MARTINENGO, Maria Maddalena, beata

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MARTINENGO, Maria Maddalena,

Elisabetta Selmi

beata. – Nacque a Brescia il 4 ott. 1687, da Leopardo (III), dei conti Martinengo da Barco, e Margherita Secco d’Aragona, e fu battezzata Margherita.

Il padre, d’illustre e antica nobiltà feudale, uomo d’arme e cultore delle scienze e delle lettere, d’indole alquanto «rissoluta», come lo definì la M. nella sua autobiografia, dovette influire non marginalmente sulla formazione intellettuale della M. che, già in tenera età, mostrò una «docile» inclinazione alle letture e al raccoglimento spirituale: a sei anni, ricorda la M., «legevo corentemente il Breviario» (Vita, in Gli scritti, p. 359).

La sua esistenza si costruì, sin dalle precoci avvisaglie infantili, tutta intorno a un’unica volontà: quella della chiamata di fede, della vocazione alla sponsalità cristologica, in una sorta di mitizzazione eroica alla santità che, in parte, ella stessa contribuirà ad alimentare con l’autoritratto delineato nella Vita (1725), e che i suoi biografi, anche i più avvertiti, accoglieranno e tramanderanno come esempio di una condotta d’eccezione, consacrata dai tradizionali segni carismatici (tra visioni, nozze mistiche e stimmate) e dalla canonizzazione, proclamata soltanto il 18 apr. 1900. La prima postulazione settecentesca, del 1761, fatta sull’onda di un culto popolare che aveva acclamato la santità della M. ancora in vita, non ebbe l’esito sperato: il clima d’inquietudini quietistiche e giansenistiche aveva generato, soprattutto a Brescia, sospetti sull’affettazione del misticismo femminile «afflittivo» e sulla direzione spirituale e monastica di teatini, oratoriani e canonici della cattedrale, aperti a esperienze religiose giudicate di dubbia ortodossia. Non erano ancora sopiti gli echi della tragica parabola del quietista bresciano Giuseppe Beccarelli, condannato al carcere a vita nel 1711, mentre il movimento giansenistico appariva in pieno fermento, non senza larvate accuse anche negli ambienti ecclesiastici vicini ad Angelo Maria Querini, vescovo di Brescia dal 1727 al 1755.

Rimasta orfana della madre dopo pochi mesi dalla nascita, la M. fu affidata alle cure e all’educazione dell’orsolina Isabella Marazzi, figura ben integrata nei modelli di un’illuminata istruzione femminile dedita alla pietà e all’apostolato evangelico.

Nel 1698 entrò come educanda nel monastero agostiniano di S. Maria degli Angeli, che raccoglieva il fiore dell’aristocrazia femminile bresciana, dove dette prova della sua precoce vocazione al martirio, un’aspirazione a farsi «olocausto perpetuo» (Vita, in Gli scritti, p. 364) in nome di una fedele imitatio Christi, che compagne di studio e di formazione religiosa avvalorarono coralmente nelle testimonianze al processo per la beatificazione. L’eccesso di zelo con cui le zie suore del monastero agostiniano le resero agevole la vita conventuale e un complesso di rapporti legati a un quadro di strategie politiche familiari, che andrebbero meglio indagate – poiché sono da ricondurre al modello agiografico il tradizionale conflitto padre-figlia e il rifiuto, da parte dell’aspirante novizia, di ogni forma di attrazione mondana o privilegio dinastico –, indussero la M. alla scelta autonoma di una vita claustrale di rigida osservanza e di austero ascetismo presso il convento bresciano delle cappuccine di S. Maria delle Neve.

Secondo l’uso delle cappuccine, la M. trascorse il periodo del suo tormentato noviziato, dall’8 sett. 1705, presso il collegio delle Signore Maggi, di cui era divenuta direttrice la Marazzi. Fu questa a porre la sorgiva religiosità della M. sotto la guida spirituale dei padri teatini Pietro Parma e Gaetano Magenis, i primi di una lunga serie di direttori di anime e confessori (fra gli altri, il gesuita Antonio Corradini, il carmelitano Cristoforo Balestra e il colto oratoriano Giacomo Romilli), con cui la M. condivise le esperienze della sua ascesi interiore non sempre in profonda sintonia.

