MARGHERITA di Wittelsbach, marchesa di Mantova

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARGHERITA di Wittelsbach, marchesa di Mantova

Isabella Lazzarini

MARGHERITA di Wittelsbach, marchesa di Mantova. – Figlia di Alberto III di Wittelsbach detto il Pio, conte poi duca di Baviera-Monaco, e di Anna di Brunswick-Grubenhagen, nacque in Baviera probabilmente il 1° genn. 1442.

L’annotazione del cronista mantovano Andrea da Schivenoglia, che la dice diciottenne al momento del suo matrimonio con Federico Gonzaga nel maggio 1463, ha indotto gli studiosi mantovani a ritenerla nata nel 1445, ma la bibliografia più recente ha optato senza incertezze per la data più alta.

Non si hanno molte notizie della sua infanzia e della sua adolescenza: le colorite note di Schivenoglia, come anche alcuni accenni nelle lettere della suocera Barbara di Hohenzollern, lasciano supporre che M. non sapesse l’italiano al suo arrivo a Mantova: non sono note di lei lettere autografe, ma nel carteggio sono presenti molteplici indizi dai quali si può indurre che negli anni mantovani imparò a scrivere almeno in modo essenziale e sicuramente a leggere il volgare italiano.

Le prime notizie certe di una trattativa per unire in matrimonio M. e Federico, primogenito di Ludovico III Gonzaga marchese di Mantova e di Barbara di Hohenzollern, figlia di Giovanni margravio di Brandeburgo, risalgono al 1462. In questi anni Mantova e la dinastia gonzaghesca vissero eventi cruciali: tra il 1459 e il 1460 la città ospitò la Dieta indetta da Pio II; nel dicembre 1461 il secondogenito del marchese, Francesco, fu eletto cardinale; l’accordo per unire in matrimonio Galeazzo Maria Sforza (primogenito del duca di Milano Francesco) e Dorotea Gonzaga (sorella di Federico), stipulato nel 1457, non era ancora stato sciolto. Il matrimonio di Federico, nato nel 1441, giungeva dunque a coronare un periodo in cui, grazie all’attenta condotta politico-diplomatica del marchese Ludovico e alla relativa quiete che la stipulazione della Lega italica nel 1455 aveva portato almeno nell’Italia padana, la dinastia gonzaghesca era all’apice dei suoi fasti quattrocenteschi. La trama di rapporti che, tramite Barbara di Hohenzollern, i Gonzaga intesserono con le dinastie germaniche e la corte imperiale, peculiare in questo periodo (ma con qualche precedente tardotrecentesco), in cui le dinastie principesche italiane guardavano piuttosto ad alleanze matrimoniali incrociate o iniziavano a pensare a matrimoni francesi, rafforzò il prestigio dei Gonzaga e la loro posizione internazionale.

La marchesa Barbara, legata da lontana parentela con la casata bavarese, iniziò dunque a mettere in atto con le trattative per il matrimonio di Federico una coerente strategia matrimoniale diretta a stringere rapporti con le dinastie ducali e comitali d’area imperiale. Barbara di Hohenzollern intavolò dunque nel 1462 con Giovanni, Sigismondo e Alberto, duchi di Baviera e fratelli di M., trattative piuttosto rapide, che tra l’agosto e il settembre portarono alla stipulazione del contratto di fidanzamento fra i due principi. L’atto fu concluso l’8 sett. 1462: redatto in castello, reca la più antica attestazione documentaria sulla stanza destinata a divenire la celebre camera detta degli Sposi, affrescata da A. Mantegna. Nella primavera successiva, dopo alcuni frenetici scambi di lettere in aprile per problemi formali relativi alla consegna della dote di 10.000 fiorini del Reno, M. si recò finalmente a Innsbruck, dove il 22 maggio incontrò i futuri cognati Gianfrancesco e Rodolfo, giunti nella città il giorno precedente.

