MASTRILLI, Marzio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MASTRILLI, Marzio

Vladimiro Sperber

– Nacque il 6 sett. 1753 nell’avito castello di Ponticchio presso Nola, da Mario, duca di Marigliano, e da Giovanna Caracciolo di Capriglia. Secondogenito, poté fregiarsi – come era consuetudine della famiglia – del mero titolo marchionale di Gallo: solo nel 1813 re Gioacchino Murat lo creò duca di Gallo, titolo trasmissibile.

A nove anni fu inviato a studiare a Roma nel prestigioso collegio Clementino. Si laureò nel 1771 in belle lettere. Presiedette alla sua formazione culturale, e soprattutto politica, lo zio materno e suo tutore Domenico Caracciolo, brillante diplomatico e viceré di Sicilia.

Sono indicativi di questo rapporto e del pensiero politico, moderatamente riformista, del M. gli stralci della sua corrispondenza con Caracciolo agli inizi del ministero di questo, pubblicati da M. Schipa (1896-97).

La carriera diplomatica del M. ebbe inizio nel 1782, allorché fu nominato ministro plenipotenziario a Torino, dove giunse nel giugno del 1783. Qui tra giugno e luglio 1785 ospitò nel suo palazzo torinese i reali di Napoli, impegnati allora in un viaggio nelle capitali degli Stati italiani, intrapreso per evidenziare l’ormai affermata indipendenza del Regno dalla Spagna e l’intento di partecipare attivamente alla vita politica della penisola. Questa visita dei reali, che il M. accompagnò poi fino a Livorno, rafforzò la sua posizione a corte.

Nel maggio-giugno 1786 fu richiamato a Napoli dallo zio Caracciolo, nominato, forse per volontà del re Ferdinando IV – in sostituzione del filospagnolo, e perciò licenziato, marchese della Sambuca, Giuseppe Beccadelli di Bologna e Gravina –, titolare del dicastero degli Esteri, che comportava anche il primato nel governo.

Alla corte di Napoli, dilaniata da lotte intestine, i principali attori – la regina Maria Carolina d’Austria in primo luogo – ritenevano o speravano che l’ormai stanco Caracciolo avrebbe lasciato la conduzione degli affari a J.Fr.E. Acton, figura dominante e controversa della scena napoletana. Caracciolo si rivelò invece ministro molto attivo in politica estera, perseguendo una linea intesa ad affermare concretamente in ogni campo la presenza attiva del Regno, finalmente libero da vincoli famigliari, nello scacchiere europeo.

Nell’ambito della riorganizzazione e ricollocazione della diplomazia regnicola, il M. ebbe assegnata la sede, di primaria importanza, di Vienna, con il titolo di ministro (dal 1790 ambasciatore). Prima che partisse, giunse a Napoli notizia dell’imminente incontro, a Cherson, dell’imperatore Giuseppe II con la zarina Caterina II. Ricevute le nuove istruzioni redatte in tutta fretta, il M. partì il 5 aprile, e viaggiando a spron battuto poté incontrare l’imperatore a Leopoli e presentare le proprie credenziali. Incontrò poi anche la zarina, e implementò con la controparte russa gli articoli segreti previsti dal trattato precedentemente siglato dai plenipotenziari russo e regnicolo.

Essenzialmente, questi articoli concedevano alla marineria delle Due Sicilie di inalberare nel Mar Nero la bandiera russa. Dopo Cherson il M. percorse la Crimea, da Sebastopoli si recò a Istanbul dove fu ricevuto da Abdul Hamid IV e da vari ministri e, dopo aver percorso i Balcani, giunse a Vienna in settembre.

Il M., che secondo Nuzzo non si era trovato a suo agio a Torino, «soltanto quando mette piede a Vienna si trova come nel suo ambiente» (1972, p. 173). In breve egli, secondo questo storico, avrebbe cominciato a vedere l’Italia e l’Europa con gli occhi della Hofburg ma, va specificato, con la mentalità politica di uno statista napoletano. Conquistò Vienna, ne divenne uno dei personaggi più in vista, socialmente, culturalmente e politicamente apprezzato, e in stretti rapporti con la corte.

