MARTIRE

Enciclopedia Italiana (1934)

MARTIRE

Giulio BELVEDERI
Arturo MARPICATI
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. Etimologicamente μάρτυς e μαρτύριον significano rispettivamente "testimone" e "testimonianza", ma a primo esame rimane un po' enigmatico in qual modo queste due parole, nell'uso della Chiesa antica, siano passate a indicare la persona e l'opera di chi è morto per confessare la propria fede nel Cristo e nella sua dottrina; in altri termini, non è ben chiaro quale fosse l'oggetto della "testimonianza" resa dal martire: se la passione di Cristo (H. Achelis) o la sua resurrezione (K. Holl) o altro punto della fede. Dalle discussioni di teologi e filologi è risultata più chiara la distinzione tra martire e confessore; la distinzione consiste nell'avere o no versato il proprio sangue (anche senza morire).

È certo che all'evoluzione del significato del termine contribuì la venerazione della comunità cristiana. Poiché, se nei primissimi tempi della Chiesa, di fronte alla morte violenta dei primi martiri sembra che l'animo dei fedeli rimanesse dolorosamente sorpreso, tuttavia, non era spenta ancora la prima generazione cristiana, che un sentimento di nobilissima reazione s'era impadronito dell'animo della comunità cristiana. La parola del divino Maestro si era imposta alla mentalità cristiana, e l'idea che nella parola divina era stata profetizzata la gloria dei martiri nella necessità del patimento (cfr. Matteo, X, 16 segg.; Giovanni, XV, 13; ecc.), aveva ingenerato la persuasione essere grande onore offrire la vita a Cristo per rendergli questa testimonianza suprema d'amore.

Di qui l'ammirazione della primitiva comunità cristiana, che giunge fino quasi a invidiare la sorte dei martiri. Le pagine più belle sul martirio e sui martiri sono quelle scritte da coloro che assistettero a quei tormenti e a quelle morti.

Il nome di martire e la nota di martirio divennero fino dai primissimi tempi, e sono rimasti nella Chiesa cristiana, il titolo più grande e più glorioso cui un fedele potesse ambire.

Una distinzione fra i termini "martire" e "confessore" (v.) si riscontra già sul declinare del sec. II; ma ancora nel secolo III sono talvolta chiamate martiri persone viventi che soffrivano per la fede qualche pena (ad es., i condannati ad metalla); Tertulliano designa i cristiani imprigionati e non ancora condannati come martyres designati. Nel sec. IV l'uso generale riserva il termine "martire" a chi è di fatto morto per la fede, mentre questo termine già da S. Cipriano è negato all'eretico o scismatico messo a morte come cristiano. A partire dal secolo V si trova poi, specie nel cristianesimo irlandese, paragonato al martire l'asceta ("martirio bianco").

Questi segni di rispetto e di ammirazione verso i martiri, per una logica conseguenza, approdarono ad atti di culto: tanto che il termine di "martire" venne a indicare non solamente l'eroe che aveva dato la vita per Cristo, ma anche colui al quale era dovuto espressamente il culto della comunità cristiana. Era come il ripetersi di un pio costume della comunità, che nel giorno anniversario della morte si adunava presso la tomba del martire per rendere onore alla vittima. Queste adunanze differivano da quelle che avevano luogo presso le tombe degli altri fedeli defunti, per il fatto che le prime erano ufficiali e di tutta la chiesa, mentre le seconde erano particolari e limitate ai membri della famiglia cui erano legati i defunti. In queste adunanze venivano offerte preghiere e celebrate onoranze alla loro memoria. Di qui la necessità d'indicare accanto al giorno anniversario della morte del martire, la località dove riposava la sua salma venerata. Si formavano pertanto spontaneamente quegli elementi che dovevano promuovere attraverso le folle, perpetuando la memoria del martire, il culto verso di lui. Nel giorno anniversario del martire la liturgia eucaristica formava parte essenziale dell'adunanza, e il nome del martire era pronunciato a titolo d'onore durante il santo sacrificio. La manifestazione del culto verso i martiri, per quanto fosse contenuta specialmente durante l'epoca delle persecuzioni, non ebbe sempre quel carattere di segretezza che alcuni suppongono, e trapelava anche al di fuori. A partire dall'età costantiniana furono erette basiliche in onore dei martiri, e propriamente sulle loro tombe, che furono rigorosamente rispettate nel luogo dove si trovavano. La tomba del martire fu sacra, e in nessuna maniera fu rimossa o toccata: cosicché è la posizione stessa della tomba del martire che vale a regolare la disposizione, il livello, l'orientazione della chiesa, eretta ivi allo scopo di permettere a un numero notevole di fedeli di prendere parte alla celebrazione liturgica. Queste prime basiliche cimiteriali sorsero in Roma, spesso per volontà e sovvenzione dello stesso imperatore Costantino. Fuori di Roma, specie in Oriente, non fu rispettato questo rigoroso criterio e le salme dei martiri furono rimosse dalla primitiva sepoltura.

