SALFI, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SALFI, Mario. – N

Bruno Massa

acque a Cosenza l’11 novembre 1900, da Enrico Salfi e da Giuseppina De Marinis.

Era discendente di Francesco Saverio Salfi, dotto abate, uomo di storia e lettere, impegnato nel movimento risorgimentale del Meridione d’Italia. Il padre, valente pittore della scuola di Domenico Morelli, era fratello di Francesco, direttore d’orchestra e stimato musicologo.

Portato per gli studi storici e umanistici, fin da giovanissimo mostrò notevoli interessi per la natura, motivo per cui intraprese i suoi studi a Napoli, dove si laureò in scienze naturali, a soli 22 anni, con il massimo dei voti.

Iniziò a lavorare con Antonio Della Valle, professore di anatomia comparata, prima come studente interno e poi come assistente ordinario; ottenne quindi la libera docenza in zoologia e anatomia comparata nel 1928 e per qualche tempo esercitò nei corsi di microscopia, entomologia e morfologia, sistematica e filogenesi animale. Nel 1935 ottenne l’insegnamento di parassitologia e nel 1936 quello di biologia generale, sempre a Napoli.

Nell’anno accademico 1937-38 insegnò presso l’Università di Cagliari, zoologia e anatomia comparata nella facoltà di scienze e biologia e zoologia generale nella facoltà di medicina e chirurgia. In quel periodo fu inoltre direttore dell’istituto di zoologia della stessa Università. Partecipò quindi al concorso per la cattedra di zoologia, che ottenne presso l’Università di Genova nel 1939, dove si trasferì il 1° gennaio di quell’anno. L’anno dopo ottenne il trasferimento sulla cattedra di anatomia comparata all’Università di Napoli e dopo dieci anni, dal 1° novembre 1948, ottenne la cattedra di zoologia nella stessa Università, succedendo a Umberto Pierantoni, uno dei padri della teoria dell’endosimbionte.

Il trasferimento a Napoli avvenne nel periodo della seconda guerra mondiale e i disagi furono molto avvertiti anche in quella Università, dove ogni attività scientifica rimase bloccata fino a tutto il 1945 (La Greca, 1970a). Si trovò poi a dirigere un istituto distrutto dalle truppe americane, che a lungo vi soggiornarono tra polvere, sudiciume, mobili rotti e accatastati, pagine di libri strappate, vetri frantumati e apparecchi in disuso. Pian piano ricostruì tutto (Baccetti, 1971).

Salfi si occupò prevalentemente di ricerche sulla riproduzione agamica, sulla blastogenesi del phylum dei Tunicati e su ecologia, sistematica e distribuzione degli Ortotteri. Vivendo a Napoli e potendo facilmente procurarsi campioni di specie animali marine, il suo primo grande interesse furono gli Ascidiacei, una classe di Tunicati marini filtratori che si nutrono di particelle organiche trasportate dalle correnti, aspirandole grazie al sifone inalante, attraverso il quale l’acqua defluisce poi all’esterno. Salfi era attratto da una particolare modalità di riproduzione di questi organismi, detta agamogonia, che ha luogo tramite cellule dette agameti o spore (che non vanno incontro a un vero processo riproduttivo) e che in genere si alterna con la riproduzione gamica.

In particolare indagò già nel 1926 la blastogenesi di Diazona violacea, che offre un interessante esempio di modalità di gemmazione, condizione di primitività di questi organismi. Frequentando assiduamente la Stazione zoologica di Napoli osservò come il processo di regressione toracica che prelude alla strobilazione della massa addominale e al successivo evolversi di nuovi ascidiozoidi sia dettato da esigenze ecologiche. Ricostruì attentamente la blastogenesi di queste ascidie primitive, concludendo che la riduzione sino alla scomparsa dell’epicardio è correlata alla perdita di capacità blastogenetica e all’evoluzione verso la vita solitaria. Dimostrò che fenomeni blastogenetici simili si trovano in un’altra forma polizoica del genere Rhopalopsis e che invece questo tipo di attività manca del tutto in Rhopalaea, pur essendo i due generi tassonomicamente affini. Tali risultati furono accolti molto positivamente nei trattati zoologici ed embriologici internazionali (De Lerma, 1970).

