FORTUNA, Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FORTUNA, Maria

Valentina Coen

Scarse sono le notizie biografiche su questa poetessa: di lei si sa che nacque intorno al 1742 in Toscana, ma le fonti non concordano nemmeno sul luogo di nascita; secondo i più si tratterebbe di Pisa; più probabile è - come hanno sostenuto prima P. Soresi e poi G. Mancini - l'ipotesi che si tratti di Cortona e che sia stata la stessa poetessa a presentarsi come pisana per celare le umili origini e il mestiere del padre, Iacopo Ferabia detto il Fortuna, che era capo delle guardie di Cortona; unico dato certo è il trasferimento a Siena di tutta la famiglia, avvenuto nel 1768.

Aveva cominciato a scrivere giovanissima versi di imitazione petrarchesca; in questo solco le sue prime pubblicazioni risalgono alla seconda metà degli anni Sessanta: per prima vide la luce la Canzone in lode delle belle lettere (Roma 1766), poi le Rime al chiarissimo signor abate Pietro Metastasio poeta cesareo (ibid. 1767).

Queste consistono in ventiquattro ottave ricche di elogi e di ammirazione per P. Metastasio, cui la F. le aveva inviate prima di darle alle stampe, con la preghiera che il poeta le rispondesse con un componimento poetico. Questi si limitò a inviarle, in data 2 nov. 1766, una lettera in cui la ringraziava per le "bellissime stanze… tali per il buon senso ed il candore che regna in loro, e per la dolce, nobile, chiara ed armoniosa facilità che costantemente le accompagna", ma cortesemente rifiutava la richiesta della F. di dedicarle un carme.

Entrata a far parte dell'Arcadia con il nome di Isidea Egirena il 3 ag. 1768, la F. aprì a Siena un salotto all'epoca assai rinomato, frequentato abitualmente da G. Carli, A. Luti, D. Stratico, L. Coltellini, P. Soldani, G. Della Valle, P.G. Belli, M. Bianchi, A. Borgognini e C. Pistoi.

Anche G. Casanova, nella sua parentesi senese (1770), la conobbe, prese parte a qualche riunione in casa sua e ne scrisse nei Mémoires, narrando di essere rimasto colpito dalla bruttezza fisica della donna (la dice "richement laïde"), ma affascinato ("saisi d'admiration") dalla grazia e dall'arte della poetessa. Ben inserita nella società culturale italiana, la F. tenne corrispondenza epistolare, oltre che con Metastasio, anche con C. Gozzi e fece innamorare di sé l'abate G. Ciaccheri al quale dedicò due sonetti: "Allorché intesi da verace fama" e "Socrate mio, grazie ti renda amore" (Siena, Biblioteca comunale, ms. D. VII. 19, c. 248).

Nel 1771 pubblicò a Siena la prima delle sue tragedie, Zaffira, in cui si attenne rigorosamente alle regole classiche dell'antica tragedia greca, inserendosi in quella folta schiera di letterati che, seguendo una moda diffusa in Italia non meno che Oltralpe, si consideravano diminuiti se non avessero scritto almeno una tragedia: opere del resto composte non per essere rappresentate in teatro, ma per essere lette frettolosamente da altri letterati ed eruditi o - al massimo - per essere recitate in teatrini privati o accademie. Tale fu la Zaffira, dedicata a Federico II re di Prussia e da questo lodata su segnalazione di Metastasio, il quale scrisse non senza qualche ironia a un amico: "nella Zaffira della signora Maria Fortuna ho trovato assai più di quello che si dovea da lei ragionevolmente pretendere; onde ho fatto eco nel commendarla alle autorevoli approvazioni del re di Prussia" (lettera a G. Azzoni in data 30 genn. 1772). Nel 1772 la F. seguì il padre ad Arezzo e nel 1773 ritornò ancora a Livorno. Vi pubblicò nel 1774 la seconda e ultima tragedia, Saffo.

Nella prefazione, mostrandosi ormai convertita ai canoni del teatro francese, si dichiarava consapevole che "il soggetto non eroico, ed i pastori, che compongono gli episodi", non avrebbero trovato "grazia presso gli austeri seguaci di Sofocle e di Euripide", ma si diceva che fosse meglio seguire la lezione del "Sofocle della Senna" (cioè Voltaire). Ella rivendicava la libertà di scrivere un'opera in cui "l'amore à tutta la parte", certa che fosse ormai superata la tragedia di argomento eroico e determinata a proporre un'opera avente come fulcro la passione amorosa.

L'anticlassicismo della F. trova un ulteriore riscontro nel saggio Riflessioni sull'abuso della poesia, inserito nella Raccolta ferrarese di opuscoli scientifici e letterari di ch. autori italiani (vol. XI, Venezia 1781, pp. 143 ss.).

