PONTI, Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PONTI, Maria

Tiziana Pironi

PONTI, Maria. – Nacque a Gallarate (Varese) il 27 luglio 1856, secondogenita di Andrea Ponti e di Virginia Pigna.

Il padre, facoltoso industriale tessile, si era distinto per l’introduzione, in Lombardia, della filatura meccanica, sperimentata in Inghilterra, oltre che per l’impegno profuso in attività sociali e di pubblica utilità, come la realizzazione a Gallarate dell’ospedale, dell’asilo infantile e del teatro. Alla morte del padre, il primogenito, Ettore (1855-1919), proseguì l’opera di modernizzazione dell’impianto industriale, impegnandosi anche nel miglioramento delle condizioni di vita degli operai; di idee liberali, consigliere comunale a Milano nel 1881, ricoprì la carica di sindaco del capoluogo lombardo dal 1905 al 1909.

Uscita quindicenne dal prestigioso istituto femminile fiorentino di Poggio Imperiale, Maria Ponti sposò il conte Pietro Desiderio Pasolini l’11 novembre 1874, dal quale ebbe due figli, Pasolino (1878-1933) e Guido (1880-1963), nominato senatore del Regno alla fine del 1938.

Pietro Desiderio Pasolini (1844-1920), esponente di una nobile famiglia ravennate, era figlio di Giuseppe Pasolini (1815-1876), patrizio e possidente terriero che, tra le numerose cariche politiche assunte, divenne governatore di Milano nel 1860, stringendo rapporti di collaborazione con l’emergente borghesia lombarda.

Gli anni trascorsi a Ravenna, subito dopo il matrimonio, misero in contatto Maria Ponti con lo stato di desolante miseria della popolazione delle campagne ravennati. Dotata di profonda sensibilità e curiosità intellettuale, si prodigò immediatamente in attività di soccorso, con l’intento di creare una rete solidaristica tra gli esponenti del patriziato e del clero locale, che però trovò tiepida accoglienza. Le lettere di quel periodo alla cognata Angelica testimoniano chiaramente i sentimenti di sconforto e di impotenza che ne seguirono, senza però dissuaderla dai suoi propositi, portati avanti con tenacia e caparbietà.

Erede delle istanze di rinnovamento dell’ambiente filantropico lombardo, riuscì a organizzare in campo assistenziale una serie di interventi che si distinsero per l’organizzazione razionale, partendo da una presa di coscienza dei problemi, che la portò a condurre indagini in prima persona, per potere elaborare soluzioni concrete. Consapevole che le donne fossero l’anello debole della catena di povertà e indigenza delle famiglie contadine, decise di istituire nel 1883, a Coccolia, nell’area dei poderi pasoliniani, una scuola di pizzi e merletti, con l’obiettivo di fornire l’arte di un mestiere alle giovani del luogo. L’iniziativa avrebbe trovato esito nelle Industrie femminili italiane, promosse nel 1903, a Roma, dalla stessa contessa insieme ad altre nobildonne illuminate, per raccordare insieme tutte le cooperative-imprese femminili nate in Italia.

L’intento era infatti quello di dar vita «a un vigoroso strumento di economia commerciale, che apra le vie internazionali ai prodotti femminili italiani. Mediante la cooperazione si vuole creare una grande casa industriale, capace di eliminare gli intermediari che sfruttano il lavoro delle donne [...]. Si sente l’esigenza di elevare la condizione economica delle donne con mezzi diretti, cioè con la vendita a prezzi più remunerativi, cercando inoltre un mercato più vasto che apprezzi il prodotto creato dalle donne» (A. Rosselli, Le industrie femminili italiane, in Almanacco italiano, I (1904) p. 6).

Contemporaneamente, Maria Ponti avviò un’indagine sulle condizioni di vita, di lavoro e di reddito di alcune famiglie contadine del Ravennate, ispirandosi ai criteri formulati da Pierre-Guillaume-Frédéric Le Play per la redazione di «monographies appliquées à l’étude des familles».

Grazie alla documentazione d’archivio conservata dal suocero e dal marito, ebbe modo di individuare alcune famiglie-tipo del mezzadro e del bracciante romagnolo, riuscendo a ricostruire l’andamento della loro esistenza nell’arco di un trentennio. Il suo primo studio uscì con il titolo Una famiglia di mezzadri romagnoli nel comune di Ravenna nel settembre 1890 sul Giornale degli economisti (s. 2, vol. 1, pp. 245-273), con una tiratura di 950 copie che venne immediatamente esaurita. Nell’ottobre e nel novembre di due anni dopo sulla stessa rivista pubblicò in due puntate Monografie di alcuni operai braccianti nel comune di Ravenna (s. 2, 1892, vol. 5, pp. 311-343, 411-427): qui Maria Ponti individuava tre tipologie di bracciante agricolo, trattandosi – osservava – di una categoria più mobile rispetto a quella più statica del mezzadro, ed essendo la popolazione del Ravennate costituita in stragrande maggioranza da famiglie bracciantili.