Da principio il culto e la memoria dei martiri rimase locale: ogni chiesa venerava e onoravai proprî martiri a esclusione degli altri; poi, fin dal sec. IV, la celebrazione della solennità del martire varcò i confini del luogo dov'era la tomba del martire, e la comunicazione degli anniversarî divenne più frequente fra le varie chiese. Cosicché lo sviluppo del culto dei martiri divenne presto un'affermazione concreta della cattolicità della Chiesa stessa. Naturalmente le traslazioni delle salme e delle reliquie favorì la rapida diffusione di tale culto in tutta la cristianità, togliendo ad esso quel carattere locale che fino allora aveva avuto. Dagli antichissimi calendari propri di ciascuna chiesa, che ricordano i martiri e il luogo della loro sepoltura, si passa così al martirologio (v.), che raccoglie la memoria non solo dei martiri locali, ma ancora degli altri di cui si poteva avere conoscenza. Alla fine del sec. VI quando il culto dei martiri era fissato nell'universalità della Chiesa, la parola "martire" e la nota di "martirio" significavano "l'omaggio rispettoso e riconoscente della comunità cristiana a chi si era sacrificato per essa, la confidenza in colui che tutto aveva dato a Cristo e quindi tutto poteva ripromettersi da Lui, la preghiera rivolta in forma semplice e discreta a chi era sicuramente nella gloria del Cristo".

La Chiesa non ebbe cura fin dai primi tempi di tener nota delle vittime immolate per la fede. La questione del numero dei martiri non può d'altra parte essere risolta per il fatto che solamente di un numero relativamente piccolo di essi abbiamo notizie. Se si pensa però che la persecuzione contro i cristiani durò più o meno intensa per due secoli e mezzo, estendendosi per tutto l'impero romano; pur supponendo che ogni volta nei luoghi particolari venissero immolate relativamente poche vittime, bisogna convenire che nel suo complesso il numero dei martiri dovette essere considerevole (v. persecuzioni).

Bibl.: F. Kattenbusch, in Zeitschr. f. Neutest. Wissensch., IV (1903), p. 111 segg.; id., in Theol. Literaturzeit, 1923, p. 61 seg.; H. Delehaye, Les orig. du culte des martyrs, Bruxelles 1912: id., in Anal. Bolland, XXXIX (1921), p. 20; H. Achelis, in Theol. Literaturz., 1923, pp. 388 segg., 438 segg.; A. Schlatter, Der Märtyrer in den Anfänge der Kirche, Gütersloh 1915 (Beitr. z. Förder. d. christl. Theol., XIX, 3); K. Holl, Gesammelte Aufsätze zur Kirchengesch., II, Tubinga 1928, p. 103 segg.; H. Delehaye, Sanctus, Bruxelles 1927.

Un mutamento assai profondo nel significato del termine martire si ebbe con la fine del sec. XVIII e l'inizio del sec. XIX. Fino allora infatti il termine era stato riservato solo a quelli che si sacrificavano per la religione: e proprio nel sec. XVI si era nuovamente e ampiamente parlato di martiri, da parte cattolica con riferimento soprattutto ai cattolici inglesi vittime delle persecuzioni, al tempo di Enrico VIII ed Edoardo VI; da parte protestante con riferimento ai luterani, calvinisti, ecc., che erano saliti sul rogo nei paesi cattolici. Ora, invece, il termine viene portato anche sul terreno puramente umano, e viene assunto a indicare il sacrifizio a pro di un ideale, qualsiasi esso sia: donde il diffondersi delle espressioni di martiri della scienza, del libero pensiero, del lavoro, che sono entrate e rimangono nella prassi quotidiana, accanto alla classica espressione "martiri" (della fede religiosa), che proprio all'inízio del sec. XIX veniva nuovamente consacrata nell'opera dello Chateaubriand (Les Martyrs). Fra tutti i nuovi ideali, per i quali pareva necessario parlare, occorrendo, di martiri, nessuno però ebbe tal forza, tali ripercussioni, nessuno pertanto ebbe consacrati tanti martiri, quanto l'ideale dell'indipendenza dei popoli dai dominî stranieri, l'ideale della nazionalità che, in effetto, rappresentava l'ideale più forte del sec. XIX. Ed eeco quindi i martiri dell'indipendenza italiana, polacca, ungherese, ecc. Ma non solo all'ideale dell'indipendenza nazionale, bensì con logico svolgimento, anche all'ideale di patria in genere - pur dove non si tratti più d'indipendenza dallo straniero - è rimasto strettamente collegato il termine di martire: donde i martiri dei movimenti politici che lottano per la rigenerazione della patria (tipico esempio, il fascismo). Nell'accezione moderna, quindi, il termine martire viene assunto a significare il sacrifizio, volontariamente accettato con piena coscienza della sanzione o dei pericoli a cui si va incontro (la volontarietà dell'atto e la coscienza del pericolo ad esso immanente, sono requisito necessario perché si possa parlare di martirio) a pro di un alto ideale, di una fede.

