BONDI, Massimo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BONDI, Massimo (Max)

Franco Bonelli
Mario Barsali

Nacque a Roma il 13 ott. 1881 da Vittorio e da Ernesta Stingen, e si laureò in chimica industriale.

Il padre e gli zii Angelo, Camillo e Ippolito, discendenti da una famiglia di banchieri-mercanti tedeschi, verso la fine del secolo erano soci accomandanti della ditta bancaria Moisè Bondi e Figli, con sede a Firenze e a Roma, rimasta indivisa fino al luglio 1917. Il patrimonio era costituito soprattutto da pacchetti azionari dei settori metallurgico, alimentare (soprattutto zuccheriero), edile e meccanico; la ditta si dedicava anche alla compra-vendita di valori mobiliari. Ippolito e Vittorio risiedevano a Roma, dove curavano gli interessi della ditta, tra l'altro, nella Società generale immobiliare e nella Società romana per la fabbricazione dello zucchero. Di questa, che si era costituita a Roma nel 1898 - succedendo alla Società italo-tedesca per la fabbricazione dello zucchero - con 1.500.000 lire di capitale elevato dopo varie vicende a 8.000.000 nel 1906, il B. nei primi anni del secolo divenne direttore generale e consigliere d'amministrazione.

Nei primi anni del '900 gli interessi di maggior consistenza della famiglia - di cui il B. diviene ben presto il principale e quasi unico esponente - si orientarono sullo sviluppo dell'impresa siderurgica di Piombino, in modo tale da qualificare i Bondi tra i protagonisti delle vicende della siderurgia italiana nei primi venti anni del '900.

La siderurgia italiana, alla fine del secolo ancora molto in ritardo rispetto alla tecnologia e produzione estere, stava per ricevere un notevole impulso dalle condizioni di favore e di sicurezza di rifornimento che lo Stato riservò ai produttori nazionali nelle nuove clausole di capitolato d'affitto delle miniere dell'isola d'Elba. Vari gruppi di tecnici, imprenditori e finanzieri, progettarono allora nuovi impianti. Sorse così, a Firenze, il 19 genn. 1897, la Società anonima degli alti forni e fonderia di Piombino con capitale di 650.000 lire (elevato nel 1899 a 2.000.000 e nel 1905 ad oltre 6.000.000) e con lo scopo di costruire ed esercitare uno o più altiforni per la fabbricazione della ghisa ed una fonderia di tubi a pressione per acqua, gas ed altre funzioni. I Bondi, a partire dal 1899, si impegnarono nel finanziamento dell'impresa, di cui da allora Angelo divenne presidente, Ippolito uno dei consiglieri e il B., dal 1908, consigliere delegato.

Nello stesso 1897 le miniere elbane erano concesse, col nuovo capitolato favorevole all'industria nazionale, ad Ubaldo Tonietti, che nel 1899 cedeva i diritti alla neo-costituita Elba, società anonima di miniere e altiforni. Alla società Elba, che oltre a gestire le miniere si proponeva l'impianto direttamente sull'isola di altiforni a coke (mentre la Piombino aveva in attività un solo altoforno ancora a legna), parteciparono con apporti paritetici un gruppo italiano costituito dal Credito Italiano, dalla società Ferriere Italiane e da capitalisti, tra i quali la ditta d'affari genovese di Armando Raggio, e un gruppo di finanzieri e siderurgici francesi. Se la presenza di questi ultimi diede subito l'avvio a contestazioni e polemiche sull'applicazione delle clausole a favore dell'industria nazionale, l'inizio della costruzione di alti forni da parte della nuova impresa spinse la Piombino a perseguire anch'essa nuovi e più importanti obiettivi.

I Bondi si impegnarono in un programma di costruzioni di altiforni a coke, acciaieria e laminatoio, tale da realizzare il primo vero e proprio impianto a ciclo completo. Secondo la prassi corrente, procurarono i cospicui finanziamenti necessari ricorrendo soprattutto all'indebitamento cambiario e ad operazioni di riporto. Difficoltà finanziarie e tecniche, insieme ad alcuni errori di direzione, ritardarono la messa in funzione definitiva degli impianti della Piombino, che avvenne solo tra il 1908 ed il 1910, con ulteriore dilatazione della spesa prevista.