Grande rilievo ebbero, nel corso della sua lunga ambasciata viennese, le trattative «matrimoniali» con il successore (febbraio 1790) di Giuseppe II, l’imperatore Leopoldo II, che condussero a ben tre matrimoni tra Borbone Napoli e Asburgo Lorena (Francesco duca di Calabria con l’arciduchessa Maria Clementina, Maria Teresa di Borbone con l’arciduca Francesco e Maria Luisa di Borbone con il granduca di Toscana Ferdinando d’Asburgo Lorena) realizzando così le ambizioni famigliari della regina e rafforzando i sostenitori di una stretta alleanza austro-napoletana. Il matrimonio dell’arciduca erede al trono con Maria Teresa era stato patrocinato dal M. appena morta la prima moglie di Francesco. Il M. si vantò poi di avere avuto un ruolo rilevante nella decisione di rendere il Granducato di Toscana ereditario nella discendenza del granduca Ferdinando. I sovrani napoletani, giunti a Vienna per le nozze, vi si trattennero a lungo, fino al marzo 1791, quando l’imperatore Leopoldo e il M. li accompagnarono fino a Venezia.

Ebbe inizio in quel torno di tempo la singolare corrispondenza della regina Maria Carolina con il Mastrilli. I due corrispondenti promisero o giurarono di bruciare le lettere ricevute subito dopo averle lette. La regina bruciò le lettere del Mastrilli. Il M., infedelmente, le conservò (ma forse la regina ne era conscia: il 21 maggio 1806 in una lettera alla figlia Maria Teresa menziona tra i documenti importanti ancora conservati dal M. a Parigi «einen zwanzigjährigen Briefwechsel mit mir» (Corti, p. 537: ma non è chiaro se la regina avesse nozione della conservazione delle lettere). Weil definisce quella del M. una «heureuse désobéissance […] qui lui fut probablement dictée par la plus élémentaire et la plus légitime des précautions par le désire bien naturel de mettre sa responsabilité à l’abri» (Revue d’histoire diplomatique, 1911, pp. 208 s.). Nell’Archivio Gallo, successivamente donato all’Archivio di Stato di Napoli, erano conservate 1400 pièces di questa corrispondenza. Nei due volumi della Correspondance ne furono pubblicate 544. Weil, come aveva specificato nella presentazione, ne pubblicò molte altre in due riviste francesi, che però sono state ignorate o ritenute di scarso interesse dagli storiografi. La personalità piuttosto eccentrica della regina, il suo ruolo preminente negli affari dello Stato nonché la facilità e naturale predisposizione ad alterare la verità sono garanti di una lettura assai interessante. Effettivamente le lettere di Maria Carolina confermano generalmente la correttezza dell’operato del Mastrilli.

Nell’agosto del 1791 suscitò scalpore e ira a Napoli e in varie sedi diplomatiche napoletane un’iniziativa del M., nell’ambito delle trattative di pace russo-turche, che la corte e il ministero ritennero non rientrasse nelle facoltà di un ambasciatore. Il M. aveva rinviato a Napoli il corriere napoletano che doveva recare con la massima urgenza all’ambasciatore Antonino Maresca duca di Serracapriola a San Pietroburgo la comunicazione dell’accettazione turca della mediazione napoletana, considerata un grande successo della diplomazia regnicola sulla scena europea. Il M. spiegò poi che riteneva superata la mediazione napoletana, dato che quella prussiana, vista con favore dalla corte imperiale, concedeva alla Russia più di quanto questa avesse chiesto. Particolarmente irritato fu re Ferdinando IV, ma è probabile che il M. avesse agito in conformità con le direttive della regina Maria Carolina. Questa infatti scrisse all’imperatore Leopoldo «pour votre service seul nous jouerions ce vilain et petit rôle» (Nuzzo, 1949, pp. 28 s.).

Dopo la Rivoluzione francese gli Stati italiani erano immersi in trattative prevalentemente sterili alla ricerca di posizioni comuni dinanzi al pericolo francese, evidenziandone i contrasti, i sospetti e soprattutto gli appetiti territoriali, e anche il M. persisteva nei suoi tentativi di ottenere impegni concreti dalla diplomazia imperiale.

Il 10 maggio 1794 rassicurava Acton circa la buona fede degli Austriaci, aggiungendo «Con tutto ciò gli effetti di altre cause molto innocenti, come sono i sistemi inveterati, la routine, il carattere politico e le forme di queste Cancellerie e negoziatori, non potevano essere meno sensibili, né meno spiacevoli; ed hanno prodotto quelle conseguenze alle quali io m’aspettavo, giudicando dallo stesso dissapore ed impazienza che io medesimo ne ho risentito. […]. Accuso io di tutto il poco soddisfacente successo il suo [di J. Thugut] sistema di negoziare, il suo modo di riguardare gli affari, e soprattutto il poco impegno che si è voluto prendere da questa Corte per l’Italia» (ibid., pp. 67 s.). Nel corso di questi anni la regina tempestava con i suoi fantastici progetti politici il M., il quale ogni tanto si sentiva in dovere di richiamarla a una più puntuale percezione della realtà e della futilità di fare progetti in una fase così incerta e transitoria (Weil, Un mémoire du marquis de Gallo à la reine Marie-Caroline (11 janvier 1797), in Revue historique de la Révolution française, IV [1913], pp. 121-124).

