MARIA ANTONIETTA d'Asburgo-Lorena, regina di Francia

Enciclopedia Italiana (1934)

MARIA ANTONIETTA d'Asburgo-Lorena, regina di Francia

Roberto Palmarocchi

Nacque a Vienna il 2 novembre 1755 da Francesco I e da Maria Teresa. In vista di quell'unione con il delfino di Francia che doveva coronare i nuovi rapporti tra Francia e Austria, dopo il rovesciamento delle alleanze, la sua educazione fu affidata all'abate di Vermond, scelto dal ministro francese duca E.-F. di Choiseul. Fu chiesta ufficialmente in sposa il 16 aprile 1770. Cinque giorni dopo, partiva da Vienna, e il 14 maggio s'incontrava con Luigi XV e col Delfino nelle vicinanze di Compiègne. Le nozze furono celebrate a Versailles il 16. Dapprima la grazia fanciullesca di M. A. conquistò tutti, ma presto incominciarono i dissensi e le difficoltà. Ragioni di dignità e di morale sono sufficienti a spiegare la repugnanza che M. A. dimostrò verso la Du Barry, ragioni di gratitudine giustificano le sue simpatie per Choiseul, artefice del suo matrimonio; ma di tutto questo approfittarono i seguaci del ministro per accaparrare la delfina e mescolarla in una lotta nella quale dignità e morale non entravano per nulla. L'ostilità contro la favorita Du Barry creò da principio a M. A. una larga popolarità. Ma la morte di Luigi XV trovò la nuova regina ancora diciannovenne, impreparata come il marito a sopportare le responsabilità della corona.

Da questo momento ebbe inizio quel periodo di dissipazione che fu fatale al suo prestigio e al suo buon nome: non solo i balli e le partite di piacere, ma anche capricci più dispendiosi come l'acquisto di gioielli e il giuoco. Incosciente del pericolo, non usò alcun discernimento nella scelta degli amici. La sua simpatia per il conte d'Artois, il favore e la familiarità concessa alla principessa Maria Teresa di Lamballe e soprattutto alla cricca che faceva capo alla contessa di Polignac, le crearono implacabili nemici nelle grandi famiglie aristocratiche, e di riflesso dettero origine all'ostilità popolare. Dalla corte ebbe inizio la feroce campagna contro l'"Austriaca" che l'accompagnò fino al patibolo. La sua leggerezza e la sua imprevidenza davano buon giuoco agli avversarî. In un momento di acuta crisi finanziaria, anche spese non enormi, come il ristabilimento della carica di sovrintendente della casa della regina, a benefizio della Lamballe, e gli abbellimenti del Piccolo Trianon, erano senza dubbio inopportune, e la calunnia poté facilmente esagerarle fino a farle apparire delittuose. Alle sue amicizie M. A. rimase fedele con cieca ostinazione. L'influenza degli Choiseul la trasse alla scandalosa protezione del conte di Guines; la fece alleare con il conte J.-F. Maurepas contro J. Turgot; la mise in urto con il migliore ministro di Luigi XVI, Ch. de Vergennes. La nascita della prima figlia, poi del delfino, sembrò ricondurla a una vita più assennata; ma non seppe neppure allora liberarsi dai Polignac, e l'odiosità delle loro inframmettenze, come per la nomina di Ch.-A. Calonne e del marchese de Castries, ricadde sulla regina.

L'intensità degli odî accumulatisi contro M. A. apparve nel celebre affare della collana. La contessa de la Motte, falsificando lettere della regina, fece credere al cardinale di Rohan di essere incaricata da lei dell'acquisto segreto d'una collana di gran prezzo; e per meglio convincerlo gli procurò un appuntamento notturno con una sosia della regina. Il cardinale si fece garante presso i gioiellieri. Scoperto l'intrigo, il re volle la pubblicità del processo; la de la Motte fu condannata, ma il cardinale ebbe una trionfale assoluzione che fu un colpo mortale al prestigio della regina.