Dalla sua consacrazione, l’8 sett. 1706, in cui prese il nome della più illustre penitente, Maria Maddalena, la vita della M. si svolse tutta all’insegna di una impietosa volontà di cancellazione delle proprie origini aristocratiche, in una ricerca inflessibile di abiezione della propria «umanità» che la sollecitava a svolgere i lavori più umili e faticosi e a esercitare una volontà penitenziale e sacrificale dai tratti parossistici. Ciò era in linea con la disciplina del «patire» e con l’iter di espiazione come «via regia» e interiore alla santità di altre grandi mistiche del tempo (Caterina Fieschi, Veronica Giuliani, Margherita Maria Alacoque), con cui la M. condivise un percorso di identificazione cristica, cui apparteneva anche l’esercizio martirizzante di accanimento sul proprio corpo, fra chiodi conficcati e bruciature di zolfo.

Il livello culturale decisamente superiore alla media delle donne aristocratiche del suo tempo, l’eleganza nell’eloquio, l’autocontrollo severo con cui dissimulava quella che lei stessa definì «una vita tutta rivolta all’interno», la sua seconda esistenza segreta «per la via de’ patimenti» nell’iter unitivo con Gesù crocifisso (Vita, in Gli scritti, pp. 602 s.), il decoro delle maniere che le proveniva dal rango non contribuirono a facilitare i rapporti della M. con la comunità claustrale. L’invidia delle consorelle verso la sua indubbia superiorità spirituale, l’ottusità e la scarsa capacità di comprensione delle «stravaganze» del misticismo femminile da parte dei confessori, i timori delle madri e delle abbadesse verso l’alone di santità che ben presto il popolo le riconobbe turbarono la ricerca di «vigilanza cristiana» con cui la M. affrontò il cammino d’incarnazione apostolica, di perfezionamento interiore e di astrazione contemplativa.

Dopo un periodo, tra il 1711 e il 1722, in cui le furono assegnati gli incarichi più umili del convento, la M. fu eletta nel 1723 maestra delle novizie, carica che rivestì anche nel 1727 e nel 1731. Nel 1726, nel 1729 e nel 1730, invece, fu rotara.

Nel 1729, dando credito alle maldicenze di alcune suore, il confessore ordinario, don Antonio Sandri, di «mediocrissimo talento» intellettuale (Brescia, Archivio vescovile, Mss., Proc. Apost., Brixien. Beatificationis et canonizationis, I, c. 94r), dette alle fiamme il manoscritto delle Massime spirituali quale frutto pericoloso di una mente «illusa, superba ed eretica», di una scrittura a «ogni carta ricolma di errori», e bollò la trascrizione esperienziale dell’anéantissement cristologico della M. – secondo quanto ebbe a dire in seguito lei stessa – «come tutto falso, tutto composto, tutta una menzogna» istigata da «spirito diabolico» (Lettera al vicario monastico, mons. Francesco Martinengo, in Gli scritti, p. 767). La conseguenza fu una sospensione punitiva da ogni incarico comunitario, che poco dopo, però, fu revocata dall’autorità vescovile.

Dal 1732 fino alla Pasqua del 1737, quando l’acutizzarsi della malattia che l’avrebbe condotta alla morte la indusse alla rinuncia, assurse agli onori di vicaria e abbadessa. Nonostante le sue ripetute resistenze verso obblighi terreni che la distogliessero dalla simple vue contemplativa, la M. seppe amministrare il ruolo di abbadessa con singolare equilibrio, coniugando l’azione apostolica, esercitata sulla pratica ascetica della grande lezione ignaziana, con l’affinata e personalissima esperienza di una mistica affettiva e di immolazione che, al culmine della immedesimazione con le sofferenze di Cristo, le fece proferire l’oltranza di un «Mio Dio, nient’altro che anime vi chiedo» (Trattato dell’umiltà, in Gli scritti, p. 1571).

La M. morì a Brescia il 27 luglio 1737.

