Maria Vergine

Enciclopedia Dantesca (1970)

Maria Vergine


. - Prima di essere un tema saliente della poetica della Commedia il dogma di M., vergine e " theotokos ", l'intatta Madre di Dio nel cui grembo il Verbo prese umana carne, è centralissimo nella teologia cristiana; e non possiamo verificare criticamente il processo d'individuazione che vi esercita D. senza tener conto della sua sostanza concettuale e della sua estensione storica, e quanto largo tratto di socialità e di costume vi si riassuma. Ma nell'amplissima trattatistica mariana, trascegliendo alcuni temi salienti, osserveremo l'assiduità con cui l'apologetica ortodossa oppose il culto della Vergine a ogni ritorno di dualismo ontologico che postulasse il mondo opera del Male e perpetua la guerra del Bene, sino alla fine del mondo e alla vittoria dello Spirito: di cui sono episodi il concilio di Efeso, contro Nestorio, e la teologia mariana di Bernardo di Chiaravalle, nel secolo XII, contro le propaggini manichee insediate nella Francia del sud e più o meno presenti nella poesia provenzale e nella prassi cortese dell'amore cavalleresco: vicinissima dunque a D., nel tempo e nelle attenzioni.

La schedatura delle concordanze offre già per sé stessa un indice della partecipazione del poeta al tema, che tuttavia rimane spesso più indicato e sottolineato concettualmente e paradigmaticamente che nel fuoco dell'animazione poetica: la sola che ci consentirà, dato il primato e la centralità e la finale effettualità della poesia nell'opera di D., di trar deduzioni precise sul posto e il valore del tema di M. nella sua mente e nel suo volere. Già la sua prima menzione è pregnante di un'assidua presenza e di una lunga storia, quando (Vn V) il rito dell'amore cortese si accompagna alla commedia mondana degli sguardi, e si avvia la menzione della ‛ donna dello schermo ', sedendo costei fra Beatrice e il poeta in parte ove s'udiano parole de la regina de la gloria (§ 1): in un tempio, dunque, e a una funzione religiosa dedicata a Maria. Per quel che è della storia, è certo che gran parte della vita e dell'arte di Firenze si svolse, nell'epoca di D. e nella successiva, fra Santa Maria Novella e Santa Maria del Fiore; e per quel che è della liturgia è certo che, si trattasse di un panegirico o di altro atto del culto, l'accentuazione prevalente del tema fra gli altri del dogma cristiano rischiò in certi momenti di parere esclusiva; e che, se in una fase di elaborazione allegorica della ‛ figura ' di Beatrice prevalgono i riferimenti al dogma della Trinità, con la ‛ cabala del nove ', in questa prosa, che deve mantenersi più aderente al dato narrativo, se si vuole ottenere davvero di collegare alla trascendente immagine di Beatrice le apparizioni delle donne gentili e gli schemi agiografici così ben reperiti dal Branca, il riferimento al culto mariano accosta alla corredentrice la donna de la salute (e del saluto, per il quale non pò mal finir chi l'ha parlato, XIX 10 42). Ed è singolare che, quasi a riscontro con l'inizio della trama del romanzo autobiografico, ancora a M. e alla sua menzione ricorra il poeta quando procede al rito di compianto e di lode sopra Beatrice morta: quando lo segnore de la giustizia chiamoe questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella regina benedetta virgo Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata (Vn XXVIII 1): un tratto che va collegato al ricordo della sua propria vita e devozione, nel trionfo paradisiaco di M., il nome del bel fior ch'io sempre invoco / e mane e sera (Pd XXIII 88-89), a significare quasi una comunione di preghiera, una concordia di sentimenti nel vivo della sostanza di cose sperate.