Martiri del Risorgimento. - Nell'impossibilità di dare in questa sede un elenco compiuto, s'indicano solo alcunî tra i più significativi assertori dell'ideale dell'indipendenza italiana. Già prima dell'invasione francese a Napoli nel 1794 venivano giustiziati Vincenzo Galiani, Emanuele De Deo, Vincenzo Vitaliani; a Bologna nel 1796 si uccideva in carcere Luigi Zamboni, mentre il suo compagno di fede Giovanni De Rolandis era impiccato. Più famose le vittime della reazione borbonica del 1799-1800, che colpì un centinaio di persone d'ogni sesso, d'ogni età e d'ogni condizione, quali Eleonora Fonseca Pimentel, Luisa Sanfelice, Mario Pagano, Francesco Conforti, Vincenzo Russo, Michele Natale, vescovo di Vico, Nicola Pacifico, Vincenzo Lupo, Domenico Cirillo, ecc. I moti del 1820-1821 avevano per conseguenza la morte sul patibolo di Giacomo Garelli e di Giovanni Battista Laneri in Piemonte, di Michele Morelli e di Giuseppe Silvati nel Regno delle Due Sicilie, di don Giuseppe Andreoli a Modena. E il lungo martirio del carcere soffrivano Silvio Pellico, Piero Maroncelli, Federico Confalonieri, Giorgio Pallavicino Trivulzio, per non citare che alcuni tra i notissimi; e nel carcere dello Spielberg perivano, tra gli altri, Antonio Oroboni, Silvio Moretti. Conseguenza tragica dei moti del 1831 la morte di Ciro Menotti e Vincenzo Borelli, la prigionia o la dura sofferenza dell'esilio per molti. Giuseppe. Borelli, fratello del giustixiato, moriva, infatti, esule a Marsiglia, uno dei tanti che finirono la loro vita in terra straniera. La lotta intrapresa da Giuseppe Mazzini, il più grande tra gli esuli, contro l'Austria e i governi italiani, accrebbe enormemente il numero dei martiri, che attestarono davanti al carnefice o nelle prigioni la loro fede indomabile. Ed ecco Iacopo Ruffini, svenatosi nelle carceri genovesi (1833), ecco Efisio Tola, Antonio Gavotti, Andrea Vochieri e la folta schiera degli altri fucilati piemontesi del 1833, ecco Cesare Rossaroll, napoletano, che si farà uccidere in carcere da un compagno.

I martiri cosentini del 1844, don Raffaele Camodeca, Santo Cesareo, Niccla Corigliano, Giuseppe Franzese, Pietro Villacci, Francesco Rato precorrono di pochi giorni il sacrificio di Attilio ed Emilio Bandiera, Domenico Moro, Nicola Ricciotti, Anacarsi Nardi, Giovanni Venerucci, Giacomo Rocca, Francesco Berti, Domenico Lupatelli (e nello scontro con i gendarmi borbonici erano già caduti Francesco Tesei e Luigi Miller). Notevolissimo, come è facilmente pensabile, il numero dei martiri nel periodo rivoluzionario 1847-49 e negli anni che seguirono. Fra tutti ricorderemo nello Stato Pontificio il padre Ugo Bassi, Ciceruacchio e i suoi figli (1849) e le molte vittime della nuova occupazione austriaca, e, nel Lombardo-Veneto, Amatore Sciesa e Luigi Dottesio (1851) e quelli che per antonomasia furono detti "i martiri di Belfiore" (v. belfiore): Luigi Grioli, sacerdote (1851), Enrico Tazzoli, sacerdote, Angelo Scarsellini, Bernardo De Canal, Giovanni Zambelli, Carlo Poma (1852), Carlo Montanari, Tito Speri, Bartolomeo Grazioli (1853), Pietro Frattini (1853), ai quali s'accompagna una coorte di condannati a pena di morte, poi commutata, e a pene minori. E la serie eroica era continuata da Pier Fortunato Calvi (1855), da Francesco Bentivegna (1856), da Carlo Pisacane, il più illustre dei martiri di Sapri (1857). Non si conchiudeva con questi la lunga serie, né si conchiudeva con la presa di Roma. Ché l'amore per la patria italiana e il desiderio di contribuire alla liberazione delle terre ancora in mano allo straniero spingeva Guglielmo Oberdan a cercare, non macchiato di colpa, il martirio (1882), primo di quella falange che durante la guerra mondiale conobbe il volontario olocausto di Cesare Battisti, di Damiano Chiesa, di Nazario Sauro, di Fabio Filzi e di Francesco Rismondo, testimoni di una stessa fede e di una stessa speranza.

Martiri fascisti. - Non è qui il caso di ricostruire la storia della Rivoluzione fascista, per la quale v. fascismo; né di dare un elenco completo dei martiri fascisti, e una narrazione particolareggiata del loro sacrifizio; ci limiteremo invece a brevi cenni, non senza avvertire che piuttosto che "martiri", i morti per la rivoluzione si dovrebbero chiamare "caduti", poiché essi, eroici combattenti di un'idea, caddero per difenderla in una vera e propria guerra contro le forze sovversive. Del resto la rivoluzione si riallaccia idealmente alla grande guerra, da cui trasse lo spirito e la fede. Intervento, guerra e fascismo sono i successivi momenti di uno stesso fatto rivoluzionario. Giustamente, quindi, la coscienza popolare ha accomunato nella sua memore riconoscenza i caduti fascisti ai caduti della guerra e lo stato ha accolto e sancito in provvedimenti giuridici questo sentimento.

