SPARAPANI GENTILI, Margherita

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SPARAPANI GENTILI, Margherita

Fiamma Satta

– Nacque a Camerino il 29 ottobre 1735 dai marchesi Antonio Maria Sparapani e Costanza Giori.

Da parte materna Margherita poteva vantare illustri ascendenze: il cardinale Angelo Giori che ricevette la porpora da Urbano VIII, ma soprattutto il cardinale Antonio Saverio Gentili e il fratello di questi, il marchese Filippo, suoi prozii. Quando entrambi morirono senza successori le destinarono la primogenitura perpetua, la donazione di ingenti beni immobili a Roma e una dote di 20.000 scudi. L’atto della donazione, datato 12 febbraio 1753, prevedeva scrupolosissime clausole: Sparapani, già rimasta orfana di padre, non avrebbe potuto contrarre matrimonio, pena la perdita della dote, senza l’approvazione del prozio cardinale (morto, del resto, un mese dopo la donazione stessa, il 13 marzo 1753), quella del prozio Filippo, deceduto l’anno successivo, e quella della madre Costanza che era diventata sua tutrice e curatrice. Margherita doveva inoltre impegnarsi a rinunciare a tutti i beni materni e paterni a favore della sorella minore Clelia, morta poi in giovane età. Nel caso in cui quest’ultima «prendesse la via monastica oppure quella del Matrimonio, e morisse senza lasciare doppo di se figlioli, e discendenti» (Roma, Archivio storico capitolino, Archivio Boccapadule, m. suppl. IV, f. 17, 2) Margherita o i suoi eredi sarebbero rientrati in possesso nuovamente di quei beni. Se né Margherita né sua sorella avessero avuto discendenti, eventualità concretizzatasi in seguito, la primogenitura sarebbe passata a «un Cavaliere, o altra persona nobile che più le piacerà» (ibid.). Il cognome Gentili avrebbe quindi seguito obbligatoriamente il destinatario della primogenitura e Margherita lo assunse all’atto della donazione. Sebbene ancora minorenne a quella data, poté anche usufruire dei benefici del lascito grazie alla deroga di una disposizione della bolla sistina, datata 15 novembre 1753. Il 22 aprile dell’anno successivo sposò a Roma il marchese Giuseppe Boccapadule, patrizio romano, primogenito di Pietropaolo e di Marialaura dei Pozzi, di sei anni più anziano di lei.

Il matrimonio, registrato negli archivi parrocchiali di S. Nicola in Arcione, fu celebrato a Roma nel palazzo nobiliare della sposa, fatto costruire nel 1720 dal prozio cardinale e da lei ereditato, tuttora esistente e situato in via in Arcione 71.

Lì Margherita, donna coltissima e appassionata di letteratura, teatro, musica, disegno e soprattutto storia naturale che coltivava con tale passione da tenere in casa un piccolo gabinetto di scienze, visse con la madre Costanza per il resto della sua vita, e lì animò uno dei salotti romani più accreditati e ricercati dell’epoca, dove convenivano intellettuali, artisti, nobili e viaggiatori stranieri. Fra questi Louis Dutens che nei suoi Mémoires d’un voyageur qui se répose, contenant des anecdotes historiques, politiques et littéraires, relatives à plusieurs des principaux personnages du siècle (I-III, London 1806) raccontava di questa sua frequentazione romana e descriveva Sparapani come una donna «insinuante, spirituelle, enjouée et d’une conversation variée et agréable» (I, pp. 291 s.), di gran lunga diversa dalla rivale, Maria Pizzelli, la quale aveva un altrettanto ambito salotto in Roma, forse meno frivolo, ma sicuramente più pedante.

