D'AMELIO, Mariano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

D'AMELIO, Mariano

Vincenzo Clemente

Nacque a Napoli il 4 nov. 1871 da Camillo e da Luisa Manganelli. Laureatosi in giurisprudenza a Napoli entrò nella magistratura come uditore nel 1893. Esordì come pubblicista con La fotografia come mezzo di prova (Napoli 1894), su un tema di crescente importanza nella pratica legale e processuale. Assessore nel R. Commissariato dei demani comunali in Sicilia (1895-98), fu quindi magistrato nella colonia Eritrea (1899-1905). Giudice e presidente del tribunale di Massaua, provvide all'ordinamento giudiziario che istituiva il tribunale d'appello ad Asmara; di questo tribunale fu il primo presidente. Reggente la direzione degli affari civili della colonia, ebbe rapporti di: collaborazione e di stima con il governatore Ferdinando Martini. Presidente della commissione per i codici eritrei, provvide con apprezzati criteri all'ordinamento giuridico della colonia.

In Eritrea il D. aveva trovato in, vigore l'ordinamento giuridico del 7 ag. 1886 dovuto al magistrato Celli, che recepiva importanti nonne di diritto sostanziale e un sistema di penalità tutto proprio della colonia: l'amministrazione della giustizia civile e criminale era regolata secondo questo speciale ordinamento anche presso le corti superiori dei Regno. Quando con l'istituzione del tribunale d'appello all'Asmara si avverti il bisogno di modificare l'ordinamento Celli, risultò che nessun decreto o provvedimento d'autorità aveva mai sancito la vigenza di tale ordinamento. Il D. considerò il caso come esempláre di una ricezione tacita da parte- di soggetti cui la legge si rendeva gradita per essere rispettosa delle consuetudini locali: avrà occasione di ricordare questa circostanza alla fine degli anni '30, al momento dei collaudo dei nuovi codici mussoliniani, alla cui elaborazione darà ampio ed autorevole apporto (cfr. Influenza dei progetti di codici sulla giurisprudenza, in Studi di diritto commerciale in onore di C. Vivante, I, Roma 1931, pp. 315-328).

Rientrato in Italia nel 1905, prestò servizio a Milano come consigliere presso quella corte d'appello distinguendosi per alcune sentenze intiovatrici. Il periodo milanese fu fervido ed importante per il D., che si fece conoscere nel mondo dei giuristi milanesi, da A. Sraffa ad A. Ascoli, C. Vivante, F. Camelutti, C. Fadda, F. Ferrara. Nella Rivista di diritto commerciale confluivano esperienze giuridiche fra le più avanzate; la direzione della rivista aveva sede nello studio di Angelo Sraffa. Il D. collaborò alla redazione con Alfredo Rocco suo conterraneo ed amico, con il quale condividerà in seguito l'impegno alla nuova codificazione. Si legò alla famiglia Sraffa sposando la sorella della moglie di Angelo, Maria.

Dal 1906 assunse incarichi negli alti ruoli dell'amministrazione: capogabinetto dei guardasigilli V. E. Orlando (1906-1909), V. Scialoja (1909-1910) e C. Fani; quindi direttore generale del ministero delle Colonie di nuova istituzione (1911-12), in tale qualità provvedeva all'ordinamento giuridico della colonia libica appena acquisita. Capo dell'ufficio legislativo della presidenza del Consiglio durante la prima guerra mondiale (1915-18), diresse l'elaborazione della maggior parte della legislazione di guerra. Fu rappresentante italiano alla conferenza di Berna (1917-18), quindi delegato alla conferenza della pace di Parigi (1919-20) e ad altre conferenze interalleate. Rappresentante dell'Italià nella Commissione delle riparazioni e nel Comitato di garanzia, faceva prevalere sulla semplice indennità di guerra il concetto giuridico del risarcimento del danno derivante da ingiusta aggressione, che diverrà acquisizione definitiva del diritto internazionale di guerra. Collaborando con P. Bartolini e G. Salvago Raggi alla definizione del riassetto postbellico, guadagnava l'apprezzamento dei colleghi stranieri e giovava alle ragioni italiane in questioni gravi e delicate.

Stabilita con legge del 24 marzo 1923 la soppressione delle cinque corti di cassazione regionali (Palermo, Napoli, Roma, Firenze, Torino), ed istituita la Corte suprema di cassazione unica del Regno in Roma, con due sezioni civili e due penali, il D. fu chiamato a presiedere la nuova Cassazione unificata, succedendo a Ludovico Mortara.

