BELLISARIO, Marisa

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

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BELLISARIO, Marisa

Barbara Curli

BELLISARIO, Marisa (Maria Isabella)

Nacque a Ceva, in provincia di Cuneo, il 9 luglio 1935, prima dei tre figli di Anselmo, capo dell’ufficio imposte di Ceva, e di Claudia (Dina) Realini.

L’ingresso in Olivetti, 1959-1963

Dopo la laurea in economia e commercio all’Università di Torino nel 1959, entrò all’Olivetti di Ivrea, allora azienda leader nella produzione di macchine elettromeccaniche e contabili. Nel febbraio 1960 – nel quadro di una strategia d’inserimento dell’Olivetti nel settore del calcolo elettronico avviata a metà anni Cinquanta (‘naturale’ evoluzione della cultura aziendale di Adriano Olivetti, che dell’innovazione aveva fatto uno dei principi-guida della sua strategia d’impresa) – fu inviata a Milano a frequentare il primo corso per specialisti di computer organizzato dall’azienda. L’attività elettronica di questa ruotava allora intorno al progetto dell’ELEA (Elaboratore elettronico aritmetico) 9003, primo computer interamente progettato e prodotto in Italia, sotto la guida di Mario Tchou e Pier Giorgio Perotto e con disegno di Ettore Sottsass (premiato nel 1959 con il Compasso d’oro per il design industriale): un progetto che collocò l’Olivetti in una posizione di avanguardia a livello mondiale anche nel calcolo digitale.

Al termine del corso fu assunta alla Divisione commerciale elettronica (DCE) dell’Olivetti, diretta da Elserino Piol, con sede a Milano. Nell’ottobre 1962 la DCE, che vendeva i computer ELEA, venne fusa con l’Olivetti-Bull – nata nel 1949 con una partecipazione della francese Bull e diretta da Ottorino Beltrami – dando origine alla Divisione elettronica Olivetti (DEO). La direzione fu affidata allo stesso Beltrami, con il quale Bellisario instaurò un rapporto di reciproca stima e solidarietà, oltre che di affinità di filosofie manageriali, destinato a costituire uno dei principali punti di riferimento di tutta la sua carriera.

Analista di sistema, incaricata dell’assistenza sistemistica e dell’avviamento delle applicazioni, Bellisario fece dunque parte della prima generazione di specialisti italiani del computer, una «compagine di talenti d’altissimo livello e dall’entusiastica motivazione», ben consapevoli delle opportunità offerte dall’elettronica per la modernizzazione tecnologica dell’industria italiana, dei quali Olivetti era riuscito a «mobilitare le doti creative» (Gallino, 2001, p. 33). Bellisario (Donna e top manager. La mia storia, Milano 1987, p. 12) avrebbe ricordato l’attività di quegli anni come ricca di stimoli, in un ambiente «pioneristico», nel quale l’elettronica era «un mondo nuovo, tutto da scoprire, competitivo e un po’ misterioso, all’avanguardia della tecnologia, proiettato nel futuro, modernissimo».

Incontrò allora il matematico Lionello Cantoni, sposato poi il 29 maggio 1969. Responsabile dei sistemi informatici dell’Olivetti a Ivrea prima, vicedirettore dei sistemi informatici della Fiat a Torino dal 1971, professore universitario nell’ateneo torinese poi, Cantoni le restò accanto tutta la vita, abituandosi presto – come egli stesso avrebbe ricordato  (Appendice a Donna e top manager..., cit., p. 224) – al ruolo di «Mister Bellisario». Soprattutto, egli rappresentò un riferimento di stabilità affettiva e un compagno discreto e solidale, che l’aspettava ogni fine settimana nella casa torinese, con i cani, i gatti e i fiori amati da Marisa – ma senza figli, che decisero di non avere – e che ogni estate trascorreva con lei vacanze ritirate nella casa sul Monte Conero.

La collaborazione con General Electric,  1963-1971

Il progetto di espansione dell’Olivetti nella grande informatica si arenò a causa delle crescenti difficoltà finanziarie dell’azienda. Quando nel febbraio 1960 morì Adriano le difficoltà si fecero insormontabili e nel 1964 un gruppo formato da Fiat, Pirelli, IMI, Mediobanca e La Centrale intervenne con un’operazione di salvataggio, che lasciò alla famiglia Olivetti il 30% del pacchetto azionario e portò alla presidenza Bruno Visentini. A seguito di tale operazione fu decisa la cessione dell’intera attività elettronica Olivetti: la DEO fu venduta alla General Electric (GE) che nel luglio 1964 aveva già comprato Bull. Nacque così Olivetti General Electric (OGE), americana per il 75%, della quale Beltrami fu nominato amministratore delegato. Solitamente considerata una delle occasioni mancate per la modernizzazione dell’industria italiana nelle tecnologie avanzate negli anni Sessanta, la cessione della DEO fu motivo di grande amarezza per Bellisario, che avrebbe rammentato lo «sdegno» e il senso di «tradimento» provati per il disinteresse del mondo politico, dell’opinione pubblica e della stampa di fronte alla «svendita» di un «prezioso patrimonio di conoscenze italiano» (Donna e top manager..., cit., p. 37).

