SCELBA, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCELBA, Mario

Augusto D'Angelo

– Nacque a Granieri, una frazione di Caltagirone (Catania), il 5 settembre 1901, da Gaetano, uomo di fiducia e fattore di un possidente terriero, e da Maria Gambino.

L’ambiente familiare era caratterizzato dalla fede cattolica: Gaetano aveva fondato la Confraternita degli Adoratori del Ss. Sacramento e viveva la sua fede anche nella dimensione sociale. Era iscritto al circolo cattolico di Caltagirone e partecipava al movimento municipalista avviato nella cittadina siciliana da don Luigi Sturzo. I coniugi ebbero cinque figli: Giovanni, i gemelli Mario e Giacomo, un quarto figlio morto in tenera età, ed Emanuela, detta Nelina. Per le condizioni familiari, pur non disagiate, Mario fu costretto a terminare gli studi nel 1913 con la ‘sesta classe’. Ma il suo desiderio di studiare e la sua intelligenza erano stati apprezzati da don Sturzo che, a partire dal 1909, lo aveva preparato per la prima comunione. Il prete siciliano, futuro fondatore del Partito popolare italiano (PPI), si attivò per garantire un’istruzione al giovane, che dal 1914 iniziò a frequentare come esterno la prima classe del ginnasio inferiore del Seminario di Caltagirone. Lo scoppio della guerra costrinse l’istituto a sospendere le lezioni e Scelba recuperò gli anni perduti presentandosi da privatista e conseguendo la maturità classica nel 1920. In quel periodo di studi, su incarico di Sturzo promosse a Caltagirone un circolo della Gioventù cattolica intitolato a san Filippo Neri.

In quello stesso anno Scelba si trasferì a Roma, dove frequentò un corso dell’Azione cattolica (AC) per propagandisti e organizzatori per il quale l’AC stessa garantiva spese di viaggio e soggiorno. Finito il corso, decise di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza della Sapienza di Roma e per mantenersi chiese a Sturzo consiglio per trovare un lavoro. Questi, già segretario del PPI, gli propose un impiego al Partito e lo scelse come addetto alla sua segreteria personale, con mansioni che gli permettessero di studiare. Dopo qualche tempo ne divenne segretario particolare, osservando da quella posizione privilegiata le esitazioni letali nella difesa delle istituzioni liberali, l’ascesa del fascismo, il declino del PPI e la partenza di don Sturzo per l’esilio.

In quegli anni di collaborazione aveva spesso accompagnato Sturzo nelle passeggiate serali che concludevano le lunghe giornate di lavoro, entrando in maggiore intimità con lui e raccogliendone preziosi insegnamenti. Dopo la partenza di Sturzo si laureò in giurisprudenza, il 20 dicembre 1924, con una tesi sul decentramento regionale, della quale fu relatore Alfredo Codacci Pisanelli, mentre presidente della commissione fu Antonio Salandra.

Prese parte ai lavori del quinto e ultimo Congresso nazionale del PPI, tenutosi a Roma nel giugno del 1925. Alla chiusura del quotidiano Il Popolo, nel novembre del 1925, si attivò per animare il settimanale L’idea popolare, che vide la luce nell’aprile del 1926 e continuò a tenere viva la speranza nell’azione politica dei cattolici, fino alla cessazione delle pubblicazioni, nell’ottobre successivo.

In quegli anni Scelba iniziò la pratica forense come avvocato civilista negli studi di Sante Antonio Martorelli, poi di Gino Coccia e infine di Filippo Del Giudice. Quando, all’inizio degli anni Trenta, Del Giudice, vicino agli ambienti del ‘popolarismo’, fu costretto all’espatrio, Scelba aprì un suo studio ereditandone la clientela. Intanto nel 1929 aveva sposato Nerina Palestini, originaria di San Benedetto del Tronto, giovane cognata dell’amico calatino Giovanni Piazza. Dal matrimonio nacque, nel 1930, Maria Luisa. Negli stessi anni approfondì l’amicizia con Alcide De Gasperi, che visitò spesso presso la clinica Ciancarelli, dove l’uomo politico trentino era stato ricoverato dopo l’arresto, i processi e la detenzione nel carcere romano di Regina Coeli.