Napoli, dopo la spedizione punitiva francese di R.-L. Levassor de Latouche-Tréville, era entrata, grazie ad Acton, nella coalizione antifrancese, aveva inviato forze terrestri e marittime in appoggio agli Inglesi a Tolone (novembre 1793 - gennaio 1794), e garantito quattro reggimenti di cavalleria agli Austriaci in Lombardia. In questa Napoli actoniana il M. venne richiamato, agli inizi del 1795, con l’offerta della segreteria degli Affari esteri e la promessa che avrebbe potuto agire senza interferenze actoniane. Il M. tentò invano di rifiutare. Mentre si avvicinava a Napoli la regina, il 18 aprile, lo rassicurò: Acton è «homme d’honneur», vuole partire, partirà giovedì: «Donc rassurez-vous et comptez sur mon aide et mon concours en tout ce qui pourra faciliter votre tâche» (ibid., 1911, p. 341). L’ambasciatore non aveva rinunziato al suo incarico viennese; a Napoli il neoministro o ministro in pectore comprese che le promesse e assicurazioni della regina e di altri non sarebbero state onorate, la carica ministeriale era insussistente. Il M. annunziò le proprie dimissioni e in giugno tornò a Vienna.

Maria Carolina spiegò poi alla figlia (imperatrice dal 1792): «Gallo se trouvait par malheur parent, ami et lié avec tout ce qui est de notre noblesse, hommes et femmes, noté comme jacobin. Cela a rendu de toute impossibilité sa nomination de ministre à Naples» (Quellen zur Geschichte der deutschen Kaiserpolitik, V, p. 155 n.). Alla luce delle lettere della stessa al M. questa asserzione non sembra corrispondere alla verità: effettivamente il M. era parente o amico di molti nobili accusati di giacobinismo (e ciò era ben noto anche prima). Ma non fu coinvolto nelle due ondate repressive né sono noti suoi commenti in proposito. Peraltro, all’imperatore Francesco II scrisse, il 25 maggio, che il M. non era «resté Ministre» come previsto perché difficoltà e circostanze non permettevano «un changement chez nous» (Nuzzo, 1976).

Nel 1796, dopo la vittoria francese di Lodi, alla quale aveva partecipato al fianco degli Austriaci anche la cavalleria napoletana, Napoli ritenne opportuno chiedere alla Francia un armistizio, che fu firmato a Brescia il 5 giugno 1796. Il M. fu temporaneamente incaricato delle trattative ufficiali franco-napoletane (infine affidate ad Antonio Pignatelli principe di Belmonte), ma anche, e contemporaneamente, di sondare in massimo segreto la possibilità di avviare trattative austro-francesi. Conseguentemente il M. incontrò l’ambasciatore francese in Svizzera Fr. de Barthélemy, prima segretamente, a Lauffenburg, poi a Basilea. Il partito austriaco contrario a trattative con la Francia impose la fine di questo approccio. A Basilea il M. trattò dunque quella che sarà la pace di Parigi firmata dal principe di Belmonte il 10 ott. 1796. Con diverse motivazioni sia l’imperatore sia il re ritennero che il M. dovesse rimanere a Vienna.

L’anno successivo, il 1797, l’imperatore ritenne di potere imporre trattative di pace ora, dopo nuove sconfitte e con le casse dello Stato paurosamente vuote. Nominò il M., considerato il più abile diplomatico allora a Vienna (L. von Cobenzl era in Russia), plenipotenziario dell’Impero sia per i preliminari di Leoben (18 apr. 1797) sia per le trattative che portarono finalmente alla pace detta di Campoformio (17 ott. 1797).

Evidentemente riteneva che il M. avrebbe perseguito assiduamente il fine di porre termine alla guerra. Questa nomina suscitò irate reazioni, soprattutto tra la nobiltà degli Stati ereditari offesa per la scelta di uno straniero. Napoleone Bonaparte riferiva al Direttorio che gli Austriaci e gli Ungheresi erano «très-irrités de voir les étrangers jouer le principal rôle dans une affaire aussi importante» (Correspondance, II, pp. 637 s.) e che il M. era «à la fois le favori de l’Imperatrice, de l’Empereur, de Thugut, dont il est le vieil ami; il parait jouir d’un grand crédit à Vienne» (ibid., III, p. 95). Il partito contrario alla politica dell’imperatore, probabilmente predominante nell’alta società, osteggiava queste trattative o al massimo le accettava come utile diversivo per guadagnare tempo per la ricostituzione dell’esercito.