Iniziò allora l’esperienza di lavoro con gli americani della GE. Dal 1965 divenne direttore di prodotto, una delle poche top executives a livello mondiale nel settore informatico (Datamation, aprile 1972). Le riunioni si aprivano con la formula, poi divenuta celebre, «Marisa and gentlemen», essendo lei l’unica donna, spesso quanto vanamente invitata a non indossare i pantaloni nelle riunioni con i clienti (Donna e top manager..., cit., pp. 41 s.). Anche attraverso tali aspetti comportamentali si cominciò a costruire un’immagine di ‘modernità’ femminile nell’alto management, una costante di tutta la sua carriera, che seppe sapientemente sfruttare quale elemento di comunicazione aziendale.

Nella primavera del 1968 l’Olivetti cedette alla GE il restante 25% ancora detenuto nella OGE, trasformata in General Electric Information Systems Italia (GEISI), filiale italiana della multinazionale americana. Beltrami fu confermato amministratore delegato e direttore generale, mentre a Bellisario fu affidata la pianificazione. In seguito a un accordo tra GE e Honeywell, nel maggio 1970 furono integrate le attività informatiche delle due società, dando origine alla Honeywell Information Systems Italia (HISI), nella quale Bellisario continuò a svolgere l’attività di pianificazione.

Quando nello stesso 1970 Beltrami, nominato direttore generale di Finmeccanica, abbandonò la HISI, Bellisario apparve subito come una delle due o tre persone in grado di sostituirlo, ma la scelta cadde su Carlo Peretti, direttore marketing. Seppe più tardi delle riserve sul suo nome in quanto donna: era stato giudicato «un po’ presto» per una donna ricoprire tale carica, anche se per la prima volta una compagnia come la Honeywell aveva preso «in seria considerazione» una candidatura femminile per una posizione del genere (ibid., p. 60).

Nell’autunno 1971 Beltrami lasciò Finmeccanica richiamato da Visentini all’Olivetti, in un momento di grave difficoltà dell’azienda: la rivoluzione dell’elettronica aveva investito le macchine per ufficio, mentre a Ivrea mancava ormai la cultura elettronica, dispersa nel 1964 con la cessione della DEO. Beltrami, nominato amministratore delegato unico, impostò il passaggio dell’Olivetti all’informatica – avviando una profonda trasformazione produttiva, tecnologica, organizzativa e commerciale, portata poi a compimento da Carlo De Benedetti nei primi anni Ottanta – e volle al suo fianco Bellisario, alla quale, a partire dal gennaio 1972, affidò la nuova direzione della Pianificazione operativa.

Di nuovo in Olivetti, 1971-1980

Ivrea le apparve inizialmente «felice e tranquilla, lontana dai problemi delle grandi città» come Milano e Torino, afflitte dalle tensioni sociali del dopo Sessantotto e dalle prime bombe del terrorismo, sebbene un po’ provinciale e un po’ antiquata sul piano manageriale. Specie dopo il passaggio all’Italtel, ne avrebbe continuato ad apprezzare lo stile, ancora influenzato dall’utopia comunitaria di Adriano Olivetti, dal senso di fedeltà all’azienda e dal legame tra azienda e città. Il passaggio all’elettronica – «una vera e propria rivoluzione copernicana» per l’azienda, una sfida e una stagione molto dure anche sul piano personale – coincise forse con l’unico periodo durante il quale l’impegno nel lavoro le fece trascurare la propria persona e l’abbigliamento (ibid., p. 73).