Dal 1883, Maria Ponti visse stabilmente a Roma, a seguito degli incarichi politici del marito, deputato al Parlamento dal 1883 al 1886 e senatore dal 1889. La posizione di prestigio ricoperta della famiglia Pasolini le consentì di entrare in contatto con le personalità più eminenti della politica e della cultura del tempo, tra cui Wilfredo Pareto e Gabriele D’Annunzio.

Al tempo stesso, continuò il suo impegno in campo assistenziale. Nel 1896, fondò a Roma un Ufficio informazioni di beneficenza, con annessa una biblioteca, per la formazione civile e sociale degli assistiti.

Il suo interesse sulla condizione femminile la condusse a collaborare con la Rivista per le signorine, diretta da Sofia Bisi Albini, dove espresse la necessità dell’istruzione delle donne onde favorire il loro processo di emancipazione. Lo studio della storia veniva da lei considerato «più di ogni altro atto a formarci una conoscenza ed una coscienza della vita» (Osservazioni pratiche sullo studio della storia, in Rivista per le signorine, 9 aprile 1896, p. 5). Non lesinò critiche alla scuola del tempo che riduceva la storia a «molte notizie di battaglie, lunga serie di re, di imperatori, di papi, qualche data, alcuni nomi, numerosi aneddoti» (p. 7). Occorreva per lei favorire uno studio che stimolasse la curiosità intellettuale, nel porre continui interrogativi per cogliere la complessità dei fattori umani: «La storia intesa così apre la mente a maggiore conoscenza delle cose, il cuore a più intensa umanità» (p. 7).

Di qui l’idea di istituire una serie di cataloghi a serie fissa, pensati per le donne, secondo un criterio che incoraggiasse lo studio e l’approfondimento degli argomenti, evitandone un approccio dispersivo e disorganico. Nonostante il disegno iniziale fosse più ampio, i cataloghi pubblicati, dal 1898 al 1903, presso l’editore Forzani di Roma furono i seguenti: 1. Storia universale (con la collaborazione di Pasquale Villari); 2. Scienze sociali ed economiche (con una prefazione di Maffeo Pantaleoni nella seconda edizione); 3. La questione femminile (la cui sequenza di lettura era così scandita: condizione della donna nelle diverse ‘razze e civiltà’; condizione della donna dinanzi alla legge; la parte di essa avuta nella storia; il concetto che della donna si è avuto fin qui; la donna italiana; la cultura femminile in Francia; la donna moderna. Tra i testi consigliati figuravano quelli di August Bebel, Charles Letourneau, Carlo Francesco Gabba); 4. Il Risorgimento italiano (con la supervisione di Ernesto Masi), poi pubblicato a Bologna da Zanichelli nel 1911.

Nell’ottobre 1897, Maria Ponti aveva fondato a Ravenna la Biblioteca storica Andrea Ponti, da lei vista come uno strumento che integrasse l’istruzione scolastica e destinata a tutte quelle giovani donne che non avevano possibilità di continuare gli studi. Unica e nuova nel suo genere, sia per l’impostazione sia per il pubblico a cui si rivolgeva, l’apertura della biblioteca venne del tutto ignorata dagli intellettuali locali, troppo legati alla cultura erudita delle antiche memorie cittadine. Convinta della bontà della sua iniziativa, nell’ottobre del 1900, Maria Ponti aprì una sezione analoga a Imola, mentre sua sorella, Antonia Ponti Suardi (1860-1938), ne istituì una anche a Bergamo.

Intanto a Roma, nel 1899, Ponti era stata tra le fondatrici della Federazione romana delle opere di attività femminile, presieduta dalla contessa Lavinia Taverna, da cui prese poi vita il Consiglio nazionale delle donne italiane, che raggruppava le emancipazioniste di orientamento liberale. Nel 1906 fu tra le sostenitrici della petizione di Anna Maria Mozzoni per il suffragio femminile, mentre due anni dopo, il 24 aprile 1908, inaugurò i lavori della sezione educativa del primo Congresso delle donne italiane a Roma.