Verso il 1910 la Piombino raggiungeva un'organizzazione aziendale che la distingueva dalle altre. L'impresa tendeva ad equilibrare all'interno sia le diverse attività di produzione sia le diverse loro fasi (dall'escavazione alla laminazione), in modo da ridurre al minimo la dipendenza esterna per l'approvvigionamento delle materie prime, eccezion fatta per il carbone. Aveva anche affrontato una consistente spesa per la costruzione di case per gli operai. Inoltre, in vista di una ulteriore espansione della Piombino, i Bondi ampliavano l'attività della Società toscana di industrie agricole e minerarie acquistando miniere ferrifere a Nurra in Sardegna. Il loro vasto programma industriale ebbe però come costo un ingente, oneroso indebitamento della Piombino. A partire del 1908 i Bondi compirono, ma con scarso successo, vari tentativi per consolidare i debiti cambiari della secietà siderurgica. Ancora nel 1910 l'esercizio era considerato come "completamento della messa in marcia": gli ammortamenti annui erano palesemente esigui, la definitiva sistemazione tecnico-produttiva e finanziaria necessitava di ulteriore capitale, la stessa azione commerciale non era ancora adeguata. Ciò, mentre la concorrente Ilva, che si era costituita nel 1905 e aveva impiantato gli stabilimenti a Bagnoli, si avviava a godere dei vantaggi di quella legislazione per lo sviluppo industriale di Napoli che i Bondi si sforzarono di far estendere anche all'area toscana.

Per fronteggiare le ingenti esigenze di immobilizzo la Piombino non poteva contare, come il cosiddetto "trust siderurgico" costituito, attraverso intrecci di partecipazioni azionarie, dalle rivali Terni, Elba, Ilva e Savona, sull'assistenza finanziaria di banche di credito ordinario, quali la Commerciale Italiana e il Credito Italiano. I Bondi tuttavia riuscirono ad affiancare, all'appoggio diretto fornito dalla loro ditta alla Piombino, nuovamente quello della ditta Raggio nel 1907 e, in seguito, della Società per le strade ferrate meridionali e di un gruppo finanziario francese. Poterono contare altresì sull'aiuto indiretto della Banca d'Italia, attraverso il suo direttore generale B. Stringher. Questi, pur restio - in ossequio allo statuto dell'Istituto d'emissione - ad impegni nello sconto di cambiali di finanziamento, e ispirandosi ad estrema prudenza, cercò di agevolare l'impresa industriale dei Bondi che, dal canto loro, facevano leva sui caratteri "nazionali" della iniziativa, rivolta all'emancipazione della siderurgia italiana da interessi stranieri. Ma i finanziamenti che alla Piombino venivano dalle ditte Bondi e Raggio, dati gli impegni delle stesse verso altre imprese, risultarono ben presto inadeguati.

L'ammontare del capitale e delle riserve, che era di circa lire 13.500.000 nel 1906, era salito a circa 20.300.000 nel marzo 1910; l'ammontare dei rimanenti debiti, da poco più di 1.000.000, era salito alla stessa data a circa 37.000.000 di cui solo 12 milioni circa erano costituiti da obbligazioni; nello stesso tempo gli utili annui erano calati da più di 500.000 lire a poco più di 450.000. In queste condizioni, mentre diveniva sempre più difficile il reperimento dei capitali occorrenti per le necessità di esercizio, per la sistemazione dei debiti a breve scadenza e per ulteriori inimobilizzi, sul finire del 1910 la società era in una situazione così precaria da far temere un imminente dissesto.

La situazione della Piombino non era in realtà molto dissimile da quella delle altre imprese siderurgiche italiane. Anche queste erano andate accumulando una massa di passività tale da preoccupare seriamente gli enti finanziatori, il governo e tutti i gruppi interessati alla esistenza e sviluppo di una siderurgia nazionale. La condotta dei siderurgici italiani era stata guidata dal criterio di accrescere le capacità produttive degli impianti, però in un clima di reciproca rivalità e con scarsa attenzione sia alle possibilità di assorbimento del mercato sia alla disponibilità di capitali per immobilizzi. I Bondi, ad esempio, avevano impostato e attuato sin dall'inizio il programma industriale della Piombino in diretto e costante antagonismo con l'Elba, poi, dopo la costituzione dell'Ilva ed i successivi intrecci di partecipazione azionarie, col trust Elba-Ilva-Siderurgica di Savona-Terni. Sembra che i Bondi avessero persistito nel loro ambizioso programma per raggiungere una posizione favorevole da cui trattare col gruppo rivale, e di fatto varie volte proposero degli accordi. I due gruppi però proseguirono divisi da una profonda ostilità.