Lo spostamento dell’azienda verso il settore informatico fu dirompente: nel 1971 i prodotti elettronici rappresentavano il 23% del fatturato; nel 1977 quasi il 60%. Cambiarono la filosofia di progettazione e i metodi di lavoro (con la catena di montaggio soppiantata dai nuovi gruppi autonomi di lavoro ‘a isole’); fu rinnovata l’organizzazione commerciale, da sempre punto di forza dell’Olivetti, e impostata la riqualificazione di tutti i lavoratori; e, non ultimo, avviata una politica di relazioni sindacali all’avanguardia tra le aziende italiane. Sul piano dei prodotti, furono sviluppati i piccoli computer per applicazioni contabili e il Sistema Audit e fu progettata una nuova linea di sistemi terminali, destinata a trovare applicazione soprattutto nell’automazione in campo bancario e finanziario, la TC 800.

Nel 1974 fu varato il piano di prodotto per la macchina per scrivere elettronica, progettata dallo staff diretto da Perotto e presentata a Milano nel luglio 1978: «la mia macchina per scrivere […] è arrivata prima della IBM», ricordava Bellisario (ibid., p. 89), che la volle fortemente nonostante lo scetticismo diffuso e che scelse per il design delle macchine Mario Bellini e come elemento singolo e intercambiabile di scrittura la ‘margherita’, disegnata da Gian Luigi Ponzano. Tali mutamenti, frutto della convergenza tra tecnologia informatica e microelettronica, segnarono il passaggio dell’Olivetti dalla grande informatica all’informatica o intelligenza ‘distribuita’, particolarmente adatta alla struttura industriale italiana, caratterizzata da piccole imprese, un mercato – dichiarò Bellisario al Corriere della sera (5 aprile 1978) – «che prima non esisteva» e che l’Olivetti individuò «con prontezza».

In effetti, a partire dall’innovazione introdotta dal word processing, si cominciò a ridisegnare il concetto stesso di ufficio – fattosi sistema e obbligato a ridefinire il lavoro, il suo contenuto e la sua organizzazione – in una fase storica di aumento dei costi del lavoro e di trasformazione anche culturale nei contenuti del lavoro e nelle aspirazioni sociali, all’origine di una nuova generazione di impiegati; di questi molti erano donne, osservava l’imprenditrice in un’intervista al Financial Times del novembre 1975, le stesse che «tra vent’anni […] non vorranno più fare le segretarie».

La performance dell’azienda richiamò l’attenzione della stampa italiana e internazionale, che riconobbe al nuovo management coraggio e dinamismo. Nell’aprile 1975 il Financial Times definiva Bellisario «una delle poche donne a raggiungere gli alti livelli nell’imprenditoria italiana al di fuori di legami familiari». Non si mancava tuttavia di sottolineare da più parti la persistente posizione di svantaggio non soltanto dell’industria italiana ma, più in generale, dell’industria europea nei confronti di quella americana, forte di ben maggiori commesse e aiuti alla ricerca. La situazione italiana era particolarmente delicata; a Bellisario non sfuggì l’analogia con il 1964, un altro passaggio sul quale si era giocata la modernizzazione industriale nazionale. Come allora, sarebbe stato necessario un assai più sostenuto e convinto aiuto pubblico alla ricerca (intervista a Panorama, 5 giugno 1975).

La rivoluzione informatica della Olivetti, costosa e impegnativa, doveva infatti tener testa al dinamismo di concorrenti agguerriti, in primo luogo l’IBM, detentrice di oltre il 70% del mercato italiano. La crisi finanziaria raggiunse l’apice nel 1977. Nel maggio 1978 arrivò a Ivrea il nuovo principale azionista, Carlo De Benedetti, che fece dell’Olivetti un caso esemplare di rilancio e modernizzazione aziendale in una fase di più generale recupero e riaggregazione della grande imprenditorialità privata italiana (i nuovi ‘capitani d’industria’) e di avvio di una profonda riorganizzazione del mercato, del sistema produttivo e di ristrutturazione della grande impresa, dopo la ‘frantumazione’ produttiva degli anni Settanta.

I rapporti di Bellisario con De Benedetti furono difficili fin dall’inizio, anche se in seguito avrebbe riconosciuto di avere imparato da lui l’importanza della gestione delle risorse finanziarie e la necessità, in certi casi, di essere duri. Dopo alcuni mesi di tensione le fu proposto di assumere la direzione dell’Olivetti Corporation of America (OCA), consociata americana dell’Olivetti, in disastrose condizioni. La proposta, da più parti considerata come un ‘siluramento’, costituiva un’evidente retrocessione, dalla direzione della pianificazione a responsabile di una società in smobilitazione, tale da indurla alle dimissioni. Inaspettatamente Bellisario accettò la sfida e nel gennaio 1979 partì per gli Stati Uniti, per avviare la riorganizzazione produttiva e organizzativa dell’OCA. La stessa immagine della nuova presidente costituì una componente della strategia di rilancio: il nuovo boss americano della Olivetti era una «dinamica donna italiana», della quale Word Processing World (aprile 1979) sottolineava la determinazione e l’eleganza; per Fortune (22 ottobre 1979) una donna «che si è fatta da sola» era una «rarità» tra le donne manager, sia in Italia sia negli Stati Uniti. Nel 1981 fu la prima donna invitata come keynote speaker alla National Computer Conference di Chicago.