La comitiva, costituita oltre che dai due giovani principi, da alcuni fra i più noti dignitari della corte gonzaghesca, come Rolando e Giovan Francesco Suardi, Benedetto Strozzi, Raimondo Lupi di Soragna (incaricato in particolare di occuparsi della dote) e Antonio Gonzaga, si dovette confrontare in Austria con il problema costituito dall’interdetto scagliato da papa Pio II sul Tirolo. I Mantovani infatti incorsero a loro volta nella scomunica allorché si videro costretti a partecipare ai riti religiosi a Innsbruck per evitare di urtare la suscettibilità del duca Alberto. Bartolomeo Bonatti, oratore gonzaghesco in corte di Roma, dovette lottare contro il tempo per ottenere dal papa la bolla che liberava i Mantovani dalla scomunica, prima che questi rientrassero nella città padana e venissero celebrate le nozze.

La bolla giunse a Mantova il 4 giugno e la comitiva, con M., il 7 giugno. Le nozze, cui era presente fra gli altri Galeazzo Maria Sforza, ancora ufficialmente fidanzato con Dorotea Gonzaga, furono celebrate con grande fasto, fra giostre e parate, per tre giorni.

Il seguito di M. non fece una grande impressione: Andrea da Schivenoglia lasciò una descrizione non molto lusinghiera: «lei ha de anij 18, de persona pizola, biancha e graxela de volto et non savia parlare niente taliano et vene con leij asaij todeschi e todesche e vene tute vestite de rosso, zoè de panij grossi et de bruto colore» (p. 153). I commenti dei Gonzaga furono al contrario più entusiasti: tanto Gianfrancesco nelle sue lettere alla madre Barbara, quanto la stessa Barbara nel narrare le nozze al figlio assente, il cardinale Francesco, lodarono sia l’aspetto piacevole della sposa sia il suo carattere mansueto.

Durante i primi anni di un’unione che si rivelò riuscita, anche se la salute precaria di entrambi punteggiò la loro vita in comune di ricorrenti momenti di debolezza, la figura di M. risulta in buona misura appannata, nella sua dimensione pubblica, dalla presenza della suocera Barbara. Lo stesso Federico fece del resto fatica a sviluppare un ruolo autonomo a causa della presenza duratura della figura paterna, anche se a partire dal 1469 l’apprendistato politico del giovane Gonzaga volse al termine e la sua maturazione venne sancita nel 1472 dalla decisione formale del padre di designarlo come proprio successore. M. rimase dunque a lungo in una sorta di minorità personale e politica, all’ombra della più autorevole e sperimentata suocera: il carteggio testimonia la subalternità del suo ruolo tramite la scarsità di lettere inviate da M. e il loro contenuto assolutamente domestico.

Un episodio tramandato da Possevino dimostra peraltro che M., se necessario, aveva carattere ed energia: si sarebbe infatti interposta fra due gentiluomini di corte che avevano estratto la spada nel corso di un alterco, fermandoli ed evitando che lo scontro degenerasse.

In questi primi anni, trascorsi fra Mantova e le rocche del contado, M. diede alla luce sei figli: Chiara, nata nell’estate del 1464 e data in moglie nel 1480 a Gilberto di Borbone conte di Montpensier; l’erede Francesco, nato il 9 ag. 1466; il futuro cardinale Sigismondo, nato nel 1469; Elisabetta, nata nel febbraio del 1471 e andata sposa a Guidubaldo da Montefeltro, duca d’Urbino; Maddalena, nata nel luglio dell’anno successivo e futura moglie di Giovanni Sforza signore di Pesaro, e infine Giovanni, nato nel novembre del 1474 e capostipite della linea dei Gonzaga di Vescovado.

M. ebbe sempre salute cagionevole: nell’estate del 1467 si recò ai bagni della Porretta e a Petriolo, nel tentativo di liberarsi delle ricorrenti febbri estive. Allorché le più giovani cognate Barbara e Paola raggiunsero l’età matrimoniale, M. si prodigò, dietro le direttive della marchesa Barbara, per combinare alleanze dinastiche con i principi tedeschi, rinnovando in tal modo quella peculiare strategia matrimoniale fra dinastia gonzaghesca e dinastie comitali e ducali di area imperiale. Così la troviamo in Baviera fra l’estate e l’autunno del 1473, in visita al fratello Alberto (IV). Durante il soggiorno a Monaco e a Dachau intessé attraverso il fratello e la sua corte trattative serrate per i matrimoni delle cognate Barbara, andata sposa nel 1474 a Everardo (I) duca di Württemberg, e Paola, unitasi in matrimonio nel 1478 con il conte di Gorizia Leonardo, pensando a sistemare anche la figlia Chiara, ormai di nove anni. Di tali trattative diede regolare conto alla suocera in un carteggio non fitto, ma ricco di notizie anche politiche.