Nella fase dottrinale dell'opera dantesca, quella esegetica e deduttiva del Convivio e della Monarchia, il tema e il nome risultano affidati a menzioni più genericamente riflessive che poeticamente individuate; e si può di qui incominciare a misurare la diversa animazione di uno schema sapienziale e della religiosa partecipazione alla vita della creatura di grazia di cui fa poesia. In un passo del Convivio (II V 2), M. subentra alla nozione di Cristo per confermare la natura umana accanto alla genitura divina: Lo Imperadore de l'universo, che è Cristo, figliuolo del sovrano Dio e figliuolo di Maria Vergine, femmina veramente e figlia di loacchino e d'Adamo: una precisazione subordinata, un complemento di notizia. E ancora a una menzione storica, anch'essa rigorosamente collegata al dogma trinitario del Dio-uomo, si restringe, pur con la vibrazione eloquente dell'eulogio, l'altro passo del Convivio (IV V 5): David, del qual nasce[tt]e la baldezza e l'onore de l'umana generazione, cioè Maria, subito rincalzato dalla citazione scritturale di Isaia: Nascerà virga de la radice di lesse, e fiore de la sua radice salirà, poeticamente parafrasata. Anche nella Monarchia (II X 6) il nesso Cristo-M. si ripresenta, non accompagnando lei d'altra menzione che quella che aprirà la preghiera di s. Bernardo: Cristus, ut scriba eius Luca testatur, sub edicto romanae auctoritatis nasci voluit de Virgine Matre. La più singolare di queste menzioni, e di questi contrappunti, resta, nell'ambito dottrinale, il nesso M.-Lucia a designare due città poste agli antipodi l'una dell'altra nella tesi cosmografica di Cv III V. Quando dagli schemi dottrinali il poeta passa a una sintassi d'immagini più liberamente e sostanzialmente definita da un'esigenza fantastica, nel ‛ prologo in cielo ' raccontato da Beatrice a Virgilio e da questi a D. per scioglierlo da ogni viltà e paura, sono M., Lucia e Beatrice i nomi delle donne del cielo che si muovono al soccorso di lui smarrito nella selva selvaggia; e principio del moto verso la salute, potente a rompere una condanna già sentenziata, è M.: Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo 'mpedimento ov'io ti mando, / sì che duro giudicio là sù frange. / Questa chiese Lucia in suo dimando / e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele / di te, e io a te lo raccomando -. / Lucia, nimica di ciascun crudele, / si mosse (If II 94-100), benché le altre rispondano salendo a lei con animazione gentile e onnipotente, pur mentre adempiono alla sua parola. È risposta da persona a persona: quale che sia il cartiglio allegorico che possiamo apporre a Lucia e a Beatrice, l'animazione personalistica di M. è tale che anche le altre perdono nel tratto e nella vaghezza del moto misericorde ogni traccia dottrinale e stilistica di emblematismo: sono, appunto, ‛ donne gentili '.