Dopo anni di perdite, l’OCA cominciò a risollevarsi e già nel 1979 chiuse con un utile, pur a fronte di non facili rapporti con il management e di un risanamento assai più lento di quanto si aspettassero i vertici di Ivrea. Richiamata da questi in Italia, nel maggio 1980 fu incaricata di coordinare i rapporti con la CII (Compagnie Internationale pour l'Informatique)-Honeywell Bull, nel quadro dell’accordo Olivetti-StGobain (che aveva acquistato il 21% del capitale Olivetti). La collaborazione con la StGobain incontrò subito difficoltà politiche e scarsa volontà di stabilire una collaborazione industriale. Ma ormai Belisario, «donna battagliera e irriducibile», era diventata «la primadonna dell’informatica nazionale»: un referendum promosso tra giornalisti economici la identificò come il «manager più duro» d’Italia e Capital (giugno 1980) le dedicò la copertina presentandola come «faccia d’angelo, pugno di ferro».

Il passaggio all’Italtel, 1980-1983

Nel frattempo fu chiamata da Beltrami, dal luglio 1980 presidente della SIP (Società Italiana Per l'esercizio telefonico), a Roma per un colloquio relativo alla SIT (Società italiana telecomunicazioni)-Siemens, impresa del gruppo STET (Società Finanziaria Telefonica) produttrice di telefoni e centrali telefoniche su licenza Siemens e con principale acquirente la SIP. L’impresa, con sede a Milano e spesso coinvolta nelle vicende di terrorismo dei primi anni Settanta e nell’elevata conflittualità delle relazioni industriali, si trovava in condizioni critiche ed era in procinto, all’imminente scadenza degli accordi con la Siemens tedesca, di cambiare il nome in Italtel.

Non si trattava soltanto di rilanciare il settore della telefonia in crisi, né solo di risanare un’azienda, afflitta da enormi inefficienze produttive e organizzative. Più in generale, occorreva modernizzare un settore strategico dalle grandi potenzialità, quello delle telecomunicazioni, in quel momento largamente dominato dalla tecnologia americana (ITT, GTE) e svedese (Ericsson) nel quale l’Italia era in notevole ritardo. Il passaggio, in quel periodo, da una società manifatturiera a una società dell’informazione richiese scelte coraggiose di politica industriale aprendo un’era di competizione, ma anche di cooperazione e di alleanze, tra imprese e tra nazioni. Inoltre, trattandosi di un settore a tradizionale presenza pubblica, in tutta Europa la rivoluzione delle telecomunicazioni si stava giocando sul terreno di una ridefinizione del ruolo e della natura della mano pubblica, che nell’Italia degli anni Ottanta, in particolare, chiamava in causa l’intero sistema delle partecipazioni statali e costituiva un terreno privilegiato di scontro tra poteri economici, politici e partitici.

Nell’ottobre 1980 Bellisario, lasciata l’Olivetti, divenne condirettore generale dell’Italtel, la maggiore azienda manifatturiera italiana nel campo delle telecomunicazioni, con sei stabilimenti e 29.000 dipendenti, afflitta da bassissima produttività, inefficienza organizzativa ed elevato assenteismo, definita dalla stampa un caso «unico in Europa», un «incubo», uno «scandalo nazionale» (ma la situazione era anche «peggiore» di quella descritta dai giornali, ricorderà Bellisario in Donna e top manager..., cit., p. 164).