Scelba fu tra gli esponenti del PPI che, attraversata la stagione del fascismo, iniziò a tessere la rete politica da cui nacque la Democrazia cristiana (DC). Collaborò alla redazione delle Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, primo documento programmatico del Partito, reso pubblico nel luglio del 1943, e si fece carico di molti aspetti organizzativi del nascente soggetto politico. Fece parte del comitato ristretto chiamato a guidare la DC nel periodo dell’occupazione tedesca; dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) entrò a far parte della Giunta esecutiva del nuovo Partito. Nel Congresso interregionale della DC, tenutosi a Napoli il 29 e 30 luglio 1944, Scelba fu eletto nel Consiglio nazionale che acclamò De Gasperi segretario. Lo stesso organismo lo nominò vicesegretario.

All’interno della DC rappresentò, con altri, la tradizione ex popolare che travasava nella nuova formazione politica l’eredità ancorata ai valori del cattolicesimo democratico e dell’antifascismo generati dall’esperienza sturziana e che sostenne lealmente De Gasperi nella edificazione di un regime democratico e parlamentare, affiancandolo nel suo disegno politico. Nel suo rapporto con la Chiesa, pur da cattolico praticante, Scelba difese la laicità dell’ambito politico. Quando si prospettò lo slittamento del rientro di Sturzo in Italia per timore della sua influenza sul referendum istituzionale – operazione in cui i vertici ecclesiastici furono determinanti – scrisse al sacerdote riferendosi all’azione vaticana negli anni del fascismo in questi termini: «Troppi errori sono stati commessi durante 20 anni, da certa parte, perché abbiano il diritto morale di imporre il loro punto di vista che è schiettamente politico e ha finalità ben definite. Si tratterebbe di un secondo intervento nella vita interna italiana che noi non siamo disposti più a subire» (Carteggio, a cura di G. Fanello Marcucci, 1995, p. 217). Ricordando la lezione del fondatore del PPI sulla distinzione tra ambito religioso e politico avrebbe scritto in seguito: «Don Sturzo, creando il primo partito nazionale dei cattolici, volle [...] che il carattere confessionale del partito fosse escluso persino nel nome. Così facendo egli voleva evitare non solo i pericoli di una lunga tradizione “clericale”, ma soprattutto abituare i cattolici a pensare, politicamente, di testa propria e a comportarsi da maggiorenni» (Scelba a Fanfani, in data 12 settembre 1963, in Mario Scelba. Contributi per una biografia, 2006, p. 43).

All’indomani della Liberazione Scelba fu nominato ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel governo Parri (giugno-dicembre 1945), carica che continuò a ricoprire anche con i primi due gabinetti De Gasperi, fino al gennaio del 1947. Nel 1945 fu nominato membro della Consulta nazionale e venne poi eletto all’Assemblea costituente nella circoscrizione della Sicilia Orientale. A partire dalle elezioni politiche del 1948 fu sempre rieletto nelle file della DC alla Camera (dalla I alla IV legislatura) e al Senato (dalla V all’VIII) fino al suo ritiro dalla vita politica, nel 1983.

Dal febbraio del 1947, con il III governo De Gasperi, assunse l’incarico di ministro dell’Interno, nel quale fu confermato fino al luglio del 1953, nei governi De Gasperi IV, V, VI e VII, con una sola breve interruzione, per motivi di salute, dal luglio al settembre del 1952; in quel periodo l’interim fu affidato al ministro delle Poste, Giuseppe Spataro.