La storiografia italiana ha ovviamente concentrato la sua attenzione sulla vicenda veneziana, l’ingloriosa cancellazione della Serenissima dalle carte geopolitiche europee. Ma la visione politica del M., sin dai tempi di Caracciolo, vedeva un’Italia dominata e in gran parte governata dalle due potenze egemoni, le Due Sicilie e lo Stato di Milano, cioè l’Austria. Da tempo aveva previsto per i due Stati egemoni importanti acquisizioni territoriali a spese degli Stati minori, fino a prospettare per alcuni l’annessione a una delle due potenze. Nel corso delle trattative pre-Campoformio, armato di nuove istruzioni da Napoli, fece varie proposte o richieste di ingrandimenti per il Regno. Bonaparte, 13 sett. 1797, ironizzò: «La cour de Naples ne rêve plus qu’accroissements et grandeurs», le isole greche ex veneziane e metà dello Stato pontifìcio, specie Ancona. «Ces prétentions sont trop plaisantes», commentava (ibid., III, p. 391).

La storiografia austriaca ottocentesca, critica del M. (cui si imputano le cessioni di Belgio e Milano, ecc., mentre si accreditano le acquisizioni all’imperatore), ha tratteggiato dei ritratti biografici perlomeno grotteschi, pieni di errori (solo per fare un esempio: Marzio Nastrilli nato a Falerno, in Vivenot, p. 184).

Le trattative del 1797 segnarono anche l’inizio dei rapporti tra il M. e Bonaparte. Ambedue ne trassero profitto. La corrispondenza del generale con il Direttorio illustra ciò dettagliatamente, non necessariamente fedelmente. Come si evince dalle sue Memorie il M. fu fervente ammiratore di Napoleone, ma seppe anche contrastarlo in questi e successivi incontri e in particolare quando, per volere dello stesso Napoleone diresse il ministero degli Affari esteri a Napoli tra 1806 e 1814. La stima di Napoleone per il M. è evidente negli atti sovrani e nei commenti dei contemporanei, e nella scelta del M. da parte di tutti i partecipanti a Bayonne.

Richiamato a Napoli, il M. lasciò Vienna il 30 nov. 1797, e nel gennaio 1798 fu nominato à son corps défendant ministro di Stato per Affari esteri, Marina e Commercio. Cercò di evitare la guerra voluta dalla corte e dal partito filoinglese attuando una politica di neutralità e firmando trattati in tal senso con molte potenze. Ma era predominante la politica filoinglese della corte, soprattutto della regina e di Acton, tesa a coinvolgere nella guerra Napoli e conseguentemente, si sperava, l’imperatore. Porti siciliani rifornivano la flotta di Horace Nelson, che fu poi ricevuta a Napoli, in violazione della neutralità dichiarata. A luglio il M., mai consultato, offrì le proprie dimissioni, che non vennero accettate. Il Direttorio fingeva di non vedere perché non voleva la guerra e avanzava proposte interessanti per Napoli. L’Austria reiterava i suoi appelli alla prudenza, ammonendo Napoli che gli accordi prevedevano il suo intervento solo in caso di guerra difensiva.

Mentre il M. trattava con J.D. Garat inviato dal Direttorio per chiedere la liberazione dei detenuti politici nel Regno, Napoli viveva una fase bellicista antifrancese alimentata dagli Inglesi, che raggiunse il suo culmine con la notizia della vittoria della flotta britannica di Nelson sui Francesi (Aboukir, 1-2 ag. 1798). Il M. cercò invano di calmare i bellicosi spiriti soprattutto di re Ferdinando IV. Ma il 28 novembre le truppe regnicole al comando del generale austriaco Karl von Mack e seguite dal sovrano marciarono festosamente alla volta di Roma occupata dai Francesi. Occuparono a loro volta la città abbandonata dai Francesi (eccetto Castel Sant’Angelo), ma pochi giorni dopo furono sconfitti e dovettero tornare precipitosamente entro i propri confini, inseguiti dalle truppe francesi.

