MARIA

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1997)

MARIA

L. Travaini

Le narrazioni neotestamentarie riguardanti M. la indicano soprattutto come vergine e madre di Gesù Cristo-Dio (Mt. 1, 16-23; Lc. 1, 31-35; Gv. 2, 1). Esse hanno inizio con l'annunciazione (Lc. 1, 26-38), la visitazione (Lc. 1, 39-56), la natività (Lc. 2, 1-7), l'adorazione dei pastori (Lc. 2, 8-20) e dei Magi (Mt. 2, 9-12); proseguono con la presentazione al Tempio (Lc. 2, 22-35), la fuga in Egitto (Mt. 2, 13-15), il ritrovamento di Gesù tra i dottori del Tempio (Lc. 2, 41-50), le nozze di Cana (Gv. 2, 1-11); si concludono con la crocifissione (Gv. 19, 25-27) e l'attesa di Pentecoste (At. 1, 12-14).Un ruolo importante ebbero, accanto a queste narrazioni, i racconti apocrifi, diffusi in Oriente già a partire dai secc. 2°-3°, che cercarono di colmare le lacune narrative neotestamentarie sulla nascita e sulla morte di Maria. I più antichi testi pervenuti di questa tradizione sono il Protovangelo di Giacomo in greco (200 ca.) e il Vangelo dello pseudo-Matteo in latino (sec. 7°-8°), da cui si ricavano gli episodi della nascita, dell'infanzia e dell'ingresso di M. nel Tempio; mentre le narrazioni sulla morte e l'assunzione di M. sono contenute nel Transitus sive Dormitio beatae Mariae Virginis dello pseudo-Giovanni (400 ca.), nella versione latina del Liber transitus Mariae dello pseudo-Melitone (500 ca.) e nella Dormitio Dominae nostrae Deiparae di Giovanni di Tessalonica (inizi sec. 7°).Le testimonianze scritturistiche e in parte quelle apocrife furono alla base dell'elaborazione della dottrina mariana da parte dei Padri; in particolare le parole di Mt. 1, 20-23 (con il loro richiamo alla profezia di Is. 7, 14) e specialmente quelle di Lc. 1, 30-38, vennero indicate a sostegno di due concetti fondamentali del primo dibattito mariologico: la maternità divina di M. e la sua verginità (Ignazio di Antiochia, Ep. ad Ephesios, 18, 2; Giustino, Apologia, 1, 33; Ireneo di Lione, Adv. haer., III, 9, 2; 10, 2). La discussione dei due temi in questa fase (secc. 2°-3°) fu strettamente associata alla dottrina cristologica, la cui formulazione al concilio di Nicea (325) risultò fondamentale alla loro affermazione, alla quale contribuirono altresì gli autori dei secc. 4°-5° (Atanasio, Gregorio Nazianzeno, Cirillo di Alessandria, Ambrogio, Girolamo, Agostino). Il riconoscimento generale del titolo di Theotókos avvenne nel concilio di Efeso del 431 e in quello di Calcedonia del 451 (Mansi, IV, col. 1082; VII, col. 114), mentre la perpetua virginitas di M. venne definitivamente affermata nel concilio di Costantinopoli del 553 (Mansi, IX, col. 375).Importante fu poi il confronto Eva-M., avviato da Giustino (Dial. cum Tryphone, 100) e sviluppato specialmente da Ireneo di Lione (Adv. haer., III, 22, 4; V, 19, 1; Epídeixis, 33) attraverso la dottrina della ricapitolazione: la disobbedienza di Eva (Gn. 3, 6-7) veniva riparata dall'obbedienza di M. (Lc. 1, 38); ciò che era conseguito all'incredulità dell'una veniva risolto dalla fede dell'altra (Maria virgo Evae advocata). Su questa base, e specialmente intorno al concetto di fides, Ireneo (Adv. haer., III, 10, 2; IV, 33, 4) impostò il parallelismo M.-Ecclesia, legandolo alla dottrina della salvezza e all'aspetto della grandezza e della regalità di Cristo (Lc. 1, 32-33). Sostenuto anche da Origene in rapporto al tema della sponsa Christi (In Cant. Cantic., Prologus, 2, 46), tale parallelismo trovò in Ambrogio (In Isaiam, 2, 7) uno svolgimento esemplare che portò a indicare M. quale Ecclesiae typus: formulazione che sarebbe stata ripresa e sviluppata nel corso del Medioevo nell'interpretazione allegorica dei testi veterotestamentari, specie del Cantico dei Cantici, e nei commentari all'Apocalisse.L'evento dell'assunzione di M. dopo la morte (Kóimesis) - la cui festività è attestata a Costantinopoli fin dal sec. 6° e a Roma dal tempo di Sergio I (687-701) - si propose, specialmente nella letteratura omiletica, come tema teologico e fu posto in stretto rapporto con i primi dogmi mariani. In Oriente, dove venne attribuita grande importanza a tale avvenimento, nei secc. 6°-8°, Teotecno di Livia (Laus in Assumptionem beatae Mariae virginis; S. Caterina sul monte Sinai,

Bibl., gr. 491, cc. 238r-246r), Modesto di Gerusalemme (Encomium in Dormitionem SS. Deiparae Mariae; PG, LXXXVI, 2, coll. 3277-3312), Germano di Costantinopoli (Orationes in Dormitionem SS. Deiparae, I-III; PG, XCVIII, coll. 339-372) e in particolare Giovanni Damasceno (Homiliae in Dormitionem B. V. Mariae, I-III; PG, XCVI, coll. 699-762) cercarono di dare alle loro argomentazioni un fondamento dottrinale, ponendo l'evento come conseguente alla maternità divina e alla verginità di M., e approfondirono l'aspetto della sua mediazione celeste.In Occidente una discussione teologica in questa direzione fu avviata a partire dalla fine del sec. 8°, specialmente con Ambrogio Autperto (Sermo de Assumptione S. Mariae; Corpus Christianorum, XVII B, 1979, pp. 1027-1036); tuttavia, l'apparire nel sec. 9° di un testo attribuito a Girolamo ma redatto certamente da Pascasio Radberto (Cogitis me; PL, XXX, coll. 126-147) - ove, prendendo le distanze dagli apocrifi, si rifiutava ogni certezza sull'argomento - pose un freno alla riflessione teologica in proposito. Solo a partire dagli inizi del sec. 12°, con la diffusione di un altro testo - questa volta attribuito ad Agostino (De Assumptione B. M. Virginis; PL, XL, coll. 1141-1148) -, in cui si sosteneva l'assunzione di M. in corpo e anima, si ebbero una ripresa e uno sviluppo dell'approfondimento teologico di questo aspetto mariano, che sarebbe divenuto molto più tardi (1950) verità dogmatica della Chiesa, al pari di quanto era successo, alla fine di un lungo e complesso dibattito teologico, per il dogma dell'Immacolata Concezione (1854).

Bibl.: G.M. Besutti, Bibliografia mariana, I-VIII, Roma 1950-1993; Lex. Marienkunde, I, 1957-1967; J. Michl, K. Rahner, A. Müller, s.v. Maria, in LThK, VI 19622, coll. 25-32; G.I. Söll, s.v. Maria, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, II, Casale Monferrato, 1983, coll. 2104-2111; Handbuch der Marienkunde, a cura di W. Beinert, H. Petri, Regensburg 1984 (con bibl.); Marienlexikon, a cura di R. Bäumer, L. Scheffczyk, I-V, St. Ottilien 1988-1993; s.v. Maria/Marienfrömmigkeit, in TRE, XXII, 1992, pp. 115-162 (con bibl.); s.v. Maria hl., in Lex. Mittelalt., VI, 1993, coll. 243-275.L. Rosano