Nel 1910 le difficoltà spinsero tutto il settore a cercare un rimedio alla crisi almeno con un accordo industriale tra le imprese maggiori, che risolvesse i problemi comuni di organizzazione e di mercato, e con una comune sistemazione finanziaria che allontanasse il rischio di dissesti. Alla fine del 1910 le trattative erano già avviate, con la tendenza - per l'ostilità del gruppo genovese di Attilio Odero, Arturo Luzzatto e Cesare Fera - ad escludere i Bondi dalla combinazione. Fu decisivo l'intervento dello Stringher, il quale subordinò la partecipazione della Banca d'Italia alla stipula ed all'esecuzione al fatto che vi entrasse anche la Piombino.

Le complesse trattative si conclusero ai primi del 1911. Le società Elba, Piombino, Siderurgica di Savona, Ligure Metallurgica, Ferriere Italiane ed Ilva si consorziarono, assegnando a quest'ultima la gestione dei rispettivi impianti per un periodo di undici anni e sei mesi, e partecipando agli utili di gestione in proporzione alla consistenza ed efficienza dei rispettivi impianti.

Sotto il profilo industriale, il Consorzio siderurgico volle integrare e razionalizzare la capacità produttiva dei vari stabilimenti - che si fissò di non ampliare, salvo intese - e risolvere la questione dell'approvvigionamento del minerale elbano. Sotto il profilo finanziario, l'accordo dette luogo ad una vera e propria operazione di salvataggio. L'Ilva fu messa in grado di rilevare stocks, prodotti e crediti delle aderenti; queste a loro volta poterono sistemare le passività, liberarsi da oneri generali e finanziari, e con gli utili previsti dalla nuova gestione poterono impostare i piani per rimborsare debiti, effettuare ammortamenti e distribuire dividendi. Sotto il profilo commerciale, si ebbe un accordo per la vendita dei prodotti al quale aderirono anche società estranee al Consorzio per mezzo di una società comune di rappresentanza - la Ferro e Acciaio, con sede a Milano -, previo riparto delle quote in relazione alla produzione rispettiva, con lo scopo di risparmiare sulle spese di trasporto.

Nel caso specifico della Piombino, l'accordo permise il rimborso di una parte consistente dei debiti bancari e la proroga della scadenza del debito con le Strade Ferrate Meridionali, e di quello - un milione di lire - con le ditte Bondi e Raggio.

Con l'adesione al Consorzio il B. divenne uno dei consiglieri delegati dell'Ilva (del cui consiglio Angelo fu membro) e consigliere d'amministrazione della Ferro e Acciaio. Tuttavia la sistemazione del 1911 non risolse i problemi della Piombino, il cui indebitamento, nell'anno 1914, era ulteriormente aumentato di 5.000.000 mentre gli utili erano saliti a 900.000 lire. Anche la consistenza patrimoniale della ditta Bondi, nel 1914, era ormai considerevolmente intaccata dalle esposizioni per varie imprese - principalmente per la Piombino -, dalle perdite subite e dall'andamento sfavorevole dei corsi.

Nel 1914 il patrimonio dei Bondi ancora indiviso, può essere stimato all'incirca sui 15.000.000, ripartiti, oltre che nella partecipazione al capitale dell'impresa siderurgica, in partecipazioni industriali le più importanti delle quali sono rivelate dalla presenza dei membri della famiglia nei consigli d'amministrazione: Società toscana di industrie agricole e minerarie di Firenze (presidente il B.; consigliere Ippolito), Miniere di Cogne di Genova (consigliere il B.), Officine meccaniche italiane di Reggio Emilia (consigliere il B.), Società industriale italiana di Genova (amministratore il B.), Società romana per la fabbricazione dello zucchero (consigliere il B.), Società Eridania di Genova (consigliere il B.), Lanificio Carminati di Milano (consigliere il B.), Società generale immobiliare di Roma (consigliere Vittorio), Società esercente la Raffineria Lebaudy Frères (presidente Vittorio), Manifattura di Signa (consigliere Camillo), Società Nurra (presidente il Bondi).