Il M. fu inviato, dai reali in fuga alla volta di Palermo, a cercare aiuti urgenti ed efficaci a Vienna, San Pietroburgo ed eventualmente Londra e Costantinopoli. Poté finalmente imbarcarsi su una nave inviatagli dai Russi a Brindisi. Il 15 febbr. 1799 giunse a Vienna, ove cercò di migliorare i rapporti con l’Austria, irritata per la guerra napoletana di aggressione contro Roma occupata dai Francesi. Il M. auspicò una entente cordiale tra Austria e Napoli fondata non su lettere e parole né rapporti di amicizia e famiglia «mais sur le système politique» cioè «dans les principes et dans la conduite du cabinet» (Di Somma, 1910, p. 66). In luglio era a San Pietroburgo; le trattative con lo zar Paolo erano giunte a buon punto allorché lettere di disconoscimento del re Ferdinando IV, avvisi ostili da parte di diplomatici napoletani (Serracapriola e altri) e di altri Stati, suscitarono i sospetti prima e l’ira poi dello zar. Costretto a lasciare il territorio russo il M., che nelle Memorie accenna appena a questa missione, rientrò a Palermo agli inizi del 1800, dopo la caduta della Repubblica Napoletana.

Ripartì poco dopo per Vienna dove giunse in giugno. Avendo l’Austria accettato, contrariamente agli accordi, di trattare con la Francia quella che sarà la pace di Lunéville senza la partecipazione di rappresentanti regnicoli, la corte napoletana accettò la proposta francese di trattare la pace separatamente a Parigi, ove inviò il M., che si era recato a Lunéville. Le trattative con Ch.-M. de Talleyrand-Périgord condussero a un accordo soddisfacente per ambedue salvo la clausola che concedeva alla Francia lo stanziamento di sue truppe in Puglia, che il M. ritenne inaccettabile. La pace fu poi firmata il 28 marzo 1801 a Firenze da G. Murat e A. Micheroux, con l’aggiunta, al testo concordato, della clausola rifiutata dal M.; garantiva la neutralità di Napoli e concordava la cessione di Piombino e dell’Elba alla Francia.

Il M. rientrò a Napoli nel dicembre del 1801 e sposò, per ragioni dettagliate nelle Memorie, la nipote Maddalena Mastrilli, figlia secondogenita del fratello del M., Giovanni. Maddalena morirà a Napoli il 4 genn. 1812, esausta per le tante gravidanze interrotte o nascite premature.

Nominato ambasciatore a Parigi il 27 dic. 1801, il M. vi giunse, con la consorte, il 14 febbr. 1802. Anche qui seppe conquistarsi una posizione di rilievo nel mondo diplomatico (fu tra i pochi diplomatici mai aggrediti dalle famose sfuriate di Napoleone). La presenza di truppe francesi nel Regno costituiva per i sovrani e i ministri il maggiore ostacolo a una scelta non rispettosa della neutralità politica. Il M. fu incaricato di ottenere a ogni costo questo «scambio»: ritiro delle truppe francesi contro la più sacra promessa di completa e sincera neutralità («Vi do la mia parola d’onore, la mia parola sacra, che noi resteremo veramente neutrali, non faremo entrare né Russi né Inglesi», aveva scritto la regina il 7 ag. 1805: Maresca, 1887, p. 607). Le pressioni, promesse e invocazioni soprattutto della regina conobbero intensificazioni parossistiche, forse in coincidenza con il trattato con i Russi e dell’accordo con la Gran Bretagna, che avrebbero assicurato l’incolumità del Regno. Quando il M. firmò il 22 sett. 1805 il trattato corrispondente alle istruzioni ricevute, alcuni articoli sub spe rati, e ratificato a Portici il successivo 8 ottobre, il trattato russo napoletano era già stato firmato. In novembre i Francesi avevano completato l’evacuazione delle loro truppe dal Regno, e immediatamente vi sbarcarono forze russe e britanniche. Il M., dopo alcune lettere di congedo e consigli ai suoi sovrani, dimissionò il 17 dic. 1805.

Espulso (con gentilezza) per ordine di Napoleone, il M. lasciò Parigi il 20 febbr. 1806. A Roma attese l’assestamento del regno di Giuseppe Bonaparte, con il quale era già in buoni rapporti. Tornò a Napoli il 30 giugno, dopo avere constatato l’adesione dei suoi compatrioti. Re Giuseppe lo nominò consigliere di Stato ministro degli Affari esteri, come anche Napoleone aveva consigliato. Occupò questo dicastero per tutto il decennio francese. Infatti quando Giuseppe fu trasferito sul trono spagnolo il M. fu praticamente rappresentante di ambedue a Bayonne, redasse i documenti e curò i dettagli riguardanti il passaggio del trono napoletano – ufficialmente delle Due Sicilie – da Giuseppe Bonaparte a Gioacchino Murat. Anche con questo il M. aveva avuto in passato ottimi rapporti. I due re e l’imperatore furono estremamente soddisfatti dell’operato del M., e lo ricompensarono adeguatamente.