L'unificazione rispondeva all'esigenza di eliminare i notevoli residui di regionalismo giuridico in parte legati alle sedimentazioni preunitarie, che la pluralità delle corti tendeva a perpetuare nei distinti orientamenti interpretativi. L'indirizzo impresso dal D. alla nuova Cassazione nei diciotto anni in cui ne tenne la presidenza è stato individuato nel tentativo di un recupero delle prerogative del cittadino rispetto alla tendenza precedentemente affermata, in specie con il Mortara, a privilegiare la discrezionalità amministrativa. Nello stesso periodo la Cassazione portava un contributo determinante alla formazione del diritto sindacale e di gran parte del diritto del lavoro, in specie con un'ampia giurisprudenza sull'impiego privato, cui la corte imprimeva uno spirito di generale favore per il prestatore d'opera e di rigore verso il datore di lavoro. All'obbiettivo della unificazione giurisprudenziale, e quindi della maggior certezza del diritto, cui la stessa unificazione della Cassazione era stata preordinata, il D. darà altro fondamentale contributo dirigendo e coordinando il Nuovo Digesto italiano, ma soprattutto e più in generale nel processo di elaborazione legislativa compiutosi con la formazione dei nuovi codici.

Il ruolo al vertice della magistratura che il D. coprì nel ventennio fascista - cumulando nel contempo la presidenza del Consiglio superiore della magistratura e della Suprema Corte disciplinare, massimi istituti di controllo dell'organico giudiziario - ha proposto la questione del suo atteggiamento verso il regime, e dell'indirizzo impresso e fatto valere; non meno importanti sembrano le direttive assunte nell'abbondante attività giurisdizionale e legislativa del Periodo.

Jemolo lo dice "cautissimo con il fascismo" e sottolinea, anche in contrappunto con le posizioni di Rocco, la matrice conservatrice e cattolica, fondamentalmente estranea all'ideologia fascista. La sua famiglia apparteneva alla buona borghesia partenopea, tradizionalmente molto cattolica. Attivo però negli alti quadri dello Stato tardoliberale durante le crisi internazionali del nuovo secolo, a tale retroterra sono da rapportare certe evidenti infiltrazioni nazionaliste ed imperialiste la cui presenza rende questa classe dirigente disponibile a fiancheggiare una politica mussoliniana che faceva appello alle frustrazioni politiche dei dopoguerra e dalle istanze di rinnovato ordine ed efficienza dell'apparato statale e produttivo, per una politica più rigorosa in campo internazionale. Le disposizioni del D. nei confronti del nuovo regime che s'insediava sembrano in parte omologabili a quelle di altri esponenti dell'alta burocrazia tardoliberale.

Se è vero - come Jemolo rileva per sottolineare la distanza dalle posizioni di Rocco - che il D. non aveva condiviso, alla svolta del secolo, quell'avversione montante verso il regime parlamentare, quella polemica contro il "parlamentarismo imbelle" che determinò il confluire di vivaci frange della borghesia, intellettuale in specie, verso il nazionalismo e l'imperialismo, dovrà riconoscersi che proprio in linea con i principi di codificazione e l'ideologia dello Stato che il regime fascista mutuava in larga misura dall'elaborazione nazionalista tramite Rocco guardasigilli, troveremo il D. impegnato, e con evidente adesione ideale, nell'opera di codificazione. Del corporativismo il D. si mostrò aperto sostenitore. Indicato, accanto a Scialoja, a Santi Romano, a Pietro Fedele fra i grandi commis d'Etat cooptati dal regime ad operare la saldatura con la vecchia direzione politica (P. Ungari), sopperendo peraltro alla mancanza nel partito di uomini e direttive per gli alti quadri dell'amministrazione (cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista..., I, pp. 438 s.), la sua partecipazione alla dialettica interna dei regime, specie nell'opera legislativa, certo non si risolse nella difesa di strutture e valori tradizionali.

Senatore dal 1° genn. 1924 e vicepresidente del Senato durante la XXVIII legislatura, la sua voce fu tra quelle che inneggiarono agli accordi lateranensi, e come presidente della Cassazione operò perché a questi fosse data la più ampia applicazione. Dal 1938 fu ministro di Stato. Nel decennio della sua nomina a presidente della Cassazione fu promossa in suo onore una raccolta di scritti: Studi in onore di M. D. (Roma 1933, 3 voll.).

