GARBUGLIA, Mario

Enciclopedia del Cinema (2003)

Garbuglia, Mario

Marco Pistoia

Scenografo e arredatore cinematografico, teatrale e televisivo, nato a Fontespina (Macerata) il 27 maggio 1927. Tra i maggiori scenografi della seconda metà del Novecento, G. ha espresso notevoli doti sia nella ricostruzione filologica di ambienti del passato sia nella realizzazione di spazi immaginari, rivelandosi una delle personalità più eclettiche del proprio settore. Tra i numerosi premi sono da ricordare in particolare il BAFTA Film Award conferitogli nel 1971 per Waterloo (1970) di Sergej F. Bondarčuk, i cinque Nastri d'argento e il David di Donatello ottenuto nel 1981 per La storia vera della Signora dalle camelie diretto da Mauro Bolognini. Dopo essersi diplomato all'Istituto d'arte di Firenze, dove tra gli insegnanti ebbe P. Conti, frequentò a Roma il Liceo artistico e l'Accademia di belle arti, indirizzandosi verso studi di scenografia, approfonditi poi presso la facoltà di Architettura della stessa città. Dal 1947 al 1949 fu allievo del Centro sperimentale di cinematografia, dove ebbe come insegnante Guido Fiorini. In quel periodo G. fu notato da Béla Balázs, che, colpito da alcuni suoi disegni, lo fece lavorare in Donne senza nome (1950) di Géza von Radványi, nel quale affiancò Piero Filippone. Nello stesso anno l'esperienza con Filippone si ripeté per Botta e risposta di Mario Soldati, ma fu nel 1952 che G. firmò la sua prima scenografia per Le ragazze di Piazza di Spagna di Luciano Emmer, nel quale rivelò un talento già sicuro e attento nell'individuare gli ambienti reali e, soprattutto, nel disegnare gli interni ricostruiti in studio. Nel film di Emmer i luoghi sono fortemente legati alle caratteristiche dei vari personaggi, dalla biblioteca dove si reca a studiare il professore ‒ nella casa già abitata da P.B. Shelley e J. Keats in piazza di Spagna ‒ alle diverse dimore delle figure femminili. Da quel momento l'attività di G. divenne sempre più intensa, risolvendosi per alcuni anni nel ruolo di primo assistente di Mario Chiari, in film quali Carosello napoletano (1954) di Ettore Giannini, Casa Ricordi (1954) e Casta diva (1954) entrambi di Carmine Gallone, War and peace (1955; Guerra e pace) di King Vidor, fino a Le notti bianche (1957) di Luchino Visconti, che gli valse nel 1958 il suo primo Nastro d'argento, condiviso con Chiari, e segnò una tappa fondamentale della sua attività oltre che l'inizio della lunga e prestigiosa collaborazione con il grande regista. Tra i film curati per Visconti, Le notti bianche e Gruppo di famiglia in un interno, realizzato molti anni più tardi (1974, Nastro d'argento nel 1975), rappresentano l'esito più intenso di una sospensione tra realtà e immaginazione, tra mimesi di luoghi reali e loro trasfigurazione, di gusto marcatamente onirico. Il quartiere livornese detto 'di Venezia' nel primo film, la casa-museo di grande eleganza, affacciata su una città, più immaginaria che reale, nel secondo, rivelano il gusto di G. per la rielaborazione di ambienti, pure restituiti nella loro filologica verosimiglianza. All'epoca della lavorazione di Le notti bianche risalgono anche le prime scenografie per regie teatrali di Visconti, quali nel 1958 Veglia la mia casa, angelo e Uno sguardo dal ponte, per le quali G. creò effetti visivi di notevole suggestione, ricorrendo al tulle per far trasparire un interno o per sezionare lo spazio, in piani di tipo cinematografico. Poco dopo, con La grande guerra (1959) che gli valse un altro Nastro d'argento nel 1960, ebbe inizio la collaborazione con Mario Monicelli: il film rivela il costante e rigoroso lavoro effettuato da G. mediante i sopralluoghi, che ancor più emerge da un altro esito di rilievo, I compagni (1963), ancora diretto da Monicelli, dove le immagini dell'entroterra piemontese si combinano con efficaci ricostruzioni sceniche degli ambienti operai tardoottocenteschi. A ricostruire una realtà popolare G. si era dedicato, per Visconti, in Rocco e