Iconografia

Nella prima arte cristiana non esisteva un'iconografia mariana specifica, poiché tutto era rapportato a Cristo e dunque anche le rappresentazioni di M. che sorregge il Bambino rientravano in questo contesto e servivano a illustrare il dogma di Dio fatto uomo, del Verbo che assume carne e corpo attraverso Maria.M., dipinta sui muri delle catacombe, occupa il posto riconosciutole dalle comunità cristiane: un posto certamente modesto, ma indispensabile, che venne ratificato in seguito nei concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451). La Vergine rappresentata a Roma sulla volta di un loculus (sec. 3°) del cimitero di Priscilla appare seduta con stretto a sé il Bambino nudo e pieno di vitalità; di fronte si trova un uomo imberbe, stante, vestito con un pallium, che nella mano sinistra reca un rotulo e con la destra levata indica la stella al di sopra della composizione. Si tratta senza dubbio di Isaia che profetizza il concepimento virginale di Cristo, la buona novella che avrebbe illuminato l'intero universo. Se l'artista non avesse dipinto la stella a otto raggi proprio al di sopra della testa di M., si sarebbe potuta interpretare l'immagine come una semplice scena di maternità. La pittura sottolinea il ruolo mariano nell'incarnazione di Cristo contro chi, all'epoca, lo metteva invece in discussione: M. è la Madre di Dio e la sua prima iconografia insiste su questo punto del dogma.Ancora nella decorazione dipinta delle catacombe romane la Madre di Dio è inserita, in almeno quattordici esempi, nelle rappresentazioni dell'Adorazione dei Magi: assai spesso occupa il centro di queste composizioni (per es. affresco del sec. 3° nelle catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro), al fine di sottolineare il ruolo che riveste anche per l'elezione dei gentili.Nei secc. 2°-3° l'iconografia mariana seguì i vangeli pressoché alla lettera, con l'esclusione di ogni riferimento a testi apocrifi; M. appariva infatti nel momento cruciale della storia sacra, nella grandezza e fattualità della sua maternità, assai lontana dall'astrazione teologica cui fece poi ricorso l'arte bizantina.Allo stesso tempo, per tradurre la fervente preghiera della Vergine a Dio, venne utilizzata l'antica formula dell'orante. Sui muri delle catacombe si contano ben cinquantatré raffigurazioni di oranti: sulla volta della cripta di Lucina, nel cimitero romano di Callisto, l'orante è in relazione con il Buon Pastore, intercessore privilegiato presso Dio. Piccoli oggetti, quali i vetri a fondo d'oro trovati in grande quantità nelle tombe, confermano la frequenza di questo soggetto iconografico: in alcuni di essi la figura dell'orante è rappresentata da una giovane donna con le braccia alzate, identificata come la Vergine dalla presenza del nome M. o Mara, sia da sola, sia con s. Agnese, sia tra da due colonne o tra due alberi paradisiaci sui quali si posano due colombe; in due casi M. è raffigurata stante, tra gli apostoli Pietro e Paolo, identificati dai nomi. Più tardi a Roma, nel sec. 7°, sotto il pontificato di Giovanni IV (640-642) e quello di Teodoro I (642-649), un mosaicista riprese sui muri dell'oratorio di S. Venanzio, contiguo al battistero di S. Giovanni in Laterano, lo stesso tipo iconografico: M., abbigliata con una veste blu, con il pallium e una croce d'oro sul petto, protende le braccia verso Pietro e Paolo. Come mediatrice M. rappresenta la Chiesa costituita dalle prime comunità cristiane.Dopo la conversione di Costantino (312), un altro tipo di orante, più interiorizzato, con grandi occhi aperti, sottolinea maggiormente questo ruolo di interceditrice. A Roma, nel Coemeterium Maius, al centro della lunetta di un arcosolio è raffigurata una giovane patrizia con le braccia levate, i palmi rivolti verso lo spettatore e un bambino davanti a sé; il chrismon costantiniano del Salvatore pone in rilievo il personaggio, che evidenzia la grandezza e i privilegi di Maria. In accordo con i commentari dei Padri della Chiesa, per es. Ireneo di Lione, e con quelli degli apologisti, M. occupa un posto particolare nelle devozioni private come avvocata del genere umano. Nel sec. 3°, su di un loculus nel cimitero di Priscilla, una cristiana si fece ritrarre su una lastra, accanto a una Vergine dell'Epifania, alla quale ella si rivolge in questi termini: "Severa, in Deo vivas" (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano). D'altronde ancora sui sarcofagi scolpiti dei secc. 4° e 5° l'immagine di M. assume il ruolo di intermediaria tra vivi e morti, al centro quindi della comunità ecclesiale.Secondo Ambrogio, come il limes doveva proteggere la Chiesa dal resto del mondo, la verginità doveva essere la barriera insuperabile che difende l'essere da ogni commistione (In Lucam, 4, 3; In Psalmos, 118, 10, 7-10; 11, 3-4). Per il rango all'interno della gerarchia cristiana, legato in primo luogo alla sua maternità, M. è l'aula pudoris, la sala regale intatta della castità. Nell'iconografia, M. è isolata su di un seggio con lo schienale rialzato, come quello dell'uomo di cultura nella città antica o, un po' più tardi, quello del vescovo Massimiano di Ravenna (Mus. Arcivescovile, sec. 6°). Il suo corpo è simile alla sala consacrata in cui nessuno può penetrare. Sempre secondo Ambrogio, M. rimase perpetuamente vergine, si conservò intatta nel momento in cui concepì Gesù per opera dello Spirito Santo e la sua matrice non si lacerò come nel corso di un parto normale (Exhortatio virginitatis, 4, 27). Rivestita di un ampio manto, M. è questo corpo intatto, la matrice che simboleggia ciò che è infrangibile e consacrato, fino a rappresentare la Chiesa stessa. Ella è, nella visione del Tempio di Ezechiele (Ez. 44, 2), la porta del santuario che guarda verso Oriente. Le parole claustra, septum, signaculum, con cui Ambrogio descrive questa visione, sono evocative di uno spazio chiuso, murato, sigillato, che amplifica i tratti del personaggio mariano (In Ezechielem, 4, 1-4); la verginità è un giardino segreto, una fontana sigillata. Ambrogio conclude i passi sulla verginità di M. facendo riferimento quasi ogni volta alle porte della chiesa: protetta dal lungo manto che la avvolge, M. fornisce agli ascoltatori dei sermoni del vescovo l'immagine concreta dello schermo intoccabile che circonda la basilica (De institutione virginis, 8, 52). M. riceve una codificazione: diviene un'icona vivente i cui tratti, disegnati o appena tracciati nelle catacombe o nelle chiese, sui muri o sulle fronti dei sarcofagi, ispirano un rispettoso timore alla comunità cristiana, che vede nella Vergine, e come attraverso la Vergine, la sua più sicura giustificazione.A Roma, nei secc. 5°-8°, tra il pontificato di Leone Magno (440-461) e quello di Giovanni VII (705-707), si costituì una vera e propria tradizione iconografica mariana, che fu determinata dagli avvenimenti della storia politico-religiosa e dall'avvicendarsi delle correnti stilistiche. Questo processo ebbe diverse fasi: la prima fu quella della rappresentazione di M. come Theotókos, fondata sui due concili ecumenici di Efeso e di Calcedonia, le cui decisioni ebbero grande influenza sulle imprese decorative avviate a quell'epoca a Roma.Nei bassorilievi scolpiti delle porte (sec. 5°) della basilica romana di S. Sabina, M. è raffigurata due volte, prima in veste di orante tra Pietro e Paolo e poi, nell'Adorazione dei Magi, in trono su di un alto seggio. Come orante, M. rappresenta la comunità ecclesiale di Roma e, scortata da Pietro e Paolo, sostiene il ruolo che i vescovi di Roma rivendicavano alla loro sede nella geografia ecclesiastica. Nell'Adorazione dei Magi, M. è la Theotókos, in base alle deliberazioni dei Padri nel concilio di Efeso, collocata al di sopra di un alto podio cui si accede attraverso due serie di gradini e seduta su di un seggio decorato da zampe di leone, l'antico attributo regale ereditato dalle monarchie orientali ellenizzate. Disposta di tre quarti, ella riceve i re Magi e diviene il personaggio attivo della composizione; Gesù bambino riposa addormentato sulla sua spalla.Intorno al 432 Sisto III fece decorare l'arco trionfale della basilica romana di S. Maria Maggiore con un sontuoso mosaico con scene dell'Infanzia di Cristo, nel quale venne dato grande rilievo alla raffigurazione di M., a cui i Padri a Efeso avevano attribuito il titolo di Madre di Dio. I mosaici di S. Maria Maggiore illustrano inoltre il ruolo che la Theotókos aveva avuto nei misteri dell'infanzia di Cristo, dall'Annunciazione fino alla Fuga in Egitto, seguendo sia i vangeli canonici sia gli apocrifi, in questo modo testimoniando la diffusione di questi ultimi a Roma alla metà del 5° secolo. Se i motivi della composizione appartengono all'arte romana, la preziosità dei costumi e la messa in scena rivelano l'influsso determinante del cerimoniale di corte costantinopolitano: la figura di M. si rifà a quella dell'imperatrice Eudocia, rappresentata sul pannello dipinto che decora l'aula principesca dell'area lateranense, oggi al di sotto dell'ospedale romano di S. Giovanni. La figura della Vergine uscì dunque rafforzata dalle questioni che accompagnarono i due concili di Efeso e di Calcedonia e si affermò a Roma come M. Regina.In una seconda fase, tra la metà del sec. 5° e la fine del 6°, a Roma l'iconografia mariana, pur continuando ad attingere al repertorio locale, mostra una decisa influenza di Ravenna, capitale del re ostrogoto Teodorico (493-526). Ebbe nuova fortuna il tema, assai rappresentato nei secc. 3° e 4°, dell'Annunciazione; questo soggetto venne dipinto per es. agli inizi del sec. 6° (ca. 506-514) nel ciclo di affreschi che decorano la basilica di S. Martino ai Monti, e a S. Maria Antiqua si distinguono ancora sia un'Annunciazione datata alla fine del sec. 6°, sovrapposta a una M. Regina sulla parete a destra dell'abside, sia altre scene con il medesimo tema degli inizi e della metà ca. del sec. 7°, raffigurate sul pilastro sud-est della navata. In rapporto alla Theotókos, questa iconografia rimanda soprattutto al quadro cristologico in cui essa si inserisce, riaffermando il privilegio accordato a M., Madre di Dio, e collocandola al suo posto all'interno del dogma.Sotto papa Giovanni I (523-526) nella catacomba romana di Commodilla venne rappresentata M. in trono con il Bambino sulle ginocchia, affiancata da s. Felice e s. Adautto, con la donatrice Turtura. M. ha come attributo un trono monumentale che ne accentua l'aspetto imponente, non porta tuttavia corona o diadema e l'acconciatura è costituita solamente dal velo che le ricopre interamente la testa. La Vergine appare dunque qui in un contesto decorativo più modesto di quello riservato alla Theotókos; meno gloriosa della Madre di Dio nelle sue vesti cerimoniali, questa Vergine si inscrive in una serie omogenea di immagini analoghe provenienti dallo stesso ambiente di corte: il volto di M. ricorda da vicino quello della Vergine nei mosaici teodoriciani della navata di S. Apollinare Nuovo a Ravenna o ancora quello della Vergine di S. Felicita nella cappella arcivescovile della stessa città. Nel medesimo periodo venne ripreso dall'arte ravennate anche lo schema generale di alcune composizioni, come la Vergine in trono tra angeli (Roma, S. Crisogono, chiesa inferiore).Anche la più antica raffigurazione di M. Regina, posta sulla parete a destra dell'abside di S. Maria Antiqua, si ricollega a questa temperie stilistica. Benché sia oggi frammentaria a causa delle cadute di intonaco, questa Vergine rimane ancora leggibile. La postura è quella di una regina in trono, le vesti sontuose si rifanno alla moda imperiale della corte di Giustiniano, la corona (lo stémma) è la corona muralis; a destra e a sinistra, gli arcangeli Gabriele e Michele si inchinano rispettosamente, offrendo al Bambino le insegne del potere imperiale, corona e scettro.Risulta dunque ormai definito un tipo iconografico che vede M., seduta su un trono prezioso tra angeli o santi, mostrarsi ai fedeli in un nobile atteggiamento, sottolineato dal lungo mantello drappeggiato all'antica che l'avvolge; la palla, o manto, che ne ricopre la testa ricade su una tunica clavata, lasciando scorgere il bordo della cuffia bianca delle matrone romane. In queste rappresentazioni M. offre il proprio Figlio all'adorazione della Chiesa - intesa come Ecclesia a vocazione universale - alla quale si riferiscono sia il tema dei re Magi venuti dall'Oriente sia quello della processione dei dodici agnelli che escono da Betlemme e da Gerusalemme. Il tipo della M. Regina, che conta esempi di grande rilievo artistico, è di notevole importanza per il valore attribuitogli dai papi tra il 7° e 12° secolo.Dalla metà del sec. 7° alla fine dell'8° si delineò la terza fase dell'iconografia mariana a Roma, quella più ricca e maggiormente improntata a un carattere trionfale. Sotto Giovanni VII, M. ebbe un posto centrale nelle grandi raffigurazioni di committenza pontificia tanto da essere preferita a Cristo in maestà. Il sovrano pontefice utilizzò M. come interceditrice presso Cristo-Dio: il papa fece infatti porre la propria immagine stante ai piedi di una Vergine orante nell'oratorio che egli stesso aveva dedicato a M. all'interno della basilica di S. Pietro in Vaticano. Il tipo della M. Regina viene in questo caso a sancire il contratto stipulato: Giovanni VII proclama la sua fede in M. e la implora, nella posizione del devoto, affinché agisca in suo favore; in cambio dell'intercessione della Vergine madre presso il Figlio, il pontefice offre un oratorio di cui reca in mano il modellino.Anche nei secoli seguenti la figura mariana ebbe un'importante espansione, a partire dalle successive riletture che ne diedero le corti imperiali, carolingia e ottoniana.Nei codici miniati prodotti per i sovrani carolingi tra il 760 e l'870 ca. prevalgono le proposizioni formulate nei Libri Carolini; da un lato l'iconografia mariana, in continuità con quanto era stato fatto in precedenza, era intesa come manifestazione visibile della comunità ecclesiale, dall'altro, seppur con particolari caratteristiche, si situava tra le immagini che esaltavano la sovranità. La Vergine orante è la base delle rappresentazioni di M.-Chiesa in gloria. Nel Sacramentario di Drogone la figura di M. dolente si annulla nel personaggio della Chiesa coronata che partecipa attivamente alla Crocifissione raccogliendo il sangue di Cristo in un calice (Parigi, BN, lat. 9428, c. 43v): ella si trova in posizione eretta, immediatamente a destra del Salvatore. La scena illustra la nascita della nuova Eva dal sangue che sgorga dalla piaga di Cristo. Gli artisti precisavano così il ruolo ecclesiale di M. ai piedi della croce, individuandola sotto le spoglie di una donna coronata con in mano uno stendardo tripartito.In altre opere la Vergine orante, a volte affiancata da quattro angeli, stende le braccia tra due candelabri, come in una tavoletta d'avorio dell'800 ca. (Monaco, Bayer. Nationalmus.). M. non è coronata e porta un lungo pallium che la ricopre interamente, passandole sulla testa. I quattro simboli degli evangelisti sono inscritti in medaglioni posti ai lati della Vergine; ai lati appaiono gli apostoli, tra cui si distinguono Pietro e Paolo che alzano gli occhi verso M., come per seguire il suo innalzarsi. In altri esempi, inoltre, alle estremità del registro inferiore figurano due personaggi che si rivolgono agli apostoli per indicare la figura al centro della composizione: per postura e gesti tali personaggi si avvicinano molto agli angeli raffigurati in alcune rappresentazioni dell'Ascensione di Cristo, e del resto la similitudine tra i due temi iconografici indica un prestito dalle rappresentazioni cristologiche. Allo stesso modo, in quest'epoca, le antifone dell'Ascensione di Cristo servirono da modello a quelle cantate nel corso dell'ufficio della Vergine. Il tipo di una M. orante corrispondeva nella maniera migliore all'idea che si cercava di rendere dell'assunzione gloriosa della Vergine, la cui anima si era innalzata al cielo.L'evoluzione del culto mariano nella liturgia e nella devozione conferma l'accostamento tra M. e la Chiesa. I chierici e i teologi videro in M., per l'esemplarità della sua preghiera, la Chiesa in pellegrinaggio verso Cristo-Dio. All'epoca di Carlo Magno (800-814) vennero adottate nella liturgia le quattro feste di ispirazione mariana: la Presentazione di Gesù al Tempio (Ipapante, 2 febbraio), la Dormizione o l'Assunzione (15 agosto), l'Annunciazione (25 marzo), la Natività di M. (8 settembre). Fino a quest'epoca gli omeliari, come quello di Paolo Diacono, citavano per queste feste letture tratte dai Padri della Chiesa (per es. Ambrogio, Agostino) e dai Salmi, senza alcuna specificità. Per l'Assunzione, in particolare, essi riprendevano i passi di Lc. 10, 38ss. che portavano a commentari sulla vita contemplativa e sulla vita attiva. Allo stesso modo, quando nel 780 Ambrogio Autperto predicava sulla festa della Purificazione, spiegava che attraverso la presentazione di Gesù al Tempio bisogna sforzarsi di comprendere il mistero della redenzione (PL, LXXXIX, col. 1297c). M.-Chiesa è dunque quella che riunisce i fedeli al seguito di Cristo.A partire dal sec. 9° intervennero alcuni cambiamenti: Alcuino arricchiva il sacramentario gregoriano con due messe in onore di Maria. Inoltre negli omeliari della scuola di Auxerre non vennero più ripresi i commentari dei Padri, ma quelli di autori contemporanei applicati alle feste mariane.Negli ambienti di corte, in cui era forte l'influsso costantinopolitano, venne elaborata un'immagine mariana più vicina al potere regale. Da tipi dell'arte ravennate, come la Vergine della capsella di Grado, del sec. 6° (Grado, tesoro della cattedrale), deriva in parte la raffigurazione della Virgo militans con tunica e cotta di maglia, in trono, senza Bambino. Solitamente a questo tipo appartengono sia lo scettro a forma di croce astile, sia i fusi nella mano sinistra (per es. in un avorio carolingio, databile 795-805, eseguito in una bottega di Aquisgrana; New York, Metropolitan Mus. of Art), che pongono M. nella linea della Vergine dell'Annunciazione, visibile per es. sull'arco trionfale di S. Maria Maggiore a Roma, sia il trono ricoperto dal pulvinus. L'insieme rinforza l'ortodossia che difende il personaggio mariano, riaffermata dai vescovi carolingi a Francoforte nel 794 e ad Aquisgrana nell'800.Su questo tema regale Alcuino ritornò spesso nella lotta contro gli adozionisti: attraverso Davide, il leone di Giudea, l'antenato di Cristo, egli esaltava il sovrano, novello Davide (Contra Felicem Urgellitanum episcopum, 1, 7-17; PL, CI, coll. 133-142); M. Regina diveniva così M. Imperatrix e integrava Carlo e i suoi successori nella linea davidica di Cristo. Ma il personaggio resta quello che i Padri della Chiesa avevano riconosciuto a Efeso: una guerriera trionfante sulle eresie ovunque nel mondo. L'immagine di M. Imperatrix deve dunque essere letta in riferimento alla lotta per l'ortodossia della Chiesa condotta dall'imperatore contro gli adozionisti, in un momento di riavvicinamento alla corte bizantina. Nel 798 l'emissario dell'imperatrice Irene (780-802), il prelato Teofilo, aveva portato alla corte di Aquisgrana le reliquie del manto di M., prese per l'occasione dalla chiesa delle Blacherne di Costantinopoli (Notkero Balbulo, De gestis Karoli, 7; MGH. SS, II, 1829, p. 751). A quest'epoca si diffuse anche l'Acatisto, inno attribuito spesso a Romano il Melode (sec. 6°), che esaltava le prodezze militari di M.; Carlo Magno ne richiese una traduzione in latino.Dai primi anni del sec. 9° in area carolingia interi edifici di culto vennero dedicati alla Vergine. Sotto il regno di Carlo Magno ebbero ancora modeste dimensioni: a Centula/Saint-Riquier, la chiesa dedicata a M., a S rispetto all'abbaziale, serviva solamente alla celebrazione della Pentecoste. La dedicazione mariana era più frequente per oratori o per cappelle private commissionate nell'ambito regale. Il tipo architettonico prescelto era in generale quello a pianta centrale - come a Centula/Saint-Riquier nella turris Sanctae Mariae - e la rotonda mariana poteva anche trovarsi al capocroce delle abbaziali: è questo il caso di Saint-Germain ad Auxerre, di Saint-Pierre a Flavigny-sur-Ozerain e di Saint-Bénigne a Digione. All'interno delle residenze imperiali le cappelle innalzate in onore di M. sono nella maggioranza dei casi a pianta centrale. Tutti questi edifici seguivano una tipologia precisa risalente in primo luogo alla chiesa presso la tomba della Vergine a Gerusalemme, nella valle di Giosafatte, quindi a quella costantinopolitana delle Blacherne e agli altri monumenti che ne derivarono tra 6° e 8° secolo. Nel sec. 9° anche Carlo il Calvo (875-877) adottò lo schema a pianta centrale per la cappella del palazzo di Compiègne, dedicata alla Vergine.Un modello iconografico mariano legato alle figure dei sovrani andò quindi delineandosi presso la corte carolingia; divergente per il suo aspetto militare dal tipo ecclesiale propriamente detto, tale modello venne ripreso e sviluppato sotto la dinastia ottoniana, che, con Ottone II (973-983), Ottone III (983-1002) ed Enrico II (1002-1024), creò una vera e propria Chiesa di Stato, basata su un'organizzazione e una giurisdizione strettamente territoriali.L'iconografia mariana assunse un carattere maggiormente narrativo nei libri miniati prodotti per il sovrano e la corte nei grandi scriptoria delle abbazie imperiali. In questi manoscritti appaiono infatti raffigurati temi quali lo Sposalizio della Vergine, la Dormizione (Graduale di Prüm, Parigi, BN, lat. 9448, iniziale a c. 52v), la Visitazione (Evangeliario di Artois, Boulogne-sur-Mer, Bibl. Mun., 11, c. 10r), la Presentazione di Gesù al Tempio (Pericopi di Salisburgo, Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 15713, c. IVr). Fu in queste abbazie che si cominciò a preparare un rinnovamento liturgico: a Reichenau, intorno alla fine del sec. 10°, venne eseguita la traduzione di un omiliario bizantino del sec. 8° incentrato sulla Dormizione della Vergine (Karlsruhe, Badische Landesbibl., Aug. LXXX), dove compare per la prima volta in Occidente il titolo di Mater misericordiae, sviluppando l'idea che M. è la madre del Cristo che è misericordia; allo stesso modo la Vergine acquisì il titolo di Redemptrix nel senso di madre del Redentore.Fu soprattutto l'antico tipo della Theotókos, reinterpretato e riadattato per essere reinserito in una nuova immagine, che appare possibile qualificare come Maestà ottoniana, per analogia con il tipo che rappresentava la Processione delle Province venute a rendere omaggio al sovrano (Chantilly, Mus. Condé, 14bis, c. 1r; Bamberga, Staatsbibl., Class. 