Da quel momento, dall'apparire della più pura e animata e soccorritrice delle ‛ donne gentil ', dal vertice insomma della tipologia muliebre di D., incomincia nella Commedia una vivacità stupenda di personaggi e di stilemi, tale che ha valore decisivo sia nella storia della poetica, sia nella storia della fortuna: la femminilità terrestre s'integra con la femminilità celeste, la persona con la trasvalutazione idealistica che le sottentra, il dramma umano con la teoresi filosofica e teologica: la Vergine è posta così, in sé e attraverso Beatrice, che subito da lei e dal suo dimando discende a operar la salvezza dello smarrito, nella perfezione più alta, e insieme nella concretezza più attiva; e invera nell'intatta grazia naturale della sua verginità e divina della sua maternità, nel riserbo e nell'effusione, il principio dell'Amore dator di vite. L'ampia e feconda poesia mariana di D. si riassume in tre modi preminenti, dei quali il primo è storico (la partizione in dossologie, storie e preghiere è indirettamente suggerita da Mario Casella nell'Indice dei nomi e delle cose aggiunto al testo del 1921). Storie della Vergine, infatti, sono introdotte, nei loro valori poetici e gnomici integrantisi, in tutte le cornici del Purgatorio, come esempi capitali di virtù, ad aprire l'itinerario delle anime verso la salvezza (D. intende la verità psicologica e pedagogica dell'amore del bene in sé stesso come primo principio di penitenza, lasciando un'efficacia di conferma giuridica alla punizione del male): la metanoia penitenziale comincia perciò sempre da Maria. Così l'umiltà dell'Ecce ancilla Domini, dinamicamente effigiata nelle sculture della prima cornice, spetra i superbi (Pg X 34-35). La scena dell'annuncio angelico è mutuata o ripresa altrove: nel Convivio (II V 4) e nel Paradiso (XIV 35); ma qui è stilizzata secondo moduli d'arte figurativa passata e futura che la forma verbale elabora con l'intenzione di una ricerca formale intesa a superare i limiti dei sensi (Giurato si sarìa ch'el dicesse ‛ Ave! ') e della materia (come figura in cera si suggella). Così la parola della Vergine, ‛ Vinum non habent ' altamente disse, / e dietro a noi l'andò reïterando, nella seconda cornice (Pg XIII 29), orchestra il suo intervento caritativo alle nozze di Cana con una violenza che s'intona alla costretta e perciò esplosiva disposizione degl'invidiosi, nonché alla loro pena, che è di starsene addossati l'uno all'altro e alla ripa, coperti di cilicio e orbi per un fil di ferro che ne fora e cuce i cigli. Il contrappunto fra la scelta semiologica e la situazione varia di volta in volta, con una novità sempre pronta e con quella libertà d'investire le realtà più diverse che è di questa concretissima poetica personalistica; e la vertigine degl'iracondi, nella terza cornice, si trasforma in estasi aiutandoci a penetrare nel segreto della psiche di D., sempre librato fra l'alienazione dell'ira e la trasvalutazione della visione: Gesù fra i dottori nel Tempio è scena che il deuteragonista, la Vergine, commenta in una battuta drammatica, Ecco, dolenti, lo tuo padre e io / ti cercavamo (XV 91-92), e insieme illustrativamente liturgica e pacata, Figliuol mio, / perché hai tu così verso noi fatto? (vv. 89-90), preceduta da una didascalia che delinea e ripete la situazione, come in una posta del rosario: né diremo quanta storia di musica sacra, quanta di teatro operistico qui s'apra: e una donna, in su l'entrar, con atto / dolce di madre (vv. 88-89); e gl'ignavi, costretti per penitenza a correre falcando il passo nella curva della quarta cornice, gettano davanti a loro, in un tumulto sacrale non per nulla introdotto dai riti bacchici di Tebe, l'episodio esemplare, Maria corse con fretta a la montagna (XVIII 100), che parafrasa e traduce in figura drammatica, dando tutto rilievo a un particolare, il " cum festinatione " del passo evangelico. A un contrappunto interno, nell'episodio adombrato ancora dal mimo allegorico della femmina balba, mi sembra convergere la povertà esemplare evocata dagli avari e prodighi della quinta cornice, introdotta, come in una scena di devozione confraternale, dall'invocazione Dolce Maria, detta da Ugo Capeto con lo strazio fidente di donna che in parturir sia; e prosegue, con una naturalissima analogia, con la scena del presepe e dell'infante Gesù (XX 15-24): lo zelatore della povertà, che nel Convivio aveva polemizzato con l'imperatore Federico II confutandone il concetto di nobiltà legata alla ricchezza, qui si affaccia alle propaggini più devote del pauperismo duecentesco; e il lamento accompagna il tema figurativo che anche Francesco d'Assisi aveva proposto nel presepe di Greccio. Prevalgono, nell'insieme, le rese teatrali di questi esempi; ma nella sesta cornice, una voce, a redenzione dei golosi, torna alle nozze di Cana dove M., intervenendo caritativa, non pensava a la sua bocca, ch'or per voi risponde (XXII 144); e l'immagine della bocca che prega e intercede si sovrappone di botto all'immagine del convito nuziale. Subito al principio del canto seguente, per contrassegnare una seconda volta l'importanza del nome nelle strutture dell'analogia poetica, c'è il quadro atroce di quella Maria che si cibò delle carni del figlio all'assedio di Gerusalemme (XXIII 28-30): è il mistero eucaristico stravolto, nell'assedio della fame. L'ultimo esempio, nella settima cornice dei lussuriosi, e appressandosi ben altre liturgie del Paradiso terrestre, è solo un responsorio aggiunto all'inno del Summae Deus clementiae (Appresso il fine ch'a quell'inno fassi / gridavano alto: ‛ Virum non cognosco '; / indi ricominciavan l'inno bassi (XXV 127-129). E si ritorna da capo alla scena dell'annunciazione e a un ricordo quasi sommerso nella fiamma.

