CARACCIOLO, Marino Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARACCIOLO, Marino Francesco

Francesco Barbagallo

Quarto di questo nome, nacque il 5 ag. 1714 ad Avellino da Francesco Marino (II) principe di Avellino, consigliere intimo imperiale e da Giulia di Nicola di Avalos principe di Troia. Ebbe il titolo di marchese di Sanseverino, fin quando, alla morte del padre - nell'anno 1727 - ne ereditò i titoli e i beni. Venne affidato alla tutela della nonna paterna, la principessa Antonia Spinola, la quale dimostrò notevole energia nel risolvere una serie di questioni connesse alla successione e all'immenso patrimonio del nipote.

Provvide al pagamento del relevio, ottenne l'impegno della Regia Udienza al rispetto della giurisdizione feudale delle prime, seconde e terze cause, convinse il vicerè Harrach a vietare al feudatario di Solo fra l'esercizio d'un mercato aperto abusivamente, e riuscì infine a transigere, per 1.000 ducati, una lite mossa dal Fisco intorno al titolo di possesso delle seconde cause e della portolania e zecca di Serino.

Il C. si trovò ad Avellino durante il terremoto del novembre 1732 e vi rimase a dirigere le operazioni di sgombero e di riparazione dei danni. Il 6 febbr. 1733 sposò Maria Antonia di Carlo Carafa duca di Maddaloni. La sua condizione di grande feudatario dominante una posizione di particolare rilievo nel Regno di Napoli lo rese oggetto della solerte attenzione delle potenze interessate al dominio dell'Italia meridionale. Così l'imperatore Carlo VI tentò di assicurarsi la fedeltà del C., nominandolo - con diploma del 2 dicembre 1733 - generale della cavalleria dei catafratti del Regno di Napoli. Ma il re di Spagna Filippo V, per preparare il terreno a don Carlos in marcia verso Napoli, concesse al principe il comando d'una compagnia di cavalieri spagnoli, come risulta da una lettera del 5 genn. 1734. Due mesi dopo, all'avvicinarsi delle truppe spagnole, il viceré austriaco Visconti, non avendo forze sufficienti per resistere all'avanzata, si ritirò da Napoli e giunse ad Avellino il 4 aprile, ma non sentendosi sicuro, anche per la scarsa fiducia riposta nel C., si allontanò con le truppe austriache verso la Puglia. I sospetti del viceré risultarono fondati perché, subito dopo la sua partenza, il principe si schierò apertamente dalla parte di Carlo di Borbone.

Così il C. conservò i suoi vastissimi possedimenti ed ebbe l'onore, di ospitare il nuovo sovrano il 4 genn. 1735 alla sua prima uscita da Napoli per un viaggio in Puglia e in Calabria. Su richiesta di Carlo, fu decorato da Filippo V dell'Ordine del Toson d'oro, con diploma del 26 nov. 1739: l'antica importanza strategica della città di Avellino era confermata in questo tempo dalla presenza di uno stabile presidio spagnolo.

Il C. fu tra i baroni del Regno che il 30 dic. 1759 giurarono fedeltà al re Ferdinando IV nelle mani del duca di Cerisano delegato della Reggenza. L'assoluta lealtà verso la dinastia borbonica non impedì l'insorgere tra il C. e la Corona di una serie di vertenze, in gran parte di carattere economico, finanziario e fiscale, rivolte a determinare e delimitare l'ambito della potenza e del prestigio politico della casa d'Avellino. Già nel 1757 il Fisco aveva mosso lite per la dogana, la bagliva e la zecca dei pesi e misure di San Severino, al cui possesso si asseriva che il C. "non aveva titolo, per non averne portato peso di adoho e di relevii"; con una successiva consulta del 13 sett. 1757 la Camera della Sommaria stabilì che poteva accettarsi la transazione di 2.100 ducati offerta dal Caracciolo. Dieci anni dopo - l'11 dic. 1767 - veniva respinto un ricorso contro la transazione per lo "stato di Sanseverino", ma il 3 apr. 1770 il ministro Tanucci scriveva a Carlo III di Spagna che il re Ferdinando IV, ormai convinto dei continui abusi commessi dal C. contro le "università dello stato di Sanseverino", aveva ordinato al commissario di Campagna di recarsi a svolgere funzioni di sovrintendente presso quei comuni.

Nel 1770 il C. fece costruire, accanto alla magnifica villa di San Giorgio a Cremano, una chiesa dedicata alla Vergine dei sette dolori, e ne richiese l'erezione in parrocchia filiale. Cosa si celasse dietro quest'apparente pietà religiosa non sfuggì alla Corona e - come il Tanucci riferì a Carlo III il 14 luglio 1772 - il re Ferdinando IV "considerò che due già sono in S. Iorio le chiese, delle quali una per essere superflua, è poco frequentata, e che una chiesa di più contigua al casino, coll'asilo sarebbe un ricettacolo d'inquisiti protetti dalla casa d'Avellino. Ordinò dunque alla Camera di S. Chiara, che consultava la permissione, che dicesse, se Avellino, prima di fabbricar la chiesa aveva domandato, o ottenuto l'assenso del re" (Lett. di B. Tanucci a Carlo III, p. 752). Altro motivo di contrasto - questa volta fiscale - con la Corona furono le sue pretese sull'eredità degli Acquaviva duchi di Atri, estinti nel 1760. La lunga controversia raggiungeva un primo risultato in una sentenza emessa nel 1772 dalla Camera della Sommaria, e ritenuta dal Tanucci contraria al Fisco e troppo favorevole al C. e ad altri feudatari per la determinazione eccessivamente elevata dei crediti vantati dai baroni sui feudi di Atri; tre anni dopo infatti la transazione col Fisco fruttò agli eredi la somma davvero ingente di 240.000 ducati.

Ancora più evidente risultò al Tamicci e a Ferdinando IV la "connivenza della Camera verso il principe di Avellino", allorché questi - nel 1772 - presentò al Tribunale della Sommaria una domanda per il disboscamento di una parte della difesa di Ogliara, ai confini tra i comuni di Serino, Ciffoni e Montella. E C. sosteneva - appoggiato dagli abitanti di Giffoni - che quel bosco serviva da luogo di raccolta di pericolosi banditi. Ma la Corona, preoccupata dal diffondersi del "delitto di incidere, incendiare, e così devastare boschi... ordinò alle due Udienze [di Avellino e di Salerno] il pensare, e mettere in pratica altro espediente per dissiparne li malviventi" (ibid., pp. 756, 768). L'opera fu così posta sotto la vigilanza di un procuratore fiscale della Regia Camera, che alla fine - con una consulta del 30 nov. 1781 - proibì qualsiasi disboscamento.

Il C., che ebbe nove figli (Francesco Marino, Giulia Maria, Carlo, Maria Teresa, Maria Francesca, Giovanni, Vincenzo Maria, Maria Leonilda, Maria Vincenza), morì il 3 dic. 1781 ad Avellino.

Egli fu autore di alcuni componimenti letterari intitolati Trattenimenti estivi.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Consulte della Sommaria, vol. 245, f. 58; G. Senatore, Giorn. storico di quanto avvenne ne' due Reami di Napoli e di Sicilia l'anno 1734 e 1735, Napoli 1742, pp. 269 ss.; Lettere di B. Tanucci a Carlo III di Borbone(1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969, pp. 600, 742, 752, 756, 768, 783, 907; F. Scandone, Storia di Avellino, Avellino 1950, III, pp. 112-117; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. VI.

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