La cultura della M., che al pari di altre carismatiche cercò sempre di occultare dietro l’immagine di una «santa ignoranza» vivificata soltanto dalla «scienza infusa» per miracolo unitivo con lo sposo celeste, traspare però dai suoi scritti come un patrimonio di letture decisamente rigoglioso, coltivato anche negli anni della clausura monastica, se nei carteggi con i fratelli Francesco e Nestore allude ad alcuni libri edificanti ricevuti per la biblioteca del convento (Lettere, 83-84, in Gli scritti, pp. 2038 s.). Dalla stessa biblioteca paterna, di cui si conserva una catalogazione (Brescia, Biblioteca Queriniana, Mss., F.IV.9, m. 6), la M. aveva potuto trarre, a suo tempo, i frutti di una conoscenza di prim’ordine; una biblioteca fornita dei più svariati saperi e con un corpus di testi che testimoniano orientamenti di gusto e interessi familiari non ordinari, fra curiosità ermetiche, come il Picatrix, esoteriche, astrologiche e cabalistiche, oltre a un’ampia raccolta di romanzi seicenteschi, francesi e spagnoli, che il padre o il fratello Lodovico si erano dilettati a tradurre. Nella lettura di questi romanzi, la M. ricordava di essersi immersa «di giorno e di notte», a dannazione della sua anima, in una delle tipiche fasi di derelizione e aridità che accompagnano l’esperienza dei mistici (Vita, in Gli scritti, p. 377). I suoi scritti lasciano trapelare la presenza di stratificate letture, dove, ai canonici manuali di perfezione cristiana dell’età tridentina e alla meditazione cristocentrica di Giovanni Gerson, si uniscono opere provenienti dalla tradizione della metafisica negativa (Dionigi Areopagita) e dal nichilismo mistico renano-tedesco dei grandi spirituali del Nord (Meister Eckhart, Giovanni Taulero ed Enrico Suso); opere della mistica teologico-affettiva spagnola, di gesuiti e carmelitani (da Diego Álvarez de Paz, Luis La Puente, santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce), con l’aggiunta dei «nuovi mistici» della via infusa, antintellettualistica, dell’«annichilazione» e dell’orazione di quiete (da Achille Gagliardi a Jean de Saint-Samson, al secolo Jean du Moulin, a Pier Matteo Petrucci).

Con l’oratoriano Petrucci (creato cardinale nel 1686), costretto nel 1687 all’abiura delle sue 54 proposizioni indiziate di quietismo, la M. dovette intrattenere un ideale rapporto di discepolato. L’ipotesi, non lontana dal vero, che una sorvegliata censura possa aver oscurato intenzionalmente i legami che unirono la M. e il cardinale, con il conseguente rogo di scritture compromettenti in vista del processo di beatificazione appare caldeggiata da Mario Rosa. La comunanza di ricerche interiori si rende manifesta sia nelle Massime spirituali, in cui la M. trascrive e commenta alcuni Mistici Enigmi di Petrucci (come Svelami amor che stravaganze io provo) sia nell’esile canzoniere della M., dove regna una singolare confusione tra liriche dell’oratoriano e componenti lirici dal ritmo popolare e «cantabile» (cantiunculae sacrae) della Martinengo. Durante il processo di canonizzazione del 1761 furono ricordate anche cantiunculae in vernacolo («Cosa m’importa a mi»: Gli scritti, II, p. 2289 n. 1), di cui si è persa traccia.

La produzione della M. – rimasta per lo più inedita fino all’età contemporanea come quella di altre mistiche di Ancien régime – è andata soggetta a un fenomeno massiccio di moltiplicazione delle copie manoscritte e a interventi a più mani (tra cui quelli della fedelissima suor Veronica Albani), non di rado arbitrari o dettati da scrupoli di revisione edificante, cui l’edizione de Gli scritti ha cercato in parte di ovviare. La forte tempra letteraria della M., che padroneggia con eleganza di stile e con un potente linguaggio immaginifico e metaforico – coltissimo nella ripresa dei «sensi mistici» e figurali di un’alta tradizione carmelitana – i diversi registri della produzione devota, si è cimentata, nel corso della sua vita, con varie tipologie della scrittura sacra. Il taglio e le finalità delle opere contribuiscono a delimitare due distinte modalità di espressione, che non di rado si intrecciano: quella dell’«introversione» mistica rivolta all’esemplarità di un perfezionamento teologico-ascetico e quella apologetico-dogmatica che si indirizza all’apostolato di fede.