La continuità storica è richiamata anche dallo stesso carattere vigorosamente unitario e nazionale del movimento fascista: come alla guerra, così alla difesa dei suoi valori, convengono i combattenti da tutte le parti d'Italia; e, del pari, ogni terra ha i suoi martiri. Ciò è visibile già nei primissimi tempi. Da Torino, dove il 4 dicembre del 1919 cade assassinato Pierino Del Piano, alla terra di Bari, dove è ucciso il 13 aprile 1920 Ferruccio Barletta di Minervino Murge, puro assertore dell'idea fascista; da Trieste, che vide l'intrepido ardire del tenente Luigi Casciana di Terranova di Sicilia, morto il 20 luglio del 1920 in un agguato bolscevico, alla provincia di Potenza, detta in quel tempo la "repubblica sociale del Mezzogiorno", ove per il fascismo s'immolò, il 21 aprile del 1920, Carlo Rocco Scazzariello di Pisticci (Matera). Il 1920, che è l'anno della fiorente ascesa del fascismo, è anche l'anno cruciale del suo martirologio. Cade il 12 luglio a Pistoia Demetrio Gori di Ferruccia (Pistoia) ucciso a bastonate dai comunisti; pure nel luglio, il 23, cade a Parma, colpito da arma da fuoco, Antonio Donati di Tizzano Val Parma; sono uccisi a Portonovo di Medicina (Bologna), il 9 agosto, Luigi Barbieri di Vigarano (Ferrara), Gesù Ghedini di Molinella (Bologna) e Roberto Poletti di Ostellato (Ferrara), che avevano voluto difendere il proprio diritto di lavoratori, contro gli scioperanti bolscevichi; cadono a Firenze, durante la contrastata celebrazione della vittoria nelle elezioni comunali, il 7 novembre del 1920, Guido Fiorini di Massa Marittima e Gino Bolaffi di Firenze, combattenti valorosi. Cremona ha il suo primo martire in Gaetano Comandulli, di Sesto Cremonese, morto il 13 novembre 1919 a Luignano di Sesto Cremonese; il 21 luglio del 1920 cade a Roma Manfredi Trombetta di Atri (Teramo); l'11 aprile dello stesso anno era ucciso a Bari Vincenzo Nobile di Minervino Murge. E ancora, il 23 luglio, Giacomo Schirò di Piana dei Greci (Palermo), caporale nel 12° battaglione premilitare, cade in conflitto con i sovversivi della propria borgata, meritandosi la medaglia d'oro al valor militare di motu proprio del re, con la seguente motivazione: "Ispirato ad alti sentimenti di patriottismo e di civismo, tenne testa risolutamente a una turba di sovversivi, che vilmente lo avevano aggredito, proferendo parole di vilipendio al Re e alla patria. Dopo essersi difeso accanitamente con la baionetta, colpendo anche uno degli avversari, sopraffatto dal numero e respinto dentro la sala di un circolo, cadde crivellato da ben cinquantatré ferite. Abbandonato a terra morente, ebbe la forza suprema di trascinarsi per la sala e di raccogliere una bandiera nazionale, strappata e buttata a terra da quei forsennati, e di avvolgersi in essa. Fulgido esempio del più puro eroismo emise l'ultimo respiro stretto ancora tra le pieghe del glorioso simbolo, riconsacrato dal suo sangue generoso. Piana dei Greci 23 luglio 1920". A Torino, il 23 settembre, vittime di un'efferata crudeltà, Costantino Scimula di Pozzomaggiore (Sassari) e Mario Sonzini di Oleggio (Novara), sono condannati, da un improvvisato tribunale rosso, ad essere gettati negli alti forni degli stabilimenti Fiat, e infine, poiché i forni erano spenti per lo sciopero, trascinati in aperta campagna e ivi uccisi. A Villa Strada presso Macerata, l'11 ottobre, cade Riccardo Rossetti, di Cingoli (Macerata). Cadono a Ferrara, il 20 dicembre, Francesco Gozzi di Gualdo di Portomaggiore (Ferrara), Giorgio Pagnoni di Gaibanella (Ferrara), Natalino Magnani di Conselice (Ravenna). Il 31 dicembre ha il suo primo martire Teramo, in Guido Pallotti. ll 28 febbraio 1921 è trucidato a Firenze il giovane Giovanni Berta, lnglio d'un industriale: sorpreso a passare sul Ponte Sospeso alle cascine, gli furono mozzate le mani, mentre, in un supremo istinto di salvezza, si teneva aggrappato al parapetto. La canea sovversiva insultò il suo sacrificio e il dolore paterno intonando la canzone: "Hanno ammazzato Giovanni Berta - figlio di un pescecane - A chi lo ha ammazzato - gli si dee batter le mane". Muoiono a Sarzana, il 21 luglio 1921, Giuseppe Montemaggi di Romano Lombardo (Bergamo) e Augusto Bisagno di Spezia; muore a Grosseto, il 29 giugno dello stesso anno, Rino Daus di Perugia; a Modena, Mario Ruini, il 24 gennaio '21; a Milano, Aldo Sette di Torino, il 20 marzo '21; ad Albano Vercellese, Aldo Milano di Sambonifacio (Verona), l'8 gennaio '21; a Pontormo, presso Empoli, il 17 ottobre '21, Italo Gambacciani di Montelupo Fiorentino; a Roma, Franco Baldini di San Rocco al Porto, presso Lodi, il 9 novembre '21, e Carlo Grella di Roma, il 21 ottobre '22; a Gazzo (Padova) Armando Fugagnollo di Vicenza, l'8 luglio '22; a Genova il carrarese Primo Martini, il 5 agosto '22; a Bergiola (Carrara) i due fratelli Eugenio e Renato Picciati, l'8 gennaio '22, ragiungono nella gloria del sacrificio il terzo fratello, morto in battaglia.