Il nome di M. fiorisce nella memoria di D., come in quella del popolo cristiano e nella devozione del rosario (questa è puntualizzata nella metafora della rosa in che 'l verbo divino / carne si fece, Pd XXIII 73-74), sia incastonato in una delle storie della Vergine, sia isolato e come pregnante d'ineffabile virtù, cui riferire, a paragone di valore, ogni fatto dell'umana vita. Mestier non era parturir Maria (Pg III 39) mormora, sgomento e fiducioso, Virgilio, nel segnare i limiti dell'intelligenza umana, valicati dall'atto d'amore di lei; e ancora con riferimento a Beatrice, a commento del canto antifonario delle virtù teologali e delle virtù cardinali che piange le piaghe della Chiesa e della progenie umana, è introdotto il " planctus Mariae ": e Bëatrice, sospirosa e pia, / quelle ascoltava sì fatta, che poco / più a la croce si cambiò Maria (Pg XXXIII 6). E il nome ritorna al vertice della virtù delle creature, in un lampo luminoso e fuggitivo: D'i' Serafin colui che più s'india, / Moïsè, Samuel, e quel Giovanni / che prender vuoli, io dico, non Maria (Pd IV 30). L'accentuazione del nome può anche servire per un paradosso, così isolata e legata alla ‛ devozione della croce ', che ha tanta parte nel culto popolare della Vergine, lungo e dopo il trionfo degli ordini mendicanti; e della povertà: sì che, dove Maria rimase giuso, / ella con Cristo pianse in su la croce (XI 71). Lo stilema che isola il nome o la persona per una contrapposizione di alta drammaturgia verbale lo porta a significare il dramma dell'incarnazione in uno stupore silenzioso e assorto: così fu fatta la Vergine pregna (XIII 84). Le sue storie, insomma, e il suo nome, rivivono nei modi umili ed estatici dove il poeta s'incontra con la storia della sua gente, in quel mistero (nel canto XIV del Paradiso) che canta lo splendore immortale delle geniture umane: E io udi' ne la luce più dia / del minor cerchio una voce modesta, / forse qual fu da l'angelo a Maria (v. 36).

La schedatura rischia di sostituire l'imponenza del numero all'intensità biografica e poetica di un'esperienza per D., per la sua poetica, per la sua storia, decisiva: eppure ripete, anche solo con la frequenza, l'estensione del culto della Vergine nel costume cavalleresco e popolare, fra gli uomini di comune e le plebi curtensi d'Italia. Nel diagramma dell'intellettualizzata esperienza religiosa di D., cui la poesia concede ogni ritorno a una spiritualità puerilmente trepida, il ritorno all'innocenza, la dossologia mariana, da cui abbiamo preso le mosse per la nostra esplorazione nelle ‛ ragioni ' della Vita Nuova, si può meglio osservare nei canti del Paradiso che tengon dietro al trionfo di Cristo e al trionfo correlato della Vergine, dal XXIII all'ultimo. Questo XXIII è di un'evidenza stupenda, e pur nella densa astrazione del linguaggio liturgico esprime meglio di ogni altro la concretezza di vita vissuta che sussiste al linguaggio trionfale dell'inno di lode, e il nesso dei segni: Cristo, M., Beatrice: il divino e l'umano: l'amore sacro e l'amore profano; e gli altri esistenziali e poetici sintagmi di Dante. Ormai il pellegrino ha potuto rimirare Beatrice svelata e il suo riso; ma la donna, con una domanda che è conferma (Perché la faccia mia sì t'innamora? XXIII 70), distoglie il suo sguardo verso il giardino dei beati, fiorito sotto i raggi di Cristo: Quivi è la rosa in che 'l verbo divino / carne si fece; quivi son li gigli / al cui odor si prese il buon cammino (vv. 73-75), verso il rito della venerazione di M., la circulata melodia che ripete, nell'atto di devozione, l'alta letizia che spira del ventre / che fu albergo del nostro disiro (vv. 104-105), il suggello, intonato da tutti i beati, della dossologia del nome, e tutti li altri lumi / facean sonare il nome di Maria (vv. 110-111), e la semantica liturgica della venerazione amorosa, traslata dalla madre al bambino al fedele (vv. 121-126), rito concluso in dossologia canora, ‛ Regina coeli ' cantando sì dolce, / che mai da me non si partì 'l diletto (vv. 128-129).