Nel maggio 1934 il D. succedeva a V. Scialoja nella presidenza dell'Istituto intemazionale per l'unificazione del diritto privato fondato nel 1924 come organismo ausiliario della Società delle nazioni.

Le prime manifestazioni del pensiero del D. in tema di unificazione legislativa possono rintracciarsi in scritti sui presupposti giuridici per il regolamento della navigazione aerea (in Riv. di dir. pubbl., I (1909), 11, pp. 502-523), sull'applicazione uniforme dei principi di diritto commerciale internazionale, sulla protezione internazionale delle comunicazioni radioelettriche, sulla unificazione del diritto delle assicurazioni private, sulle convenzioni internazionali di diritto marittimo. Il primo maggiore contributo in questo campo era stato la collaborazione al progetto di codice unico delle obbligazioni e dei contratti concordato fra Italia e Francia nel 1927. L'iniziativa risaliva al 1916 e s'inquadrava bene nel clima dell'Unione latina e nell'offensiva di solidarietà bellica: ideata da Scialoia, era stata sostenuta da A. Ascoli e da G. De Ruggiero. L'elaborazione si compiva nel gennaio 1928 con la pubblicazione di un progetto di codice unico italo-francese delle obbligazioni e dei contratti. Ma gli umori revisionisti della politica italiana verso la Francia non avrebbero consentito che la legge entrasse in vigore.

Il D. reggerà la direzione dell'istituto fino al 1943 ed il suo impegno sarà determinante nel periodo critico seguito all'uscita dell'Italia dalla Società delle nazioni (1936) ed alla denuncia dell'accordo in base al quale l'istituto era sorto.

Egli riusciva a far votare dal Consiglio di direzione una delibera nella quale affermava la necessità di conservare in vita l'istituto nell'interesse della scienza e della cooperazione fra gli Stati (1939): su tale base un nuovo statuto organico veniva elaborato per conferire all'istituto una personalità di diritto internazionale indipendente dalla Società delle nazioni e fondata sull'accordo fra gli Stati aderenti. Inviato per iniziativa del governo italiano a tutti gli Stati membri e non della Società delle nazioni con l'invito ad aderirvi, lo statuto entrava in vigore nel 1940 in base all'adesione di ventisei Stati, consentendo all'istituto di sopravvivere e di riprendere la sua attività dopo la guerra, anche accrescendo notevolmente il numero degli aderenti.

Fra le leggi uniformi promosse si annoverano quelle sulla formazione dei contratti per corrispondenza, sulla responsabilità degli albergatori per perdita o danneggiamento di bagagli di clienti, sulla responsabilità civile e le assicurazioni obbligatorie degli automobilisti, sull'arbitrato nei rapporti internazionali di diritto privato; ed ancora, i progetti di convenzione per l'esecuzione all'estero delle obbligazioni alimentari e per la protezione di diritti connessi al diritto d'autore. Fra i pareri forniti alla Società delle nazioni si segnalano i progetti di convenzione relativi alla cambiale ed allo chèque. La virtù attiva di tali elaborazioni si manifesta ancora in alcuni progetti di legge uniforme quali quello relativo al contratto di vendita internazionale di cose mobili, redatto dall'istituto nel 1935, il cui iter interrotto dalla guerra si è concluso a Vienna nel 1970. Anche l'arbitrato in materia di diritto privato è stato ripreso dopo la guerra dal Consiglio d'Europa per farne oggetto di una convenzione europea sulla procedura arbitrale nelle vertenze di diritto privato. I progetti di convenzione predisposti per la protezione degli artisti-interpreti e per la protezione delle radioemissioni sono stati di recente ripresi dall'Ufficio permanente dell'Unione di Berna; i progetti relativi all'esecuzione all'estero delle obbligazioni alimentari, sono stati assunti dall'O.N.U. come base per la preparazione di una convenzione comandata agli Stati dal Consiglio economico-sociale. Il progetto di legge uniforme relativo all'assicurazione obbligatoria degli automobilisti, dopo aver servito da modello ai paesi del Benelux, è divenuto convenzione europea; la legge sulla responsabilità degli albergatori, ripresa dopo la guerra, ha formato oggetto di convenzione europea stipulata sotto gli auspici del Consiglio d'Europa.