Aver assistito al ‘biennio rosso’, alla reazione fascista e a come questa determinò con violenza la crisi dello Stato liberale, convinse Scelba della necessità del controllo dell’ordine pubblico per la difesa delle nuove istituzioni democratiche e repubblicane. I primi anni della Repubblica videro radicarsi in Italia il confronto generato a livello internazionale dalla guerra fredda con momenti di forte tensione, a partire dalla campagna elettorale per il voto del 1948, l’attentato a Togliatti (14 luglio), le proteste sindacali, la tensione generata dalla guerra di Corea (1950-53). Scelba dovette vigilare su diversi fronti: il rischio di paventate insurrezioni da parte del mondo comunista, la lotta al neofascismo, l’intreccio tra mafia e banditismo in Sicilia (la strage di Portella della Ginestra e il ‘caso Giuliano’). Alcune direttrici della sua azione vanno interpretate come risposta a queste necessità: la riorganizzazione delle forze di polizia, l’espulsione da esse di oltre 8000 ex partigiani, lo sviluppo della ‘Celere’ su tutto il territorio nazionale, l’aumento dell’organico delle forze dell’ordine da 30.000 a quasi 70.000 uomini; la sostituzione dei prefetti politici con quelli di carriera; la requisizione delle armi diffuse sul territorio; la lotta al neofascismo con la legge contro la ricostituzione del partito fascista (legge Scelba). Per evitare il rischio di erosione elettorale delle forze di centro a causa del ritorno della destra e dell’avanzata delle sinistre – dato emerso dalle elezioni amministrative dei primi anni Cinquanta – lavorò alla riforma della legge elettorale che avrebbe dovuto assicurare i due terzi dei seggi della Camera alla coalizione che avesse raggiunto la maggioranza assoluta dei voti (la ‘legge truffa’). Nelle elezioni del 1953 il premio di maggioranza non scattò per poco più di 50.000 voti, provocando la fine dei governi De Gasperi. La legge fu abrogata nel 1954 e per oltre un quarantennio il modello del sistema elettorale proporzionale venne considerato irriformabile.

Parte della storiografia è stata severa con Scelba, descrivendolo come «ministro di polizia» o «braccio armato» del regime democristiano, e lo «scelbismo» è stato indicato quale strategia di repressione preventiva atta a mantenere l’ordine pubblico anche attraverso la limitazione dei diritti dei cittadini (Mario Scelba. Contributi per una biografia, 2006, p. 142). Una valutazione più equa ha maggiormente tenuto in conto che la fermezza di Scelba si basò sulla preoccupazione che un governo debole e incerto a fronte di eventuali minacce eversive avrebbe potuto determinare il fallimento della giovane e ancora fragile Repubblica. Dalle sue memorie emerge come su quelle scelte abbia influito l’esperienza vissuta nel 1922: «La debolezza del governo nel reprimere le violenze fasciste era stata la causa vera della conquista del potere da parte dei fascisti» (Per l’Italia e per l’Europa, 1990, p. 53).

Esauritasi la stagione del centrismo degasperiano e la breve esperienza del governo Pella, all’inizio del 1954 Scelba venne incaricato dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi di formare il governo, che rimase in carica dal febbraio 1954 al luglio del 1955. La maggioranza parlamentare fu assicurata dalla formula del quadripartito centrista, con l’alleanza della DC, dei liberali e dei socialdemocratici, e con l’appoggio esterno del Partito repubblicano italiano (PRI). Scelba in quel governo mantenne anche l’incarico di ministro dell’Interno. Sul piano internazionale concluse le iniziative diplomatiche per il ritorno di Trieste all’Italia, risultato conseguito con la firma del memorandum d’intesa del 5 ottobre 1954 tra Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Federazione della Jugoslavia, e con la presa di possesso della zona A il 26 ottobre.