Durante la rivoluzione, la debolezza del re costrinse M. A. ad assumere una parte direttiva. Ma se dette prova d'una grande forza di carattere, mancò del tutto di chiaroveggenza e di pieghevolezza. Non seppe o non poté vincere le indecisioni del marito, e nemmeno le proprie antipatie. Accettò con repugnanza l'aiuto del Mirabeau, ma non ne seguì i consigli. Dopo Varennes iniziò trattative con i costituzionali ma le annullò praticamente, sconfessandole presso le corti europee. Rifiutò a più riprese l'appoggio di La Fayette, respinse Dumouriez. Dopo il 10 agosto 1792, e più dopo l'uccisione del re, tutto l'odio dei rivoluzionarî si rovesciò contro di lei che era stata imprigionata, sin dal 13 agosto 1792, nel Tempio. Il 1° agosto 1793 la Convenzione decise il suo processo, e il giorno seguente fu trasferita dal Tempio alla Conciergerie. Il 14 ottobre ebbe inizio il dibattimento, che durò due giorni. Ai giurati furono posti quattro quesiti, riguardanti l'esistenza d'intelligenze coi nemici esterni della repubblica e di un complotto per provocare la guerra civile, e la partecipazione dell'accusata. La risposta fu affermativa, all'unanimità, e M. A. fu condannata alla pena di morte, che fu eseguita il 16 ottobre, alle 12.

Nonostante le calunnie con le quali si cercò di denigrare la regina, la donna e perfino la madre, nel dare un giudizio su M. A. è più giusto parlare di errori che di colpe. Carattere impulsivo, ostinato, che un'educazione troppo indulgente non aveva saputo modificare, sposa a un giovane che impiegò diversi anni a superare la propria timidezza fisica e non riuscì mai a vincere quella morale; senza un solo consigliere disinteressato che la raffrenasse e la dirigesse (la madre le dava ottimi consigli, ma voleva soprattutto che ella servisse ai fini della politica austriaca) divenne facilmente preda e vittima delle fazioni che laceravano Versailles. D'indole diametralmente opposta a quella del marito, non ebbe con lui che un punto di contatto: l'odio dell'etichetta, e come lui non vide che il cerimoniale di Luigi XIV era uno dei pilastri della vecchia monarchia. Sebbene si dichiarasse sinceramente francese, non capì l'anima della sua nuova patria, e nella società che la circondava le sue simpatie andarono agli elementi peggiori: quei nobili incoscienti e fatui che spendevano le loro energie nei piaceri e nelle cabale di corte, dei quali si può, almeno per un certo tempo, prendere come tipo il conte d'Artois. Nella crisi suprema pensò di salvare la corona con l'aiuto dello straniero; non volle, almeno finché visse Luigi, né l'invasione armata, né la guerra civile, ma non comprese che l'intervento militare era una conseguenza inevitabile di quello diplomatico. La dignità veramente regale con cui percorse il suo calvario di dolore obbliga alla reverenza, ma si deve riconoscere che i suoi errori contribuirono a precipitare la catastrofe della monarchia.

Bibl.: M.me Campan, Mémoires sur la vie privée de M. A., Parigi 1832, voll. 2; A. von Arneth, Maria Theresia u. Marie Antoinette, ihr Briefwechsel, Parigi-Vienna 1865; id., Marie Antoinette, Joseph II. u. Leopold II., ihr Briefwechsel, Lipsia-Parigi-Vienna 1866; Lettres de M. A. publ. par M. de la Rocheterie, Parigi 1895-96, voll. 2; E. e J. De Goncourt, Histoire de M. A., Parigi 1878; M. De La Rocheterie, Histoire de M. A., Parigi 1890, voll. 2; P. De Nolhac, La reine M. A., Parigi 1890; id., La dauphine M. A., Parigi 1897; P. M. De Segur, M. A., Parigi 1927.