79, c. 1r; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453, c. 23v). Si tratta di un'Adorazione dei Magi rivista in questo senso a partire dai primi manoscritti ottoniani. Il pittore del Codex Egberti, miniato tra il 977 e il 993 (Treviri, Stadtbibl., 24, c. 17r), illustra la scena ancora attenendosi ai testi delle Scritture: in una miniatura a mezza pagina M., assistita da Giuseppe, è posta all'ingresso di un'edicola che evoca forse la stalla e la mangiatoia; nel registro superiore i Magi, a mezzobusto, seguono la stella; in primo piano gli stessi personaggi si inchinano dinanzi alla Sacra Famiglia e offrono i loro doni al Bambino. La presenza di una nuova formulazione è rivelata dall'adozione di nuovi attributi: i Magi non portano più il berretto frigio ma corone regali cerchiate di ferro; la stalla lascia il posto a una piccola architettura di forma composita, vista in sezione longitudinale. La Theotókos conquista una relativa indipendenza, testimoniata dalla presenza al suo fianco della figura di Giuseppe, non abituale in questo contesto. L'evoluzione si precisa con l'Adorazione dei Magi a tutta pagina nell'Evangeliario di Ottone III, della fine del sec. 10° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453, c. 29r): la scena si svolge sotto un sontuoso portico a doppia arcata merlata, sormontato da tre torri finemente decorate e da un timpano; M. ha la testa circondata da un nimbo bordato di perle, simile a quello del Bambino; i Magi appaiono incoronati e porgono i loro doni, tra cui una cornucopia. La struttura architettonica che inquadra la scena può essere intesa come raffigurazione di un palazzo di cui M. occupa la sala del trono; questa è sempre l'aula sacra di cui parlava Ambrogio, anche se la comparazione presenta uno slittamento concettuale dalla metafora ecclesiale e basilicale alla metafora imperiale e palaziale: sotto un'arcata M. è la signora del palazzo in cui accoglie i visitatori.Agli inizi del sec. 11°, Enrico II accordò alla Vergine onori ancora maggiori: intorno al 1007 il pittore del Libro delle Pericopi dette di Bamberga si ispirò all'Evangeliario di Ottone III, ma rappresentò l'Adorazione dei Magi su due carte giustapposte (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4452, cc. 17v-18r). In un manoscritto miniato per la cattedrale di Spira (Escorial, Bibl., Vitr. 17), l'imperatore Enrico III (1039-1056) rende omaggio a Maria; egli, appena unitosi in matrimonio con Agnese di Poitou, commissionò due raffigurazioni: la prima, di omaggio filiale, rappresenta i genitori del sovrano, Corrado II e Gisella, ai piedi di Cristo in trono (c. 2v); l'altra mostra al centro M. seduta nell'atto di incoronare Agnese, posta alla sua sinistra, e di ricevere un libro che le porge Enrico, umilmente inchinato, alla sua destra (c. 3r). Qui M. appare in veste di Theotókos senza il Bambino e, al pari di Cristo sovrano, accorda la corona all'imperatrice e accetta il libro che le dona l'imperatore: presiede dunque una scena di investitura composta secondo gli schemi dell'iconografia cristologica, ma il cui contenuto è diverso poiché sottolinea la riunione dei poteri, spirituale e temporale, nell'impero ottoniano. M., che non porta su di sé segni distintivi e non è accompagnata da alcun titolo, è avvolta da un mantello, con la testa coperta da un velo e un nimbo senza decorazione, ed è designata come "S(an)c(t)a Maria".Nell'ambito della corte carolingia e di quella ottoniana la figura della Vergine ebbe un importante ruolo all'interno della rappresentazione pubblica e nel campo dell'esercizio del potere terreno.I movimenti riformatori che investirono la Chiesa a partire dal 1050 si imposero con Gregorio VII (1073-1085) e si avvalsero del personaggio di M., e di ciò che ella rappresentava di nuovo e anche di antico: da una parte la Chiesa ritornata alle origini, dall'altra l'immagine di un potere sovrano.In un manoscritto della fine del sec. 10° contenente la Visio Roberti (Clermont-Ferrand, Bibl. Mun., 145, c. 130v) una Maestà mariana precede la narrazione della visione dell'abate Roberto di una magnifica chiesa evocante la ricostruita cattedrale di Clermont e la Gerusalemme celeste. Questa visione faceva riferimento alla ricostruzione della cattedrale di Clermont, attuata dal vescovo Stefano II (937-984), all'epoca in cui una nuova sensibilità al culto mariano si era diffusa in Alvernia a opera dei Cluniacensi: questi ultimi avevano appena affermato un culto mariano a Le Puy, dove l'abate di Cluny Maiolo (965-994) si recò in pellegrinaggio e dove il suo successore Odilone (994-1049) si trasferì. Clermont, poco distante da Le Puy, venne certamente toccata dalla diffusione del culto mariano; è anche possibile che la città stessa fosse un centro attivo di tale culto sotto l'impulso del vescovo Stefano. Nella miniatura citata M. porta un velo sulla testa e tiene uno scettro in forma di croce astile, come la Virgo militans di Aquisgrana, attributo della Chiesa e della Saggezza. Ella siede su un trono con elementi architettonici - che ricordano nella successione delle archeggiature a tutto sesto e delle fasce orizzontali i motivi che decorano solitamente le raffigurazioni delle mura della Gerusalemme celeste - e i suoi piedi poggiano su uno sgabello, piedistallo che ne sottolinea la dignità. Tale figura, esemplata sul testo del manoscritto, riprende il carattere onirico e meraviglioso delle visioni della città celeste (Ez. 5-6; Ap. 12, 1-6; 21, 19-20): M.-Chiesa si afferma dunque in una configurazione apocalittica. Ella è un 'manifesto' della vita cristiana nell'ambito temporale e spirituale e occupa quindi un posto particolare nella valorizzazione della gerarchia ecclesiastica e della sua sfera di controllo.La riforma monastica portò all'affiliazione dei monasteri l'uno all'altro, e alla loro soggezione a un capo dell'ordine a sua volta sottomesso al papa. Si formò così in Europa una rete che, a partire da Roma, estendeva le sue ramificazioni ovunque. Intorno al quarto decennio del sec. 11° questa situazione prefigurava la gerarchia gregoriana delle chiese dipendenti dalla città pontificia.Il tipo mariano della Vergine in trono con il Bambino si diffuse attraverso i differenti gradi della gerarchia, in qualche misura emblematizzandola. Sul piano formale e iconografico risultò relativamente uniformato attraverso gli ordini. Per i Cluniacensi - il cui ideale di riforma e i cui modi di vita furono profondamente permeati dal culto mariano - la Vergine era in qualche caso Mater ecclesia, trono di Saggezza, ma in misura sempre maggiore assumeva l'aspetto della Odighítria bizantina derivata dal leggendario ritratto dipinto da s. Luca. Questa Vergine presenta con la mano Gesù bambino, in un atteggiamento in cui si mescolano devozione e umiltà, virtù che i monaci erano soliti sottolineare nella Regina dei cieli.Durante la prima fase della riforma gregoriana, tra gli anni cinquanta del sec. 11° e i due decenni iniziali del 12°, le immagini di M. acquistarono una grandissima importanza, in primo luogo nei territori da dove iniziò a diffondersi la riforma: il Patrimonium Sancti Petri e il dominium dei Canossa. Si trattava di un'area geografica omogenea, che si estendeva dalle città del medio corso del Po all'Italia centrale e che costituì la base territoriale per la diffusione di un'originale iconografia mariana, sintesi dei linguaggi figurativi propri della Chiesa a partire dall'epoca paleocristiana, con una dichiarata tendenza verso i secc. 3°-5°, per meglio sottolineare la predestinazione di Roma all'impero universale.Una tradizione formale venne in quest'epoca ridefinita all'interno dei territori sottoposti al controllo della contessa Matilde di Canossa, in stretta relazione con Roma. Dal 1098-1099 al 1115-1117 il processo fu coerente e riguardò i principali cantieri architettonici in cui ebbe un ruolo di supervisore Lanfranco. In questi edifici, per i quali fu determinante il riferimento a Cluny II, l'uso della pianta basilicale si generalizzò e furono adottati nuovamente elementi come i protiri; l'arredo liturgico venne ripensato e ridisposto in funzione del coro, che si distingueva dal resto dell'edificio. L'iconografia mariana entrò a far parte di questo insieme e ne trasse pieno significato: la Vergine con il Bambino su un pannello di marmo o di pietra al centro della recinzione corale proclama il dogma dell'Incarnazione, a sua volta ripreso dalle altre figure scolpite sulla stessa recinzione, sulla fronte dell'altare o sul pulpito, all'interno di un programma ben costruito.Nel duomo di Cremona, M. troneggiava su uno dei pannelli scolpiti (Londra, Vict. and Alb. Mus.) costituenti la divisione tra la navata e il coro (1107-1115 ca.). Ella si colloca al posto d'onore, all'entrata del coro che protegge e svela allo stesso tempo e che delimita con la sua semplice presenza. Spesso la recinzione corale è posta verticalmente rispetto alla cripta: raffigurata al di sopra di quest'ultima, la Vergine con il Bambino simboleggia la comunità ecclesiale comprendente vivi e morti. Inoltre, posta com'è sulla recinzione del coro, M. si situa in parallelo al trono del vescovo che si trova sotto il protiro, subito all'esterno del duomo.L'accrescersi dell'importanza conferita alla figura della Vergine si accompagnò al ritorno del simbolismo: il tipo prescelto e l'attributo-segno utilizzato rinviano al potere sovrano del pontefice e ai monumenti che sembrano attestarlo nella maniera migliore. La cattedra su cui siede la Madre di Dio, trono della Saggezza, legittima e fonda la pratica giudiziaria del vescovo attraverso il riferimento che essa istituisce con il vescovo di Roma che amministrava la giustizia sotto un baldacchino allestito appositamente nei pressi delle due basiliche maggiori, S. Pietro in Vaticano e S. Giovanni in Laterano.Nell'area della riforma propriamente detta, nell'Italia centrosettentrionale, tra il 1120 e il 1150 intervennero alcuni cambiamenti che, dal punto di vista stilistico, possono essere posti in corrispondenza con la presenza di Nicolò nella conduzione dei grandi cantieri. L'iconografia mariana adattandosi a un ambiente mutato diede il via sia alla messa in opera di programmi narrativi che privilegiassero gli episodi della vita di M. e quelli dell'infanzia di Cristo, sia alla sempre maggiore umanizzazione del tipo mariano. Dopo il 1150, questi aspetti caratterizzano parallelamente i grandi cicli che decorano gli edifici dell'Ile-de-France.Alcuni portali sono caratterizzati dalla medesima disposizione iconografica: il portale dei Re della cattedrale di Chartres (1150-1155), il portale occidentale della cattedrale di Senlis (ca. 1180), il portale della collegiata di Mantes-la-Jolie e quello centrale della facciata occidentale della cattedrale di Laon (ca. 1200). Al di sopra di un portale strombato, la lunetta diviene uno spazio di rappresentazione ben delimitato e centrato: a Senlis, per es., questa zona scolpita si amplia e discende fino al fregio dei capitelli, servendo allora da palcoscenico per l'iconografia del Trionfo di M.-Chiesa insediata sul trono dei cieli dal Figlio; nell'architrave - si tratta di uno dei primi casi - sono raffigurate due sequenze interamente dedicate alla Vergine: la Dormizione e l'Assunzione.M. occupa solitamente un posto centrale in ogni area, probabilmente per rendere evidente il suo ruolo ecclesiale di interceditrice e di madre di tutti i fedeli. Il trionfo mariano è anche quello del suo ministero riconosciuto e poi, con il tempo, banalizzato. L'Incoronazione di M. nel gâble del portale centrale della facciata occidentale della cattedrale di Reims è posta davanti al grande rosone: la soluzione libera il tema dalle due sequenze narrative, e terrene, che l'accompagnano e conferisce all'intero gruppo un aspetto celeste, quasi fiabesco. Con questa invenzione, i maestri costruttori conferirono alla cattedrale un emblema della sacralità regale, ma svuotarono della sua sostanza il tema iconografico. Nell'Incoronazione o nel Trionfo di M. - sia che la si rappresentasse come Madre di Dio in trono (Chartres, cattedrale, portale dei Re), sia sul punto di essere incoronata dal Figlio o già incoronata e trionfante (Senlis, cattedrale, portale occidentale) - si riprendeva tuttavia la formula base propria della Theotókos: un'icona che viene animata rivolgendola verso Cristo che la accoglie e la incorona. M. è così vista nel suo aspetto principale, quello che i Padri avevano difeso a Efeso e a Calcedonia. Gli attributi esplicitano il ruolo che la Vergine ha in questa tradizione: sia che tenga il libro aperto, come a Senlis, o lo scettro gigliato in riferimento alla profezia di Is. 7, 14, come a Laon, M. è il libro il cui autore è il Verbo incarnatosi in lei; indica il Cristo Salvatore dell'umanità (Lc. 2, 19; 2, 51); è il libro che procede dal Cristo libro. In questo senso, è consacrata al ministero dell'intercessione che inaugurò nella sua vita terrena in occasione delle nozze di Cana (rappresentate, per es. da Giotto nel 1304-1306 a Padova, cappella dell'Arena, secondo registro della parete a sinistra dell'ingresso). I beati contemplano attraverso di lei Cristo redentore.Sul timpano del Giudizio universale (1130-1135) di Saint-Lazare ad Autun, una Vergine incoronata siede sul trono alla destra di Cristo, al di sopra della schiera degli eletti che Pietro conduce in paradiso. Sui timpani romanici e gotici - da Beaulieu-sur-Dordogne alla parigina Saint-Denis, da Basilea a León passando per Laon e per il portale meridionale (1212-1221) della cattedrale di Chartres, per le cattedrali di Parigi (1223-1230), di Amiens (1230), di Bourges (ca. 1250) e di Reims (ca. 1250) - alla scena del Giudizio, in cui Cristo mostra le sue piaghe e le sofferenze patite, fanno riscontro una Incoronazione o un Trionfo di M. posti nei portali dei transetti, in facciata o in un'altra parte dell'edificio, per es. il portale nord come a Chartres.Nel corso della seconda metà del sec. 13° e nel 14°, allorché i temi dell'Incoronazione o del Trionfo della Vergine passarono dalla scultura monumentale alla pittura, scomparvero le tappe preliminari della Dormizione e dell'Assunzione, giacché evocavano in maniera troppo precisa le radici terrene di colei che, come Regina del mondo, siede in trono attorniata da una corte numerosa e splendente.M. è innanzi tutto la sovrana, la Signora. Le differenti versioni dell'iconografia bizantina furono adattate così alle norme del cristianesimo occidentale. Il processo appare particolarmente ben avviato nella Francia del 13° secolo. Già intorno al 1163-1165, sul portale di S. Anna a Notre-Dame di Parigi, M. incoronata è raffigurata in trono tra il vescovo Maurizio di Sully, in posizione stante, e il re Luigi VII, inginocchiato. La Theotókos, implicata negli affari del regno, garantiva l'equilibrio tra il potere spirituale e quello temporale, proteggendo al tempo stesso la comunità. Da questo momento fin verso il 1250-1260, le raffigurazioni dell'Incoronazione o del Trionfo di M. acquistarono anche valore di manifesti dinastici e politici a favore dell'alleanza, incessantemente riaffermata a dispetto di numerose difficoltà, tra re, vescovo e papa; in questo contesto, la denuncia della minaccia costituita dagli eretici fu essenziale al mantenimento dell'equilibrio dei rapporti. L'iconografia del portale dei Re di Chartres e quella del portale occidentale di Senlis sono da interpretare anche in questo senso: M. è la figura politica che permette di pensare l'equilibrio di tutte le componenti del regno. Non è forse dunque un caso che dopo il 1250-1260 la rappresentazione di questi temi tenda a scomparire dall'iconografia monumentale. Fu allora che i giuristi riconobbero ai re di Francia la sovranità sul territorio e non più solamente sui vassalli. Il cambiamento nei testi si tradusse assai rapidamente nella realtà con la concezione di un vero e proprio territorio sottomesso al re. All'esterno si potrebbe riconoscere, allo stesso modo, il ruolo assegnato in questo processo a M., che si colloca nella scia della Virgo militans carolingia e della Maestà ottoniana. A contatto con le terre da poco conquistate, come il Midi della Francia, o nelle marche imperiali verso E, andò così generalizzandosi un tipo dell'Incoronazione di M. da parte degli angeli che riproduceva, intorno al 1250, un'iconografia osservata alla corte del re Luigi IX (1226-1270), per es. nell'abbazia cistercense di Valmagne presso Pézenas, nel Sud-Ovest, così come a Reims o a Strasburgo; in tutti questi casi, M. rappresenta in qualche modo il sovrano nel suo regno.Nella stessa epoca, M. è la Vierge dorée che sui trumeaux delle cattedrali e delle collegiate ha lo stesso ruolo del Beau Dieu, come ad Amiens. La Vergine è divenuta il modello che definisce una norma di comportamento e di attitudine: ovunque celebrata, ovunque cantata, è un personaggio della corte del re di Francia e, a questo titolo, ricopre una estesa serie di ruoli: di volta in volta emblema dello stile rayonnant e regale, exemplum predicabile per la Chiesa, modello di scrittura e fonte di ispirazione per i poeti della corte, la Vergine del sorriso (in quest'epoca è il suo aspetto più frequente) incarna l'ideale di quello che viene definito l'Umanesimo gotico. M. ritrova, sebbene trasposto nella sfera della vita di corte, il suo più alto rango, quello di interceditrice presso la misericordia divina.A partire da questa concezione allargata, la Vergine esalta la dinastia del sovrano, sia che si tratti di Enrico III Plantageneto (1216-1272) nell'abbazia londinese di Westminster, divenuta chiesa reale, sia che si tratti di Carlo IV di Lussemburgo (1347-1378), re di Boemia e imperatore tedesco, che nel castello di Karlštejn a N di Praga fece costruire una cappella a lei dedicata. Ma M. può anche radunare sotto il mantello i componenti di un ordine religioso (Cistercensi, Domenicani, Francescani): in questo tipo di composizione, che le Congregazioni di osservanza volgarizzarono alla fine del sec. 14° e nel primo trentennio del 15°, la Vergine si afferma come 'avvocata' e memoria dell'ordine.