Esploso il fascismo con la guerra, se pure non generato da essa, è logico che le sue file siano piene di combattenti, sorti di nuovo in armi, al vigoroso appello di Mussolini, per difendere le stesse idealità e gli stessi valori per i quali avevano offerto, durante quattro anni, la vita. È così che fra i nomi dei caduti della Rivoluzione fascista risplendono quelli di molti combattenti della guerra mondiale: il tenente Federico Guglielmo Florio, di Prato, ucciso a tradimento da un disertore di guerra, nel gennaio del '22, a Prato; Pompilio Piccioni di Morro d'Alba (Ancona), morto il 19 ottobre del 1922 a Castelleone di Suasa (Ancona); Pietro Priano di Gavi (Alessandria), morto il 5 luglio del'23 a Serravalle (Alessandria); Giovanni Forzoni di Arezzo, morto il 24 settembre del '27 ad Arezzo; Lorenzo Falcetta di Andria, morto il 30 ottobre del '22 ad Andria; Oronzo Loperfido di Noci (Bari), morto il 15 maggio del '21 a Noci; Vito Campanella di Mola di Bari, morto il 13 novembre del '22 a Muggia presso Trieste; Celestino Cavedoni di Mestre (Venezia), morto il 26 maggio del '22 a Bologna; Francesco Giustacchini di Prevalle (Brescia), morto il 3 agosto del '25 a Brescia; Cesare Serra di Quartucciu (Cagliari), morto il 24 marzo del '24 a Cagliari; Alberto Tognoli di Castelnuovo Bariano (Rovigo), morto il 13 marzo del'21 a Ferrara; Luigi Platania di Rimini, morto il 19 maggio del '21 a Rimini; Pietro Somenzi di Genova, morto il 9 settembre del '21 a Pescia; Pasquale I. eone di Alliste (Lecce), morto il 25 aprile del '21 a Lecce; Leonio Contro di Riva di Ariano (Rovigo), morto il 10 agosto del '22 a Susegana (Treviso); Antonio Fiorelli di Torricella di Fossombrone e Furio Fabi di Pievebovigliana (Macerata), morti il 2 ottobre del '22 a Fossombrone; Nando Gioia di Borgonovo Val Tidone (Piacenza), morto il 17 maggio del '21 a Bilegno di Borgonovo; Giuseppe Baldini di Alfonsine (Ravenna), morto il 30 ottobre del '22 ad Alfonsine; Pierino Fantini di Rieti, morto il 4 maggio del '21 a Rieti; Alessandro Mini di Piancastagnaio nel Montamiata (Siena), morto il 6 agosto del '22 a Muggia (Trieste); Mellito Amorosi di Marta (Viterbo), morto l'8 settembre del '21 a Viterbo, e tanti altri. Non pochi tra essi avevano preso parte anche alla guerra libica ed erano decorati al valore.

L'ardimentosa impresa di Fiume segna il vincolo più nobile di parentela fra la guerra e il fascismo: così è che molti legionarî fiumani caddero, dopo, in imprese fasciste compiute per la riscossa civile nella stessa città olocausta. Sono: Giuseppe Traunini, morto il 25 dicembre del '20; Ercole Forcato, morto il 27 giugno del '21 a Porto Baros; Stefano Caifessi, morto il 31 dicembre del '22; Edoardo Meazzi di Montieri di Grosseto, morto il 6 marzo del '22; Bruno Mondolfo, morto il 27 giugno del '21; Spiridione Stoiani, morto il 3 marzo del '22, e altri.

Diversi legionarî fiumani ebbero a morire in successive azioni fasciste in altre terre d'Italia. Ecco Gastone Bartolini di Firenze morto il 21 luglio del '21 a Sarzana; Michele Falcone di Serracapriola presso Foggia, morto il 23 luglio del '22 a Viterbo; Nazareno Giovannucci di Trezza presso Aquila, morto il 16 febbraio del '24 a Livorno; Angelo Scambelluri, di Taranto, morto l'8 maggio del '24 a Barletta; li guida, li infiamma, li precede al sacrificio un combattente esemplare: Oscar Paoletti di Sulmona, ufficiale nell'impresa libica e nella guerra mondiale, legionario fiumano, camicia nera, caduto il 20 ottobre 1922 a Bologna, durante la preparazione della marcia su Roma: e accanto a lui, accorrendo in suo soccorso, cade pure Giancarlo Nannini, di Finale Emilia, ufficiale ex-combattente, ferito di guerra, decorato al valore, legionario fiumano, fiore e speranza dell'ateneo bolognese. L'insidiata libertà dei confini della patria, la riconquista della città italianissima, la redenzione civile d'Italia animano e conducono questi prodi a un solo sacrificio. È ancora il soldato d'Italia, l'umile e fierissimo fante, che combatte nella guerra e nella pace, che milita impavido nelle file del restauratore della patria: il Duce.