Il risanamento fu avviato in virtù di un convinto mandato politico da parte del nuovo ministro delle Partecipazioni statali, il socialista Gianni De Michelis, nel quadro del Rapporto sulle PPSS del 1980 e, soprattutto, del Piano decennale delle tlc 1981-90, approvato nel 1982, riferimento politico-progettuale nel quale si inserì l’opera di ristrutturazione aziendale. Il 25 agosto 1981 la STET insediò un nuovo CdA: Bellisario, nominata amministratore delegato, elaborò un piano strategico di risanamento basato sul rinnovamento della struttura organizzativa, dei prodotti e dei processi produttivi, del personale e del management (entro il 1983 fu sostituito il 60-70% degli alti dirigenti), sulla collaborazione con aziende straniere e sull’aumento delle esportazioni. Pur perseguendo la diversificazione produttiva, la voce principale del fatturato rimase la commutazione pubblica (oltre il 60% nel settembre 1982). Il programma di diversificazione per prodotto-mercato, con la riorganizzazione degli stabilimenti per linea di prodotto, portò alla costituzione della Italtel Telematica di Santa Maria Capua Vetere, dell’Italtel Montaggi, dell’Italtel ELA e dell’Italtel Tecnomeccanica a Terni, mentre a L’Aquila fu creato il secondo stabilimento della Tecnoelettronica. Il progetto tecnico più importante, nel quale Bellisario confidava, era quello delle centrali telefoniche digitali Proteo, ancora in fase di prototipo, costruito a Dallas da un gruppo di tecnici Italtel in collaborazione con gli americani.

Il risanamento comportò un massiccio piano di riduzione dell’occupazione e un’inedita esperienza nel campo delle relazioni sindacali; la trasparenza e la lealtà di cui Bellisario diede prova le meritarono la stima dei rappresentanti sindacali e buona stampa anche nei giornali di sinistra. Un primo accordo, firmato nell’aprile 1981, previde strumenti non traumatici di riduzione dell’occupazione (prepensionamenti, specialmente di operaie con lunga anzianità, blocco del turnover, mobilità verso altre aziende del settore), mentre nel marzo 1982 fu concordato con la FLM (Federazione lavoratori metalmeccanici) un piano strategico che apriva una serie di accordi per la formazione professionale. Dal 1985 Italtel fu la prima azienda ad applicare i cosiddetti contratti di solidarietà, con 35 ore settimanali per circa 15.000 addetti, sia operai sia impiegati. Si trattò di scelte difficili, ma senza alternative, a meno di mettere l’azienda in liquidazione e rinunciare a un’autonoma presenza italiana nelle telecomunicazioni: «Ho vissuto sulla mia pelle, negli anni Sessanta, la rinuncia alla grande informatica e non voglio che la storia si ripeta con le tlc. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto, anche in momenti difficili, a insistere nella sfida Italtel» (Donna e top manager..., cit.,, p. 162).

La strategia di accordi con imprese estere costituì l’altro aspetto del rilancio aziendale. Il 7 aprile 1982 fu firmato un accordo con GTE, esteso in luglio alla Telettra del gruppo Fiat, per la realizzazione di un sistema nazionale di commutazione pubblica elettronica. Si trattava della «prima esperienza di questo genere nel mondo, e cioè due aziende italiane che si alleano con una multinazionale americana per l’esportazione, in tutto il mondo, di un pacchetto industriale comune» (intervista a Mondo economico, 8 settembre 1982). La struttura e l’organizzazione dell’Italtel si trasformarono, e i risultati – sia economici sia di immagine – furono unanimemente riconosciuti come straordinari: Italtel chiuse il 1982 con un aumento del fatturato del 30% e una perdita più che dimezzata rispetto all’anno precedente. Nel 1983 l’organico era ridotto di un quarto rispetto a due anni prima; mentre l’incidenza dei prodotti elettronici, doppia rispetto al 1980, raggiungeva il 40% del fatturato. La spesa in Ricerca & Sviluppo aumentò del 20% tra il 1982 e il 1983. Il 13 dicembre 1983 Italtel ricevette l’Oscar di bilancio dall’Istituto per le pubbliche relazioni di Milano, reputato da giuria di esperti il migliore d’Italia: un esempio di trasparenza per il settore delle partecipazioni statali.

Il rapporto con la politica ed i riconoscimenti pubblici, 1984

L’8 maggio 1984 l’assemblea degli azionisti confermò Bellisario alla carica di amministratore delegato per altri tre anni. Una tale performance, impensabile senza un sostegno politico decisivo, la avvicinò al Partito socialista e all’ingresso nell’Assemblea nazionale del partito nel maggio 1984, tra le cosiddette cento personalità dell’area socialista: «una targa l’ho dovuta accettare perché in un’azienda pubblica fa parte delle regole del gioco», avrebbe molto sinceramente ammesso (Corriere della sera, 5 agosto 1988). Va tuttavia riconosciuto che di tale mandato politico fu interprete dinamica ed efficiente, autrice di un caso di risanamento che la stampa tutta accolse come clamoroso. Questa «manager in jeans ottimista e felice», come la definì Miriam Mafai (Leader, marzo 1983), «rispettata perfino dal sindacato», figurò tra i manager dell’anno nella classifica de il Mondo (20 aprile 1983) e tra i più bravi manager di Stato secondo Successo (settembre 1983), che la inserì nella categoria dei «risanatori». All’estero fu «donna dell’anno» nella sezione del Time (31 ottobre 1983) dedicata alle telecomunicazioni, mentre Business Week usò il suo volto (foto scattata da Elisabetta Catalano) nella campagna pubblicitaria della rivista per il 1984. Le Nouvel Economiste del 27 agosto 1984 le dedicò la copertina come uno dei protagonisti del «risveglio» della «nuova Italia industriale». Benché il successo aziendale fosse stato favorito dalla «concertazione sociale delle strategie di flessibilità», anche il protagonismo (e il mandato politico) di Bellisario sarebbe stato indicato come fattore «propulsivo» del risanamento (Negrelli, 1989, p. 203).