Fu proprio nel salotto Sparapani che approdò Alessandro Verri giunto a Roma nei primissimi mesi del 1767, reduce da un viaggio in Francia e Inghilterra e dal distacco da Cesare Beccaria, con il quale aveva condiviso amicizia e idee politiche. Presentato a Margherita da Luigi Lante, egli se ne innamorò immediatamente vanificando il proposito di fermarsi a Roma solo il tempo necessario per una visita approfondita, proseguire il suo viaggio d’istruzione nel Sud dell’Italia e tornare quindi a Milano. Già il 15 aprile di quell’anno scriveva al fratello Pietro: «il partire da Roma sarebbe per me lo stesso che il farmi infelice per sempre [...] il solo discorrere di abbandonare una donna che amo e da cui sono teneramente amato e con mutuo trasporto, io ti giuro che mi atterrisce» (Sommi Picenardi, 1906, p. 499). Nonostante Sparapani fosse di sei anni più grande di lui, sposata e per di più corteggiatissima da altri pretendenti, Verri era talmente preso che a nulla valsero gli accorti inviti alla prudenza che Pietro gli inviava da Milano già il 18 luglio 1767: «perciò ti credo ingannato» (Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura di E. Greppi - A. Giulini, I, Milano 1923, p. 422). Alessandro Verri fu sordo a qualsiasi avvertimento del fratello e di quanti conoscevano bene Margherita tanto da definirla «una civetta provata» (p. 427) e inviava a Pietro i «rispettabili deliri» del suo cuore: «io non ho mai trovato al mondo donna più seducente e che mi faccia credere meglio d’amarmi. Oh povero Alessandro, egli è fritto! Non sono più io» (p. 422). L’amore per Sparapani radicalizzò la sua romanizzazione che lo allontanò definitivamente dalla famiglia, dagli ideali illuministici e dalle prospettive politiche riformatrici del fratello, e accrebbe il suo desiderio di rinunciare a cariche pubbliche e a incarichi di insegnamento. Ella influenzò fortemente anche gli interessi letterari di Verri che le dedicò, tra l’altro, un’onerosa traduzione in prosa dal greco dell’Iliade. Insieme frequentarono corsi di fisica e scienze naturali e si consacrarono al teatro, grande passione di Margherita che allestiva spettacoli privati di cui lei stessa era protagonista.

Dopo i primi anni tormentati dalle rispettive gelosie, il loro ménage si stabilizzò in una tranquilla convivenza nel palazzo di Arcione, turbata solo nel 1779 dalla morte di Costanza, la madre di Margherita, dalle liti ereditarie di Verri con la famiglia, dai problemi di annullamento (tra il 1779 e il 1782) del matrimonio senza prole di Sparapani, che di fatto già viveva separata dal marito, e dalle ripercussioni romane degli eventi rivoluzionari francesi. Nell’aprile del 1794 ella si rifugiò con Alessandro a Camerino, nei suoi possedimenti, e da lì raggiunse con lui Milano, dove poté finalmente conoscere Pietro Verri.

Del viaggio e soprattutto del suo soggiorno milanese tenne un accuratissimo e interessante diario ricco di annotazioni e considerazioni, con occhio critico e attento soprattutto all’arte, alle scienze e ai costumi di vita.

Di ritorno a Roma nel giugno del 1795, riprese il suo ménage dedicandosi anche alla cura e all’educazione di Elena Gopter (Hopfer), una bambina nata nel 1797 e affidatale da due coniugi tedeschi in fuga da Roma durante il primo esperimento repubblicano nella città del papa del 1798. Nel 1814 la fece sposare con il nobile romano Urbano del Drago donandole una dote di 12.000 scudi, ma la ragazza morì poco dopo il matrimonio. Morto anche Verri nel 1816, nonostante la tarda età, Sparapani continuò ad amministrare accortamente le sue notevoli rendite.

Il 17 settembre 1814 aveva redatto un primo testamento evidentemente a favore di Gopter (Hopfer), «dilettissima figlia di elezione» (Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, ufficio VII, Poggioli V, maggio 1817, Restituzione di testamento, c. 103r; Aperizione di testamento, cc. 263 ss.; Testamento, cc. 265r e s.). In seguito alla morte della ragazza, il 20 maggio 1817 lo modificò a favore di Urbano del Drago nominandolo erede di tutte le sue sostanze e destinatario del cognome Gentili. Margherita non aveva infatti discendenti diretti e anche la famiglia Boccapadule, dopo la morte senza eredi di suo marito nel 1809, si era estinta.

Morì a Roma, nel suo palazzo, il 13 dicembre 1820.

Il suo scrupoloso testamento non autografo venne fatto aprire da Urbano del Drago il giorno stesso della sua morte. Il suo funerale si svolse nella parrocchia di S. Nicola in Arcione dove, secondo le sue disposizioni testamentarie, avrebbe dovuto essere sepolta insieme alla madre e alla sorella; la demolizione della chiesa fra il 1907 e il 1908 in occasione della ristrutturazione dell’area urbana intorno a piazza Fontana di Trevi ne impedisce la verifica, e non rimane traccia di iscrizioni funebri riguardanti Sparapani relative a S. Nicola in Arcione o altre chiese romane.