Riformò profondamente il suo dicastero – ormai riservato ai soli cittadini del Regno – e la diplomazia napoletana; abolì tutti i privilegi (franchigie e giurisdizioni) concessi alle più disparate categorie di cittadini e compagnie di Stati esteri. Lo svolgimento dei suoi compiti istituzionali dovette mutare notevolmente con l’avvento dell’impulsivo Murat. Delle volte era giocoforza secondare il re, altre riparare ai suoi errori. Fino al 1814 dovette fare fronte, quasi sempre cedendo, alle sfuriate di Napoleone quando questi riteneva che fossero state adottate decisioni che dovevano essere sottoposte a lui, o a lui invise (il 23 maggio 1810 ordinava al ministro degli Esteri francese J.-B. Nompère conte di Champagny duca di Cadore: «Vous ferez comprendre à M. de Gallo qu’il est important qu’on fasse bien attention à ce que je dis: aucun traité ne doit être fait sans mon approbation»: Correspondance, XX, p. 431).

Nel 1814 le sconfitte di Napoleone portarono a scelte drammatiche. La regina Carolina Bonaparte, il M. e altri ministri caldeggiarono il distacco dalle fortune napoleoniche e una accorta politica di accordi con le potenze alleate che sole avrebbero potuto assicurare il trono a Murat. Il M. condusse i negoziati più importanti con Austria e Gran Bretagna, e fu chiamato poi a una presenza spesso assidua nei territori di nuova o transitoria occupazione. L’anno successivo cercò di dissuadere Murat dall’intervenire in favore di Napoleone ritornato in Francia. Ma secondo Pignatelli (p. 166) il M. in un Consiglio dei ministri ammise di avere sbagliato nel consigliare Murat, in quanto «non aveva preveduto che la volubilità del suo carattere, i suoi pregiudizi e le sue passioni non gli avrebbero permesso di operare con la risolutezza e il vigore necessario per acquistare una grande importanza in quel sistema» (la confederazione europea). Il 17 marzo 1815 partì al seguito di Murat.

Il M. accompagnò il re in gran parte di questa impresa, con l’incarico di orientare le autorità e i notabili locali in favore di Murat. Dopo la sconfitta a Tolentino il 3 maggio 1815, il M. fu scelto (probabilmente perché nel 1798 era stato insignito del Tosone d’oro, per cui aveva diritto di chiedere di essere ricevuto dall’imperatore) quale unico interlocutore in grado di convincere l’imperatore d’Austria a mantenere Murat sul trono. Ovviamente era troppo tardi per una simile missione, né il M. fu ammesso a trattare le condizioni della resa in quanto i vincitori dichiararono che erano autorizzati a trattare solo a livello militare.

All’inizio della Restaurazione il M. fu ricevuto freddamente dal re Ferdinando IV, il quale purtuttavia lo nominò consigliere di Stato.

Si ritirò a vita privata. La lunga carriera e i donativi d’obbligo gli avevano assicurato una notevole agiatezza. Era stato tra i principali acquirenti di beni nazionali, ma con la Restaurazione dovette ricomprarli. Unica sua comparsa sulla scena pubblica (ma non pubblicata) dopo la Restaurazione fu lo scambio di visite con Francesco ora I imperatore d’Austria, nel corso della visita imperiale a Napoli (maggio 1819). Il M. ricevette i visitatori nella villa che si era fatto costruire nel 1809 a Capodimonte dall’architetto Antonio Niccolini. Metternich giudicò l’annesso splendido parco «véritable chef d’oeuvre de la nature et l’un des rares objets» che il M. aveva avuto il «bon esprit d’embellir par de jolies plantations» (C.L.W. Metternich, Mémoires…, III, Paris 1883, p. 212). L’imperatore volle mantenere una promessa fattagli poco dopo Campoformio, nel 1797: un feudo in Ungheria. Ma data l’eccessiva lontananza dell’Ungheria, gli fece invece omaggio di un donativo di 100.000 fiorini.

L’11 luglio 1820, dopo la concessione della costituzione di Spagna, il M., che di certo non era amico di quella costituzione né del partito che l’aveva promossa, fu nominato membro della giunta provvisoria di governo. In agosto fu inviato a Vienna nella veste di ambasciatore straordinario.

Il suo viaggio fu interrotto a Klagenfurt: «fouillé non comme un simple particulier, mais comme l’homme le plus suspect» (gongolava P.L. Blacas duca d’Aulps: Parigi, Archives du Ministère des Affaires étrangères, Toscane, 162, 7 sett. 1820), dovette rientrare.