Caso quasi da manuale di comunicazione aziendale nel quadro del cambiamento delle tipologie manageriali, a maggior ragione trattandosi di un manager non proprietario, di  un manager pubblico  e di una donna. «Marisa la narcisa» – scrisse Epoca il 29 ottobre 1987 – era «un asso nel culto della propria immagine»; immagine gestita con un’accorta – seppure sempre ironica – ostentazione di abbigliamento alla moda, originali e coloratissimi tagli di capelli, presenzialismo mondano: «per continuare a vincere l’Italtel deve avere un’immagine forte e positiva», tale da farsi conoscere ai clienti in Italia e all’estero, da motivare i dirigenti, da attrarre i migliori laureati e manager. Essere «famosa», avrebbe ricordato l’amico giornalista Giuseppe Turani (La Repubblica, 5 agosto 1988), era anche una consapevole strategia per mantenere autorevolezza e potere ai vertici dell’IRI.

In virtù di tale visibilità figurò spesso – direttamente o indirettamente – nelle discussioni sulla trasformazione della questione femminile, che stavano allora spostandosi dalle rivendicazioni di parità alle ‘azioni positive’. L’essere stata un’osservatrice diretta delle conseguenze della tecnologia informatica sul lavoro femminile la rese sempre attenta alla posizione delle donne nel mondo del lavoro. Non per caso una volta all’Italtel, prestò grande attenzione alle condizioni delle donne in azienda, sia tra i quadri manageriali, sia per le nuove assunzioni: per suo espresso interessamento, l’incidenza femminile sui neolaureati assunti passò dall’8% nel 1980 al 28% nel 1985. Nell’ambito del nuovo Centro ricerche e studi del lavoro creato all’Italtel, nel 1983 promosse il primo studio in Italia per indagare le cause dell’assenteismo in azienda, che smentì, tra l’altro, lo stereotipo del maggiore assenteismo delle donne, mostrando che a parità di condizioni di lavoro e di professionalità non esistevano differenze significative, mentre l’eventuale minore motivazione era piuttosto dovuta alla concentrazione nelle mansioni più basse, ripetitive e di più scarso contenuto professionale (nelle quali si trovava il 90% delle donne occupate in Italtel). In seguito alle misure di riorganizzazione aziendale, nel 1985 l’occupazione femminile all’Italtel aumentò leggermente in percentuale (le donne arrivarono al 46%), mentre l’assenteismo diminuì notevolmente.

In un intervento su Rinascita (14 febbraio 1987) sottolineava: «la mia attività di manager mi porta a individuare in particolare nel microcosmo dell’impresa uno dei possibili punti di partenza per la valorizzazione del lavoro femminile», nella convinzione che sia la stessa organizzazione del lavoro che «perpetua ruoli maschili e femminili differenziati e diventa quindi area d’intervento prioritaria per rimuovere gli stereotipi culturali che vincolano la donna agli schemi tradizionali».

Nel giugno 1984 fu chiamata a far parte della prima Commissione per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna, presieduta dalla senatrice socialista Elena Marinucci, creata presso la presidenza del Consiglio da Bettino Craxi anche in vista delle imminenti elezioni europee e in ottemperanza all’evoluzione del quadro comunitario (l’Italia era ancora l’unico paese della Comunità a non avere un organismo del genere). All’interno della Commissione fece parte (con Alida Castelli, Livia Pomodoro e Patrizia Toia) del Gruppo nuove tecnologie, promotore di una ricerca su Donne e tecnologie nella quale si analizzavano gli effetti del mutamento tecnologico sul lavoro delle donne in tre contesti diversi – Italtel, Banca nazionale del lavoro e Regione Lombardia – come base conoscitiva per l’eventuale adozione di azioni positive.