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Su di essi si polarizzarono le rappresentazioni duecentesche e trecentesche di Cristo e della Madonna, tese a esaltare il paradosso della natura umana del Figlio di Dio attraverso l'espressione dei suoi affetti e sofferenze e a sottolineare l'eccezionalità del ruolo della Vergine, sua madre, nella storia della salvezza.Nel sec. 14° giunse a termine, con modalità diverse nell'arte italiana e transalpina, il processo di costituzione di una tradizione specificamente occidentale dell'Infanzia della Vergine, che era iniziato verso la metà del sec. 12° con l'apparizione dei primi cicli mariani nella scultura monumentale e nella miniatura (Chartres, capitelli del portale dei Re, del 1150-1155; Salterio di Winchester, del 1145-1155, Londra, BL, Cott. Nero C.IV), in concomitanza con la diffusione degli apocrifi neotestamentari latini, il Vangelo dello pseudo-Matteo e il Libro della natività di Maria. Grazie al loro tono fiabesco e aneddotico, al gusto per il miracoloso, agli intenti edificanti, queste fantasiose ricostruzioni della vita di M., modellate sul Protovangelo di Giacomo greco, incontrarono largo successo nei secc. 13° e 14° e vennero parafrasate in alcuni dei più popolari testi agiografici, didattico-enciclopedici e devozionali del Tardo Medioevo, che fra il terzo quarto del Duecento e il primo del Trecento si affiancarono loro come fonte iconografica, spesso sostituendoli: lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, la Legenda aurea di Jacopo da Varazze e lo Speculum humanae salvationis, compilati da autori domenicani, e, in ambito francescano, lo Speculum beatae Mariae Virginis di Corrado di Sassonia e le Meditationes vitae Christi. Le illustrazioni che accompagnavano il testo del Vangelo dello pseudo-Matteo dovettero costituire il repertorio di modelli dal quale si sviluppò la tradizione occidentale dell'Infanzia della Vergine. Esse furono originariamente esemplate sulla scorta delle immagini presenti nei manoscritti greci del Protovangelo di Giacomo, ma le numerose varianti testuali operate dall'apocrifo latino impedirono l'accettazione integrale dei prototipi iconografici, condizionando le scelte tematiche dei cicli occidentali con l'eliminazione o la contrazione di numerosi episodi e l'introduzione di altri assenti a Bisanzio, per i quali si dovettero creare immagini ex novo.Il ritardo con il quale i codici del Vangelo dello pseudo-Matteo presero a circolare rende conto del carattere decisamente arcaico dei prestiti iconografici bizantini, tanto più che prima dell'occupazione latina di Costantinopoli nel 1204, salvo rare eccezioni (i capitelli di Chartres e i mosaici del 1150 ca. del transetto sinistro di S. Marco a Venezia, oggi distrutti, e quelli del 1172-1183 ca. dell'atrio della cattedrale di Monreale), la conoscenza diretta dei cicli greci contemporanei fu limitata. La stabilizzazione delle scelte tematiche e iconografiche si raggiunse solo tra il primo e l'ultimo quarto del sec. 13° come mostrano, in area transalpina e italiana, le miniature del Wernherlied von der Magd, del 1225 ca. (Cracovia, Bibl. Jagellónska, Germ. 109), il più esteso ciclo occidentale, e le scene che incorniciano la Maestà di S. Martino a Pisa, del 1285-1290 (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), il più antico ciclo italiano integro, che testimoniano la funzione normativa svolta dalle illustrazioni dell'apocrifo latino.Il tratto più caratteristico dei cicli mariani occidentali, come si vennero a delineare a partire da queste due opere, fu la grande attenzione prestata al padre della Vergine, Gioacchino, cui fu dedicato un numero di scene maggiore che a Costantinopoli, alcune delle quali assenti nella tradizione bizantina (Liberalità, Sacrificio e Sogno di Gioacchino). Si verificò inoltre una contaminazione con le scene dei cicli cristologici in cui figurava Giuseppe, sul modello del quale il Vangelo dello pseudo-Matteo aveva tratteggiato la figura di Gioacchino. Così egli venne per es. frequentemente inserito nella rappresentazione della Natività di Maria. Presente già nei capitelli di Chartres, questo motivo si diffuse soprattutto nell'arte italiana, dove è testimoniato alla fine del Duecento in alcuni libri liturgici, per es. in un antifonario di Bologna (convento di S. Maria dei Servi, C bis, c. 82v), e incontrò un notevole successo nel sec. 14°, come provano tra l'altro le rappresentazioni della Natività della Vergine di ambito senese ispirate all'omonimo dipinto di Pietro Lorenzetti del 1342 (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana) e le illustrazioni dei numerosi manoscritti trecenteschi dello Speculum humanae salvationis. A partire dalla pala pisana, in Italia all'interno dei complessi mariani si venne a ritagliare una sorta di ciclo minore incentrato su Gioacchino, che relegò la figura di Anna a una funzione marginale. Ella comparve solo nella scena dell'Incontro alla Porta Aurea, che alludeva al concepimento di M., e nella Natività di quest'ultima. L'Annunciazione ad Anna fu rappresentata sporadicamente, e solo nei cicli più estesi, per es. nella cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto tra il 1303 e il 1306, forse per la concorrenza dell'Annunciazione di M., che per la sua importanza dottrinale di norma apriva i cicli italiani; in questi casi la scena venne subordinata dal punto di vista compositivo all'Annunciazione a Gioacchino, che era teologicamente molto meno significativa ma più ricca di risorse narrative, come testimoniano per es. gli affreschi di Nardo di Cione del 1345-1360 ca. per la cappella di S. Anna in S. Maria Novella a Firenze.Nell'arte transalpina, invece, la grande popolarità del culto di Anna fece sì che continuasse a essere raffigurata accanto al marito, per es. nelle scene della Liberalità e della Presentazione delle offerte - così come compare nella vetrata del 1370 ca. nel duomo di Ratisbona - o in quella, assente in Italia, della Coppia di sposi abbracciati nell'intimità della loro casa, raffigurati per es. in un trecentesco cofanetto in avorio di fattura francese (Tolosa, Mus. Paul Dupuy). Una netta differenziazione fra la tradizione transalpina e italiana è percepibile anche nella scena della Natività di M., il solo episodio tratto dai vangeli apocrifi rappresentato nell'arte altomedievale d'Occidente, limitatamente alla miniatura dei libri liturgici, perché connesso con la celebrazione della corrispondente festa mariana. A causa prima della mancata conoscenza degli apocrifi e poi della laconicità della descrizione che dell'episodio fornivano questi ultimi, l'immagine fu integralmente modellata su prototipi bizantini. L'eterogeneità delle fonti cui si fece riferimento si riflette nella varietà di soluzioni adottate. Nei manoscritti liturgici italiani e transalpini dominò fino alla fine del Duecento la rappresentazione di M. in fasce dormiente nella culla o in braccio ad Anna puerpera; quest'ultima iconografia si impose nell'arte transalpina duecentesca nella variante della neonata presentata alla madre dalle ancelle, secondo un raro schema orientale risalente al sec. 9° (per es. affreschi della chiesa di Gioacchino e Anna di Kızıl Çukur in Cappadocia).In Italia, a partire dalla Maestà di S. Martino, si adottò costantemente il motivo, desunto dalla miniatura bizantina del sec. 11°, della Lavanda della bambina da parte delle ancelle, spesso nella variante - presente già nei mosaici degli anni novanta del Duecento di Pietro Cavallini in S. Maria in Trastevere a Roma e ispirata alla pittura paleologa tardoduecentesca - con i pani per rifocillare Anna, come negli affreschi del 1365-1371 ca. di Giovanni da Milano per la cappella Rinuccini nella chiesa di Santa Croce a Firenze.In un'epoca nella quale si assistette nelle arti figurative allo sviluppo di un'attitudine al racconto, i cicli mariani non poterono non riscuotere un ampio successo. Il loro carattere narrativo li rendeva tuttavia difficilmente inseribili nei grandi programmi dottrinali che dominavano la Bauplastik delle cattedrali gotiche; perciò, a parte pochi esempi francesi - relativi a programmi scultorei particolarmente elaborati, come quelli dei capitelli del portale dei Re di Chartres e dell'architrave inferiore del timpano del portale di S. Anna (1230 ca.) di Notre-Dame a Parigi -, essi comparvero isolatamente nel resto d'Europa. In questo contesto è significativo che l'unico esempio italiano sia nell'architrave del portale maggiore del duomo di Siena, realizzato da Tino di Camaino nel 1305 ca., tanto più alla luce dei riconosciuti rapporti con la plastica della parete ovest della cattedrale di Reims, il cui architrave centrale era decorato un tempo con lo stesso soggetto. In area tedesca i cicli scultorei mariani apparvero solo nell'inoltrato sec. 14°, a Norimberga nel portale nord del St. Sebald, del 1320, e ad Augusta nel portale sud della cattedrale, del 1343 ca., e assunsero toni miniaturistici, ricorrenti anche nell'unico esempio inglese, le sculture degli anni trenta-quaranta del Trecento della Lady Chapel della cattedrale di Ely, palesemente ispirate alle scene della Vita di M. presenti in alcuni manoscritti locali coevi.Le Storie della Vergine trovarono la loro espressione più congeniale nelle arti pittoriche, nelle vetrate, nei tessuti ricamati, nell'oreficeria, negli avori, che permettevano di strutturare cicli di ampio respiro, particolarmente articolati dal punto di vista narrativo. Nell'arte transalpina tali cicli furono rappresentati prevalentemente nei manoscritti e nelle vetrate - fra le quali le più antiche sono quelle del coro di Chartres, del 1215 ca., e le più estese quelle della cappella di Bianca di Castiglia in Saint-Sulpice a Favières (dip. Mayenne), del 1300 ca., e quelle della Frauenkirche a Esslingen, del 1320-1325 -, talvolta donate dalle corporazioni dei tessitori, che veneravano Anna come patrona (Ratisbona, duomo, 1370 ca.; Ulma, duomo, 1400 ca.).Nella miniatura, le Storie della Vergine comparvero fino al sec. 13° soprattutto nei salteri, come in quello, citato, di Winchester (Londra, BL, Cott. Nero C.IV), ma a partire dalla metà del Duecento furono ospitate per lo più nei testi di devozione privata, come breviari e libri d'ore, in un crescendo che toccò l'apice nella prima metà del Quattrocento (per es. Libro d'ore di William de Brailes, del 1240 ca., Londra, BL, Add. Ms 49999; Grandes Heures del duca di Berry, del 1409, Parigi, BN, lat. 919). I miniatori elaborarono talvolta sistemi inconsueti di presentazione dei cicli mariani: per es. tra la fine del sec. 14° e gli inizi del 15° negli ateliers francesi del Maestro delle Ore del maresciallo Boucicaut e del Maestro del duca di Bedford tali cicli furono raffigurati in una sola pagina, all'interno di fantasiose architetture simili a chiese o a castelli, nelle cui stanze vennero inserite le singole scene in successione cronologica intorno a un ambiente centrale riservato all'Annunciazione a M. (per es. nel Libro d'ore del duca di Bedford, del 1420-1430 ca., Vienna, Öst. Nat. Bibl., 1855, c. 25r).In Italia, le Storie dell'Infanzia vennero realizzate prevalentemente a fresco e furono spesso ospitate all'interno delle chiese nell'area più importante della decorazione pittorica, la cappella maggiore o le pareti del coro. Esse non vennero incluse nei grandi cicli monumentali tardoduecenteschi dedicati all'Assunzione e Incoronazione di M., eccezion fatta per la Natività di Pietro Cavallini nei mosaici, degli anni novanta del Duecento, di S. Maria in Trastevere a Roma e per gli affreschi, degli anni ottanta del Duecento, nella lunetta destra e in quella sinistra del vano absidale del coro della basilica superiore di Assisi che, rovinatissimi, purtroppo non permettono di valutare appieno il ruolo svolto da Cimabue nella costituzione della tradizione iconografica italiana. Il più antico ciclo completo, eseguito da Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova, ispirato alla trattatistica mendicante (Legenda aurea, Meditationes vitae Christi), fu anche quello dotato di maggiore ampiezza e profondità dottrinale. Le Storie della Vergine, che precedono quelle di Cristo, vennero inserite in un complesso programma delineante un percorso ideale attraverso la storia della redenzione, aperto dall'insolita immagine dell'affidamento da parte di Dio della missione all'arcangelo Gabriele e dall'Annunciazione e terminante sulla parete opposta con il Giudizio finale, con M. a capo delle schiere degli eletti.Tra i numerosi cicli mariani duecenteschi e trecenteschi sparsi in tutta la penisola, quelli conservati a Firenze costituiscono una serie piuttosto omogenea sia per ambiti di committenza, quasi integralmente riferibili agli Ordini mendicanti, sia per scelte tematiche, in un arco di tempo che si prolunga ben oltre il Medioevo. Il punto di riferimento dovette essere ancora una volta Giotto, nei perduti affreschi della Badia fiorentina e della cappella Tosinghi-Spinelli in Santa Croce, degli anni dieci-venti del Trecento, meno estesi di quelli padovani. Dopo la parentesi del Maestro di S. Martino, le Storie della Vergine cominciarono a diffondersi nella pittura su tavola solo a partire dal secondo quarto del Trecento, nei trittici e nei polittici, che permettevano di articolare un certo numero di scene in sequenza narrativa, come nella predella del polittico di Bernardo Daddi proveniente dalla chiesa di S. Pancrazio, realizzato nel quarto decennio del Trecento (per la maggior parte a Firenze, Uffizi; uno scomparto di predella è a Londra, Buckingham Palace). Nella pala di S. Savino (1335-1342) per il duomo di Siena Pietro Lorenzetti isolò un singolo episodio, la Natività della Vergine (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana), e lo inserì nello scomparto centrale, elevando per la prima volta una scena narrativa a soggetto principale di una pala d'altare.Nell'arte transalpina i cicli mariani vennero frequentemente rappresentati a partire dalla fine del sec. 14° nei pannelli che decoravano gli altari, per es. nel polittico di Bertram di Minden per la chiesa di St. Petri a Buxtehude nei pressi di Amburgo dell'inizio del sec. 15° (Amburgo, Hamburger Kunsthalle), e trovarono una certa diffusione in alcuni dei più antichi retabli catalani di fine Trecento-inizi Quattrocento, come quello di Lluís Borrassà conservato nel Sant Francesc a Vilafranca (Barcelona) e di Bernat Puig (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya).Nei secc. 13° e 14° il mutamento delle pratiche religiose promosso dagli Ordini mendicanti trasformò radicalmente le funzioni delle immagini sacre, per le quali vennero create forme nuove, meno legate a cultura e linguaggio teologici, più consone a destinatari nei quali la presenza laica aumentava rapidamente. Questo fenomeno ebbe importanti ripercussioni sull'iconografia mariana, che registrò sia un generale rinnovamento del tema tradizionale della Madonna con il Bambino, sia lo sviluppo del tema della Maestà nelle città comunali italiane, sia la prepotente diffusione delle figurazioni devozionali.L'importazione delle icone bizantine seguita alle crociate fu il fattore decisivo in grado di promuovere l'aggiornamento dei codici espressivi mediante l'umanizzazione dei personaggi sacri, che si configurò come nuovo strumento retorico in grado di esaltare la centralità dell'incarnazione nel progetto salvifico di Dio. Particolarmente importante fu l'introduzione dei tipi iconografici dell'Eleúsa - attestata già nei Commentarii in Isaiam di Girolamo realizzati in ambito cistercense prima del 1134 (Digione, Bibl. Mun., 129) - e della Glykophilúsa, tra le più antiche testimonianze del quale figurano gli affreschi, della fine del sec. 12°-inizi 13°, della cappella dedicata a s. Caterina nella chiesa di Notre-Dame a Montmorillon (dip. Vienne). Nei secc. 13° e 14° essi circolarono per lo più in tavole a mezzobusto, la diffusione delle quali fu iniziata dal pittore lucchese Berlinghiero intorno al 1225-1230 ca., come attesta per es. l'altarolo domestico ora a Cleveland (Mus. of Art), e riscossero ampio successo - per es. nel 1280 ca. la celebre Madonna di Crevole di Duccio di Buoninsegna (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana) - subendo una notevole diversificazione non tanto di tipi quanto di formati, a seconda della destinazione, pubblica o privata, e approdando nella statuaria con la Madonna che Giovanni Pisano realizzò nel 1275 ca. per una delle porte laterali del duomo di Pisa (Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana). Le icone a mezzobusto furono coinvolte direttamente nella genesi del dossale e del polittico, in un processo che, iniziato a Siena poco dopo il 1260, si concluse a Pisa nel 1319 con il polittico di Simone Martini (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) per il convento dei Domenicani di S. Caterina.Nell'evoluzione della Maestà una parte importante ebbero gli Ordini mendicanti, che - considerando incompatibili con il loro ideale di povertà le sculture tradizionali della Madonna con il Bambino (Sedes sapientiae o Maiestas), oggetto di venerazione che sfiorava l'idolatria - stimolarono la produzione già esistente di immagini mariane a figura intera su tavola. Esse conservarono fino alla metà del Duecento la rigidezza e la frontalità delle statue di culto, talvolta associando parti dipinte e scolpite, come nella Madonna con il Bambino c.d. del Carmelo, della metà del sec. 13° (Firenze, S. Maria Maggiore, cappella del SS. Sacramento), attribuita a Coppo di Marcovaldo. Il punto di svolta fu costituito dalla Madonna del Bordone, eseguita per i Serviti nel 1261 da Coppo di Marcovaldo e conservata in S. Maria dei Servi a Siena, che riprendeva dalle icone la posizione di tre quarti e l'atteggiamento umano dei personaggi sacri, trasferendoli però su scala monumentale e con figure non più a mezzobusto, ma intere, come nelle Sedes sapientiae romaniche. Nel breve arco di tempo che separa la Madonna del Bordone dalla Maestà del duomo di Siena di Duccio di Buoninsegna, del 1308-1311 (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana), la concorrenza tra i committenti, cioè gli Ordini mendicanti, le confraternite e infine le autorità comunali, fece aumentare vertiginosamente le dimensioni delle tavole e contribuì alla rapida evoluzione del tema. La Maestà divenne un simbolo di prestigio e un veicolo di