Fu però solo con il 1478, alla morte del marchese Ludovico III, che M., all’età di trentasei anni e madre di sei figli, divenne ufficialmente signora della città: il ruolo di marchesa la portò alla ribalta sulla scena mantovana e la sua presenza nella documentazione si fece assai più consistente, anche perché nella primavera-estate del 1479, regolata la successione paterna e ricevuto il giuramento di fedeltà delle Comunità del Mantovano, il marchese Federico I, al soldo di Milano e Firenze, lasciò Mantova con la propria compagnia e partecipò, invero senza risultati prestigiosi, alle operazioni belliche che vedevano confrontarsi l’esercito sforzesco e fiorentino in Toscana e nel Perugino contro le truppe papali e aragonesi. L’assenza del marchese si tradusse in una reggenza del governo mantovano da parte di M., che si trovò a dovere gestire la corte e la città, aiutata ma anche talora messa in difficoltà dalla vicinanza della marchesa vedova, Barbara, di lei ben più esperta politicamente e probabilmente più salda caratterialmente.

Le lettere inviate da M. al marito in questi mesi testimoniano le sue difficoltà nel districarsi nella quotidiana azione di governo e nella faticosa ricerca di risorse sempre troppo scarse rispetto alle necessità, difficoltà amplificate da un temperamento trepido (dalle missive traspare una preoccupazione per il benessere di Federico che raggiunge insoliti accenti di ansia) e complicate dall’esigenza di mediare fra i principali esponenti dell’élite gonzaghesca e la suocera. M. godeva peraltro di una solida autonomia economica: nell’agosto del 1478 Federico donò alla moglie in piena proprietà la corte del Poggio, nel vicariato di Revere (donazione confermata l’anno successivo, prima di partire per la Toscana), cui nell’aprile del 1479 aggiunse la corte di Polesine nel vicariato di Gonzaga.

Con l’estate del 1479 la salute di M. precipitò: soffrì di ripetute crisi di febbre, complicate da problemi gastrici. L’ultimo evento relativamente sereno furono le nozze del cognato Gianfrancesco con Antonia Del Balzo, cui pure il marchese non poté partecipare. Fra apparenti riprese e nuove crisi, M. giunse sino all’ottobre: allorché Federico, resosi ormai conto della gravità della situazione, riuscì finalmente a ottenere licenza di allontanarsi dal campo delle operazioni in Toscana per rientrare a Mantova; il 15 ottobre fu raggiunto da una desolata lettera della madre Barbara, di mano propria, che gli annunciava la morte di M., avvenuta con il conforto della religione il giorno prima, il 14 ott. 1479.

Il 13 ottobre era stato rogato il testamento, in cui M., che aveva dato sempre prova di una fede semplice ma sincera e profonda, espresse il desiderio di venire sepolta senza alcuna pompa, per terra e vestita con l’abito francescano, nella cappella di S. Luigi di Tolosa (cappella dinastica dei Gonzaga), in S. Francesco, dove l’anno prima era stato sepolto il suocero Ludovico e dove il marito Federico l’avrebbe raggiunta cinque anni dopo.

Al testamento fu acclusa una lista della familia di M., che comprendeva un cappellano, 32 uomini di diverse competenze e 18 donne (fra cui una nana, Maria); nella corte di Porto facevano parte del suo seguito il fattore, 3 contadini e 2 donne.

La figura di M. rimane in ombra fra le marchese di casa Gonzaga, in particolare fra la volitiva suocera Barbara e la splendida nuora Isabella d’Este, a causa del suo temperamento mite e del brevissimo periodo di autonomia personale di cui godette: la sua voce affettuosa e trepida, con accenti di sincera devozione, ci arriva però dalle lettere scambiate con il marito, cui era legata da un affetto emotivo e sincero, e dalle lettere dei figli, in particolare della primogenita Chiara, che ne trasmise un ritratto vivo e vibrante.

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