Dal canto degli spiriti trionfanti sino alla ripresa dossologica e orante dell'invocazione di s. Bernardo, il nome di M., con le sue metonimie, illumina qua e là la parabola dell'ultima ascesa: apparentata anche più intimamente a Cristo, e perciò non nominata, nel silenzio del mistero che medita la salita al cielo, prima della fine del tempo, di Cristo e di M. soli, con le due ‛ stole ' dell'anima e del corpo (Pd XXV 127-128); reinvocata come regina del cielo nell'esultante fiducia dell'ultima guida di D., s. Bernardo, che da lei attende l'esaudimento di ogni preghiera (e l'accento della terzina, traboccante di fuoco amoroso, basti al nuovo identificarsi di maestro e discepolo e a vedere nel fuoco d'amore il centro di ogni devozione mariana del poeta e dei tempi: E la regina del cielo, ond'ïo ardo / tutto d'amor, ne farà ogne grazia, / però ch'i' sono il suo fedel Bernardo (XXXI 100-102), allusa in quel turbine di metafore rituali che è l'apparizione di M. in trono, dove gli stilemi (XXXI 118-127) si dispongono spontaneamente nei ritmi dell'apparizione di Beatrice nel Paradiso terrestre; e infine vista in volto, ne la faccia che a Cristo / più si somiglia (XXXII 85-86) come adombrata dall'angelo Gabriele che dinanzi a lei distende l'ali, ripetendo l'annunzio (v. 95).

Se l'inno di s. Bernardo è insieme dossologia e preghiera, in un nesso che è di prammatica nella devozione liturgica, occorre una rapida scorsa delle preghiere alla Vergine che trascorrono nel Purgatorio e nel Paradiso, a cominciar da quella che Buonconte esala con l'ultimo spirito, nel nome di Maria fini' (Pg V 101), e sostando nella liturgia di compieta che mirabilmente fa che la preghiera alla Vergine spieghi le ali nel crepuscolo delle grandezze mondane: ‛ Salve, Regina ' in sul verde e 'n su' fiori / quindi seder cantando anime vidi (VII 82-83). Anche dal grembo di Maria (VIII 37) vengono gli angeli che montan la guardia nella valletta dei principi a salvarli dalla tentazione superba e frodolenta del serpente. Lo spazio del Purgatorio della penitenza è già colmo della sua grazia per gli esempi delle sue storie; e le preghiere che l'invocano fioriscono dopo di quelle. Le anime degl'invidiosi penitenti sono appena apparse nei mantelli bigi che si confondono con la roccia, e subito intonano le litanie di quella comunione dei Santi che avversa e salva il bieco chiuso mondo dell'invidia; e M. è prima nell'ordine: udia gridar: ‛ Maria, òra per noi ': / gridar ‛ Michele ' e ‛ Pietro ' e ‛ Tutti santi ' (XIII 50-51). Anche la preghiera - invocazione che nel Paradiso terrestre innalzano i ventiquattro seniori dispone la salutazione angelica fra i simboli dell'Antico Testamento e quelli dei Vangeli che circondano il mistico carro della Chiesa: Tutti cantavan: " Benedicta tue / ne le figlie d'Adamo, e benedette / sieno in etterno le bellezze tue! " (XXIX 85-87), ancora una volta ristabilendo il nesso M.-Beatrice nel rito dell'apparizione della Sapienza santa sul carro. L'avemaria definisce un'altra volta, dopo Buonconte, e con esiti poetici novissimi, una situazione drammatica e un personaggio: Piccarda, che così prega, uscita dalla cerchia giovanile di D. per entrare nella dolce chiostra delle clarisse, e già riconosciuta a stento, sommersa ora in luce: Così parlommi, e poi cominciò ‛ Ave, / Maria ' cantando, e cantando vanio / come per acqua cupa cosa grave (Pd III 121-123), miracolosa antifrasi e tale da non potere senza lei misurare quel liberarsi dell'anima nella preghiera che consente e dimostra quanto le strutture liturgiche siano, anzi che impaccio o monotonia di gnomica impoeticamente sentenziosa, supporto e lancio della disponibilità sentimentale e dell'espressione poetica. Ma è tempo di oltrepassare ancora una volta la rapsodia empirea e di far cenno del cantico di Bernardo.