Si dedicò poi ad altre specie di Tunicati del golfo di Napoli, tra cui Clavelina lepadiformis, chiarendo l’origine mesoblastica delle gemme e mettendo in luce l’importanza del mesenchima in relazione al differenziamento degli organi. Nel 1929 descrisse la nuova specie Clavelina phlegraea del golfo di Napoli, evidenziando come gli individui di questa forma coloniale emergono con toraci liberi da un involucro che accoglie i loro addomi; anche in questo caso le gemme sono di origine mesoblastica. Nel 1931 pubblicò a Napoli una bella monografia sugli Ascidiacei del golfo di Napoli. Lavorò ancora sulle colonie di Didemnidi, Tunicati più evoluti, mostrando che dalla gemma esofagea si forma uno dei due blastozoidi figli per differenziazione di una massa addominale e successivamente della regione toracica. Inoltre mostrò che dalla gemma addominale si differenziava un altro individuo in maniera inversa, con anticipo della morfogenesi toracica su quella addominale (De Lerma, 1970). Si occupò della vita coloniale degli Ascidiacei, argomento che trattò a Palermo nel discorso inaugurale del congresso dell’Unione zoologica italiana del 1957.

Influenza importante sul giovane Salfi ebbe alla fine degli anni Trenta il successore di Della Valle, lo zoologo e morfologo Giuseppe Colosi, a sua volta allievo di Ermanno Giglio Tos a Cagliari e Daniele Rosa a Firenze. In quegli anni il suo approccio combinava il metodo morfologico con quello citologico (Baccetti, 1971). Eccelleva nel disegno e spesso accompagnava i suoi scritti con figure davvero notevoli, fatto che rendeva i suoi articoli particolarmente gradevoli nella lettura (La Greca, 1970a).

L’altro filone importante delle ricerche di Salfi sono stati gli Ortotteroidei (ortotteri, mantidi, blatte), un gruppo di insetti che si presta molto a studi di tipo biogeografico, faunistico e tassonomico; suo è il capitolo loro dedicato all’interno del volume di Edoardo Zavattari, Biogeografia delle isole Pelagie (Roma 1960). Scrisse anche molti contributi sull’ortotterofauna della Libia, studiando gli esemplari che regolarmente venivano raccolti dai locali entomologi dell’Ufficio agrario dell’allora colonia italiana. Pubblicò diversi contributi su specie di aree remote della Libia, oasi e zone desertiche molto interne. Era in stretta relazione epistolare con Geo Kruger, abile raccoglitore di insetti e accreditato entomologo. Pubblicò anche diversi articoli sugli Ortotteri italiani, contribuendo ad accrescere le conoscenze distributive e tassonomiche di questo gruppo di insetti. Verso la metà del Novecento era in uso che i principali ortotterologi europei pubblicassero delle monografie, mettendo a disposizione delle chiavi dicotomiche per il riconoscimento delle specie. Il titolo di queste monografie era Orthoptera Palaearctica Critica; a Mario Salfi toccò realizzare la revisione del genere Platypterna Fieber, 1853 (oggi considerato sinonimo di Ochrilidia Stål, 1873, in quanto già esisteva un genere di Rettili con lo stesso nome Platypterna, descritto nel 1848).

Pubblicata nel 1931 (Révision du genre Platypterna Fieber (Acrid.), in Eos, 1931, vol. 7, pp. 255-347), la revisione richiese una decina d’anni di studio di numerosissimi esemplari provenienti da varie regioni europee e soprattutto asiatiche e africane. Tra questi c’era una serie di maschi e femmine che Willy Ramme aveva raccolto a Balestrate in Sicilia e che in una sua monografia del 1927 aveva lasciato indeterminati; Salfi li descrisse come nuova specie con il nome sicula. La monografia incluse anche diverse altre nuove specie africane tuttora valide.