La congiuntura bellica offrì nuove opportunità. Nel campo della produzione di guerra i Bondi parteciparono alla Società per la fabbricazione delle munizioni di guerra e alla Sigma (Società italiana generale per le munizioni ed armi); e prima di esser posta in liquidazione volontaria (luglio 1917) la ditta ricavò cospicui guadagni dal commercio delle materie prime (carbone e metalli). Il B. e gli altri dirigenti dell'Ilva cercarono, in questi anni, appoggi presso alcuni quotidiani (Il Mattino,Il Tempo,La Perseveranza,Il Secolo,La Nazione,La Gazzetta del Popolo, e altri), cui avrebbero fatto cospicue elargizioni (Arch. Centrale dello Stato, Carte Nitti, b. 6, fasc. 24, sottofasc. 6 b); nel 1917 l'Ilva acquistava la società editrice del Mattino di Napoli.

I problemi e i difetti di fondo della siderurgia italiana non erano mutati; ma l'eccezionale e urgente domanda provocata dalla guerra, la ricerca di appoggio politico e governativo agli indirizzi industriali, e la facilità ed elevatezza dei profitti, fecero saltare l'equilibrio consortile del 1911 e resero più accanite le precedenti rivalità. I gruppi in contrasto, rafforzati dalla favorevole situazione finanziaria offerta dalla congiuntura, manovravano per impadronirsi di pacchetti azionari di controllo dei gruppi rivali e delle banche che li avevano finanziati. I Bondi entrarono così nei consigli d'amministrazione della Ferriere Italiane (Camillo e Vittorio), della Siderurgica di Savona (Camillo), dell'Elba (il B.). Nel dicembre 1917 partecipavano alla costituzione di una società finanziaria, la Società generale per lo sviluppo delle industrie minerarie e metallurgiche, di cui Vittorio fu vicepresidente.

Il B., che nel frattempo aveva assunto la gestione del patrimonio paterno, tra il '17 e il '18 avviò una serie di spregiudicate iniziative che furono al centro di movimenti speculativi e di ripetuti turbamenti del mercato italiano dei valori industriali. Nel '17 tentava l'ingresso nel consiglio d'amministrazione della Terni; tra il '17 e il '18 cercava di ottenere i pacchetti di controllo della maggiore società finanziaria italiana, la Strade Ferrate Meridionali, e della maggiore società elettrica, la Edison. Effettuò anche trasferimenti internazionali di valori mobiliari, suscitando i sospetti del governo francese e del Comando supremo italiano, che promossero un'indagine sulle sue attività; venne perfino implicato in denunce di spionaggio. Nel '18, estromesso il vecchio rivale Odero dall'Ilva, il B. ne assunse il controllo e la direzione assieme al Luzzatto e al Fera, e procedette a una larga concentrazione, in vista di un vasto programma industriale da attuare nel dopoguerra. La Piombino cambiava la ragione sociale in "Ilva", altiforni e acciaierie d'Italia, e incorporava la precedente Ilva, la Ferriere Italiane, la Siderurgica di Savona e la Ligure Metallurgica, mentre l'Elba, restata autonoma, rimaneva collegata attraverso gli accordi del Consorzio che non veniva sciolto. Il B., intanto, fu eletto (e, a un ricorso avverso, la giunta di convalida non fece a tempo a riferire) alla Camera nel 1919, nella lista che associava i radicali ed i combattenti; chiese poi di far parte del gruppo socialista autonomo.

La direzione del nuovo unico complesso non mirò tanto al coordinamento e all'assetto dell'attività, quanto ad espandere il controllo industriale e finanziario della società a numerose imprese meccaniche, armatoriali, cantieristiche, minerarie, elettriche, in modo spropositato e eterogeneo rispetto alle esigenze di integrazione verticale della capogruppo. Tra il '20 e il '21 questo squilibrio di fondo tra gli impegni assunti dalla Ilva e le sue reali possibilità finanziarie fu messo rapidamente in crisi dal crollo dei corsi azionari, dall'arresto di numerose produzioni, dalle stesse richieste dello Stato di pagamento dei sopraprofitti di guerra. Divenuta proprietà delle creditrici Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano, la società fu riorganizzata delimitandola alla sola produzione siderurgica. Il B. veniva sottoposto ad inchieste giudiziarie e fiscali, per la sua poco corretta attività speculativa. Tuttavia egli tentò ancora di conquistare ambiziose posizioni sul mercato finanziario e industriale con l'accaparramento di pacchetti azionari di controllo di nuove società, pur non disponendo di capitali sufficienti, con una fitta rete di impegni e di dilazioni di pagamento. Ma nel novembre 1925, non potendo affrontare la liquidazione di fine mese, il B. lasciò l'Italia recandosi prima a Parigi, poi a Londra e a Berlino, donde, per sfuggire a un mandato di cattura riparò in Norvegia, paese che non concedeva l'estradizione. La liquidazione del suo fallimento accertò un attivo di 30 milioni contro un passivo di 100. Non risulta dove e quando morì.