Alla morte del fratello Salvatore (30 nov. 1928), il D. raccoglieva la direzione della Rivista di diritto pubblico che questi aveva fondato ed a cui aveva fatto capo una ripresa in tale branca di studi. Senza assumere il titolo di direttore, lo fu di fatto mantenendosi membro del Consiglio di direzione, e ne espresse il programma in un articolo dal titolo: Riprendendo il lavoro (Riv. di dir. pubbl., XXIX [1929], I, pp. 1-3). Fu anche direttore della Giurisprudenza italiana.

Tra le opere che meglio manifestano le sue qualità direttive ed organizzative è il Nuovo Digesto italiano (Torino 1937-1940), in 13 volumi. L'iniziativa insediata nel 1932 s'avvalse della collaborazione di circa 900 autori per la elaborazione di circa 10.000 voci, fornendo un'aggiornata enciclopedia della scienza giuridica ed economica italiana intregrata da notizie storico-bibliografiche sugli scienziati delle due branche. Eccezionale la mole di lavoro che ne consentiva il compimento nel giro di pochissimi anni; l'opera poneva il D. in prima linea tra gli elaboratori del diritto positivo italiano.

Nell'opera ingente di riforma dei codici avviata con le leggi-delega del 1923 e 1925 e portata a compimento nel 1942 il D. ebbe parte assai importante e spesso preminente in qualità di presidente della Commissione per la riforma del codice di commercio, e di vicepresidente e di ministro rispettivamente nelle commissioni di riforma dei codici civile e di procedura civile; quindi come presidente della Commissione interparlamentare per la revisione dei relativi codici. Il suo contributo d'interventi resta documentato nei verbali della Commissione parlamentare per l'elaborazione dei nuovi codici e consente di apprezzare le qualità con cui promosse a buon fine l'opera legislativa. Partecipò al tempo stesso all'elaborazione delle più importanti leggi costituzionali, in primo luogo agli accordi lateranensi.

Nell'autunno del '38, l'introduzione delle leggi razziali determinerà il palese aggancio del regime alle tavole di valore naziste, deludendo quanti avevano sperato che l'influenza della Chiesa e del cattolicesimo nella realtà italiana avrebbe a questo punto provocato la ribellione e lo strappo dall'alleanza.

Per circostanze familiari derivanti dal proprio matrimonio anche il D. fu toccato da vicino da quelle leggi ma non chiese il proprio collocamento a riposo, come aveva sperato Jemolo.

Esso avvenne per raggiunti limiti di età nel 1941. jemolo testimonia che il D. aveva in un primo momento consentito, non senza qualche esitazione, a mantenere il posto di presidente di Cassazione fino al termine della guerra, ma quando vide lo schema del provvedimento legislativo, che dava facoltà al guardasigilli di trattenerlo in servizio, ma che non garantiva la sua inamovibilità, fece bruscamente sapere al ministro di aver mutato idea. Mantenne invece. l'incarico di commissario del re presso la Consulta araldica.

Socio nazionale dell'Accademia dei Lin cei dal 28 febbr. 1932, in seguito all'assorbimento di questa nell'Accademia di Italia (maggio 1939) divenne membro "aggregato" di diritto in quest'ultima. Nell'adunanza del 18 nov. 1939 vi lesse una comunicazione Sulla nuova codificazione del diritto privato (in Rendiconti della R. Accad. d'Italia, classe di sc., mor., s. 7, I [1940], pp. 51-64) in cui alcuni motivi encomiastici al regime si collegano ai principî del nuovo codice, alla "eterna giovinezza" del diritto romano recuperato rispetto ad una codificazione risorgimentale pedissequamente ricalcata sui codici napoleonici. L'apologia del diritto romano e dell'opera di codificazione del regime si trova contrapposta alla corrente, che aveva preso piede in Germania, contraria alla codificazione ("crepuscolo dei codici") e favorevole ad un sistema di leggi singole alle quali si premettevano massime direttive (Führerprinzipien) intese ad illustrare lo spirito in funzione di applicazioni più generali: -la nuova scuola tedesca pretendeva che nella volontà del Führer espressa in tali direttive si manifestasse il pensiero della comunità; la polemica investiva direttamente il rapporto tra Stato e regime, ed in essa il D. prendeva apertamente le distanze dagli indirizzi che prevalevano nell'ideologia, nazionalsocialista dello Stato, contrapponendo l'esperienza italiana della codificazione (cfr. su tale argomento, dello stesso D., La vocazione del secolo XX alla codificazione, in Nuova Antologia, 16 marzo 1937, pp. 163-171; e Il diritto, in Romanità e germanesimo, a cura di J. De Blasi, Firenze 1941, pp. 65-83). Nella stessa comunicazione si legge, accanto alla valorizzazione di istituti tradizionali del diritto privato assunti dal regime (ad es. il diritto di famiglia), l'esaltazione degli aggiornamenti legislativi richiesti da una società le cui strutture produttive avevano da tempo posto in mora l'impianto legislativo del 1865, e che venivano incontro al tempo stesso all'ideologia nazionalista dello "stato dei produttori" ed alle ambizioni di espansione anche industriale del fascismo.