Guidati da una forza istintiva, vengono intorno a lui, al sacrificio, alla gloria, alla morte, anche i cuori più semplici, anche i più umili, nei quali l'idea fascista penetra per intuito, con la sua energia possente e fatale. Sono contadini, che muoiono serenamente nel nome del Capo: Camillo e Felice Mortarotti, ambedue di Vignale Monferrato, morti il 26 maggio del 1925 a Vignale; Luigi De Blasi di Castelnuovo di Massa d'Albe (Aquila), morto il 16 dicembre del '24 ad Avezzano; Nicola Petruzzelli di Andria, morto il 2 luglio del '22 ad Andria; Carlo Resmini di Misano di Gera d'Adda (Bergamo), morto il 9 novembre del'25 a Capralba (Cremona); Giov. Batt. D'Onofrio di Baia Latina (Napoli), morto il 24 ottobre del '22 a Baia Latina; Giuseppe Loreti, morto il 4 novembre del '23 a Poderi di Montemerano (Grosseto); Umberto Ghizi di S. Simone del Brasile, morto il 13 dicembre del '21 a Viadana (Mantova); Luigi De Michelis di Terrasa Lomellina (Pavia), morto il 16 luglio del '22 a Lumellogno (Novara); Onesto Ferrarini di Cogruzzo di Castelnovo (Reggio Emilia), morto il 26 agosto del '23 a Villa Cogruzzo di Castelnovo di Sotto. Sono operai, caduti nella difesa del lavoro: Mario Montecucco di Gavi (Alessandria), morto il 15 agosto del '26 a Parodi Ligure (Alessandria); Egidio Mazzucco di Ticineto (Alessandria), morto il 2 agosto del '22 a Sampierdarena; Virgilio Nava di Mozzo (Bergamo), morto il 20 giugno del '24 a Curno (Bergamo); Luigi Pellizzoni di Fino Mornasco (Como), morto il 15 giugno del '22 a Vitorchiano (Viterbo); Giovanni Migliori di S. Lucido (Cosenza), morto il 9 aprile del '22 a Grosseto; Raffaele Laserpe di Cerignola, morto il 13 aprile del '21 a S. Severo; Gennaro Ruggiero di Brusciano (Napoli), morto l'8 gennaio del '23 a Napoli; Benito Moggioni di Città della Pieve (Perugia), morto il 27 ottobre del '22 a Casal de' Pazzi (Roma); Luigi Andena di Foligno, morto il 2 agosto del '22 a Foligno; Giovanni Mainardi di Gambolò (Pavia), morto il 6 giugno del '23 a Milano; Valentino Schiavon di Badia Polesine, morto il 12 marzo del '21 a Badia Polesine; Guido Michelessi di Controguerra (Teramo), morto il 17 settembre del '22 a Colonnella (Teramo); Vittorio Benetazzo di Padova, morto il 17 maggio del '21 a Treviso, Mario Trevisan di Villorba (Treviso), morto il 7 marzo del '22 a Trieste; Carlo Fassio di Livorno Ferraris (Vercelli), morto il 4 novembre del '23 a frazione Strella di San Germano Vercellese.

E con i contadini e con gli operai, che rappresentano la semplice e sana coscienza del popolo innalzatasi alla nobiltà del sacrificio liberamente accettato, fieramente voluto per la consacrazione dell'Italia fascista; con essi, che dànno carattere leggendario di epica popolare alla Rivoluzione, insorgono, fervide e consapevoli, le classi sociali più elevate per intelletto e per nascita. Primi, fra tutti, gli studenti universitarî e medî, avanguardie, sempre, d'ogni rivendicazione nazionale, accorrono sotto i gagliardetti delle squadre di azione: fermi e consapevoli ne assumono il comando, audaci e intrepidi ne guidano le spedizioni. L'Italia - come scriveva Mussolini - "è arrossata di gentil sangue latino fascista".

Cadono, in una spedizione a Cittadella, il 6 maggio del '21, Gianvittore Mezzomo di Feltre; Giambattista Fumei di Agordo (Belluno); Angelo Boscolo Bragadin di Brentella (Padova), studenti. È studente Amos Maramotti, caduto a Torino il 29 aprile '21, il quale, presentendo la sua fine, lasciava scritte parole sublimi di conforto per il cuore di ogni madre: "Mamma, vado forse a morire, ma tu non piangere; sii anzi orgogliosa della mia fine. Viva il Fascio, viva l'Italia". Sono studenti Carlo Amato di Catania, morto il 2 novembre del '22 a Catania; Carlo Menabuoni di Ancona, caduto il 27 febbraio del '21 a Firenze; Emilio Tonoli di Milano ed Edoardo Crespi di Azzate (Varese), morti il 4 agosto del '22 a Milano; Ugo Pepe di Gaeta, morto il 24 aprile del '22 a Milano; Tito Menichetti di Pisa, morto il 25 marzo del '21 a Ponte Moriano di Lucca, Daniele Sipione di Rosolini (Siracusa), morto il 13 dicembre del '22 a Rosolini; Manlio Sonvico, appena laureato all'università di Pavia, morto a Villa Albese (Como) il 13 aprile '24; Pio Pischiutta di Venzone (Udine), morto il 10 maggio del '21 a Pordenone; Arrigo Apollonio di Pirano d'Istria, morto il 7 luglio del '22 a Buie d'lstria; l'avanguardista quindicenne Libero Turchi, morto a Pisa nel settembre del '22; Rocco Gerocarni di Palmi (Reggio di Calabria), morto il 30 agosto del '25 a Palmi; Elio Galiano di Francavilla Fontana (Brindisi), morto il 17 agosto del '25 a Francavilla Fontana; Domenico Mastronuzzi di Taranto, morto l'8 maggio del '21 a Taranto; Cino Giannini di Lucca, morto il 22 maggio del '21 i Valdottavo (Lucca); Gino Tabaroni di Bastiglia (Modena), morto l'11 novembre del '21 a Modena; Lorenzo Taddeucci di Massa, morto il 21 luglio del '21 a Sarzana; Luigi Gattuso di Caltanissetta, morto il 25 aprile del '21 a Caltanissetta; Gino Buttazzi di Lecce, morto il 22 maggio del '23 ad Avellino; Willi Haynau di Trieste, morto il 22 giugno del '22. E anche i balilla hanno il loro martire, in Giuseppe Specchio, di Cerignola, dodicenne, che il 26 febbraio '21 volle a ogni costo accompagnare il babbo suo a una dimostrazione dei fascisti del luogo e rimase ucciso.