L’autobiografia è l’opera più nota della M., l’unica a recare sull’autografo una data precisa, il 1725. Fu scritta, secondo il canone della tradizione mistica femminile, contro la propria volontà e per ordine del confessore, don Giuseppe Onofri, al fine di testimoniare il percorso di grazia di un’esperienza d’eccezione. L’autografo non reca il titolo, ma durante lo svolgimento dei processi lo si indicò come Storia o relazione della vita di lei, ossia comunemente con la dicitura Vita. Presenta una struttura bipartita: nella prima sezione, dedicata al racconto degli anni giovanili e delle prime esperienze monastiche, la narrazione intende presentarsi come una specie di simbolico «libro della memoria»; nella seconda s’impone invece il resoconto del proprio perfezionamento interiore, scandito in tappe tematiche. L’autobiografia si trasforma in un autoritratto esemplare dove la soggettività della scrittrice si sdoppia in una sorta di alter ego raziocinante, nella controfigura di una universale Maddalena penitente che sublima, teorizzandole, le vicende del proprio cammino spirituale, suddiviso secondo i tempi e i gradi canonici della «scala dell’anima viatrice»: la penitenza, l’orazione mentale, la partecipazione alla passione di Cristo, l’orazione di quiete, l’unione deifica (cfr. Pozzi, p. 353).

Apice della teologia mistica e dell’esercizio ermeneutico della M. è il commento alle Massime spirituali del carmelitano Jean de Saint-Samson (Venezia 1679). La M. aveva intrapreso l’opera per accondiscendere alle richieste di don Francesco Seccamani, uno dei direttori più sensibili alla profondità del suo linguaggio mistico, ma la superficialità e l’ignoranza del confessore Sandri distrussero parzialmente l’autografo, tramandato incompleto. Copia accreditata dell’autografo, trascritta nel 1775 da suor Veronica Albani (ora edita in Gli scritti) ha per titolo: Diverse massime spirituali del venerabile padre fra Giovanni di San Sansone della provincia di Turrena, sopra le quali la venerabile Madre Maria Maddalena Martinengo… disse il suo sentimento, con diverse conferenze e misteri della passione del Signore. L’incontro fra la personalità ardente della M. e la «voie mistique» infiammata di Saint-Samson, lo spirituale sommamente amato da Petrucci, perché rappresentativo di una teologia «affettiva» e non scolastica, generò, nell’esegesi della M., un dettato meditativo esemplare dei nuovi percorsi della mistica moderna e di potente sintesi espressiva in cui si amalgamarono dottrina ed esperienza, linguaggio razionale e drammatizzazione partecipata. Il Trattato dell’umiltà, frutto della piena maturità mistica della M., andò anch’esso incontro a censure da parte del promotore della fede. Il testo, che risente, nella trattazione del concetto di umiltà come pilastro della pedagogia mistica, della lezione teresiana, ebbe una fortunata circolazione negli ambienti devoti, con una traduzione anche in lingua catalana (Lonato, Arch. della Fondazione «Ugo da Como», Mss., 119). Gli Avvertimenti spirituali, di cui si conoscono tre redazioni, rifuse in parte nella stampa settecentesca allestita da Pio da Venezia (Raccolta di documenti, ovvero Avvertimenti spirituali, ed esortatorj per osservare perfettamente le regole, e costituzioni, che professano le cappuccine di Brescia, e per acquistare una profondissima umiltà…, Venezia 1779), rappresentano la summa dell’esercizio ascetico-catechistico della M., nel tentativo, intrapreso a partire dal 1724, di offrire un «commento spirituale» alle costituzioni delle cappuccine.