Il 26 dicembre 1821 fu redatto il lunghissimo inventario dei suoi beni mobili che divennero proprietà della famiglia del Drago e tra questi il suo ritratto a figura intera, opera del 1777 del pittore francese Laurent Pecheux che la ritrasse nel suo gabinetto di storia naturale, la mano poggiata su una teca contenente una collezione di farfalle. Nell’inventario, inoltre, l’elenco preciso dei libri da lei posseduti denota l’ampiezza dei suoi interessi. Sparapani ben rappresenta, quindi, il grande rinnovamento culturale fra Illuminismo e Romanticismo e soprattutto la crescente curiosità intellettuale delle donne, inclinazione femminile molto in voga all’epoca in ambiente aristocratico, dedito certamente a uno stile di vita frivolo e disimpegnato, ma senz’altro aperto agli studi e ai nuovi orizzonti che la cultura degli enciclopedisti aveva inaugurato.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Nicola in Arcione, Matrimoni 1747- 1761, c. 36r; Morti 1810-1824, c. 78v; Roma, Archivio storico capitolino, Sezione 15, Protocollo 98 (26 dicembre 1821), Inventario dei beni ereditari della b. me., la Sig.ra Marchesa Margarita Sparapani G. Vedova Boccapadule ad istanza del Nobil’Homo, il Sig. re Marchese Urbano del Drago Biscia G. di lei erede testamentario; Archivio Boccapadule, m. suppl. IV, c. 17 e c. 72; Sez. 49, Protocollo 44 (25 ottobre 1816); Sez. 50, Protocollo 38, (22 gennaio 1822); Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, ufficio VII, Poggioli V, maggio 1817, Restituzione di testamento, c. 103r; Aperizione di testamento, cc. 263 ss.; Testamento, cc. 265r s. Inoltre: Notizia della famiglia Boccapaduli patrizia romana, ordinta e distesa da Marco Ubaldo Bicci, Roma 1762, pp. 579, 701; Breve difesa dei diritti delle donne, scritta da Rosa Califronia contessa romana, Assisi 1794; A. Verri, Vicende memorabili dal 1789 al 1801, precedute da una Vita del medesimo di G. Antonio Maggi, Milano 1858, pp. 21, 29; G. Sommi Picenardi, Di Alessandro Verri, in Archivio storico lombardo, s. 1, VII (1880), pp. 307 s.; Lettere e scritti inediti di Pietro e Alessandro Verri annotati e pubblicati dal dottor Carlo Casati, Milano 1880, pp. 252 s.; A. Lepreri, Studio biografico e critico su Alessandro Verri e le Notti romane, Camerino 1900, pp. 45 s.; G. Sommi Picenardi, L’amore di Alessandro Verri in Roma. Con due lettere inedite di A. e P. Verri, in Archivio storico lombardo, s. 4, VI (1906), pp. 497-502; A. Giulini, Milano e i suoi dintorni nel diario di una dama romana del Settecento, in Archivio storico lombardo, s. 5, III (1917), 2, pp. 353-381; A. Giulini, Milano settecentesca nel diario di una dama romana, in Id., A Milano nel Settecento. Studi e profili, Milano 1926, pp. 159 s.; L. Rava, Un salotto romano del Settecento, Maria Pizzelli, Roma 1926, pp. 13 s., 18, 20, 31, 47; Id., Filosofi innamorati (P. e A. Verri), in Nuova Antologia, 1° febbraio 1927, pp. 259, 261 s.; C. De Brosses, Lettres d’Italie, II, Dijon 1928, p. 144; C. Bandini, La galanteria nel gran mondo di Roma nel Settecento, Roma 1930, ad ind.; D. Angeli, Storia romana di trent’anni 1770-1800, Milano 1931, pp. 82-94; F. Martini, Donne, salotti e costumi, in La vita italiana durante la Rivoluzione francese e l’Impero, Milano 1931, p. 352; C. Cordiè, L’amica di Alessando Verri, in Id., Ideali e figure d’Europa, Pisa 1954, pp. 53-58; D. Chiomenti Vassalli, I fratelli Verri, Milano 1960, ad ind.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1960, ad ind.; D. Silvagni, La corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX, Napoli 1967, p. 262; M. Cerruti, Neoclassici e giacobini, Milano 1969, pp. 21, 100; N. Valeri, Pietro Verri, Firenze 1969, pp. 154 s.; F. Cicoira, Alessandro Verri, Bologna 1982, pp. 39, 42, 49 s., 76, 93; A. Negro, Guide rionali di Roma, II, 5, Roma 1992, pp. 20 s.; C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna 2002, p. 269.

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