i suoi fratelli (1960), che disegna in buona parte luoghi meno conosciuti ma assai tipici e rappresentativi di Milano, dalla Ghisolfa all'Idroscalo (in realtà dislocato presso il lago di Fogliano), fino alla puntuale descrizione delle abitazioni dei personaggi principali con estrema attenzione, dalla casa di ringhiera della famiglia Parondi all'abitazione borghese di Morini.G. offrì tra i risultati più interessanti del suo lavoro lo splendido appartamento del mediometraggio viscontiano Il lavoro, episodio del film collettivo Boccaccio '70 (1962), e gli spazi di Il Gattopardo (1963, Nastro d'argento nel 1964) sempre di Visconti, per il quale ricostruì la facciata di un edificio siciliano e scelse i saloni del Palazzo Chigi di Ariccia come location per buona parte delle scene in interni. La collaborazione con Visconti proseguì sia nel cinema (per es., per Vaghe stelle dell'Orsa, 1965) sia in teatro, ma degli anni Sessanta si ricordano anche gli ambienti assai suggestivi per Casanova '70 (1965) di Monicelli, il teatrino e l'immondezzaio dello splendido cortometraggio di Pier Paolo Pasolini Che cosa sono le nuvole? (1968), episodio di Capriccio all'italiana, un titolo importante quale La donna scimmia (1964) di Marco Ferreri, fino alle suggestive invenzioni per Barbarella (1968) di Roger Vadim. In quest'ultimo caso, affascinato dai fumetti di J.-C. Forest, ideatore del personaggio, G. creò per il film sia i paesaggi del pianeta Sogo sia i diversi oggetti (il casco della protagonista), rivelando notevoli capacità inventive. Su questa linea d'immaginazione creativa, pur se in tutt'altro contesto, si può collocare Brancaleone alle crociate (1970) di Monicelli, per il quale disegnò anche i costumi, mentre sul versante dell'impianto scenografico di imponenti proporzioni si colloca il lavoro a tutto campo per Waterloo, per il quale individuò in Russia anche il terreno su cui collocare gli esterni e al contempo creò minuziosamente lo splendido salone delle feste, ricco di ben novecento specchi. La duttilità, il gusto, la capacità di risolvere complessi aspetti tecnici sono divenuti i segni di stile di G., ancora capace, anche in periodi di recessione della produzione cinematografica, di offrire variegati esempi del suo magistero, spesso in produzioni internazionali. Dalla bizzarra abitazione ‒ annessa al locale en travesti ‒ di La cage aux folles (1978; Il vizietto) di Édouard Molinaro, all'imponente ambientazione per The lion of the desert (1980) di Moustapha Akkad, dall'ultima grande rivisitazione storica per Visconti in L'innocente (1976) alla deliziosa e verosimilmente čechoviana ambientazione per Oči čërnye (1987; Oci ciornie) di Nikita Michalkov, alla sperimentazione dell'alta definizione in Giulia e Giulia (1987) di Peter Del Monte, dove i luoghi sono nuovamente avvolti in un'atmosfera onirica. L'attività di G. si è espressa con esiti memorabili anche in teatro, per es., nel 1982, in Spettri di Luca Ronconi, tratto dal dramma di H. Ibsen, ma anche come unico scenografo per un Trittico pucciniano diretto nel 1983 da Monicelli, Ermanno Olmi e Franco Piavoli. E se le scene per Il cielo cade (2000) di Andrea e Antonio Frazzi costituiscono un rinnovato esempio della componente storico-filologica presente nel lavoro di G., la documentazione relativa ai sopralluoghi per il progetto di Visconti su À la recherche du temps perdu di M. Proust può essere considerata preziosa fonte per ricostruire la tecnica di lavorazione di un grande scenografo.

Bibliografia

Le décor et la scène: Mario Garbuglia, con testo di M. Garbuglia, Annecy 1984 (catalogo della mostra).

Proust, Visconti et la lanterne magique, a cura di C. D'Amico, A. Beretta Anguissola, A. Sanzio, Chartres 1992, passim.

Visconti e il Gattopardo. La scena del principe, a cura di F. Petrucci, Milano 2001, passim.

M. Pistoia, L'architettura nella scenografia viscontiana, in "Architettura & Arte", 2002, 3-4, pp. 27-33.

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