Proprio in quella sede, oltre ad affrontare i temi dell’educazione femminile (Per la formazione di una cultura sociale e civile, Roma 1908), trattò dell’importanza di coadiuvare l’opera della scuola con istituzioni sussidiarie come doposcuola, ricreatori, biblioteche circolanti; evidenziò inoltre i limiti delle scuole pubbliche che escludevano i bambini tardivi, i cosiddetti ‘anormali’; considerò di fondamentale importanza la formazione degli insegnanti, auspicando una riforma della Scuola normale. Il suo discorso si incentrò soprattutto sulla questione dell’analfabetismo, interrogandosi sulle cause e sui possibili rimedi. Avvalendosi dei dati forniti dall’Unione magistrale nazionale, invitò le donne presenti al congresso a riflettere sull’allarmante fenomeno e suggerì loro di avviare uno studio a tappeto sulla situazione degli analfabeti in ogni regione d’Italia. Intervenne pure sul tema spinoso dell’insegnamento della religione, a proposito del quale, pur dichiarandosi cattolica convinta, sostenne che la fede riguardava la coscienza più intima degli individui e quindi non era legittimo imporne l’insegnamento nella scuola pubblica.

La sua fiducia, di derivazione illuministica, che la formazione di una coscienza sociale e civile fosse alla base del progresso umano, informò gran parte dei suoi scritti, fra cui Il nostro bilancio. Osservazioni e commenti (Roma 1901), dove sostenne il diritto di ogni cittadino di controllare i bilanci dello Stato, nonché il dovere di trasparenza da parte degli amministratori; per l’occasione, pubblicò in appendice al volume il bilancio nazionale del 1899-1900.

Estimatrice del modello politico inglese, per la coesione sociale e per l’attenzione al bene comune da parte del singolo, scriveva a Sofia Bisi Albini: «Se io dovessi definire uno dei mali d’Italia, direi che è la mancanza di coscienza, di coscienza della vita sociale. Nessuno si rende conto di quello che fa, di quello che sente, nessuno si domanda dove e come il suo atto, il suo pensiero, si ripercuota nella società che gli è intorno e quali effetti vi produca» (Vita femminile, marzo 1898, p. 6).

Oltre ai problemi emergenti del suo tempo, da quelli igienico-sanitari, a quelli dell’emigrazione, Maria Ponti ebbe a cuore la tutela dei beni artistici e architettonici; con espliciti riferimenti a William Morris, considerò l’arte industriale strettamente legata all’arte antica, vedendo in essa una nuova forma di attività e dunque un’importante risorsa economica per il futuro (L’arte antica in Italia sorgente di ricchezza pubblica futura, Roma 1898, p. 6).

Pacifista e antinterventista convinta, in seguito alla marcia su Roma (1922) mantenne un atteggiamento defilato nei confronti del fascismo, anche se non mancarono tratti polemici, soprattutto in merito alle politiche urbanistiche del regime.

Morì a Roma il 7 gennaio 1938.

Ne diedero notizia molte testate nazionali e internazionali, tra cui The Times di Londra.

Fonti e Bibl.: Le carte di Maria Ponti Pasolini fanno parte di un più ampio fondo familiare, conservato dalla famiglia Pasolini dall’Onda a Ravenna; sue lettere sono altresì rinvenibilli nel Fondo Angelica Pasolini dall’Onda, conservato a Firenze presso l’Archivio contemporaneo A. Bonsanti del Gabinetto scientifico-letterario Viesseux. Inoltre: P.D. Pasolini, Memorie storiche della famiglia Ponti. Per le nozze Ponti-Greppi, Imola 1876; I. Luisi, Una buona istituzione. La biblioteca Ponti a Ravenna, in La Rassegna nazionale, 1° dicembre, 1900; Atti del I congresso nazionale donne italiane, Roma 1912, ad ind.; A. Tabanelli, La biblioteca popolare circolante A. Ponti di Imola nel quarantennio della sua fondazione, Imola 1940; G. Bosi Maramotti, M. P., in Storia illustrata di Ravenna, a cura di P. D’Attorre, IV, Milano 1990, pp. 177-192; M. Baruzzi, Libri per un pubblico femminile: la Biblioteca storica Ponti tra modello ravennate e traduzione imolese, in Memoria e ricerca, 1996, vol. 7, pp. 123-150; F. Taricone, L’associazionismo femminile in Italia dall’unità al fascismo, Milano 1996, pp. 30 s.; M.P. Casalena, Scritti storici di donne italiane, Firenze 2003, pp. 330 s.; C. Gori, Crisalidi. Emancipazioniste liberali in età giolittiana, Milano 2003, pp. 58-62; A. Maramotti - G. Rabotti - G. Masetti, La cultura a Ravenna negli scritti di Giovanna Bosi Maramotti dal 1972 al 1997, Ravenna 2006, ad indicem.

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