Il quale mal sopporta una definizione categoriale: inno, o lauda, o preghiera: è sequenza dossologica nelle prime sette terzine, ed è supplica nelle altre sei, legando alle esigenze tonali e ritmiche anche la distribuzione del dire; ma ogni dossologia si frange in tesi e antitesi conciliando nella persona beata ogni opposizione logica e modulando gli stilemi in modo che le aporie dialettiche si svolgano gaudiosamente verso la pace della beatitudine. La struttura drammatica è proposta nella prima prodigiosa terzina, che intona il canto nella sua modulazione più ardua: vergine madre; figlia del... figlio; umile e alta; e irremovibile termine di una decisione che si sprofonda a ritroso nell'eternità degli evi. Poi una sosta contemplativa nella meditazione sovrana del creatore che nobilita la creatura (è il gran tema dell'umanesimo dantesco, che fonda la nobiltà in una predilezione di Dio) così da farsi lui creatura di colei che ha creato: sublimità e centro della dogmatica cristiana. E a suggello della terza terzina lo scendere nel miro gurge dell'amore, il realismo inaudito del fisiologico prodigio, il caldo dove irresistibilmente, nel ritmo degli accenti in sesta-decima, fiorisce la rosa dei beati. Altre antitesi di luce fiammante amoroso paragone e precorrimento di ogni richiesta di grazia; e nella chiusa della settima terzina gli attributi della Vergine in ritmo saliente, riassunti ancora una volta nella scansione degli accenti di sesta-decima e nella musicale corona di bontade. Le strutture della preghiera si ricompongono nella richiesta esplicita che D. possa con gli occhi levarsi più alto (un fuoco d'artificio, se volete, che si apre al vertice in pioggia di faville) e nel tumultuoso rincalzo che Bernardo offre di sé medesimo, identificandosi il patrono col cliente e alla preghiera aggiungendosi il pregare di poter pregare; e in ritmo dattilico, nella consegna del devoto alla Madonna, " nunc et in hora mortis nostrae ", Beatrice e i beati congiungono le mani adorando.

L'ultima storia di M. ripete il gesto con cui Beatrice aveva anch'essa rivolto lo sguardo dal devoto a Dio: sorrise e riguardommi; / poi si tornò a l'alterna fontana (Pd XXXII 92-93). M. volge li occhi da Dio diletti e venerati verso il devoto Bernardo che ha conchiuso la sua perorazione, e poi lascia che si rivolgano a Dio: indi a l'etterno lume s'addrizzaro, / nel qual non si dee creder che s'invii / per creatura l'occhio tanto chiaro (XXXIII 43-45).

Anche la storia di D. nel tempo si suggella in quell'attimo: l'ardor del desiderio in me finii (XXXIII 48). Hanno dunque termine insieme la storia di un amore, la " legenda beatae Beatricis " e le storie della Vergine (tuttavia, per necessità di completezza, è bene segnalare che M. è ricordata anche in Ep XI 3; Pg X 41-42, XXIX 85, Pd XXXI 116-117, XXXII 95, 104, 107, 113, 119, e 134).

