Masaccio

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Alessandra Acconci
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Nonostante la brevissima carriera, conclusasi ad appena 26 anni, Masaccio è, insieme a Brunelleschi e a Donatello, il terzo protagonista del primo Rinascimento fiorentino. La sua rottura con il linguaggio del gotico internazionale è radicale: attraverso l’uso di un deciso chiaroscuro Masaccio conferisce una plasticità e una concretezza fisica del tutto nuove alle figure, e l’applicazione delle regole della prospettiva gli permette di creare uno spazio pittorico misurabile e verosimile.

La pittura rinascimentale nel solco di Giotto

Intorno al 1490, quando quello che noi oggi chiamiamo Rinascimento è ormai un dato acquisito, e la scena pittorica della Firenze di Lorenzo de’Medici è dominata da Sandro Botticelli, Perugino e Filippino Lippi, un apprendista che sta compiendo la sua formazione nella bottega di Domenico Ghirlandaio sente la necessità di risalire alle radici, alle fondamenta stesse della nuova arte nata in Toscana. Si tratta di Michelangelo Buonarroti, che all’età di circa 15 anni copia gli affreschi di Giotto nella Cappella Peruzzi in Santa Croce (1315-1317/1318 ca.) e quelli di Masaccio nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine (1424-1427 ca.). Il gesto sottolinea, da un lato, il filo rosso che, a oltre un secolo di distanza, unisce Giotto a Masaccio, dall’altro indica nel secondo il fondatore, o meglio il rifondatore, della pittura moderna. Nel 1550 Giorgio Vasari scrive infatti nelle sue Vite: “l’eccellentissimo Masaccio levò in tutto la maniera di Giotto [...] e messe in luce quella maniera moderna, quale fu in que’ tempi e fino a oggi da tutti i nostri artefici seguitata”. La brevissima parabola artistica di Masaccio segna una svolta fondamentale nella storia della pittura occidentale, immediatamente percepita come tale dai suoi contemporanei e dai suoi successori per oltre un secolo. Non a caso la migliore descrizione dello stile di Masaccio rimane quella abbozzata già nel 1481 da Cristoforo Landino nel suo Commento alla Divina Commedia di Dante. Egli, dopo aver lodato l’imitazione del vero, la resa tridimensionale e la costruzione prospettica delle opere del maestro, ne definisce sinteticamente il linguaggio come “puro e senza ornato”. Una rottura radicale, certo anche polemica, con l’ultima fioritura del tardo gotico che Gentile da Fabriano aveva importato a Firenze con la sua Adorazione dei Magi del 1423 (Firenze, Uffizi).

La formazione e il sodalizio con Masolino

Tommaso di Giovanni Cassai, detto Masaccio, nasce a San Giovanni Valdarno, ma nel 1418 è già documentato a Firenze come “depintore”. Nel 1422 risulta iscritto all’Arte dei Medici e Speziali. Il 1422 è anche la data apposta sul trittico con la Madonna in trono e santi in San Giovenale a Cascia, presso Reggello, la cui tavola centrale, per l’insistita costruzione prospettica del trono su cui siede la Madonna e per il plasticismo di quest’ultima e del Bambino, è generalmente considerata la prima opera del maestro, sebbene non tutta la critica sia concorde.

Nel 1424 Masaccio si iscrive alla Compagnia di San Luca, e a quello stesso anno viene riferita la Sant’Anna, la Madonna col Bambino e angeli oggi agli Uffizi, proveniente dalla chiesa di Sant’Ambrogio, dove Vasari nel 1568 la ricorda come opera del solo Masaccio. Roberto Longhi, nei suoi memorabili Fatti di Masolino e Masaccio, un saggio del 1940 ancora fondamentale per la lettura critica dei due artisti, è il primo a riconoscere nella tavola la mano del più anziano Masolino da Panicale, a cui attribuisce la sant’Anna e parte degli angeli. L’opera è assurta a simbolo del passaggio, repentino e violento, dalla pittura tardo-gotica a quella rinascimentale, con l’incorporea sant’Anna, praticamente un fondale bidimensionale con i suoi delicati passaggi di colore nell’ampio mantello arancio, contro la quale si staglia il compatto blocco rappresentato dalla Madonna e dal Bambino. A misurare la distanza tra i due pittori basti il confronto tra la mano destra di sant’Anna, che quasi non ha presa sulla spalla della Vergine, e quelle di quest’ultima, che stringono con convinzione la gamba sinistra del Bambino. O ancora quello tra le ginocchia della Madonna, sbalzate nel suo manto blu, sotto il quale se ne indovinano le forme, e quelle inconsistenti di sant’Anna, la cui gamba sinistra non si riesce quasi a individuare. L’opera è indicativa di come non sia possibile individuare in pittura il vero maestro di Masaccio. Giorgio Vasari scrive che egli “cominciò l’arte nel tempo che Masolino da Panicale lavorava nel Carmino di Fiorenza la cappella de’ Brancacci, seguitando sempre quanto e’ poteva le vestigie di Filippo [Brunelleschi] e di Donato [Donatello], ancora che l’arte fusse diversa”. Il pittore è infatti spiritualmente vicino a Filippo Brunelleschi, per l’uso della prospettiva, e a Donatello, per il plasticismo e la carica morale delle figure.

La cappella Brancacci

Al 1424 risale anche l’inizio dei lavori nella cappella Brancacci, dove Masolino e Masaccio operano fianco a fianco fino alla partenza del primo per l’Ungheria nel settembre del 1425.