propaganda politica e ideologica, come nel sec. 12° era stata la Madonna Regina. Così per es. nella stessa Madonna del Bordone la citazione del tipo iconografico della Madonna del Voto ancora in situ nell'omonima cappella del duomo di Siena - davanti alla quale alla vigilia della battaglia di Montaperti (1260) la città era stata consacrata alla Vergine - e la decorazione del maphórion con gli emblemi araldici degli Hohenstaufen, a un anno dalla disfatta dei guelfi suonava come un omaggio alla fazione ghibellina e al governo cittadino che aveva stanziato fondi per la ricostruzione del convento servita senese.Gli artisti che contribuirono maggiormente all'evoluzione del tipo della Maestà furono Duccio di Buoninsegna - con la colossale Madonna Rucellai, del 1285 (Firenze, Uffizi), per la Compagnia dei Laudesi della fiorentina S. Maria Novella e la citata Maestà per l'altare maggiore del duomo di Siena - e Cimabue con la Madonna di Santa Trinita (Firenze, Uffizi) e la Maestà con s. Francesco degli anni ottanta del Duecento nella basilica inferiore di Assisi. Essi fissarono lo schema-tipo delle Maestà italiane medievali e rinascimentali, introducendo accanto al trono della Madonna prima gli angeli, poi i profeti e i santi. La Maestà assisiate fu la prima a essere realizzata ad affresco, tecnica in seguito usata per ampliare la rappresentazione in senso ancora più monumentale che nella pittura su tavola e adottata spesso nelle immagini commissionate dalle autorità politiche: tanto nelle sedi del potere civile - per es. la Maestà di Simone Martini nel Palazzo Pubblico di Siena, del 1315-1317, e quella nel palazzo Pubblico di San Gimignano, firmata da Lippo Memmi nel 1318 - quanto nelle cappelle e negli oratori signorili soprattutto in area lombardo-veneta, per es. la Maestà nella cappella di Bonifacio Lupi nella Basilica del Santo di Padova, realizzata da Altichiero nel 1373-1379.Nelle commissioni private i ritratti dei committenti vennero spesso inseriti nello stesso spazio dei personaggi sacri, in ginocchio davanti alla Madonna, alla quale erano presentati dai santi eponimi, secondo un uso ricorrente per es. nei monumenti funebri tardoduecenteschi, come quello di Guglielmo De Braye (m. nel 1282) di Arnolfo di Cambio nel S. Domenico a Orvieto. Tali immagini evocavano il giudizio particolare, in cui M. sarebbe intervenuta a intercedere per il fedele presso Cristo. Questa convinzione si diffuse soprattutto a partire dal sec. 12° sotto l'impulso della mistica cistercense, che sottolineò il ruolo della Vergine come mediatrice nei confronti di Cristo. Ella era chiamata a soccorrere il fedele tanto in vita quanto dopo la morte nel momento del giudizio.Nei secc. 13° e 14° ebbero grande diffusione le collezioni di miracoli della Madonna, che divennero fonti inesauribili di exempla da adoperare nella predicazione e nell'arte sacra, con finalità didattiche analoghe a quelle usate nelle bibbie moralizzate. È il caso per es. del Miracolo di Teofilo, molto popolare nella Francia del sec. 13°, dove comparve nelle vetrate delle cappelle dedicate alla Vergine (per es. Beauvais, cattedrale, 1245 ca.) e nella scultura monumentale (Parigi, Notre-Dame, timpano del portale del transetto nord, 1250 ca.). Molti manoscritti contenenti queste raccolte di miracoli furono estesamente illustrati; tra i più celebri figurano quelli dei Miracles de Notre-Dame di Gautier de Coincy, della seconda metà del Duecento (Besançon, Bibl. Mun., 551), e quelli delle Cantigas de Santa María di Alfonso X il Saggio, datati entro il 1284 (Escorial, Bibl., T.I. 1; Firenze, Bibl. Naz., B.R. 20), decorati con gustose vignette a piena pagina nelle quali le statue e le icone della Madonna acquistano prodigiosamente vita, parola e movimento, correndo in aiuto del fedele in difficoltà o rimproverando il peccatore da redimere.Gli artisti tardomedievali rappresentarono in molti modi la mediazione di M. nel momento del giudizio che a Bisanzio era stata sintetizzata nella Déesis. All'immagine di presentazione del fedele alla Madonna ricorrente nei monumenti funebri del sec. 13° fece riscontro l'elaborazione, nella statuaria e nella miniatura franco-fiamminga della seconda metà del 14°, di iconografie legate al simbolismo della scrittura, nelle quali M. sorregge il calamaio del Bambino che registra su un libro (il Liber Agni di Ap. 21, 27) i nomi degli eletti o in cui distoglie il Figlio dallo scrivere su un cartiglio (il chirographus di Col. 2, 14) i nomi dei dannati, offrendogli la mammella per bere il latte, come nelle Très Belles Heures del duca di Berry, del 1402 (Bruxelles, Bibl. Royale, 11060-11061, c. 6r). M., come madre carnale di Gesù, allattandolo aveva dato prova di pietà, carità e misericordia, virtù che manifestava nei confronti dei cristiani, dei quali era considerata madre spirituale, intercedendo per loro presso Cristo. A partire dalla fine del Duecento, M. porge il seno o vi incrocia sopra le mani, in segno di intercessione, soprattutto nelle rappresentazioni del Giudizio universale, secondo un'immagine comune nella mistica cistercense del sec. 12°, foriera del dualismo che si sarebbe affacciato nella teologia tardomedievale in termini di opposizione tra la Regina misericordiae che salva e il Rex iustitiae che condanna. Così per es. nei pulpiti di Giovanni Pisano per il S. Andrea a Pistoia (1301) e per il duomo di Pisa (1302-1311) le anime dei risorti afferrano le mammelle della Madonna che si rivolge a Cristo giudice, mentre nel Giudizio universale del Camposanto di Pisa M. Regina porta le mani al seno implorando misericordia a Cristo Re, che si scopre il fianco mostrando le piaghe della Passione.Si inserisce in questo contesto la diffusione di una delle più affascinanti iconografie mariane tardomedievali, la Madonna della Misericordia. La prima notizia dell'esistenza dell'immagine della Vergine che accoglie sotto il manto spiegato un gruppo di fedeli risale al 1264, anno in cui essa comparve sul gonfalone della Confraternita dei Raccomandati fondata da s. Bonaventura in S. Maria Maggiore a Roma. Le più antiche testimonianze figurative sono scaglionate lungo il trentennio successivo, in ambienti francescani e lungo itinerari battuti dai crociati: alcune miniature armene degli anni settanta del Duecento, per es. i Vangeli del principe Vasak (Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 2568/13, c. 320r), la Madonna dei Francescani di Duccio di Buoninsegna, degli anni ottanta-novanta del Duecento (Siena, Pinacoteca Naz.), e un affresco del 1300 ca. nella chiesa della Panaghia Phorbiótissa di Asinou, a Cipro. Esse si riferiscono a un perduto prototipo, forse elaborato in ambito crociato, in cui la Madonna seduta con il Bambino in braccio allarga un lembo del mantello gettandolo su uno o più personaggi inginocchiati. Nel primo quarto del Trecento tale modello venne abbandonato per una composizione simmetrica e statica, senza il Bambino, forse derivata dall'iconografia della Madonna orante Blacherniótissa, diffusa in Occidente in icone risalenti per lo più al 12° secolo. Per quanto sia difficile localizzare e datare con certezza l'origine di entrambi i tipi, una lunga tradizione testuale chiarisce i referenti culturali sottesi al gesto di M.: simbolo di concordia e di unione, ma anche segno di protezione usato nel rituale latino medievale dell'adozione dei figli orfani o nati da donne non sposate, come la stessa M., che già nella mistica cistercense del sec. 12° era invocata come madre adottiva dei cristiani. Lo spirito corporativistico delle prime immagini della Mater misericordiae, che ospitava sotto il suo mantello i soli membri della confraternita, non tardò ad aprirsi agli altri membri della comunità cittadina: laici, religiosi, donne, bambini. Così essa si trasformò in Mater omnium, evocazione di concordia e di unità sociale, come, a dispetto del nome con cui viene ricordata, la Madonna dei Raccomandati di Lippo Memmi, datata al 1325-1330 ca., nella cappella del Corporale nel duomo di Orvieto.Il concetto della mediazione di M., procacciatrice di grazie in quanto madre carnale di Cristo e spirituale dei cristiani, venne diffuso in una serie di immagini che insistevano sul motivo dell'allattamento materiale, come nella Madonna del Latte o dell'Umiltà, o spirituale, come nell'iconografia dell'Allattamento di s. Bernardo. L'immagine paleocristiana della Virgo lactans, che nella raffigurazione del gesto materno per eccellenza evidenziava il paradosso dell'incarnazione del Creatore in una creatura, fu recuperata nel sec. 12° - una delle più antiche testimonianze è nel lezionario di Cîteaux del 1115-1125 (Digione, Bibl. Mun., 641, c. 40v) - e incontrò enorme successo a partire dal 13°, in coincidenza con la diffusione promossa dai crociati delle icone cretesi della Galaktotrophúsa, che stimolò una fiorente produzione di immagini devozionali, a figura intera o a mezzobusto, sia nella pittura sia nella statuaria, come testimoniano la Madonna del Latte, degli anni venti del Trecento, nel palazzo Arcivescovile di Siena o quella di Andrea Pisano, databile alla fine degli anni quaranta dello stesso secolo, proveniente dalla chiesa pisana di S. Maria della Spina (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo). Essa confluì nel sec. 14° in una delle più popolari figurazioni mariane tardomedievali, la Madonna dell'Umiltà, le cui origini sono da ricercare nel dotto ambiente curiale avignonese degli anni venti-quaranta del Trecento. L'elaborazione del tipo, ispirata dagli scritti devozionali di Agostino Trionfo (1243-1328), risale alla produzione tarda di Simone Martini, e precisamente a un prototipo martiniano perduto, l'eco del quale è rintracciabile nell'affresco che decorava la lunetta lignea del portale dell'avignonese Notre-Dame-des-Doms, di cui rimane la sinopia (1340 ca.), conservata nel palazzo dei Papi ad Avignone. In essa la Vergine, che sorregge il Bambino in posizione stante, è seduta a terra, e perciò humilis nel senso etimologico del termine. Il prototipo doveva originariamente comprendere il motivo dell'allattamento, che compare in tutta la produzione successiva, a partire dalla Madonna dell'Umiltà, del 1345 ca., attribuita a Lippo Memmi (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.) e da quella, contemporanea, di Roberto d'Oderisio in S. Domenico Maggiore a Napoli (Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte, depositi), dove M. è indicata come Mater omnium, cioè nutrice adottiva del genere umano, in grado di intercedere come advocata tra il fedele e la divinità. L'origine aulica e colta del tipo trapela nella variante introdotta nel dipinto napoletano (forse riconducibile a un perduto affresco avignonese di Matteo Giovannetti), poi perfezionata da Bartolomeo da Camogli in una tavola del 1346 (Palermo, Gall. Regionale della Sicilia), in cui la Madonna dell'Umiltà, vestita di luce, ha il capo coronato di stelle e i piedi poggianti su una falce di luna, simboli apocalittici interpretati in relazione a una tematica immacolista.Entrambi i tipi conobbero una subitanea propagazione nel regno di Napoli, in Toscana e nelle Marche; furono diffusi in Francia dai miniatori della cerchia di Jean Pucelle - il primo esempio compare nel Libro d'ore del 1360 ca. (New York, Pierp. Morgan Lib., M.88, c. 151r) - e da qui approdarono nella miniatura inglese; nel terzo quarto del Trecento si diffusero in Boemia, come testimonia la Madonna di Vyšerad (Praga, Ss. Pietro e Paolo), e in Catalogna, nell'opera di Jaume Serra. La Madonna dell'Umiltà rivestì inoltre un ruolo importante nella genesi dell'iconografia quattrocentesca dell'Hortus conclusus, come mostra una tavola di Giovanni da Bologna, del 1380-1385 ca. (Venezia, Gall. dell'Accademia), nella quale la terra su cui è seduta M. è divenuta un prato fiorito: un'allusione al giardino dell'Eden dal quale l'umanità fu cacciata a causa del peccato di Eva. La contrapposizione Eva-M., ricorrente nella produzione figurativa medievale a partire dalle porte bronzee di Hildesheim (1015), incontrò nuova fortuna nell'arte duecentesca e trecentesca coniugandosi spesso, come nel caso della Madonna dell'Umiltà con i simboli apocalittici, a problematiche relative all'Immacolata Concezione, che dal sec. 13° schierarono l'uno contro l'altro gli Ordini mendicanti. Si spiega in questo contesto la diffusione nell'arte di immagini che opponevano alla ribellione di Eva al volere divino l'umile accettazione di questo da parte di M., che aveva acconsentito a che il Figlio di Dio si incarnasse in lei. Perciò le Storie dei Progenitori vennero talvolta associate ai cicli mariano-cristologici, come negli affreschi del terzo quarto del Trecento nell'oratorio dei Ss. Caterina e Ambrogio a Solaro, nei pressi di Milano. Ma la contrapposizione Eva-M. fu più frequentemente espressa in immagini non narrative, nelle quali alla Madonna con il Bambino, spesso in Maestà, o alla Virgo lactans, o ancora alla Madonna dell'Umiltà con i simboli apocalittici, venne accostata, solitamente in posizione subordinata, la figura di Eva con il serpente e il frutto del peccato, per es. nella Maestà di Ambrogio Lorenzetti (1343 ca.) nella cappella di Montesiepi presso l'abbazia cistercense di S. Galgano; nella statuaria francese dei secc. 13° e 14°, invece, M. schiaccia sotto i piedi Eva, o un serpente con testa femminile, o ancora una sirena (simbolo di lussuria), per es. nel trumeau del sec. 13° del portale della Vergine della cattedrale di Amiens.Tra le figurazioni che più scopertamente alludevano a tematiche immacoliste compare, soprattutto nella scultura lignea transalpina e nella pittura su tavola italiana del sec. 14°, quella della Madonna e il Bambino seduti in grembo a s. Anna, detta S. Anna Metterza - come appare nel polittico di Luca di Tommè firmato e datato 1367 (Siena, Pinacoteca Naz.), proveniente dalla chiesa dei Cappuccini di San Quirico d'Orcia -, talvolta nella medesima posizione della Trinità nel c.d. trono di Grazia, del quale costituiva l'immagine femminile complementare: come quest'ultima ricordava la natura divina del Cristo morto sulla croce, l'altra ne sottolineava la natura umana, il suo essere nato da una donna esente dal peccato originale.Il concetto di M. come strumento attraverso il quale si era resa possibile l'incarnazione venne visualizzato nelle Vierges ouvrantes o Schreinmadonnen, diffuse, a partire dagli inizi del sec. 13° e soprattutto nel 14°, in un'area compresa tra la penisola iberica, la regione renano-mosana, fino alla Gran Bretagna, alla Svizzera e all'Alsazia. Si trattava di statue cultuali-liturgiche, in legno o avorio, che fungevano da tabernacolo o da reliquiario, aprendosi nella parte anteriore con sportelli che lasciavano vedere all'interno del corpo della Vergine immagini scolpite o dipinte della Trinità, scene della Passione o, più raramente, episodi della sua vita; una delle più note è la Madonna della cattedrale di Évora, in Portogallo, del 1300 circa. Esse traducevano visivamente la metafora, ricorrente negli inni mariani del sec. 12°, di M. come Nobile triclinium o Templum Trinitatis, o ancora come Mater pietatis: l'incarnarsi di Cristo nel suo corpo aveva infatti reso M. scrigno del mistero della salvezza.In Italia, invece, questa idea venne espressa nelle arti pittoriche mediante la Madonna del Parto, che, a differenza della Platytéra bizantina, evocava realisticamente il gonfiore del ventre della Vergine in attesa. M., vestita d'oro come la Donna dell'Apocalisse, o più semplicemente colpita da un fascio di luce (riferimento a Cristo come Lux mundi), tiene di norma un libro appoggiato sul grembo (allusione al Verbo fatto carne). In alcuni casi l'identificazione di M. come tabernacolo di Cristo è visualizzata ponendo direttamente la Vergine sotto un ciborio, come in un affresco staccato di Nardo di Cione, del 1350 ca., in S. Lorenzo a Firenze. Bernardo Daddi in una tavola del 1335 (Firenze, Mus. dell'Opera di S. Maria del Fiore) si spinse oltre, rappresentando, in una sorta di trompe-l'oeil, una Madonna del Parto a mezzobusto entro un'edicola posta su un altare (allusione al sacrificio di Cristo), che tende la mano verso la committente accompagnata dai figli, uno dei quali porta un cero. A differenza della Vierge ouvrante, la Madonna del Parto, pur nella complessità dei rimandi simbolici, rimaneva un'immagine devozionale destinata a un pubblico prevalentemente laico, tanto che l'iconografia diffusa in Toscana, nell'Emilia e nel Veneto fin dal quarto decennio del Trecento pare da mettere in relazione con il culto della reliquia, conservata nel duomo di Prato, della Sacra Cintola di M., di cui si invocava la protezione nel travaglio del parto.Nel sec. 14° nelle pratiche devozionali l'insistenza sul concetto dell'imitatio Mariae ebbe una parte importante nella diffusione di immagini che rappresentavano M. intenta a filare, cucire o ricamare, diffuse soprattutto nei libri d'ore, per es. nelle citate Grandes Heures del duca di Berry, del 1409 (Parigi, BN, lat. 919, c. 34r), o in piccoli dipinti di uso domestico, come la tavola realizzata da Vitale da Bologna negli anni quaranta del Trecento (Milano, Mus. Poldi Pezzoli), ma anche in arazzi o in tessuti. Tali immagini evocavano i modelli di comportamento cui si dovevano ispirare soprattutto le donne, castità, operosità, obbedienza, umiltà, e per questa ragione furono apprezzate in particolare nei conventi femminili, dove probabilmente vennero elaborate agli inizi del Trecento (uno dei primi esempi è a Esslingen, Frauenkirche, vetrate). La contemporanea diffusione dell'immagine di S. Anna che insegna a leggere a M. bambina, elaborata con tutta probabilità in Inghilterra, testimonia però che nel Tardo Medioevo l'imitatio Mariae poteva estendersi ben al di là della ristretta gamma di attività manuali cui era circoscritta l'educazione femminile. Alberto Magno aveva definito M. magistra nelle sette arti liberali (Sheinghorn, 1993) e nel sec. 14° questa immagine divenne un modello di comportamento che incitava le donne a inserirsi nella prospettiva della salvezza anche mediante l'acquisizione della cultura. Non a caso apparve quasi esclusivamente nella miniatura, come accompagnamento figurativo di quei testi, breviari e libri d'ore, sui quali si esercitavano gli studenti alle prime armi con il latino (per es. nelle Sarum Hours, del 1325-1330, Oxford, Bodl. Lib., Douce 231, c. 3r).

