MARIA ANTONIA di Borbone, granduchessa di Toscana

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARIA ANTONIA di Borbone, granduchessa di Toscana

Gabriele Paolini

MARIA ANTONIA (Antonietta) di Borbone, granduchessa di Toscana. – Nacque a Palermo il 19 dic. 1814 dal principe ereditario Francesco e da Isabella di Borbone Spagna. Sposò il 7 giugno 1833 Leopoldo II di Asburgo Lorena, granduca di Toscana, al quale – vedovo da un anno della prima moglie Maria Anna di Sassonia – era stata caldamente raccomandata dall’ambasciatore austriaco a Napoli L. von Lebzeltern, che ebbe ragione delle pratiche del ministro francese a Firenze L. de Ganay per far sì che sposasse una delle figlie di Luigi Filippo. Il matrimonio fu celebrato a Napoli, alla presenza del re Ferdinando II, fratello della sposa. La coppia si recò via mare a Livorno, prima tappa di una lunga serie di festeggiamenti culminati a Firenze a fine mese, che ebbero una chiara valenza politica e vennero usati per aumentare il consenso nei confronti della dinastia granducale.

Dalla nuova sovrana, particolarmente apprezzata dal popolo per la bellezza e la giovane età (diciassette anni la separavano dal marito), ci si attendeva il tanto sospirato erede al trono, che Leopoldo II non aveva potuto avere dalla precedente consorte in quindici anni di matrimonio. M. non smentì la tradizionale fama di prolificità delle principesse borboniche e, dopo aver partorito una femmina, Isabella (1834-1901), il 10 giugno 1835 dette alla luce Ferdinando, cui negli anni seguirono altri quattro maschi e quattro femmine: Maria Teresa (1836-38), Maria Cristina (1838-49), Carlo Salvatore (1839-92), Maria Anna (1840-41), Ranieri (1842-44), Maria Luisa (1845-1917), Luigi Salvatore (1847-1915), Giovanni Nepomuceno (nato nel 1852 e scomparso nel 1890 dopo aver assunto il nome di Johann Orth).

Donna rigida, attenta all’etichetta, devotissima e molto sensibile all’influenza degli ecclesiastici, aveva un naturale gusto per il bello; non era tuttavia colta, come testimoniano le sue lettere, tanto numerose quanto sgrammaticate. Incoraggiò le arti, proteggendo lo scultore G. Dupré e il musicista T. Mabellini. All’inizio si annoiò nella corte fiorentina, organizzata con semplicità conventuale al confronto di quella partenopea dove era cresciuta; poi si concentrò nella cura della numerosa prole. Per i primi quindici anni di matrimonio non cercò di influire sulle scelte del marito, che invece seguiva personalmente o con partecipazione emotiva durante le sue frequenti trasferte in Maremma per controllare le operazioni di bonifica.

Dopo gli avvenimenti del 1848 iniziò a interessarsi di politica, guardando con favore all’offerta della corona siciliana fatta da alcuni ambienti del governo indipendentista per il suo secondogenito maschio Carlo Salvatore. Inviò allora nell’isola il botanico F. Parlatore, suo uomo di fiducia, ma la proposta non ebbe seguito a causa della giovane età dell’arciduca e della conseguente necessità di un lungo periodo di reggenza. Alla fine di ottobre del 1848, dopo l’insediamento del ministero democratico, si trasferì da Firenze a Siena con i figli. Nelle lettere al marito esprimeva sfiducia e timore per le iniziative di F.D. Guerrazzi e G. Montanelli e lo invitava ad abbandonare il paese, cosa che avvenne il 7 febbr. 1849. Ebbe quindi un ruolo decisivo nello spingere Leopoldo II a trasferirsi a Gaeta presso Pio IX e Ferdinando II, anziché in Piemonte, come aveva inizialmente previsto.

Dopo la caduta di Guerrazzi consigliò al marito di chiedere l’intervento austriaco prima di rientrare in Toscana: gli scrisse il 16 apr. 1849 «senza truppa non si fa nulla e poi tornare col Capponi e altri che ti hanno condotto a questo punto ci penserei, perché adesso è il momento di non avere pietà con tanti che non lo meritano, che saranno i primi a farti gli umili» (Gennarelli, pp. 30 s.). Assumeva così un’indubbia posizione reazionaria, di cui dette chiara prova dopo il rientro a Firenze (fine luglio 1849), ostentando freddezza e distacco verso i liberali moderati che pure avrebbero voluto mantenere un rapporto preferenziale con il sovrano in vista della conservazione del regime statutario.

