Opitz, Martin

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Poeta tedesco (Bunzlau, Slesia, 1597 - Danzica 1639). Fu quella di O.una personalità che la particolare situazione storica pose in grande evidenza, quale poliedrico iniziatore di una letteratura colta, per merito della sua chiara precettistica e della sua versificazione, dignitosa se non originale. Dignitosa fu anche la sua posizione etica, giacché, di fronte allo sfacelo del suo tempo, puntò a una specie di stoica rassegnazione. Riconoscendo la necessità per la letteratura tedesca di avvicinarsi alla scuola del Rinascimento europeo, egli non esitò a scegliere gl'insegnamenti e i modelli più opportuni e a seguirli fino a padroneggiare sicuramente il mestiere dell'arte. Ridusse la poetica a un sistema di precetti e di regole pratiche, ma ripulì, ammodernò, nobilitò la lingua nazionale, fece giustizia dei molti abusi e delle contraddizioni prosodiche e metriche, insegnò a fare versi regolari, sebbene restaurasse la tirannia dell'alessandrino e sanzionasse il predominio sull'ispirazione del moralismo, dell'erudizione e della retorica. La sua opera creativa si può considerare un'illustrazione alla sua sistematica organizzatrice: mostrava come dagli eccellenti poeti dell'antichità e del nuovo tempo si facessero tragedie, romanzi, favole pastorali, odi, sonetti, canti religiosi.

Vita e opere

Già nel 1617 col breve scritto Aristarchus, sive de contemptu linguae Teutonicae O. iniziava la sua opera di rivendicatore e riformatore della letteratura tedesca. Incoronato poeta nel 1625 a Vienna dall'imperatore Ferdinando II, nel 1629 entrò a far parte della Fruchtbringende Gesellschaft. Considerato promotore di quella che impropriamente è definita prima scuola poetica slesiana, O. meritò per oltre un secolo il titolo di riformatore della poesia tedesca in virtù del piccolo manuale Buch von der deutschen Poeterey (1624), in cui, riprendendo dai teorici classici e classicisti (Aristotele, Orazio, Quintiliano, e poi anche Giulio Cesare Scaligero, Ronsard), fissò per la poesia tedesca norme di versificazione. Fu anche poeta, ma raramente con autenticità; è questo, in parte, il caso del Trostgedicht in Widerwärtigkeit des Krieges (1621), dettato dalle tristi necessità del momento. In Slesia accettò l'invito del principe di Transilvania Bethlen Gabor d'insegnare alla scuola di Weissenburg; non vi rimase però che un anno, 1622-23, componendovi la lirica Zlatna oder von der Ruhe des Gemüts (1623) e raccogliendo materiali per un'opera storica, De Dacia antiqua. Dal 1626 servì come segretario il conte Dohna, governatore austriaco della Slesia e accanito propugnatore della Controriforma, per il quale non esitò, lui protestante, a tradurre il manuale sulla conversione degli eretici del gesuita Becanus; ma egli era un eclettico in religione come in letteratura. Dal Dohna fu mandato nel 1630 a Parigi, dove conobbe U. Grozio, di cui tradusse il De veritate religionis christianae. Assai copiosa la sua produzione quale traduttore, segnalata per felice scelta dei testi e per squisitezza linguistica: da ricordare le Troiane di Seneca (1625), il romanzo latino di J. Barclay Argenis (1626), la Dafne di O. Rinuccini (1627; il testo di O., musicato da H. Schütz, segnò la nascita dell'opera in musica in Germania), l'Antigone di Sofocle (1636), l'intera serie dei Salmi (1637). Scrisse anche poesia pastorale (Schäferei der Nymphe Hercynia, 1630), con la quale, pur rimanendo al di sotto dei modelli tassiani e guariniani, si creò il merito di aprire un'altra strada ancora non battuta in Germania. Staccato dalla sorte di guerra dal Dohna, sul finire del 1635 O. riparò a Danzica, dove morì di peste.

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