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Area bizantina

La principale distinzione riguardo alle immagini della Vergine deve essere fatta tenendo conto dei molteplici ruoli che M. riveste nell'iconografia bizantina. Infatti se, in base alle fonti apocrife, viene posta l'attenzione sull'immagine di M. inserita in una narrazione articolata, nell'intento di fornire allo spettatore connotazioni più facilmente fruibili del personaggio, la Vergine trova uno spazio definito anche come figura isolata, assumendo in questo ruolo connotazioni precise, in relazione ad appellativi specifici. Pertanto l'iconografia mariana si attesta, attraverso il mutare dei tempi, su due filoni principali: M. può essere, da un lato, immagine unitaria, anche se non necessariamente sola, e, dall'altro, protagonista di un personale ciclo narrativo, come quello dell'Infanzia oppure della Kóimesis o Dormizione. Oltre a ciò la Vergine può venire raffigurata come personaggio secondario nei cicli inerenti alla vita di Cristo (Infanzia, Miracoli, Passione).Anche se la prima raffigurazione della Vergine si considera nella tradizione quella acheropita attribuita alla mano di s. Luca, di cui eloquente testimonianza è la miniatura di un codice delle Omelie di Gregorio Nazianzeno, del terzo quarto del sec. 11° (Gerusalemme, Greek Orthodox Patriarchate, Lib., Hághiu Táfu, 14, c. 106v), l'iconografia di M. non può comunque prescindere dal presupposto esplicitato dal dogma efesino che afferma il titolo di Theotókos, madre di Dio, ruolo peraltro sempre evidenziato dai vangeli canonici. L'intenzione di ribadire un concetto fortemente contestato dalle eresie dei primi secoli cristiani, in particolare a causa dell'opposizione nestoriana, si palesa attraverso l'utilizzo di un'iconografia rispondente alle conoscenze dei fruitori, vale a dire traendo in parte origine dal substrato culturale preesistente. M. viene pertanto rappresentata stante con le braccia alzate, secondo la raffigurazione dell'orante, che trae origine da immagini pagane intese come allegorie della pietà, ma la si trova anche effigiata frontalmente, posta su di un trono, come spetta a una figura di rango imperiale, oppure stante mentre tiene tra le braccia il Bambino, per sancire il legame indissolubile tra i due.Il tipo della Vergine orante può considerarsi l'elaborazione successiva di una qualsiasi figura femminile orante che, invece, appartiene alle immagini dei primi secoli della cristianità, visibili nella pittura catacombale e nei sarcofagi del 3° e 4° secolo. Si ha così testimonianza di M., da sola in piedi con le braccia alzate rivolte verso l'alto in segno di preghiera, ancora nel mosaico a figura intera della fine del sec. 11°, un tempo appartenente alla basilica ursiana (Ravenna, Mus. Arcivescovile), o in quello a mezzo busto del nartece, oggi perduto, della chiesa della Dormizione a Nicea (1065-1067), in alcune monete dell'età di Costantino IX Monomaco (1042-1054), come per es. un milarésion in argento (Parigi, BN, Cab. Méd.), e in un rilievo in marmo, della seconda metà del sec. 13° (Berlino, Mus. für spätantike und byzantinische Kunst). Secondo il patriarca Fozio (Hom., 10) questa tipologia poteva avere giusta collocazione nell'abside di un edificio di culto, insieme ad altre immagini di santi, profeti, apostoli e martiri. Un ulteriore sviluppo del tema sussiste nelle chiese dei secc. 11° e 12°, come nel mosaico della Santa Sofia di Kiev, dove M. orante, che viene a simboleggiare la Chiesa terrena, è situata appunto nell'abside, rivolgendosi in preghiera al Cristo Pantocratore posto nella cupola (v. Cristo; Lazarev, 1967, pp. 126-130).Anche l'abbigliamento di M. in età bizantina segue un canone ben preciso, componendosi di specifici elementi come la tunica, il maphórion stellato (sorta di manto che ricopre la tunica), la mitella (cuffia bianca che avvolge il capo di M.), e le scarpe, o pantofole, di colore rosso.Il tipo della Vergine seduta in trono presenta, a partire dalle raffigurazioni del sec. 6°, alcune varianti: nella valva destra di un dittico eburneo (Berlino, Mus. für spätantike und byzantinische Kunst) M. è attorniata da due ministri angelici, come nel riquadro centrale di un altro dittico eburneo, proveniente da Eǰmiacin, in Armenia (Erevan, Matenadaran, inv. nr. 2374); nel mosaico in parte perduto della Panaghia Kanakaria a Lythrangomi, a Cipro, M. è racchiusa entro una mandorla; nel mosaico della basilica di Parenzo, in Croazia, si raffigurano anche alcuni santi, così come in un'icona sinaitica del sec. 7° (S. Caterina sul monte Sinai, monastero); a Bāwīt, in Egitto, nell'affresco absidale attribuito a un periodo che va dal sec. 6° al 7°, un tempo appartenente alla chiesa di S. Apollo e ora staccato (Cairo, Coptic Mus.), M. è circondata addirittura dagli apostoli. La variante che evidenzia, invece, la figura di M. stante trova riscontro nel mosaico absidale della Panaghia Angheloktistos di Kiti, a Cipro, attribuito variamente al sec. 6° o al 7°, dove peraltro si nota la presenza dei due angeli, e in quello perduto, del sec. 7°, nella chiesa della Dormizione a Nicea.Nel clima di età posticonoclasta, dopo che il secondo concilio di Nicea (787) aveva ribadito il titolo di Theotókos per la Vergine, insistendo dunque sulla pregnanza dell'incarnazione di Cristo, le immagini di M. trovarono una significativa collocazione in zone specifiche all'interno degli edifici di culto. Come già si rivela da alcune immagini in precedenza citate, la conca dell'abside principale delle chiese venne a essere il luogo deputato a ospitare l'iconografia mariana: è il caso dei mosaici della Santa Sofia costantinopolitana (867) e di quella di Salonicco (843-885). Questo fenomeno in seguito risultò di maggiore evidenza nel periodo che va dalla fine del sec. 9° agli inizi del 10° (Grabar, 1962), quando la raffigurazione della Vergine prese il posto di quella del Pantocratore, venendo quest'ultima spostata nella cupola; dal sec. 11° in avanti addirittura a M., e non più a Cristo, fu riconosciuta la priorità assoluta per quello che concerne la zona absidale. A questo proposito, emblematici sono alcuni dei molti esempi esistenti in ambito bizantino: il mosaico del monastero di Hosios Lukas, nella Focide, del primo quarto del sec. 11°, quello citato della Santa Sofia a Kiev (1042-1046) e quello della chiesa del monastero a Gelati (1130), in Georgia, oltre all'affresco absidale della Santa Sofia a Ochrida, in Macedonia, del sec. 11°, e a quello più tardo di S. Maria Assunta a Torcello, nei pressi di Venezia, della seconda metà del 12° secolo.Prima di introdurre il vasto e complesso repertorio iconografico relativo alle tipologie delle icone bizantine, è necessario porre in evidenza come la raffigurazione di M. in trono permanga con una certa continuità soprattutto nell'ambiente costantinopolitano: la connotazione imperiale si evidenzia nei mosaici della Santa Sofia, dove nella lunetta del vestibolo sud la Vergine riceve l'omaggio dei due imperatori Costantino e Giustiniano (986-994) e ancora, in uno dei pannelli della tribuna sud, è stante con ai lati l'imperatore Giovanni II Comneno e l'imperatrice Irene (1118). Il tipo rimane anche nell'ambito della miniatura, come testimonia un'immagine di un salterio del sec. 11° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 336, c. 16r).La rappresentazione di M. Regina è in genere un'immagine utilizzata in ambito occidentale (Matera, cripta del Peccato originale, sec. 8°-9°; Roma, S. Clemente, sec. 9°) con l'intento di esplicitare ulteriormente la regalità della Vergine. Alcuni studiosi hanno però proposto una differente lettura del tema, ascrivendo la composizione anche al contesto bizantino (Andaloro, 1986).Il discreto numero di tavole lignee pervenuto fino a oggi, ma soprattutto il ripetersi con varianti, in alcuni casi non sostanziali, di numerose iconografie della Vergine, consentono la puntualizzazione di alcune tipologie di immagini (v. Icona). Nell'ecumene bizantina, anche dopo la fine del sec. 14°, queste tipologie hanno avuto grande importanza, in quanto passibili di una stretta relazione tra la devozione da parte dei fedeli e il particolare contesto culturale e geografico in cui questa devozione aveva luogo, soprattutto in ambito russo e greco. In genere M. viene rappresentata con l'indiscussa presenza del Bambino, della quale, a seconda del tipo, si propone un'immagine diversificata, come sottolinea un'icona con varie raffigurazioni della Vergine ed episodi della Vita di Cristo (S. Caterina sul monte Sinai, monastero; Sotiriu, Sotiriu, 1956-1958, nr. 146). Si tratta di tipologie presenti soprattutto nelle icone, ma in alcuni casi realizzate anche come immagini devozionali sulle pareti di edifici di culto.Uno dei più antichi modelli iconografici è sicuramente la Vergine Odighítria, legata alla leggendaria presenza di un'icona con la Vergine e il Bambino inviata nel sec. 5° dall'imperatrice Eudocia, durante il suo viaggio in Palestina, a Pulcheria e poi conservata nel monastero costantinopolitano degli Hodigoi, da cui la denominazione di Odighítria, e poi distrutta dai Turchi nel 1453. Questa rappresentazione della Vergine con il Bambino tenuto su di un braccio e rivolto verso lo spettatore è presente in tutta l'età bizantina, ma anche oltre, e ha una primaria testimonianza nel sec. 6° in un'icona a encausto conservata a Kiev (Gosudarstvennyi muz. zapadnogo i vostočnogo iskusstva). Altri importanti esempi sono quelli dell'Odighítria musiva della prima metà del sec. 11° nella chiesa di S. Giorgio al Patriarcato greco a Costantinopoli, di quella, sempre musiva, del sec. 12° nel monastero di Chiliandari sul monte Athos e di un'altra facente parte della collezione del monastero di S. Caterina sul monte Sinai, della fine del sec. 12°, fino a giungere alle icone di produzione crociata del sec. 13° e a quelle della c.d. scuola veneto-cretese del 15° secolo.A partire dal sec. 6°, ma soprattutto nel periodo postico-noclasta, le immagini della Vergine con il Bambino tendono a essere isolate e a costituire dei veri e propri tipi, attraverso l'espressione di specifici epiteti. Le principali raffigurazioni, oltre all'Odighítria, sono quelle della Eleúsa, di cui l'icona di maggiore rilievo è la Vergine di Vladimir, del sec. 12° (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.), dove M. e il Bambino presentano le teste ravvicinate e le guance che si toccano in segno di tenerezza e di compassione; sono da ricordare ancora la Vergine Eleúsa di un salterio della seconda metà del sec. 11° (Berlino, già Christlich-archäologische Sammlung der Berliner Univ., 3807, c. 2v) e quella in un'icona con mezze figure di santi, della metà del sec. 14° (San Pietroburgo, Ermitage). Ulteriori sviluppi di questo tipo possono essere considerate la Vergine Epískepsis (icona musiva del sec. 14°, Atene, Byzantine Mus.) o la Vergine Glykofilúsa, quest'ultima così denominata soprattutto in età postbizantina (icona del sec. 13°, S. Caterina sul monte Sinai, monastero; Sotiriu, Sotiriu, 1956-1958, nr. 201). La Galaktotrofúsa, detta in Occidente M. Lactans, che ha origini negli affreschi del sec. 6° di Bāwīt e di Ṣaqqāra, in Egitto, raffigura M. che allatta il Bambino con l'intento di visualizzare la realtà dell'incarnazione. La Vergine Blacherniótissa, o Blachernítissa, che prende il nome dal monastero delle Blacherne a Costantinopoli, dove si venerava la reliquia del maphórion della Vergine, è un tipo particolare dell'immagine di M. orante (Vergine Blacherniótissa con arcangeli del 1208-1209, Studenica, in Serbia, chiesa della Vergine, abside), mentre la Vergine Platytéra, menzionata nella liturgia di s. Basilio, prevede l'aggiunta di un medaglione, posto sul petto di Maria, con all'interno l'immagine del Bambino. La Kyriótissa, che fa esplicito riferimento al dogma dell'incarnazione e in cui il Figlio viene presentato al mondo, è un'immagine di M. stante oppure a mezzo busto con il Bambino entro clipeo, in cui entrambi sono posti frontalmente (Tatić-Djurić, 1981), e deve essere messa in stretta relazione con la Blacherniótissa. La mancanza del clipeo, ma la permanenza del Bambino davanti al seno, può, a volte, evidenziare il tipo della Vergine Nikopoiós, di cui un importante esemplare del sec. 11°-12° si trova in S. Marco a Venezia. La Vergine Haghiosorítissa è il tipo rappresentato di profilo con le mani distese davanti al petto in segno di preghiera (icona di fattura costantinopolitana del sec. 12°, Spoleto, duomo), spesso raffigurato anche nella composizione della Déesis e in quella del Giudizio universale (affresco del 1028 ca., Salonicco, chiesa della Theotokos, nartece; affreschi del secondo decennio del sec. 14°, Costantinopoli, Kariye Cami, parekklésion).Singolare, ma non raro, è infine il caso di due immagini che rappresentano, secondo il tipo dell'icona di M. con il Bambino, Anna che allatta M. (Kurbinovo in Macedonia, S. Giorgio, 1191; Mistrà in Grecia, chiesa della Vergine Peribleptos, 1350).In alcune immagini devozionali e della Passione, M. compare come figura dall'espressione addolorata per gli avvenimenti accaduti al Figlio, come nel dittico della fine del sec. 14°, nel convento della Trasfigurazione alle Meteore, in Grecia. La presenza del Bambino, in alcune icone come in quella bilaterale della Passione di Kastoria (Archaeological Coll.), del sec. 12°, non lenisce il dolore della Madre, in quanto M. è già a conoscenza degli eventi che devono accadere: questa raffigurazione