Inoltre si deve alla presidenza Scelba l’iniziativa della conferenza di Messina, che diede nuovo impulso al disegno di integrazione europea – indebolito dal fallimento della Comunità europea di difesa (CED) – culminato con i Trattati di Roma del 1957, istitutivi della CEE (Comunità Economica Europa) e della Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM), nonché la stipula del trattato con cui l’Italia aderì all’Unione Europea occidentale. Dal punto di vista interno il governo Scelba si impegnò per la riforma della Pubblica amministrazione attraverso misure di razionalizzazione e semplificazione dei procedimenti, nonché con la creazione di una Commissione (costituita con dpcm 16 marzo 1954) «per l’applicazione delle direttive parlamentari in materia di gestioni fuori bilancio, di cumulo delle cariche e di incarichi ai funzionari statali», presieduta da Sturzo. La Commissione aveva l’obiettivo di fissare regole per la buona amministrazione degli enti e per il controllo parlamentare della formazione del nuovo personale.

Il rafforzamento di Amintore Fanfani alla segreteria della DC, la morte di De Gasperi (19 agosto 1954) e soprattutto l’elezione di Giovanni Gronchi alla presidenza della Repubblica (11 maggio 1955) fecero venir meno la coesione nella maggioranza di governo. Gronchi era stato eletto contro la volontà della segreteria democristiana – che aveva indicato quale proprio candidato Cesare Merzagora – e da una larga maggioranza comprendente anche socialisti e comunisti. Il nuovo presidente della Repubblica era uno dei maggiori sostenitori dell’apertura ai socialisti e divenne un punto di riferimento per quelle componenti della DC che premevano verso una soluzione di questo tipo in alternativa all’impostazione centrista di Scelba.

Dopo l’elezione di Gronchi, Scelba si era limitato a presentare al capo dello Stato le dimissioni formali del suo governo: si trattava di un atto di cortesia nei confronti del nuovo presidente, che – in assenza di segnali di crisi nella maggioranza – avrebbe dovuto respingerle. Invece ciò non avvenne. Si aprì così una vera e propria crisi, durante la quale la direzione della DC non lasciò al presidente del Consiglio incaricato lo spazio di manovra per le opportune trattative con i partiti perché pose come condizione inderogabile la partecipazione diretta al governo anche del PRI, complicando oltre il possibile la missione di Scelba che, senza margini di trattativa e senza la possibilità di offrire a esponenti repubblicani qualche ministero chiave, ottenne da loro un rifiuto a entrare nella compagine governativa. In tali condizioni nel luglio del 1955 Scelba rinunciò all’incarico.

Tornò al governo come ministro degli Interni solo con il terzo gabinetto Fanfani, quello che Aldo Moro definì delle «convergenze democratiche», in carica dal luglio del 1960 al febbraio del 1962. Le tensioni del 1960 – generatesi a seguito della formazione del monocolore DC guidato da Fernando Tambroni e sostenuto dal Movimento sociale italiano (MSI) e dal permesso accordato allo stesso MSI di celebrare il suo congresso nella città partigiana di Genova – provocarono ampie mobilitazioni popolari e scontri tra manifestanti e polizia il 30 giugno a Genova e il 7 luglio a Reggio Emilia, dove rimasero uccisi cinque manifestanti. Tutto ciò parve rendere necessario un ritorno di Scelba a presidio dell’ordine pubblico contro le manifestazioni violente. In quella veste dovette fronteggiare anche la ripresa della tensione in Alto-Adige, dove si erano verificati alcuni gravi attentati dinamitardi a opera di frange estremiste sudtirolesi con l’obiettivo di favorire l’autodeterminazione della regione e il distacco dall’Italia. Scelba adottò misure straordinarie per la tutela dell’ordine pubblico e agì sul piano politico insediando una commissione consultiva chiamata a elaborare proposte tese alla convivenza tra i diversi gruppi etnico-linguistici.

Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta Scelba fu avversario della strategia di apertura a sinistra. Tentò di contrastare le posizioni di quanti nel suo Partito operavano per un superamento del centrismo a vantaggio di una graduale convergenza con il Partito socialista italiano (PSI), di cui si intendeva favorire il processo di autonomia dal Partito comunista italiano (PCI). La linea di Scelba, fortemente antifanfaniana, si mantenne inalterata anche a seguito della nomina di Moro alla segreteria del Partito, nel marzo del 1959. In preparazione del Congresso di Firenze (ottobre 1959) organizzò una nuova corrente, Centrismo popolare, per opporsi alla nuova maggioranza dorotea. A partire dal congresso di Napoli del 1962, in cui fu varata l’apertura a sinistra, la corrente pubblicò un settimanale politico, Il Centro, che uscì fra il 1962 e il 1966.

L’obiettivo era la rivendicazione dell’eredità degasperiana per una DC alternativa ai partiti marxisti e alle destre neofasciste e monarchiche, e la lezione della laicità ereditata da Sturzo. Al tempo stesso Scelba non si mostrò pregiudizialmente contrario all’esperimento portato avanti da Moro, ma riteneva corretto imporre alcune condizioni per la realizzazione del centro-sinistra: prima tra tutte l’abbandono da parte dei socialisti delle alleanze con i comunisti nelle amministrazioni locali. Tra i nomi di spicco di Centrismo popolare c’erano Oscar Luigi Scalfaro, Guido Gonella, Mario Martinelli, Roberto Lucifredi, Giuseppe Vedovato. In vista del voto di fiducia al I governo Moro di centro-sinistra organico, Centrismo popolare espresse l’intendimento di votare contro il governo in seno al gruppo parlamentare e di non partecipare alla votazione in aula, soprattutto perché per la prima volta nella storia della DC una porzione del Partito – la loro – era stata esclusa dal governo a causa della differente linea politica. Ma diverse pressioni, tra le quali una nota dell’Osservatore Romano del 13 dicembre 1963, richiamarono al caposaldo dell’unità del Partito, scongiurando la radicalizzazione delle posizioni.

In seguito non fece mancare il suo apporto alla costruzione del primato del Partito, ritenuto il pilastro della stabilità democratica. Gradualmente il reinserimento degli esponenti ‘centristi’ nei ruoli di responsabilità della vita interna del Partito sanò la lacerazione; Scelba abbandonò le posizioni di opposizione interna per partecipare alla nuova prospettiva politica e nel 1966 fu eletto presidente del Consiglio nazionale della DC, sciogliendo poi Centrismo popolare.

Negli anni Settanta Scelba rappresentò la figura dell’anziano notabile che guardava con preoccupazione la sorte del Partito che aveva contribuito a fondare. Scorse segni di «anchilosi» nel personale al governo, soggetto a poco ricambio, e rivendicò al Partito un ruolo di innovazione che non vedeva negli uomini coinvolti a livello ministeriale.

Nel 1970 scrisse ad Arnaldo Forlani, allora segretario della DC: «Gli uomini della Democrazia Cristiana che hanno in mano le leve del governo sono, purtroppo, tutti logori, e la loro continua permanenza al governo [...] ha prodotto una vera e propria anchilosi cerebrale. E quindi non mi attendo da nessuno un apporto di idee e di volontà politica realizzatrice. Spetta quindi al partito integrare le insufficienze degli uomini» (Roma, Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo, Fondo Scelba, b. 4, f. 70: Scelba a Forlani, 9 luglio 1970).

Scelba fu un europeista convinto. Oltre al merito del suo governo, attraverso la conferenze di Messina, di aver rilanciato il processo di integrazione, va registrato il suo costante impegno su tale fronte. Già nel 1957, finita l’esperienza governativa, fu membro della Commissione speciale per la ratifica dei trattati istitutivi della CEE e dell’EURATOM. Nel luglio del 1959 fu designato quale rappresentante dell’Italia al Parlamento europeo, vedendosi sempre confermato nell’incarico fino alle elezioni europee del 1979, le prime a suffragio universale diretto. Scelba aveva auspicato quella modalità di elezione sin dal suo primo intervento al Parlamento europeo.