Sono con gli studenti giornalisti e uomini di scuola. Era un vecchio benemerito maestro Olimpio Vistoli da Fusignano (Ravenna), morto, dopo lunghi anni di sofferenza, il 7 novembre 1928 a Fusignano per gravi ferite riportate il 26 luglio 1922 in un'aggressione. Era maestro Francesco Sottosanti di Piazza Armerina (Enna), morto a Verpogliano di Vipacco, il 4 ottobre 1930, aggredito sotto gli occhi della moglie e dei figli da elementi antifascisti d'oltre confine. Vittima anch'esso ai confini della patria fu il giornalista Guido Neri di Ancona, perito il 13 febbraio 1930 nel nefando attentato compiuto contro il Popolo di Trieste, quotidiano della Federazione dei fasci di combattimento di Trieste. Nella stessa lotta per la nazione e per il fascismo erano periti, a Pola, il 16 settembre 1921, Alfredo Sassech di Pola; al varco di Unec (Postumia) il 4 gennaio 1922, Giuseppe Urk; a Trieste Aldo Ivancich di Lussinpiccolo, il 23 aprile '22; a Visinada (Istria) Antonio Petronio di Visinada, il 19 ottobre 1921.

Anche l'aristocrazia del sangue ha i suoi morti: a Milano gruppi di sovversivi, di ritorno da un comizio, sparando all'impazzata, uccidono il 15 ottobre del '20 il fascista conte Armando Lavinio Morganti di Casteglieri; a Firenze, vittima di feroci colpi di trincetto, muore il 16 luglio del '21 il conte Annibale Foscari di Venezia; colpito al cuore da una pugnalata di un sovversivo cade il 28 luglio del '21, a S. Frediano a Settimo (Pisa), il marchese Domenico Serlupi di Sestri Levante; il nobile Aldo Roselli di Arezzo cade il 17 aprile del '21 a Foiano della Chiana; il marchese Alfredo Bargagli il 29 giugno del '21 a Rignano sull'Arno (Firenze). E anche una mamma doveva versare il suo sangue: il 29 agosto '21 veniva uccisa a Castiglione dei Pepoli (Bologna) Emma Gherardi, rea di essere madre di un fascista.

L'unanime partecipazione di tutte le classi sociali, di tutte le terre d'Italia al trionfante afferrmarsi della Rivoluzione fascista, si manifesta più largamente in quegli avvenimenti collettivi, tragici e gloriosi a un tempo, che segnarono i passi della sua avanzata: gli assalti all'Avanti! di Milano del 15 aprile 1919 e del 4 agosto 1922, l'agguato al Palazzo d'Accursio di Bologna del 21 novembre 1920, ove cade, gloriosa vittima, il mutilato di guerra Giulio Giordani, lo sciopero di Molinella e l'assassinio di Medicina (3 caduti) dell'agosto del '20, l'imboscata del Castello Estense di Ferrara del 20 dicembre del '20 (3 caduti), l'eccidio di Foiano della Chiana del 17 aprile del '21 (3 caduti), la tragedia di Sarzana del 21 luglio del '21 (15 caduti), l'eccidio del teatro Diana a Milano il 23 marzo del 1921 (21 uccisi), l'imboscata di Empoli del 1° marzo 1921 (9 caduti) e di Casale Monferrato del 6 marzo dello stesso anno (3 caduti), il brutale assassinio di Valdottavo (Lucca) del 22 maggio '21 (2 caduti), l'eccidio di Modena del 26 settembre '21 (8 caduti).

Furono appunto queste eroiche, leggendarie avventure, assurte dalla particolarità dell'episodio all'epica grandiosità di una vera e propria rivoluzione in marcia, che strinsero al condottiero gli audaci e fidi cuori dei suoi gregarî, nell'anno cruciale del 1924 e nel seguente; quando di fronte alla viltà dei dubbiosi più ferma e splendente sorse e si affemò la solidarietà dei fedeli. E intorno ai fedeli, nell'avvampante odio di classe, per la più bassa speculazione politica, si moltiplicarono le insidie, le imboscate e gli agguati. In essi numerose e nobilissime le vittime: Armando Casalini di Forlì, caduto il 12 settembre 1924 a Roma; Angelo Mandolini di Carnaiola (Terni), morto il 2 novembre 1924 a Ficulle (Terni); Giulio Benedetti di Albegno (Bergamo), morto il 10 ottobre 1924 a Treviolo (Bergamo); Giovanni Villella di Nicastro (Catanzaro), morto il 21 aprile 1924 a Nicastro; Mario Rossi di Felino (Parma), morto il 7 settembre 1925 a Barbiano di Felino; Ugo Turrini di Ariano Polesine, morto il 22 maggio 1925 in Adria; Aronne Cazzagon di Camponogara (Venezia), morto il 2 maggio 1925 a Dolo (Venezia); Silvio Visentin di Boara Polesine, morto il 21 maggio 1925 a Boara Polesine; Vitantonio Martinelli di Polignano a Mare (Bari), morto il 9 aprile 1925 a Conversano; Giovanni Luporini di Firenze, quivi morto il 3 ottobre 1925, e tanti, tanti altri. Li anima, paterno ed eroico, Pietro Salvatori di Montecelio (Roma), caduto a Montecelio il 25 dicembre 1924, assalito da una banda di comunisti: caduto a 74 anni, in un meraviglioso rifiorire di pugnace giovinezza.