può quindi essere rapportabile con l'immagine di Cristo morto, posta sull'altro lato della tavola (Belting, 1981, trad. it. 1986, pp. 103-142).Non meno importante è la menzione del tema iconografico della Déesis, che prevede una raffigurazione con al centro Cristo tra M. e S. Giovanni Battista. Le principali testimonianze si attestano in contesti sia costantinopolitani, come nel mosaico della Santa Sofia, del secondo quarto del sec. 12°, e in quello del nartece interno della Kariye Cami, del 1307 ca., sia provinciali, come nelle chiese rupestri dell'Italia meridionale - dove la Déesis occupa in genere la zona absidale -, in Cappadocia e in Georgia, oltre a trovare spazio anche nelle icone del sec. 12° (S. Caterina sul monte Sinai, monastero) e negli avori, come in una formella di fattura costantinopolitana, del sec. 12° (Parigi, Louvre). In questa composizione M. assume la specifica funzione di intermediaria, insieme a S. Giovanni Battista, con il compito di intercedere tra il fedele e la divinità suprema, rappresentata da Cristo.Inoltre, la presenza della Vergine, intesa come raffigurazione della profezia della venuta di Cristo e quindi del concepimento verginale, viene evocata anche in cicli del Vecchio Testamento. Si tratta di alcune scene tra le quali quelle del Roveto ardente, del Letto di Salomone, come per es. nelle Omelie del monaco Giacomo Kokkinobaphos, del sec. 12° (Roma, BAV, Vat. gr. 1162, c. 82v), della Scala di Giacobbe e del Sogno di Nabucodonosor, che in alcuni casi non sono solo evocative della profezia ma, allo scopo di rendere maggiormente esplicita la rappresentazione, inseriscono la stessa figura di M., in genere sul modello di un'icona di piccole dimensioni (affresco con il Letto di Salomone del 1295, Ochrida, chiesa della Theotokos Peribleptos, nartece). L'importanza di queste immagini assume, comunque, un valore preciso in quanto ripreso dai testi della liturgia bizantina. Allo stesso modo si può considerare la rappresentazione, sviluppatasi soprattutto in epoca paleologa, dell'inno Acatisto (v.) e delle Stichere o inno di Natale (Žiča in Serbia, chiesa dell'Ascensione, sec. 13°; Ochrida, chiesa della Theotokos Peribleptos), quest'ultimo con M. in trono con il Bambino, attorniata da personaggi che recano doni (angeli, Magi, pastori, allegorie della Terra e del Deserto), come recita il menáion del 25 dicembre.I cicli che narrano gli avvenimenti della Vita della Vergine sono nell'iconografia bizantina quello dell'Infanzia e quello della Kóimesis, dove a M. viene assegnato il ruolo indiscusso di protagonista. In origine l'immagine di M. era però legata agli episodi della Vita di Cristo, come nella cattedra eburnea di Massimiano, del sec. 6° (Ravenna, Mus. Arcivescovile), mentre una prima superstite testimonianza di un ciclo con scene relative all'Infanzia di M. si attesta solo a partire dal sec. 9° a Kızıl Çukur, in Cappadocia (869-870), anche se il modello potrebbe avere avuto radici nel periodo preiconoclasta (Lafontaine-Dosogne, 1964-1965, p. 187). Dal sec. 10°-11° in ambito costantinopolitano, per es. nel Menologio di Basilio II, del 976-1025 (Roma, BAV, Vat. gr. 1613), l'attenzione viene incentrata su alcuni episodi salienti, come l'Incontro tra Gioacchino e Anna, la Sanzione del concepimento, la Nascita (Dafni, chiesa del monastero, sec. 11°), primo episodio in cui compare la Vergine raffigurata sia nella culla sia nel bagno con l'ancella (Babić, 1961), e la Presentazione di M. al Tempio (icona del sec. 14°, Athos, Chiliandari). In realtà tra i secc. 11° e 12° il ciclo dell'Infanzia si trova con una certa frequenza in molti edifici di culto bizantini, prendendo posto in specifici luoghi della chiesa, per es. il naós se l'edificio è dedicato a M., anche se prevale ancora l'elemento liturgico su quello narrativo (Dafni, chiesa del monastero, sec. 11°; Lagudera a Cipro, Panaghia tu Araku, 1192).Lo svolgersi del ciclo dell'Infanzia viene a essere variamente articolato con modelli iconografici che si ripetono nel corso dei secoli e che trovano la loro più completa espressione (Lafontaine-Dosogne, 1964-1965) solo nel sec. 12° con le sessantatré decorazioni miniate delle citate Omelie di Giacomo Kokkinobaphos (Roma, BAV, Vat. gr. 1162). Degni di nota appaiono alcuni episodi come la Letizia dei genitori per la nascita della Vergine (c. 38v), Anna riporta M. nella sua camera (c. 46v), l'Arrivo di M. e Giuseppe presso la casa di questi (c. 105v) e la Consegna della porpora (c. 109r), in cui è esplicita l'attenzione allo svolgersi del racconto, che trae origine dal Protovangelo di Giacomo e dal Vangelo dell'infanzia. In età paleologa altre scene del ciclo evidenziano l'aspetto umano e l'attenzione ai valori affettivi (Velmans, 1967). Si tratta delle Carezze (Studenica, Ss. Gioacchino e Anna, 1314; Ochrida, chiesa della Theotokos Peribleptos; Costantinopoli, Kariye Cami, 1315-1320) e dei Primi passi (Costantinopoli, Kariye Cami), immagini in cui si vedono i gesti di affetto di Gioacchino e Anna nei confronti della figlia. Al ciclo affrescato della Theotokos Peribleptos a Ochrida deve essere, infine, dato il primato sia della sintesi compositiva sia della completezza in un susseguirsi di episodi ben definiti, che difficilmente l'ambito costantinopolitano propone nella sua interezza (Lafontaine-Dosogne, 1964-1965, p. 194). Particolarità pregnante di tutte le scene dell'Infanzia, tranne quella della Nascita, è la rappresentazione di M. come un piccolo adulto.Altro ciclo in cui M. viene raffigurata come protagonista è quello della Kóimesis, che prende spunto dal racconto del Transitus sive Dormitio Mariae Virginis, e narra le vicende relative alla morte e all'assunzione in cielo della Vergine. La composizione si colloca in genere al di sopra della porta d'ingresso della chiesa o sulla parete ovest di fronte alla zona absidale. In realtà il ciclo, che si sviluppa nel sec. 11° con le prime testimonianze del vangelo conservato sull'Athos (Iviron, 1, c. 307r) e della composizione musiva di Dafni, alle origini era la sola scena principale inerente alla Morte della Vergine, in alcuni casi ampliata al corteo funebre. Infatti M. viene raffigurata distesa sopra un letto, con gli occhi a volte aperti a volte chiusi, nella zona centrale della scena, mentre ai piedi del letto si collocano gli apostoli, tra cui si riconoscono Pietro con il turibolo, Paolo e Giovanni chinati verso il letto della Vergine, dietro cui sta Cristo che tiene tra le mani l'anima della Madre, effigiata come un infante; lo sfondo è poi costituito da quinte architettoniche e milizie angeliche (Kurbinovo, S. Giorgio). Nel corso dei secoli l'iconografia ha poi apportato alcune varianti alla scena, dal momento che la celebrazione liturgica della Kóimesis venne a essere annoverata tra le Grandi feste dell'anno liturgico bizantino (v. Feste liturgiche); si tratta dell'aggiunta della figura dell'ebreo che tenta di profanare la salma con una spada, ma viene fermato da s. Michele l'Arcangelo, come nella Panaghia Mavriotissa di Kastoria, del sec. 12°, o di quella dell'angelo che viene a prendere l'anima di M., come nella chiesa della Trinità a Sopočani, in Serbia, del 1256; in una formella in avorio, del sec. 12° (Ravenna, Mus. Naz.), oltre agli apostoli si trovano le donne mirrofore, a cui si aggiungono i Padri della Chiesa nell'affresco della Santa Sofia di Ochrida (1040); poi ancora a S. Nicola a Prilep, in Macedonia (1299), l'anima in sembianze di un piccolo bambino lascia M. dalla bocca e a S. Giorgio a Staro Nagoričino, in Serbia (1317), si notano gli otto profeti che avevano preannunciato la venuta della Vergine. È inoltre possibile trovare in quest'ultima composizione l'aggiunta del tema dell'Assunzione attraverso un'altra immagine di M. raffigurata entro un alone e seduta su di un arcobaleno, mentre tende la 'cintura' all'apostolo Tommaso situato su di una nuvola. Dalla fine del sec. 13° in ambito serbo la Kóimesis viene a essere un vero e proprio ciclo, corrispondente alle Omelie di Germano di Costantinopoli e alla liturgia del 15 agosto, come negli affreschi della Theotokos Peribleptos a Ochrida e della chiesa della Vergine di Gračanica, in Serbia, del 1321, con le seguenti raffigurazioni: Annuncio alla Vergine da parte di un angelo della sua morte imminente, M. prega in un luogo roccioso, M. seduta su di un trono si accomiata dalle donne rattristate, scena centrale della Kóimesis, gli Apostoli portano sulle spalle la lettiga con il corpo della Vergine e infine gli Apostoli pongono M. nel sepolcro, mentre un uomo in abiti vescovili legge un libro aperto.Le prime raffigurazioni delle scene relative al ciclo della Vita di Cristo in cui compare la figura della Madre sono alcune pitture catacombali romane con il tema dell'Annunciazione (v.) e dell'Adorazione dei Magi, dove peraltro l'iconografia della Vergine non si discosta dai modelli delle raffigurazioni di M. come figura singola o con il Bambino. Successivamente gli esempi più significativi sono l'Ascensione, la Pentecoste e ancora l'Adorazione dei Magi. Nell'Ascensione, Lazarev (1967, p. 128) individua M. con il tipo dell'orante, come per es. nelle ampolle di Terra Santa (Monza, Mus. del Duomo), nei Vangeli di Rabbula, del sec. 6° (Firenze, Laur., Plut. 1.56, c. 13v), e nel Tetravangelo, del 1100 ca., di Parma (Bibl. Palatina, Pal. 5, c. 90v). Nella Pentecoste del codice di Rabbula (c. 42v), che raffigura uno degli ultimi episodi in cui la Madre di Dio viene citata dalle Scritture canoniche (At. 1, 14), M. è stante in mezzo agli apostoli. Nell'Adorazione dei Magi M., che è seduta in trono con il Bambino sulle ginocchia mentre riceve l'omaggio dei Magi, può trovarsi in posizione frontale, come compare per es. nelle ampolle di Terra Santa e nel mosaico della navata centrale di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, degli inizi del sec. 6°, oppure di profilo, come nel sarcofago di Isacio, del sec. 5° (Ravenna, S. Vitale), mentre l'ambientazione è quella di una stalla o di una grotta (Menologio di Basilio II, p. 272). La scena dell'Adorazione dei Magi può venire integrata con quella della Natività, quando quest'ultima viene a far parte del gruppo di raffigurazioni delle Grandi feste (Hosios Lukas, sec. 11°; Palermo, Cappella Palatina, sec. 12°), mentre in età paleologa si attesta un vero e proprio ciclo dei Magi (Costantinopoli, Kariye Cami). La scena della Natività di derivazione orientale non presenta particolari cambiamenti nel corso dei secoli e in genere è ambientata in una grotta dove M. è raffigurata sdraiata, entro un cuscino che segue l'andamento del suo corpo, come per es. nelle ampolle di Terra Santa, in un avorio, della seconda metà del sec. 10°, con il trittico della Natività (Parigi, Louvre) e nelle Omelie di Gregorio Nazianzeno, del 1143-1181 (S. Caterina sul monte Sinai, Bibl., gr. 339, testata). Interessante è invece un elemento tratto dagli apocrifi, indicante una delle prove della verginità di M.: M. tiene la mano di Salomè che si è seccata a causa dell'incredulità della donna e che solo il contatto con il Bambino guarisce (cattedra eburnea di Massimiano, Ravenna, Mus. Arcivescovile; Castelseprio, S. Maria foris portas). L'altra scena che fa parte delle composizioni delle Grandi feste è la Presentazione di Gesù al Tempio, in cui M., accompagnata da Giuseppe, presenta il figlio a Simeone e alla profetessa Anna, un tema fortemente conservativo.Sempre al ciclo dell'Infanzia di Cristo appartiene la Visitazione, raffigurata in tre tipologie: M. ed Elisabetta si stringono la mano (ampolle di Terra Santa), conversano (Parenzo, basilica, sec. 6°) o si abbracciano, attraverso una simbologia che divenne poi l'immagine più consueta, come nelle Omelie di Gregorio Nazianzeno, dell'880-883 (Parigi, BN, gr. 510, c. 3r); l'esplicito riferimento alla gravidanza, in genere taciuto dai Padri della Chiesa, ma anche dagli artisti (Ledit, 1976), si trova solo nella Santa Croce di Pelendri, a Cipro, del sec. 14°, dove in corrispondenza del ventre delle due donne compaiono le piccole figure di Cristo e di s. Giovanni Battista. Inoltre nella Fuga in Egitto M. viene raffigurata sul dorso di un asino con il Bambino, preceduta o seguita da Giuseppe, così come appare nell'icona della Natività e dell'Infanzia di Cristo, datata al sec. 12° e conservata nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai.Al ciclo dei Miracoli appartiene la scena con le Nozze di Cana, nella quale però M. appare raramente (Parma, Bibl. Palatina, Pal. 5, c. 89v; Salonicco, S. Nicola Orfano, sec. 14°).Nelle scene che narrano i momenti della Passione di Cristo M. è presente, a volte accompagnata da Giovanni, nelle rappresentazioni che precedono o seguono la composizione centrale della Crocifissione, soprattutto tra il sec. 12° e il 13°, quando ai valori affettivi viene dato maggiore rilievo, come nella Deposizione dalla croce (Nerezi in Macedonia, S. Pantaleimone, 1164; Staro Nagoričino, S. Giorgio) o nella Lamentazione (Nerezi, S. Pantaleimone). Infine, anche nell'immagine canonica della Crocifissione, che pone M. ai piedi della croce secondo varie tipologie, viene dato spazio alla rappresentazione del dolore della Madre attraverso un atteggiamento di reale struggimento (Sopočani, chiesa della Trinità), che giunge a essere svenimento in contesti più sensibili ai dettami occidentali (Kalopanaghiotis a Cipro, S. Eracleide; icona con la Crocifissione dell'ultimo quarto del sec. 13°, S. Caterina sul monte Sinai, monastero).