In quell’occasione affermò che l’integrazione europea aveva avviato il suo percorso «ma con la prima marcia non solo non si va avanti per lungo tempo, ma vi è il rischio, a restarvi, di bruciare il motore». In quello stesso discorso si disse convinto che le difficoltà del Mercato comune europeo (MEC), quelle interne e quelle verso i Paesi terzi, sarebbero state facilmente superabili se fosse esistita «un’autorità politica». Aggiunse inoltre che se il MEC si fosse ridotto a una zona di libero scambio non avrebbe resistito a lungo, perché avrebbe potuto «essere superato da una politica di liberalizzazione o di discriminazione degli scambi da parte di altri paesi» (Mario Scelba. Contributi per una biografia, 2006, p. 403).

Scelba fu presidente del Parlamento europeo dal marzo del 1969 al marzo del 1971 e si impegnò perché quell’assemblea avesse, a partire dal problema del bilancio, un ruolo non più solo consultivo, ma deliberativo. Nella relazione al termine del primo anno di presidenza scrisse: «Ho trovato un Parlamento soltanto consultivo. Oggi esso è un organo anche politico e deliberativo» (Per l’Italia e per l’Europa, cit., p. 148).

Per la sua storia e per le cariche ricoperte nel Parlamento europeo, in occasione delle prime elezioni a suffragio universale del 1979, fu presentato dalla DC come capolista nella circoscrizione di Sicilia e Sardegna. Nonostante le oltre 200.000 preferenze ottenute rimase schiacciato nella competizione tra le correnti che videro prevalere Salvo Lima, vicino a Giulio Andreotti, e Vincenzo Giumarra, vicino a Benigno Zaccagnini. L’enorme delusione fu solo parzialmente temperata dalla rielezione nel collegio senatoriale di Caltagirone e gli confermò le precedenti analisi sulla nocività del sistema correntizio. Si trattò del suo ultimo mandato parlamentare. Nel 1983 scrisse al segretario della DC, Ciriaco De Mita, rammentando i settant’anni di militanza al servizio della presenza autonoma dei cattolici in politica e comunicando la sua intenzione di non ricardidarsi (Fondo Scelba, b. 2, f. 15: Scelba a De Mita, 26 aprile 1983).

Negli ultimi anni di vita, finché la salute glielo permise, continuò a ricevere politici e conoscenti che tenevano al suo parere nell’ufficio romano di piazza Barberini. Si dedicò al riordino delle sue carte e in particolar modo tenne alla pubblicazione del carteggio con don Sturzo, suo maestro politico; radunò anche i ricordi della sua azione politica pubblicati in Per l’Italia e per l’Europa (Roma 1990).

Morì a Roma, nella sua casa di via Orazio, il 29 ottobre 1991.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo, Fondo Scelba; M. Scelba, Per l’Italia e per l’Europa, Roma 1990; Opera omnia di Luigi Sturzo, IV, 2, M. Scelba - L. Sturzo, Carteggio (1923-1956), a cura di G. Fanello Marcucci, introduzione di F. Malgeri, Roma 1995; M. Scelba, Discorsi parlamentari, I-II, Roma 1996.

G. Calandrone, Gli anni di S., Milano 1975; C. Pizzinelli, S., Milano 1982; G.C. Marino, La repubblica della forza. M. S. e le passioni del suo tempo, Milano 1995; V. La Russa, Il ministro S., Soveria Mannelli 2002; G. Fanello Marcucci, S. Il ministro che si oppose al fascismo e al comunismo in nome della libertà, Milano 2006; G. Tassani, L’Italia difficile di M. S. Sette testimonianze e sette lettere, Soveria Mannelli 2006; M. S. Contributi per una biografia, a cura di P.L. Ballini, Soveria Mannelli 2006.

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