Era naturale che quest'onda travolgente di fede, di coraggio, di eroismo, passando vittoriosa per le vie della patria, varcasse i confini e palpitasse, animando di sé nuovi apostoli e nuovi martiri, in quelle terre straniere ove il dilagare delle teorie soivversive acuiva l'odio contro la prorompente Rivoluzione fascista.

Eroici caduti in terra di Francia, in terra belga, nelle lontane Americhe! Sono centinaia dì valorosi che in paese d'esilio furono feriti o uccisi per consacrare il loro amore alla patria, tanto più forte quanto più la patria era lontana e oltraggiata. Fra essi, ecco don Cesare Caravadossi di Carcare (Savona), ucciso a tradimento il 17 novembre 1928 a Joeuf, vicino a Liegi, da uno sconosciuto, che non gli poteva perdonare i suoi sentimenti fascisti schiettamente confessati; ecco Alfonso Arena di Canicattì (Agrigento); cancelliere della legazione d'italia, caduto nel Lussemburgo, colpito al cuore da un anarchico il 30 aprile 1929; ecco il romano conte Carlo Nardini, viceconsole d'Italia a Parigi, assassinato nel suo ufficio da un comunista il 12 settembre 1927, mentre inerme attendeva all'esercizio delle sue funzioni. Su questi martiri caduti all'estero, domina alta, severa, ardente, la nobilissima figura di Nicola Bonservizi di Urbisaglia (Macerata), corrispondente del Popolo d'Italia e capo del fascismo italiano in Francia, assassinato a Parigi il 26 marzo 1924, per odio contro il regime. Così lo salutò nell'ora del suo glorioso martirio il Duce: "Fascista di purissima fede, di coraggio indomito, che ha santificato la causa con la vita e con la morte. Egli praticò la vera, la saggia, la santa disciplina, che consiste nell'obbedire quando ciò dispiace, quando ciò rappresenta sacrificio". Così, balzando dal cuore della patria, sì affermò lungo le sue vie e superò i suoi contesi confini, l'irresistibile marcia delle camicie nere. E il cuore della patria riconosce e saluta tutti i suoi figli caduti all'estero: nobilissima milizia, che si fa ogni giorno numerosa di nuove reclute, poiché ogni giorno, si può dire, si procede a nuovi riconoscimenti di morti finora rimasti umilmente nell'ombra. E altri ne cadono continuamente. A diverse migliaia assommano i mutilati e i feriti per la causa fascista, che il Partito ha affratellati ai congiunti dei morti nell'Associazione fascista delle famiglie dei caduti, dei mutilati e dei feriti per la Rivoluzione.

La Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, questa tipica e gloriosa creazione del regime, ha avuto oltre quattrocento morti.

In ogni città, in ogni paese d'Italia una lampada votiva arde dinanzi al monumento o alla lapide che rammenta i martiri fascisti, nei giorni fasti della patria essi sono ricordati e onorati con i caduti in guerra, sono veramente "presenti" come vuole il rito nato dal martirologio fascista, l'appello dei caduti. A Firenze, i martiri fiorentini hanno riposo in 36 arche di marmo greggio, nel tempio di Santa Croce, sacro alle glorie nazionali. A Roma nel Palazzo Littorio è stata dedicata una cappella a tutti i caduti fascisti: semplice, austera, costruita con i marmi delle Alpi Giulie. Qui, nella suggestiva penombra, arde una fiamma, che rischiara le lapidarie epigrafi del Duce. Vigila in alto il monito: "Credere - obbedire - combattere". Splendono da un lato le parole: "Caddero per il fascismo - vivranno - nel cuore del popolo - perennemente". Di fronte, solenne, risponde la sicura promessa: "Il sacrificio delle camicie nere consacra - la rivoluzione del Littorio - nella certezza del futuro - nella gloria della patria". Ricordiamo ancora l'ara dei caduti sul Campidoglio e il sacrario dei martiri alla Mostra della Rivoluzione fascista ormai per volere del Duce istituzione stabile, l'una e l'altro meta d'incessanti, devoti pellegrinaggi.

V. tavv. XCV e XCVI.

Bibl.: M. De Simone, Pagine eroiche della Rivoluzione fascista, Milano 1925; 45 morti, 285 feriti, pubblicazione a cura dei Fasci italiani all'estero, Roma 1933-XI; I Caduti della Milizia, a cura dell'Ufficio storico della Milizia, 2ª ed., ivi 1933. Una raccolta documentaria preziosa per il martirologio fascista si trova nella Mostra della Rivoluzione fascista (v. il catalogo a stampa).