Bibl.:

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MarcatoNumismatica. - L'immagine di M. venne raffigurata in principio unicamente su monete bizantine e solo raramente prima del sec. 11°: per es. nella versione iconografica della Vergine orante, su emissioni di Leone VI (886-912); in quella della Nikopoiós ('colei che determina la vittoria'), su emissioni di Costantino VII (913-959) e poi di Basilio II (976-1025); accanto al busto dell'imperatore, su monete di Niceforo II Foca (963-969) e di Giovanni I Zimisce (969-976). Con Romano III Argiro (1028-1034) ebbe inizio una particolare venerazione dell'icona del monastero costantinopolitano delle Blacherne e nell'iconografia monetale M. assunse un ruolo notevole, venendo raffigurata per es. nell'atto di incoronare l'imperatore, in un caso anche senza l'intervento della manus Dei.Una tipologia dettagliata dell'iconografia monetale bizantina di M. è stata definita da Grierson (1973; Grierson, in corso di stampa) secondo due gruppi fondamentali.Al primo gruppo appartengono le seguenti immagini di M. da sola o con il Bambino: a) busto di M. orante secondo il tipo della Blacherniótissa: l'immagine, ispirata all'icona delle Blacherne, ritenuta protettrice dell'esercito e della città di Costantinopoli nei momenti di pericolo, venne imitata su un follaro di Salerno di Roberto il Guiscardo (duca di Puglia, 1057-1084; Salerno venne conquistata nel 1076) e su uno di Messina di Ruggero II (1148); b) figura intera di M. orante, variante del tipo precedente: questa tipologia, presente su un follis bizantino anonimo del sec. 11° (classe K, secondo la classificazione convenzionale), fu imitata nella zecca di Salerno da Roberto il Guiscardo (Travaini, 1995, nr. 29); c) busto di M. orante con medaglione di Cristo sul petto (Epískepsis), forse simbolo dell'Incarnazione: raffigurato solo su uno histámenon di Zoe e Teodora (1042), il tipo venne imitato su denari della città tedesca di Spira, della metà del sec. 11° (Grierson, 1991, p. 68); d) busto di M. nell'atto di tenere un medaglione di Cristo (Nikopoiós), variante più diffusa del tipo precedente: è raffigurato su monete di Basilio II, probabilmente in occasione della vittoria di Abido (Asia Minore) del 989, quando l'imperatore stesso portò con sé in battaglia l'icona miracolosa a cui l'immagine è ispirata; e) M. stante con il Bambino in braccio secondo il tipo della Odighítria: l'immagine, ispirata all'icona, distrutta durante il sacco di Costantinopoli nel 1453, che si riteneva dipinta da s. Luca, è rappresentata solo su un miliarésion di Romano III, il quale testimonia che l'originale rappresentasse M. stante, sebbene successivamente divenisse più diffusa la versione derivativa con M. seduta (Lazarev, 1938); f) M. in trono, con o senza spalliera, con il medaglione di Cristo in grembo: il tipo compare su monete a partire da Alessio I Comneno (1081-1118); g) M. volta di tre quarti verso destra o sinistra, con le mani alzate in gesto di preghiera (Haghiosorítissa): l'immagine fu introdotta su monete di Manuele I Comneno (1143-1180); h) M. al centro delle mura di Costantinopoli, rappresentate dall'alto con perimetro circolare, in una visione ardita e altamente espressiva, che compare sulle monete di Michele VIII Paleologo (1261-1282).Al secondo gruppo appartengono le seguenti immagini: a) M. e l'imperatore nell'atto di tenere una croce patriarcale o un labaro; b) busto di M. che incorona l'imperatore (Giovanni I), con la manus Dei; c) tipo analogo ma senza manus Dei (Romano III); d) l'imperatore inginocchiato di fronte a M. stante o seduta.Come già accennato, alcuni dei tipi bizantini furono imitati in Occidente, dove però si svilupparono anche tipi originali. Uno di questi ebbe origine in Italia, in area normanna, svincolato da modelli bizantini e forse ispirato a qualche statua lignea della Madonna in seguito perduta: si tratta di una raffigurazione di M. seduta in trono di profilo, con il Bambino in braccio, su una moneta di rame di grosso modulo di Ruggero I, conte di Sicilia e Calabria (1062-1101), battuta probabilmente nella zecca di Mileto intorno al 1098 (Travaini, 1995, nr. 160).Il tipo con M. seduta in trono di fronte, con o senza il Bambino, si diffuse a partire dal sec. 12°: un esempio si può trovare nei folles ungheresi di Stefano IV (1162-1163) o forse posteriori (Grierson, 1991, p. 100). Nel sec. 13° l'immagine di M. compare con il busto coronato, senza velo, sui denari e oboli dei vescovi di Clermont-Ferrand (Poey d'Avant, 1858-1862, I, tav. 49). Uno dei primi tipi monetali del regno armeno di Cilicia raffigura il re Leone II (1199-1219) in ginocchio davanti a M. (Grierson, 1991, p. 135).L'immagine di M. con il Bambino fu adottata nel sec. 13° sulle monete di Pisa: dapprima in busto (ca. 1230), dal 1255 ca. a figura intera seduta in trono e dal 1318 in forme gotiche; questi ultimi due tipi furono imitati in denari di Aquileia (Lenzi, 1973; Travaini, 1983). Notevole fu nel 1278 l'introduzione della scena dell'Annunciazione sui carlini d'oro e d'argento di Carlo I d'Angiò della zecca di Napoli: è questo il primo esempio di Gotico francese nella monetazione italiana, ispirato forse a una miniatura; la preparazione dei conî fu seguita dal re nei minimi particolari (Kowalski, 1974).In Germania si devono ricordare i Marienpfennige, denari di Hildesheim con il busto velato di Maria. Nel sec. 14° M. con il Bambino compare su monete di Giovanni Šišman (1371-1393), ultimo zar di Bulgaria prima della conquista turca. Le raffigurazioni di M. divennero più numerose dalla fine del sec. 15°, con un'iconografia più complessa (Schrötter, 1930).

Bibl.: F. Poey d'Avant, Monnaies féodales de France, 3 voll., Paris 1858-1862 (rist. anast. Graz 1961); N.P. Likhatchev, Izobrazheni Bogomateri [La raffigurazione della Madre di Dio], St. Petersburg 1911; N.P. Kondakow, Ikonografiya Bogomateri [Iconografia della Madre di Dio], 2 voll., St. Petersburg 1914-1915; F. von Schrötter, Wörterbuch der Münzkunde, Berlin-Leipzig 1930; V. Lazarev, Studies in the Iconography of the Virgin, ArtB 20, 1938, pp. 26-65; P. Grierson, Catalogue of the Byzantine Coins in the Dumbarton Oaks Collection and in the Whittemore Collection, III, 2, Basil I to Nichephoros III (867-1081), Washington 1973, pp. 169-176; L. Lenzi, Le monete di Pisa, I, Pisa 1973; H. Kowalski, Die Reglen Karls I. von Anjou, Schweizerische Numismatische Rundschau 53, 1974, pp. 119-161 (trad. it. I reali di Carlo I d'Angiò, Roma 1979); G. Bernardi, Monetazione del Patriarcato di Aquileia, Trieste [1975]; L. Travaini, Il ripostiglio di Oschiri (Sassari), Bollettino di numismatica 1, 1983, pp. 27-216: 42-48; P. Grierson, Coins of Medieval Europe, London 1991; L. Travaini, La monetazione nell'Italia del Duecento e la sua trasformazione gotica, in Gotico europeo in Italia, a cura di V. Pace, M. Bagnoli, Napoli 1994, pp. 343-350; id., La monetazione nell'Italia normanna (Istituto storico italiano per il Medio Evo. Nuovi studi storici, 28), Roma 1995; P. Grierson, Catalogue of the Byzantine Coins (cit.), V, From Michael VIII to Constantine XI (in corso di stampa).L. Travaini

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