Abbiamo creduto di porre il parallelismo sia in principio che in fine e nel corso di questo sommario; e se il posto che la Vergine occupa nella biografia dantesca non può andar disgiunto dagli affetti di Beatrice, anche la poetica della Vergine seguirà da presso e sosterrà la storia poetica di Beatrice. Non abbiamo esitato, altrove, a porre il concetto teoretico e pratico di trasvalutazione a contrassegnare ogni istanza dialettica della poesia dantesca fra la poetica dell'attesa e la poetica della visione. Il parallelismo Beatrice-M., indicato per la prima volta nella Vita Nuova, quando si tratta di cercare una convergenza unitaria alla vicenda plurima degli amori, e di ricondurli attraverso gli schermi allo specchio della sua vita spirituale e all'unità psicologica e ontologica della sua persona, evitando ogni dispersione di affetti e ogni frana, regge e guida la sua storia d'amore, anche oltre la sosta dottrinale del Convivio, dove e M. e Beatrice sono assenti di persona, e dove la sapienza si sostituisce all'amore, interrotta a sua volta dal riconoscere l'origine divina della nobiltà, gratuitamente largita, e di ogni dignità della persona. Dopo il Convivio la ripresa del tema ha significato decisivo per il nuovo corso della poetica: il quale si ricollega al trinitarismo con cui Beatrice è giustificata nella cabala del ‛ nove ' e al dogma di M. ausiliatrice, cui si ricollega il prologo in cielo della Commedia. D. è poeta d'amore dal sonetto proemiale, con la sua dichiarazione guinizzelliana, all'ultimo verso della Commedia, con la sua intonazione di stoicismo cristiano così vicina alla filosofia e all'arte del Rinascimento; ma in ogni caso è da cercare nella teologia e nell'iconografia mariana il principio del suo immaginare e del suo pensare. L'immagine poetica di M. rifiorisce animandole nelle altre immagini delle ‛ donne gentili ', con o senza la mediazione di Beatrice cui fanno corona; e dacché la poesia sta al principio e alla fine del ricupero dell'essere, promovendone la rivelazione e fiorendo sulla sostanza delle cose sperate (dialettica allegorizzata dal rito delle virtù teologali, la cui danza intorno al carro è guidata ora dalla Fede, ora dall'Amore), la sposa dello Spirito Santo è anche l'ispiratrice e la moderatrice della sua perpetua storia d'amore: la quale rivolge all'oggetto una sua trepida attesa, lo trasfigura in una parusia celeste, poi lascia che dalla mistica visione nuova poesia fiorisca.

L'eredità di questa poesia mariana di D. s'innesta sul tronco dell'arte mariana fiorita in ogni epoca della cristianità, da quando sul culto mediterraneo della ‛ Magna Mater ' trionfò il culto della Vergine Madre e dalla gloria di Iside con l'infante Horos uscì M. col bambino Gesù. Il paragone fra il poeta e l'eone cristiano della storia del mondo rischia di scivolare nell'enfasi apologetica; ma è pur vero che, soprattutto attraverso le arti figurative, e finché nel manicheismo moderno il culto della forma non si trasformò nel culto del deforme, la meditazione poetica di D. su M. diventa una delle costanti della poesia e del costume toscano del Tre e Quattrocento; e della poesia e del costume italiano, via via che le forme espressive dell'Italia rinascimentale si modularono sul Rinascimento fiorentino; e della poesia e del costume europeo, quando il Rinascimento, cioè la sintesi delle forme nuove e antiche riassunte nella teoresi storico-teologica del cristianesimo, si diffuse all'Europa. La letteratura accetta più tardi dalle arti figurative la concretezza dantesca delle iconografie mariane; e attende che diventi attiva in Italia e in Europa la poetica della Commedia, intesa come deduzione e oggettivazione della poetica della trasvalutazione; e sarà Beatrice che predominerà allora sulla maggior sorella M.: da cui, attraverso D., e nonostante ogni diversa fortuna di astrattismo platonico, di estetismo petrarchesco e di ‛ nonchalance ' boccaccesca, discese ogni processo d'idealizzazione artistica della creatura umana.