Scrisse del mesointestino delle locuste, dell’organo simbiotico dell’omottero Psillidae Trioza alacris, della morfologia della tibia e del tarso del pidocchio del maiale, della riduzione degli organi di volo negli insetti, della variabilità cromatica e dello sviluppo postembrionale di diverse specie di insetti. Si occupò pure di sistematica delle specie italiane del genere Podisma, degli Ortotteri Pamphagidae nordafricani, in particolare dei generi Tmethis e Acinipe, della loro variabilità e delle loro armature genitali, dell’ortotterofauna delle Eolie, dell’Albania, delle isole dell’Egeo, dell’Anatolia, del Karakorum e della Guyana Francese (La Greca, 1970b). Pubblicò inoltre alcuni trattati didattici, quali Morfologia dei vertebrati (Napoli, 1950), un compendio di entomologia generale, una novità per l’epoca, e nel 1957, a Milano, uno di zoologia. Scrisse anche voci dell’Enciclopedia italiana Treccani relative alla fauna e alla biogeografia. Nel corso della sua lunga carriera di zoologo pubblicò circa cento articoli scientifici.

Realizzò una cospicua collezione entomologica, prevalentemente costituita da Ortotteri paleartici; acquisita dall’Istituto nazionale di entomologia di Roma, successivamente soppresso, fu trasferita con le altre collezioni presso il Museo di entomologia dell’Università La Sapienza di Roma (Vigna Taglianti, 1982).

Promosse inoltre studi e ricerche faunistiche sul monte Pollino, al confine tra Calabria e Basilicata, con fondi del Consiglio nazionale delle ricerche. Fu redattore di tre riviste, il Bollettino di zoologia, l’Archivio zoologico italiano e l’Annuario dell’Istituto e museo di zoologia di Napoli.

Credette fermamente nella teoria evoluzionistica della Ologenesi formulata dallo zoologo italiano Daniele Rosa, secondo cui l’evoluzione degli organismi sarebbe avvenuta per processi interni e preordinati a partire da organismi più semplici; ogni specie si trasformerebbe in maniera dicotomica dando luogo a specie diverse. A lui va senza dubbio il merito di avere tenuto vivo l’interesse per la zoologia sistematica in un momento in cui la biologia cellulare andava occupando tutti gli spazi disponibili e di avere appoggiato ricercatori meritevoli (La Greca, 1970a).

Fu preside della facoltà di scienze dell’Università di Napoli dal 1952 al 1958, per trent’anni segretario dell’Unione zoologica italiana, socio dell’Accademia nazionale italiana di entomologia, della Società entomologica italiana (del cui consiglio direttivo fece parte dal 1954 al momento della sua morte), della Società nazionale di scienze, lettere e arti di Napoli, dell’Accademia Pontaniana di Napoli, dell’Accademia ligure di scienze lettere e arti di Genova, della Società di naturalisti in Napoli (di cui fu per molti anni segretario), della Società italiana di biogeografia (succeduta al Gruppo italiano di biogeografi) e della Società italiana di anatomia. Fu insignito dell’alto riconoscimento della medaglia d’oro al merito della cultura e della scuola.

Compagna della sua vita fu Maria Borrea, amica d’infanzia, sposata nel 1930. Non ebbero figli e per entrambi ogni avvenimento della zoologia italiana era un avvenimento familiare di primaria importanza (Baccetti, 1971). Uomo semplice, di carattere risoluto, piacevole conversazione e amante di arte e musica classica, non fu mai disponibile al compromesso e soffrì molto negli ultimi anni della sua vita a causa del cambiamento che stava avvenendo dentro l’Università e della contestazione studentesca della fine degli anni Sessanta. Alle soglie del ‘fuori ruolo’, aveva progettato comunque di continuare la sua vita di studioso all’interno del mondo universitario, che amava profondamente.

Si spense improvvisamente a Napoli il mattino del 28 luglio 1970, quando ancora svolgeva la sua funzione di professore.

Fonti e Bibl.: B. De Lerma, M. S. (1900-1970), in Bollettino di zoologia, 1970, vol. 37, n. 3, pp. 199-203; M. La Greca, Commemorazione del Prof. M. S. (1900-1970), in Lavori della Società italiana di biogeografia, 1970a, vol. 1, pp. 23-33; Id., M. S. (1900-1970), in Memorie della Società entomologica italiana, 1970b, vol. 49, pp. 189-194; B. Baccetti, M. S. (1900-1970), in Atti dell’Accademia nazionale italiana di entomologia. Rendiconti, 1971, vol. 19, pp. 59-63; A. Vigna Taglianti, Musei zoologici romani, in Atti del 3° Congresso ANMS..., Trento...1980, Verona 1982, pp. 78-83.

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