Il soggetto scelto dal committente, Felice Brancacci, in memoria del fondatore della cappella, Pietro , è quello delle Storie di Pietro, con l’inclusione, ai lati dell’ingresso, dei due episodi del Peccato originale. Nel secondo registro della parete sinistra Masaccio affresca, intorno al 1425, la Cacciata dal Paradiso e il Pagamento del tributo . Ancora una volta, il confronto del primo con la Tentazione di Adamo ed Eva realizzata da Masolino sul pilastro di fronte permette di misurare l’abisso tra Masaccio e i pittori contemporanei. Il maestro di San Giovanni Valdarno scolpisce le sue figure nella luce, attraverso un chiaroscuro scevro da ogni compiacimento decorativo. Le ombre proiettate dalle loro gambe, così come i loro piedi, che fanno fisicamente presa sul terreno, conferiscono all’episodio un senso di profonda verità naturale, che invano si cercherebbe negli inespressivi ed eleganti progenitori dipinti da Masolino. Il volto dell’Eva di Masaccio è sbozzato sommariamente, senza ricorso al chiaroscuro, ma piuttosto attraverso macchie di colore che con un’ammirevole economia di mezzi restituiscono l’immenso dolore della perdita dell’innocenza.

Nel Pagamento del tributo i severi, eroici Apostoli disegnano un emiciclo di figure intorno a Cristo da sempre accostato ai Quattro Santi Coronati che Nanni di Banco scolpisce per una delle nicchie di Orsanmichele (1413-1416), a ulteriore conferma che Masaccio cerca nella scultura i modelli di riferimento necessari per rinnovare il linguaggio della pittura. L’edificio che chiude la composizione a destra è costruito secondo le regole della prospettiva brunelleschiana, che secondo una logica davvero stringente impone uno scorcio rigoroso anche alle aureole degli Apostoli. Il volto corrucciato di san Pietro, che al centro dell’affresco fa eco con la mano al gesto di Cristo, trasmette una forza morale che è la sintesi migliore dello spirito della generazione eroica degli artisti del primo Rinascimento. La sua espressione contrasta con quella più debole dello stesso Cristo: la testa di quest’ultimo, come suggeriva Longhi, deve essere stata dipinta da Masolino. I due maestri lavorano quindi fianco a fianco, e sono legati anche da un rapporto di amicizia, che si riallaccia qualche anno più tardi a Roma.

Partito Masolino per l’Ungheria, nel 1427 Masaccio torna a lavorare da solo al primo registro in basso della cappella, nella parete dell’altare, ma il ciclo è completato solo nel 1480-1485 da Filippino Lippi.

Le ultime opere

Nel 1426, tra febbraio e dicembre, Masaccio è pagato per un grande polittico per la chiesa del Carmine di Pisa, smembrato nel XVIII secolo e in parte perduto. Si tratta di una grandiosa macchina, i cui pannelli erano con ogni probabilità divisi da cornici e pilastrini, secondo un gusto ancora sostanzialmente medievale a cui è da ricondurre anche l’uso del fondo d’oro e la raffigurazione perfettamente circolare delle aureole. A questo retaggio del passato Masaccio oppone il linguaggio assolutamente moderno della nitida architettura del trono della Madonna nella tavola centrale (Londra, National Gallery) e degli scorci prospettici della Crocefissione nella cimasa, coronamento di tutto il polittico (Napoli, Gallerie Nazionali di Capodimonte). Al brano impressionante della testa del Cristo incassata tra le spalle si accompagna quello più raffinato e sottile della veste blu di san Giovanni Evangelista, sulla sinistra, di cui in basso si scorge persino il bordo interno: tutto è funzionale a sottolineare il punto di vista da cui lo spettatore avrebbe osservato l’opera. E la nota altissima di dolore della Maddalena con le braccia alzate al cielo è tanto assoluta quanto lo scarno paesaggio, appena una striscia di terra in basso, in cui ha luogo la crocefissione: “puro e senza ornato”.

Sempre al 1427 si data generalmente l’affresco con la Trinità in Santa Maria Novella, caratterizzato da una straordinaria prospettiva illusionistica. È stato spesso suggerito un intervento diretto da parte di Brunelleschi in questo sfondato architettonico, ma l’accostamento delle colonne ioniche alle più alte lesene corinzie sembra trovare un riscontro più diretto nel tabernacolo della Parte guelfa di Orsanmichele disegnato da Donatello nel 1423. I tre maggiori protagonisti della scena artistica degli anni Venti a Firenze conducono evidentemente ricerche parallele sui medesimi temi, e forse non è necessario chiamare in causa collaborazioni non documentate. In basso, al di fuori dello sfondato prospettico, Masaccio raffigura i committenti, identificabili probabilmente con Berto di Bartolomeo e la moglie, con un acume ritrattistico implacabile, che in quegli anni trova confronto solo con il busto di Niccolò da Uzzano in terracotta attribuito a Donatello (Firenze, Museo Nazionale del Bargello). La Madonna e San Giovanni Evangelista sono scorciati dal basso, mentre il Padre Eterno e Cristo crocifisso sono sottratti a un’applicazione rigorosa delle leggi della prospettiva che ne avrebbe deformato le proporzioni troppo radicalmente.

Nel 1428 Masaccio si trasferisce a Roma, dove insieme a Masolino, rientrato dall’Ungheria, ottiene la commissione del polittico per l’altare maggiore di Santa Maria Maggiore: ma la morte coglie il maestro quando ha appena terminato il pannello con i Santi Girolamo e Giovanni Battista (Londra, National Gallery), e il lavoro viene portato avanti dal solo Masolino.

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