Bibl. - Il problema della mariologia dantesca è stato inteso, nei suoi rapporti con la letteratura apologetica e devozionale del Medioevo, soltanto nell'età moderna. Mentre i chiosatori antichi si limitano a parafrasare il testo, e i critici ottocenteschi e primo-novecenteschi non vanno oltre la raccolta di tutti i luoghi in cui D. ricorda la Vergine e una generica esaltazione del culto mariano del poeta (si vedano ad es.: P.G. Caprì, La Vergine Maria nella D.C., in Omaggio a D., Roma 1865; P. Vigo, M. Vergine e D.A., Livorno 1899; A. Montanari, D. e la Vergine nella D.C., Ravenna 1904; L. Asioli, La Vergine Madre nel poema di D., Parma 1916; G. Poletto, La Madonna ispiratrice della D. C., Siena 1905), il problema cominciava ad avere un'impostazione più concreta con A.M. Lépicier, La Vierge dans le poème de D., Roma 1934, dove non mancano notazioni fini e raffronti persuasivi con personaggi femminili dell'opera di D. e con immagini scritturali. In questa stessa direzione giova ricordare anche D. Bassi, M. nel poema di D., Firenze 1931; e soprattutto il documentato studio di L. Portier, La Vierge Marie dans la Divine Comédie, Nizza 1952, cui si affiancano le eleganti pagine di A. Chiari, La Madonna per D., Varese 1955; D. Franchetti, M. nel pensiero di D., Torino 1958; mentre A. Sacchetto, Umile e alta più che creatura, Firenze 1953, vede gli accenti mariani di D. nel solco della tradizione devota della letteratura italiana antica e moderna. Quanto al dibattito moderno, che è valso a inserire decisamente D. nel grande movimento teologico mariano che da s. Bernardo (v.) e da s. Anselmo muove verso s. Alberto Magno, s. Tommaso e s. Bonaventura, cfr. soprattutto G. Fallani, Poesia e teologia nella D.C., Milano 1965, III 123-132, ove il problema della mariologia dantesca è posto chiaramente in rapporto coi precedenti bonaventuriani e tomistici, e " la liturgia, l'arte, l'esperienza umana della devozione intorno alla Vergine " sono bene intesi come parte integrante " di una condizione di storia e di cultura dell'età dantesca ". Rilevante anche il saggio di V. Branca, Poetica del rinnovamento e tradizione agiografica nella Vita Nuova, in Studi in onore di I. Siciliano, Firenze 1966, 123-148, per gli acuti confronti tra l'agiografia medievale, anche mariana, e la figura simbolica e spirituale della Beatrice della Vita Nuova. Non meno interessante, anche per l'elenco di numerose metafore, H. Schnackemburg, Maria in Dantes Göttlicher Komödie, Friburgo 1956. Tuttavia sarà da notare che nella celebrazione (Pd XII) di un santo ‛ mariano ' come s. Domenico, creatore del culto del rosario, manca qualsiasi riferimento alla Madonna (ed è s. Bonaventura che parla!). In senso un po' limitativo sull'estensione della spiritualità mariana di D. si è pronunciato S.A. Chimenz, D.A., in Dizion. biogr. degli Ital. II (1960) 433-434, che ha constatato nel culto dantesco di M. un minor peso delle note " umane e affettuose " rispetto a quelle che " ne celebrano il merito teologico, la grandezza, la magnificenza, la regalità, il trionfo ". Si è peraltro obbiettato (G. Petrocchi, Itinerari danteschi, Bari 1959, 53 ss.) che " ogni celebrazione mariologica, nella Commedia, deve essere originata ed espressa dal particolare momento dell'esperienza ascetico-mistica che il pellegrino subisce nel corso del suo viaggio nei regni dell'oltretomba ", e quindi le forme di più patetica effusione dell'amore mariano sono (a parte il caldo accento di Il nome del bel fior ch'io sempre invoco / e mane e sera) estranee alle occasioni spirituali da If II a Pd XXXIII. Si dovranno quindi ricordare, per la concretezza delle notazioni critiche, le pagine che U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1965, 342-363, ha dedicato alla presenza della Madonna nel trionfo di Cristo di Pd XXIII. Si consultino poi A. Lo Grasso, D. and Our Lady, in " Thought " XXIX (1954-1955) 487-506; Q. Tosatti, La Madonna in D., in " Responsabilità del Sapere " X (1956) 363-381; P. Boncompagni, La Madre di Dio nella D.C., Roma 1956; B. Socche, La Madonna mediatrice di grazia e regina dell'universo nella D.C., Reggio Emilia 1961; S. Zanotti, La Madonna nella D.C. tra il gloriare degli angeli e dei santi, Forlì 1969; e, per concludere, l'interessante saggio di S. Girotto, Corrado di Sassonia predicatore e mariologo del sec. XIII, Firenze 1952, ove si colgono suggestive consonanze tra lo Speculum B.M. Virginis e la Commedia, anche nella contrapposizione sistematica, a ogni vizio capitale, di un esempio tratto dalla vita della Madonna.

Mario Apollonio

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