Lo sviluppo di Italtel e il progetto Telit,  1985-1988

A metà degli anni Ottanta l’Italtel confermò l’andamento favorevole: l’80% dei prodotti era elettronico e finalmente – come sottolineò Bellisario presentando il bilancio 1985 – «produce ricchezza, invece di perdite». A fine 1986 il personale era sceso a 18.000 addetti, ma ammontavano a 860 i laureati e diplomati assunti nel triennio 1984-87 nel settore Ricerca & Sviluppo, forte di circa 2500 persone, il 20% delle quali nei comprensori meridionali. Nel 1983 erano oltre 300.000 le centrali Proteo di prima generazione installate in Italia e all’estero.

Nonostante i risultati ottenuti, non mancarono critiche e tentativi di sminuire il ruolo di Bellisario, anche per effetto di lotte partitiche per il controllo degli enti, ma nel giugno 1987 fu riconfermata amministratore delegato per altri tre anni.

Il risanamento dell’Italtel venne a collocarsi nel quadro di costruzione di un mercato europeo delle telecomunicazioni – sostenuto dalla Commissione CEE nella prospettiva di avvio del Mercato unico e basato su accordi tra grandi imprese del settore – e nel tentativo dell’industria europea del settore di aggiudicarsi fette di mercato e rafforzarsi nei confronti di quella americana e giapponese. Consapevole di tali dinamiche, Bellisario avviò una serie di accordi a partire da quello con CIT-Alcatel dell’ottobre 1984, per lo sviluppo in comune di alcune parti di sistemi e, nel gennaio 1985, a Milano siglò un accordo Italtel, Siemens, Alcatel, nel quale qualche mese più tardi entrò Plessey, reputato «un atto di fiducia nell’Europa» (intervista a Le Monde, 30 ottobre 1984). Allo stesso tempo, Italtel rafforzò i sempre buoni rapporti con imprese americane. L’accordo di cooperazione tecnologica e di marketing con Apple per integrare il Macintosh con i prodotti telematici della Italtel fu siglato nel gennaio 1987, mentre l’accordo con Bell Atlantic consentì l’introduzione nel mercato americano di un prodotto dello stabilimento di Santa Maria Capua Vetere.

Tra le protagoniste di quello che un po’ ovunque – specie nella stampa estera – cominciava a essere definito il «secondo miracolo italiano», una fase di dinamismo dell’imprenditoria privata e di nuova efficienza delle imprese pubbliche, fu citata nel numero del 9 agosto 1985 de L’Express su L’Italie des condottieri.

Nella seconda metà del 1987 il suo nome fu al centro del progetto Telit volto alla creazione di un polo nazionale delle telecomunicazioni per opera di IRI e Fiat per unificare le attività manifatturiere di Italtel e Telettra. Prima definito il «matrimonio del secolo» tra pubblico e privato, finito poi con un «divorzio all’italiana» nel novembre 1987 (Corriere della sera, 6 novembre 1987), il caso della Telit costituì una vicenda emblematica della ridefinizione dei rapporti e dei poteri tra settore pubblico e imprenditoria privata nell’Italia degli anni Ottanta. I motivi del contendere, all’inizio numerosi e spinosi, riguardarono le rispettive posizioni di mercato: Italtel deteneva il 52% del mercato nazionale della commutazione pubblica e il 30% dei sistemi d’utente, Telettra solo il 3% in entrambi i mercati. Un accordo poteva quindi avvantaggiare in modo sproporzionato la Fiat (ad arricchire la dote Italtel nel maggio 1987 fu approvato il piano di finanziamenti aggiuntivi a SIP e STET per l’ammodernamento della rete telefonica nazionale). Inoltre, sia Italtel sia Telettra erano piccoli operatori rispetto ai gruppi europei e mondiali, con i quali avrebbero dovuto misurarsi. L’altro motivo del contendere fu la direzione della cooperazione internazionale della nuova società, la Fiat essendo orientata verso la Ericsson e Italtel verso la Siemens tedesca e gli americani.

Attorno alla questione del controllo e della gestione della nuova società si aprì un conflitto essenzialmente politico evidente, soprattutto, al momento della nomina dei vertici, con un luogo braccio di ferro tra le parti: la proposta di Bellisario come amministratore delegato avanzata dal presidente dell’IRI Romano Prodi e dal ministro delle Partecipazioni statali Luigi Granelli, e gradita ai socialisti (che pure non erano mai stati favorevoli all’accordo), incontrò il netto rifiuto della Fiat, che accusò interferenze politiche e lottizzazioni partitiche e, nel novembre 1987, denunciò l’accordo, con lunghi strascichi di polemiche e interrogazioni parlamentari.