In questo scritto la F. deplorava la decadenza della poesia italiana, attribuendone la responsabilità ai tanti letterati che scrivono versi imitando pedissequamente i classici; per cui ella arrivava al punto di proporre il drastico rimedio di "escludere dalle scuole gli Orazii, i Virgilj, gli Ovidii, e gli altri tutti, benché famosi, della canora setta" (p. 147). La poesia non deve avere come scopo vagheggiare e cantare favole amorose, ma educare i giovani alla moralità e celebrare gli uomini virtuosi come l'"ottimo principe che dona i suoi pensieri alla comune tranquillità": ma come modelli per ottenere questa nuova poesia "civile" ella non faceva altro che additare V. Filicaia e A. Guidi (il quale ultimo, del resto, era apprezzato in quegli anni da V. Alfieri e G. Parini). Che la teorizzazione della F. fosse null'altro che un'eco delle idee preilluministiche circolanti in alcuni ambienti arcadici toscani, più che frutto di una profonda convinzione, lo dimostrano le sue rime apparse contemporaneamente al saggio nello stesso volume della Raccolta ferrarese, Una canzone amrosa. Il Maggio a Tirsi, l'Amicizia, La notte a Fille, e la canzone Nell'atto che l'autrice fa osservare un ritratto a Fille, giustamente definite dal Montazio "pastorellerie sdolcinate".

Negli anni seguenti la F. raccolse la propria produzione poetica nel volume di Rime (Bologna 1784) e pubblicò ancora: Ottave in morte del generale Federico Barbolani, Pisa 1789; Alla defunta Erminia Tindaride, ibid. 1794; Anacreontica, in Poesie di Maria Luisa Cicci, Parma 1796; Il vaso di Pandora, Torino 1797.

La F. morì a Livorno intorno al 1807.

Fonti e Bibl.: Novelle letterarie (Firenze), n.s., II (1771), coll. 773 s.; P. Soresi, Saggio sopra la necessità e la facilità di ammaestrare le fanciulle, Milano 1774, p. 65; Novelle letterarie (Firenze), n.s., XVII (1786), col. 228; P. Metastasio, Lettere, in Tutte le opere, Milano 1954, IV, pp. 574 s., 593, 878 s.; V, pp. 63, 114, 118, 137, 225, 416, 777; G. Casanova, Mémoires, III, (1763-1777), Paris 1960, pp. 800-802, 1186 n. 3, 1244; L. De Angelis, Elogio istorico del padre maestro Guglielmo Della Valle, Siena 1823, p. 18; G. Canonici Fachini, Prospetto biografico delle donne italiane rinomate in letteratura, Venezia, 1824, pp. 189 s.; P.L. Ferri, Biblioteca femminile italiana, Padova 1842, p. 169; C. Milanesi, V. Alfieri in Siena, in Lettere di V. Alfieri, a cura di I. Bernardi - C. Milanesi, Firenze 1864, pp. 99 s.; A. Ademollo, Isidea Egirena e l'abate Metastasio, in Fanfulla della domenica, 25 febbr. 1883; L. Anzoletti, La donna italiana nel secolo XVIII, in La donna italiana descritta da scrittrici italiane, Firenze 1890, p. 111; F. Orlando, Carteggi italiani inediti o rari antichi e moderni, Firenze 1902, pp. 133-139 (lettera di E. Montazio ad A. Ademollo, 30 dic. 1890); A. Parducci, La tragedia classica italiana del secolo XVIII, Rocca San Casciano 1902, pp. 298-300, 357 s.; E. Bertana, In Arcadia: saggi e profili, Napoli 1909, pp. 23 s.; P. Molmenti, Carteggi casanoviani, in Arch. stor. ital., XLVI (1910), pp. 250-253; A. Corbellini, Ninfe e pastori, Pavia 1911, pp. 29-31; P.G. Molmenti, Carteggi casanoviani, I, Padova 1914, p. 121; G. Mancini, Contributo dei Cortonesi alla coltura d'Italia, in Arch. stor. ital., LXXIX (1921), 2, pp. 153 s.; I. De Blasi, Le scrittici italiane dalle origini al 1800, Firenze 1930, pp. 300 s.; M. Bandini Buti, Poetesse e scrittrici, in Encicl. biogr. e bibliogr. italiana, Roma 1941, pp. 272 s.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, p. 158; Diz. encicl. della letteratura ital., dir. da G. Petronio, Bari 1966, vol. II, p. 512; E. Cortese - D. Maffei, Mem. e documenti per la storia della università di Pavia e degli uomini più illustri che v'insegnarono, III, Bologna 1970, pp. 254 n. 4, 451; A.M. Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800, Roma 1977, ad nomen; A. Giordano, Letterate toscane del Settecento. Un regesto, Firenze 1994, pp. 101-108.

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