Fonti e Bibl.: Non esistono biografie dei Bondi, né monografie sulla loro presenza nella siderurgia e nella speculazione finanziaria italiana. Notizie e giudizi sono stati ricavati dall'esame delle Relazioni sull'esercizio delle principali società citate (segnatamente della Piombino), dalle Carte Nitti presso l'Arch. Centrale dello Stato, dall'Arch. della Camera dei Deputati e dagli Atti Parlam., Legislaz. XXV,Sessione 1919-1921,Indici…, Roma 1921, ad Indicem. Esistono difficoltà per i dati anagrafici dei Bondi; per il B. s'ignorano luogo e data di morte, e si è accettata la data di nascita risultante presso la Camera (altra data, 1885, in lettera 17 luglio 1918 a firma Sonnino, in Carte Nitti, b. 7, fasc. 24, sottofasc. 6 b). Sommarie notizie in P. Gerbore, Commendatori e deputati, Milano 1954, pp. 362-364.

Per un quadro relativo particolarmente alla prima guerra mondiale, si vedano O. Malagodi, Conversazioni sulla guerra, Milano 1960, e A. Monticone, Nitti e la grande guerra, Milano 1961.

Per le condizioni generali entro le quali si svilupparono le iniziative dei Bondi, si vedano E. Corbino, Annali dellaeconomia italiana, voll. IV e V, Città di Castello 1931-1938; R. Romeo, Breve storia della grande industria, Bologna 1963; B. Caizzi, Storia dell'industria italiana, Torino 1965.

Sui rapporti tra banca e industria, e sul finanziamento delle imprese, si vedano R. Bachi, L'Italia economica nell'anno... (dal 1909 al 1920), Torino 1910-11, e poi Città di Castello 1912-21; A. Gerschenkron, Osservazioni sul saggiodi sviluppo industrialedell'Italia:1881-1913, in Il problema stor. dell'arretratezzaeconomica, Torino 1965, pp. 71-87; L. Cafagna, L'industrializzazione italiana. La formazione diuna "base industriale" fra il 1896 e il 1914, in La formaz. dell'Italiaindustr., a cura di A. Caracciolo, Bari 1969, pp. 135-161; F. Bonelli, Osservazioni e dati sul finanziamentodell'industria italianaall'inizio del secolo XX, in Annali della Fondazione L. Einaudi, Torino, II (1968), pp. 257-86.

Sullo sviluppo della siderurgia italiana, tra le numerose pubblicazioni (cfr. la bibliografia di M. R. Caroselli, in L'economia ital. dal 1861 al 1961, Milano 1961, specialmente pp. 775-82, 833-39 e 842-46), si ricordano V. Racca, Il sindacato del ferro in Italia, in Riforma sociale, 1899, pp. 1168-1214; E. Giretti, I trivellatori della nazione italiana, in Antiprotezionisti italiani, Roma 1914; P. Lanino, La nuova Italia industriale, 4 voll., Roma 1916-1917; R. Catani-P. Jannaccone, La grandeindustria siderurgica in Italia, Roma 1923; O. Sinigaglia, Alcune notizie sulla siderurgia italiana, Roma 1947.

Sulle origini e lo sviluppo della società Piombino, si vedano: Capitolato di affitto della RR.Miniere dell'Elba,dei terreni ferriferi dell'isola delGiglio e delle fonderiedi Follonica, Roma 1897; ILVA alti forni e acciaierie d'Italia,1897-1947, Bergamo 1948; G. Mori, L'industria toscana fragli inizi del secolo e laguerra di Libia, in Studi di storia dell'industria, Roma 1967, p. 170.

Per le altre imprese in cui i Bondi erano interessati, si veda Credito Italiano. Notizie statistichesulle principali società italianeper azioni, Milano 1908 e ss.

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