Una volta fallito (ma senza troppo rammarico da parte di Bellisario) il progetto Telit e mentre si profilavano – forse sottovalutati e trascurati – i primi segnali della malattia che l’avrebbe presto portata alla morte, Bellisario si mise alla ricerca di partner internazionali occupandosi anche dei nuovi investimenti della Italtel nel Mezzogiorno. In questo quadro rientrò il progetto, uno dei suoi ultimi, messo a punto insieme ai sindacati e alla regione Sicilia, del polo tecnologico di Carini, vicino Palermo, dove si ipotizzò di concentrare la produzione di serie delle centrali numeriche della linea UT rendendo Carini il maggiore centro produttivo nazionale di centrali di commutazione digitale.

Mestieri «da uomini»?

Morì a Torino il 4 agosto 1988.

Il cambiamento – Bellisario aveva scritto nelle pagine conclusive dell’autobiografia – è «un fatto permanente delle tecnologie e dei mercati» (p. 213)  e al cambiamento aveva ispirato la sua attività di manager, così come la sua esperienza personale: «ogni mio lavoro è stata un’avventura», aveva detto in un’intervista ad Anna del Bo Boffino (Amica, agosto 1982), sempre animata dalla convinzione che non esistano «mestieri da uomini», ma «mestieri», e che le donne possano «mirare in alto» in tutte le attività lavorative (Donna e top manager, cit., pp. 181-183): «non ho vissuto da protagonista il femminismo nei suoi anni più caldi: ero impegnata nel mio lavoro all’estero e poi a Ivrea. Lavoravo e facevo carriera, dimostrando che potevo fare quello che facevano gli uomini, e forse farlo meglio. Ho però il rimpianto di esser mancata a quel momento storico. Negli ultimi anni mi sono impegnata in questo campo, usando, tra l’altro, il mio lavoro come testimonianza degli obiettivi che una donna può raggiungere nel mondo tradizionalmente maschile della grande industria».

A Marisa Bellisario è intitolata una Fondazione che si occupa della promozione dell’imprenditoria femminile.

Fonti e Bibliografia

B. Curli, Tecnologie avanzate e nuovi «stili» manageriali. M. B. dalla Olivetti alla Italtel, in Annali di Storia dell’Impresa, 2007, n. 18, pp. 127-169. Sull’Olivetti negli anni Sessanta con particolare riguardo all’esperienza dell’informatica: L. Soria, Informatica: un’occasione perduta. La divisione elettronica dell’Olivetti nei primi anni del centrosinistra, Torino 1979; M. Pirani, Tre appuntamenti mancati dell’industria italiana, in Il Mulino, 1991, n. 6, pp. 1045-1051; L. Gallino L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti, a cura di P. Ceri, Torino 2001; sul design E. Sottsass, Scritti, 1946-2001, Vicenza 2002. Sulla crisi della telefonia tra fine degli anni Settanta e anni Ottanta: B. Bottiglieri, Sip. Impresa tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane, Milano 1990, pp. 413-431; sul rilancio industriale dei primi anni Ottanta P. Bianchi, La rincorsa frenata. L’industria italiana dall’Unità nazionale all’unificazione europea, Bologna 2002. Sul risanamento di Olivetti e Italtel: G. Berta - A. Michelsons, Il caso Olivetti, in Strategie di riaggiustamento industriale, a cura di M. Regini - C.F. Sabel, Bologna 1989, pp. 133-170; S. Negrelli, Il caso Italtel, ibid., pp. 171-206; La liberalizzazione dei servizi telematici, a cura di N. Tedeschi - G. Bracchi, Milano 1989 (con un intervento di O. Beltrami). Sull’industria delle telecomunicazioni nel quadro del Mercato unico degli anni Ottanta: Commissione delle Comunità Europee, Verso un’economia europea dinamica. Libro verde sullo sviluppo del Mercato comune dei servizi ed apparati di telecomunicazioni, Bruxelles 1987; A. D’Orazio - A. Zanfei, L’industria europea delle telecomunicazioni. Relazioni cooperative e strategie competitive delle grandi imprese manifatturiere, Milano 1994. Sulla posizione dell’industria italiana: M. Bianco - M. Magnani, Il caso dell’industria informatica, in Competere in Europa. Mercato unico e capacità competitiva dell’industria italiana, a cura di S. Rossi, Bologna 1993,  pp. 449-485; Id., L’industria delle apparecchiature per telecomunicazioni, ibid., pp. 225-260.

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