M. si adoperò molto affinché Leopoldo II abbandonasse la sua proverbiale incertezza e assumesse un atteggiamento energico. Tentò inutilmente di inviare il giovane Ferdinando alla corte viennese, ritenendo questo il solo mezzo per preservarlo dall’influenza liberaleggiante di Firenze e per educarlo in modo da renderlo degno del trono: non vedeva altro avvenire per il figlio se non in una fusione completa dei suoi interessi con quelli della famiglia imperiale. Provava una manifesta antipatia per il presidente del Consiglio G. Baldasseroni, tanto che lo stesso ambasciatore austriaco la invitò invano a lasciarla trasparire di meno. Questo modo di procedere, che proveniva da un carattere aperto e sincero, non fu producente. Non venne neppure interpellata nel 1856, quando si decise di scegliere una principessa sassone come moglie del figlio Ferdinando: tuttavia dopo l’arrivo a Firenze della nuora, Anna di Sassonia, riuscì a stabilire con lei un buon rapporto.

Nella primavera del 1859 non nutrì soverchie illusioni, contrariamente a Leopoldo II, fiducioso sulla possibilità di mantenere la Toscana neutrale in caso di guerra. M. riteneva invece che allo scoppio del conflitto la sola speranza per la famiglia granducale di non lasciare il paese fosse rappresentata dall’arrivo di un corpo d’armata austriaco. Durante la fatidica giornata del 27 aprile manifestò ancora una volta il suo atteggiamento fermo e deciso: sostenne la necessità di una partenza immediata, certa che le sorti della dinastia fossero ormai indissolubilmente legate a quelle dell’Austria.

Dall’esilio guardò con distacco ai tentativi e alle speranze dei legittimisti toscani, invero poco attivi. Negli ultimi anni di vita, turbati dalla misteriosa scomparsa del figlio Giovanni Nepomuceno, in varie occasioni tornò discretamente a Firenze.

M. morì il 9 nov. 1898 nel castello di Orth, presso Gmunden, nell’Austria Superiore.

Fonti e Bibl.: Presso l’Arch. centrale di Stato di Praga si conservano 1295 lettere di M. al marito (per gli anni 1834-68), cfr. Fra Toscana e Boemia. Le carte di Ferdinando III e di Leopoldo II nell’Arch. centrale di Stato di Praga, a cura di S. Vitali - C. Vivoli, Roma 1999, p. 250. Altre missive a Leopoldo II sono all’Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Gabinetto, Appendice, bb. 4, ins. 12; 5, ins. 8; per la documentazione concernente le nozze ibid., b. 1, ins. 5; alcune lettere dall’esilio Ibid., Carte Bicchierai, b. 19; Firenze, Biblioteca nazionale, Carteggi vari, cass. 422, inss. 7-17; A. Gennarelli, Epistolario politico toscano, Firenze 1863, pp. 29-36; Le relazioni diplomatiche tra la Francia, il Granducato di Toscana e il Ducato di Lucca, s. 2 (1830-1848), a cura di A. Saitta, Roma 1960, I, pp. 55-57, 67, 75; Le relazioni diplomatiche fra l’Austria e il Granducato di Toscana, s. 3 (1848-1860), I-V, a cura di A. Filipuzzi, Roma 1966-70, ad indices; M. Pierotti, Gli ultimi spodestati. M.A. di Toscana, in L’Illustrazione italiana, 20 nov. 1898, pp. 339-342; G. Conti, Firenze vecchia. Storia, cronaca, aneddotica, costumi (1799-1859), Firenze 1899, pp. 337-359, 617-626; Luisa di Toscana [L. Montignoso], La mia storia, Milano 1911, pp. 95-97; G. Falzone, La missione di Filippo Parlatore in Sicilia attraverso le memorie inedite dello stesso e altri documenti, in Atti del Congresso di studi storici sul ’48 siciliano… 1948, a cura di E. Di Carlo - G. Falzone, Palermo 1950, pp. 90-97; Il governo di famiglia in Toscana. Le memorie del granduca Leopoldo II di Lorena, a cura di F. Pesendorfer, Firenze 1987, pp. 167-172, 217 s., 380-383; S. Camerani, L’ultima granduchessa di Toscana, in Studi in onore di Riccardo Filangieri, Napoli 1959, III, pp. 509-519; A. Salvestrini, Il movimento antiunitario in Toscana (1859-1866), Firenze 1967, pp. 2, 25, 71, 84, 139, 146, 169, 258; L. Zangheri, Feste e apparati nella Toscana dei Lorena 1737-1859, Firenze 1996, pp. 226-228.

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