In novembre fu nominato luogotenente generale di Sicilia; non ebbe il tempo di recarvisi, in quanto chiamato a ricoprire la carica di ministro degli Affari esteri nel governo nominato dopo la caduta del primo, in dicembre. In quello stesso mese fu delegato dal Parlamento, secondo il dettato della costituzione, ad accompagnare in tale veste il fedifrago Ferdinando (I), ora re del Regno delle Due Sicilie, al congresso di Lubiana. Imbarcato su una nave britannica il re, appena giunto in Toscana, fu preso in consegna dai suoi tutori, il francese Blacas e l’austriaco L. von Lebzeltern.

Al M., giunto via terra, fu ordinato di seguire il sovrano a una giornata di distanza. Fu bloccato una prima volta a Mantova il 5 genn. 1821, l’8 ripartì per Gorizia, ove giunse l’11. Qui fu bloccato in un albergo, sorvegliato costantemente e con divieto di comunicare con chicchessia. Qualche corriere di passaggio ebbe il coraggio di portare sue lettere al reggente Francesco. Finalmente il congresso, una volta predisposta la messa in scena, permise al re di chiamare il M., senza segretari, presso di sé a Lubiana.

Giuntovi il 30 gennaio, il M. fu ammesso alla presenza del re e informato, in un colloquio attentamente origliato da Alvaro Ruffo, del totale cedimento regio alle richieste dei suoi alleati. Fu poi invitato ad assistere, quale privato, senza diritto di parola alla lettura degli atti finali del congresso – per la verità amputati dei rilievi critici francese e inglese auspice Blacas – perché riferisse ai suoi connazionali la perfetta unanimità degli alleati del re. Non avendo diritto di parola, il M. dichiarò che avrebbe chiesto gli ordini al suo re e riferito a Napoli quanto aveva sentito.

Tornato a Napoli, il M. riferì fedelmente al reggente, con vari gradi di moderazione ad altri interlocutori istituzionali. Voleva assolutamente dimettersi dal governo, nel quale aveva ripreso le sue funzioni di ministro degli Affari esteri. Essenzialmente tentò di riaprire il discorso o la via, del tutto impraticabili, della protezione francese in cambio di una riforma costituzionale a Napoli. Riteneva, probabilmente a ragione, che la carboneria si proponesse non la conquista dello Stato, bensì il dominio e il controllo carbonaro sullo Stato tramite le proprie strutture parallele. La proposta costituzione moderata (la Charte) era stata però respinta con forza dalla carboneria nel dicembre 1820. Era ormai assurdo ritentare la via francese, dopo aver constatato che nelle ineludibili mani di Blacas qualsiasi (presunto) tentativo di una politica estera autonoma veniva ignorato o deviato.

Più seriamente volle, con l’invio di persona gradita, ispirare al re, allora a Firenze, un atteggiamento più dignitoso, meno succube, o perlomeno distinto da quello austriaco, ma gli sforzi suoi e dei ministri francese e britannico furono inutili.

Dopo la caduta del Regno costituzionale il M. rimase lontano da qualsiasi attività politica. Aveva sposato nel marzo 1813 Maria Luisa Colonna, figlia di Andrea principe di Stigliano, dalla quale ebbe la discendenza tanto desiderata.

Il M. morì a Napoli il 4 febbr. 1833.

Le Memorie del duca di Gallo, a cura di B. Maresca, furono pubblicate a Napoli nel 1888. Un ritratto del M., di Heinrich Fuger, si trova al Museo di S. Martino di Napoli.