Fonti e Bibl.: Dagli autografi conservati presso l’Archivio provinciale dei Cappuccini lombardi è stata tratta la prima edizione delle opere della M.: Gli scritti, edizione critica e note a cura di F. Fusar Bassini, I-II, Roma 2006. Brescia, Archivio vescovile, Mss., Process. Apost.: Brixien. Beatificationis et canonizationis ve. ancillae Dei sor. Mariae Magdalenae Martinengo Monialis professae cappuccinae in Monasterio Sanctae Mariae ad Nives…, Process. Apost. Ne pereant probationes, tt. I-VI; Mss., III.6: C. Doneda, Vita della venerabile suor Maria Maddalena; Brescia, Biblioteca Queriniana, Mss., H.III.7, m. 9, B. Zamboni, Vita della venerabile madre suor M.M. M. de’ conti Martinengo da Barco…; Collez. Di Rosa, 15, cc. 139r-215r, G.B. Rodella, Vita, costumi e scritti della nobil donna contessa Margherita Martinengo patrizia bresciana e veneta, ora venerabile e beata suor Maria Maddalena, cappuccina, in Le dame bresciane per sapere, per costumi e per virtù eccellenti [1788]; Lonato, Arch. della Fondazione «Ugo da Como», Mss., 52: I. Bardea, Vita della venerabile suor M.M. M. cappuccina; Id., Delle virtù e miracoli attribuiti alla venerabile suor M.M. M. de’ conti di Barco religiosa cappuccina di Brescia, Brescia 1776; B. Zamboni, La Libreria di s.e. il n.u. signor Leopardo Martinengo patrizio veneziano, Brescia 1778; V. Bonari da Bergamo, Venerabile M.M. da Brescia, abbadessa cappuccina, contessa Martinengo da Barco (1697-1737), in Id., I conventi ed i cappuccini bresciani. Memorie storiche, Milano 1891, pp. 398-411; Venerabile M.M. M. cappuccina, in Annali Francescani, XXII (1891); XXIII (1892); Antonino da Bergamo, Vita della b. M.M. M. da Barco Cappuccina, Milano 1900; De ven. servae Dei Mariae Magdalenae Martinengo a Barco beatificationis causa historica relatio, in Analecta Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum, XVI (1900), pp. 141-147; E. Girelli, Breve compendio della Vita della beata M.M. M. cappuccina, Brescia 1900; Benedetto da Alatri, L’Eucaristia e la Vergine. Studio e commento sopra la rivelazione fatta alla b. M.M. M. cappuccina intorno alla conservazione delle specie eucaristiche nel seno glorioso di Maria Immacolata assunta in Cielo, Roma 1904; P. Guerrini, Una celebre famiglia lombarda. I conti Martinengo, Brescia 1930, pp. 226-230; Id., La b. M.M. M., badessa cappuccina, in L’Italia francescana, XII (1937), pp. 473-476; G.M. Pugnetti, L’autobiografia della beata suor M.M. M., contessa di Barco, clarissa cappuccina, in Commentari dell’Ateneo di Brescia, 1964, pp. 9-183; B. Bastiani, Il messaggio spirituale della beata M.M. M., Brescia 1973; A. Cistellini, La beata M.M. M. da Barco e le correnti spirituali del primo Settecento in Brescia, in Cultura, religione, politica nell’età di Angelo Maria Querini. Atti del Convegno di Studi, Venezia-Brescia… 1980, a cura di G. Benzoni - M. Pegrari, Brescia 1982, pp. 345-353; F. Fusar Bassini, Questo insoffribile Amore. Beata M.M. M. (1687-1737), [Gorle] 1986; Scrittrici mistiche italiane, a cura di G. Pozzi - C. Leonardi, Milano 1988, pp. 552-563; M. Rosa, La religiosa, in L’uomo barocco, a cura di R. Villari, Roma-Bari 1991, pp. 260 s.; A. Fappani, Maria Maddalena beata, in Enc. bresciana, VIII, Brescia 1991, pp. 301-303; G. Pozzi, Grammatica e retorica dei santi, Milano 1997, pp. 353 s.; E. Caldera, M.M. M.: il sublime volo di un’autobiografia, in La scrittura femminile a Brescia tra il Quattrocento e l’Ottocento: l’alta virtute e il glorioso vanto..., a cura di E. Selmi, Brescia 2001, pp. 285-391; C. Cavicchioli, La «strada del niente»: teologia «divina» e mistica negativa in Pier Matteo Petrucci, in Mistica e poesia. Il cardinale Pier Matteo Petrucci (Jesi 1636-Montefalcone 1701). Atti del Convegno, Jesi… 2001, a cura di C. Cavicchioli - S. Stroppa, Genova-Milano 2006, pp. 118-120.

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