Fra i numerosi incarichi assunti si annoverano la presidenza della Commissione italiana di cooperazione intellettuale, della Società italiana per il progresso delle scienze, dell'Istituto di studi legislativi, del. Centro per gli studi amministrativi, del gruppo italiano della Association internationale pour l'unification du droit pénal, del gruppo italiano della International Law Association, della Associazione italiana di antropologia e psicologia criminale, dell'Istituto italiano di diritto internazionale, del Comitato italo-tedesco per gli studi giuridici. Fu vicepresidente, e per lunghi periodi presidente di fatto, dell'Istituto. per le relazioni culturali con l'estero ed elaboratore per la parte italiana degli interventi ai vari congressi di diritto comparato ed alle varie commissioni internazionali per i problemi di unificazione legislativa. Professore honoris causa delle università di Heidelberg e di Glasgow, fu socio dell'Accademia dei.Georgofili, della Société d'études législatifs, dell'Academie diplomatique, della Société générale des prisons et de législation criminelle, della Deutsche Rechtsakademie e del Comitato italo-tedesco per gli studi giuridici. Ministro del contenzioso diplomatico e commissario del re, presso la Consulta araldica, con r. d. 11 dic. 1941 ottenne il titolo di conte trasmissibile al nipote ex filia. Fu insignito di medaglia d'oro di benemerenza per il contributo dato alla legislazione per i paesi colpiti dal terremoto di Messina, e della più alta onorificenza coloniale, il gran cordone dell'Ordine coloniale. della Stella d'Italia, conferitogli su proposta del capo del govemo e del ministro delle Colonie.

Il D. morì a Roma, il 19 nov. 1943.

In margine all'attività di giurista, è ricordato per ampiezza d'interessi culturali. Delle sue lecturae Dantis si ricordano una conferenza su Stazio, fondata sul quinto girone del Purgatorio, e un'altra su Giustiniano, sul sesto canto del Paradiso.

Un elenco dei suoi scritti include, oltre quelli già menzionati, Le servitù amministrative, Torino 1897; Commentario al codice di commercio, Milano 1907; I piccoli commercianti nella legislazione commerciale eritrea, Roma 1910; L'ordinamento giuridico della Colonia Eritrea, Milano 1911 e 1936; L'azienda commerciale nella successione ereditaria, ibid. 1913.

Fonti e Bibl.: Chi è?, Roma 1940, ad vocem; Nuovissimo Digesto Italiano, IV, Torino 1960, ad vocem; F. Martini, Diario eritreo, 'Milano 1942-1943, II (1890-1902) e III (1902-1905), ad Indices; Bibl. della Camera dei Deputati, Catal. periodico degli scritti contenuti nelle pubbl. periodiche..., parte I: Scritti biografici..., n. s., VII (1943-1948), Roma 1974, ad vocem; A. C. Jemolo, Commem. del socio M. D., in Rend. d. Acc. d. Lincei, classe di sc. morali, stor. e filos., s. 8, III (1948), 5-6, pp. 255-68; F. Maroi, Scritti giuridici, II, Milano 1956, pp. 585-601 (commem. tenuta il 19 dic. 1953 presso l'Ist. internaz. per l'unificaz. dei dir. privato); L. Federzoni, Nel XX. anniversario della morte di M. D. magistrato ed umanista, in Il Tempo, 2r nov. 1963, L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1964, ad Indicem; A. Aquarone, L'organizz. d. Stato totalitario, Torino 1965, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il fascista, I-II, Torino 1966-1968, ad Indices; P. Ungari, A. Rocco e l'ideologia giuridica del fascismo, Brescia-1974, ad Indicem; T. Labia, M. D. magistrato, giureconsulto, unianista, Trani 1983; C. Ghisalberti, La codificazione del diritto in Italia 1865-1942, Bari 1985, ad Indicem.

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