Fonti e Bibl.: Per i fondi archivistici conservati o distrutti dell’Archivio di Stato di Napoli cfr. Arch. di Stato di Napoli, Arch. Borbone, Inventario sommario, I, a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1961, p. 8 e n. 18; Correspondance inédite de Marie-Caroline reine de Naples et de Sicile avec le marquis de Gallo (1792-1806), a cura di M.H. Weil - C. Di Somma Circello, I-II, Paris 1911 (indice nel vol. I; incisione da un ritratto del M. di Andrea Appiani); seguirono come promesso dallo stesso Weil, in Revue d’histoire diplomatique, XXV (1911), pp. 208-278, e con il titolo Lettres inédites de Marie-Caroline reine de Naples au marquis de Gallo (1789-1806), in Revue historique de la Révolution française, II (1911), pp. 5-27, 175-199, 321-342, 494-518; IV (1913), pp. 83-99, 280-290, 485-502, 668-684; V (1914), t. 1, pp. 116-134, 306-323; t. 2, pp. 82-98, 254-269; VI (1915), t. 1, pp. 94-118; t. 2, pp. 262-287; t. 3, pp. 101-134; Correspondance de Napoléon Ier, Paris 1858-70, voll. II, pp. 637 s.; III, pp. 11, 55, 94-98, 109 s., 181-187, 204, 218, 251-259, 270, 388-393, 424, 465-471, 502; e voll. VII, XII, XV-XVIII, XX-XXI, XXV-XXVI. Indispensabili per il nonimestre costituzionale gli Atti del Parlamento delle Due Sicilie 1820-1821, a cura di A. Alberti, Bologna 1931, cfr. vol. VI, Indice generale (ma la «biografia» del M. è nel vol. II, p. 440). Le edizioni della corrispondenza dei sovrani, soprattutto francesi, di Napoli non sono particolarmente utili. Le opere qui elencate di G. Nuzzo citate nel testo sono, come tutte le sue opere, corredate di innumerevoli documenti: Napoli e l’Austria nel primo scontro con la Rivoluzione (Documenti dagli Archivi di Vienna), Napoli 1949; La difficile eredità del ministero Caracciolo. I matrimoni austriaci, in Arch. stor. per le provincie napoletane, LXXIV (1955), pp. 402-431; La monarchia delle Due Sicilie tra «Ancien Régime» e Rivoluzione, Napoli 1972; L’ambasciata… prima missione di Castelcicala a Londra, in Studi in onore di N. Cortese, Roma 1976, p. 415 n. 88; A Napoli nel tardo Settecento. La parabola della neutralità, Napoli 1990. V. inoltre: F. Pignatelli di Strongoli, Memorie di un generale della Repubblica e dell’Impero, a cura di N. Cortese, Bari 1927, I-II, ad indicem. A. von Vivenot, Thugut und sein politisches System, II, in Archiv für österreichische Geschichte, XLIII (1870), pp. 103-197; J.A. von Helfert, Joachim Murat, Seine letzten Kämpfe und sein Ende, Wien 1878, ad ind. e passim nell’Anhang (documenti); Id., Königin Karolina von Neapel und Sicilien…, Wien 1878, ad ind.; B. Maresca, La pace del 1796 tra le Due Sicilie e la Francia, studiata sui documenti dell’Archivio di Stato in Napoli, Napoli 1887, pp. 11-13; Id., I due trattati stipulati dalla corte napoletana nel settembre 1805, in Arch. stor. per le provincie napoletane, XII (1887), pp. 589-698; M. Schipa, Un ministro napoletano del secolo scorso, Napoli 1897, ad ind.; J. du Teil, Rome, Naples et le Directoire, Paris 1902, ad ind.; Ch. Auriol, La France, l’Angleterre et Naples de 1803 à 1806, II, Paris 1905 (v. sommari dei singoli capitoli); B. Maresca, Il marchese di Gallo a Pietroburgo nel 1799, in Arch. stor. per le provincie napoletane, XXXIII (1908), pp. 577-617; C. Di Somma Circello, Une mission diplomatique du marquis de Gallo à Saint-Petersbourg en 1799, Napoli 1910; M. Stajano, Relazioni diplomatiche della corte di Napoli, Napoli 1913, passim; M. Schipa, Nel Regno di Ferdinando IV Borbone, Firenze 1938, ad ind.; A.M. Bettanini, Tra Leoben e Campoformio. L’attività diplomatica del marchese di Gallo, in Studi di storia dei trattati e politica internazionale, Padova 1939, pp. 97-186; G. Spini, Mito e realtà della Spagna nelle rivoluzioni italiane del 1820-1821, Roma 1950, ad ind.; G. Castellano, Napoli e la Francia alla vigilia della guerra del 1798 in una relazione del marchese di Gallo a Ferdinando IV, in Archivi, s. 2, XX (1953), pp. 237-256; E.C. Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline von Neapel, München 1950, ad ind.; A. Valente, Gioacchino Murat…, Torino 1965, ad ind.; R. Cessi, Campoformido, a cura di R. Giusti, Padova 1973, ad ind.; K.A. Roider, Baron Thugut and Austria’s response to the French Revolution, Princeton 1987, ad ind. (a p. 242 gravi errori di traduzione dal francese, peraltro non perfetto, di Thugut; la frase di questo, che in una lettera a Cobenzl definiva il M. «ambassadeur d’une cour neutre mais attaché à l’Empereur par les liens du sang les plus étroits», viene tradotta «he [cioè il M.!] was attached to the emperor by the thinnest ties of blood»: p. 126).

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