armoniche lunari e solari nelle maree, lo Schweydar dedusse le seguenti ampiezze per le due componenti da N. a S., e da O. a E.

Questi valori mostrano nel modo più evidente come le ampiezze osservate risultino costantemente inferiori a quelle teoriche, onde sembra lecito concludere, che la superficie solida della Terra deve cedere continuamente alla forza deformante delle maree, ed essere quindi dotata di una ceria elasticità, il cui modulo dovrà esser connesso al valore della quantità γ, che definiremo come il rapporto fra le ampiezze osservate e quelle calcolate. Per γ lo Schweydar trova con approfondita discussione il valore 0,841, da cui con ulteriori indagini basate su appropriate ipotesi sulla natura e costituzione interna della Terra, giunge a trovare il valore della rigidità superficiale di quella al centro e concludere che, mentre la Terra al centro deve essere circa quattro volte più rigida dell'acciaio, alla superficie lo è sensibilmente meno. Nuove ricerche sull'argomento sono in corso di esecuzione per cura della R. Commissione geodetica italiana e dell'Istituto italiano di speleologia nelle grotte di Postumia con strumenti costruiti all'osservatorio di Trieste sotto la direzione di L. Camera.

Bibl.: G. H. Darwin e S. S. Hough, Bewegung der Hydrosphäre, in Encykl. der math. Wiss., VI, Lipsia 1908; F. Zoellner, Über eine Methode zur Messung anziehender und abstossender Kräfte e Über die Construktion und Anwendung des Horizontalpendels, in Berichten der K. sachs. Gesellsch. der Wiss., 1869-1871; E. Rebeur-Paschwitz, Das Horizontalpendel und seine Anwendung zur Beobachtung der absoluten und relativen Richtungsänderungen der Lothlinie, in Nova Acta der Kais. Leop. Car. deutsch. Akad. d. Naturforscher, VI, 1892; W. Schweydar, Harmon. Analyse der Lotstörungen durch Sonne u. Mond, Potsdam 1914; id., Theorie der Deformation der Erde durch Flutkräfte, ibid., 1916.