ALEMÁN, Mateo

Enciclopedia Italiana (1929)

ALEMÁN, Mateo

Alfredo Giannini

Il grande rinnovatore del romanzo picaresco nacque a Siviglia negli ultimi di settembre del 1547. Con tutta probabilità frequentò la scuola sivigliana di grammatica e di umanità del dotto Juan de Mal Lara, conseguì nel 1564 il grado di baccelliere in lettere e filosofia nella patria università, e in essa si avviò quindi, forse per compiacere il padre suo Fernando Aleman, modesto medico chirurgo spesso alle prese con le strettezze domestiche, agli studî di medicina; ma lo fece a malincuore, giacché, dopo averli continuati per il secondo anno a Salamanca e per gli altri due ad Alcalá fin dopo la morte del padre (1567), non pare che giungesse a laurearsi, né mai più poi esercitò la professione di medico chirurgo, né mai si firmò con questo titolo. Ricchissimo di cultura e d'ingegno, visse sempre una vita povera, sempre perseguitato dall'avversa fortuna. Relazioni e intrighi amorosi, e il matrimonio infelice, fatto per interesse, con Catalina de Espinosa, dalla quale si separò ben presto, costituirono non piccola parte delle sue molte amarezze; continuo assillo poi il disagio economico.

Un modesto ufficio che esercitò per circa vent'anni, di regio contabile e di esattore in Siviglia, quindi in Madrid, non lo sollevò mai dalla povertà, per quanto s'industriasse di procacciarsi a fatica qualche altro provento, ora con l'intervenire quale mediatore o quale commissionario in affari, specialmente in subaste d'immobili, ora col cercarsi tutele e curatele di minorenni. Che adempisse con tutta rettitudine tali mansioni affidategli, è attestato da autorevoli fonti contemporanee, dalla biografia di Luis Valdés, e più ancora dal fatto della vita grama e stentata che fu sempre costretto a condurre. Tuttavia fu, e non una sola volta, incarcerato; la prima volta per debiti nel 1580, la seconda verso il 1594 per irregolarità di conti, come s'imputò anche al Cervantes, la terza in grazia dei suoi usurai, perfino nello stesso carcere di Siviglia, dove egli si trovava appunto nel 1602. Stanco di tante dolorose vicende, riuscì finalmente nel 1608 ad attuare il proposito già avuto fin dal 1582 di emigrare in America, in cerca di miglior fortuna; e sopra la stessa nave che riportava in patria il commediografo messicano Juan Ruiz de Alarcón, si trasferì con due figli, Margherita e Antonio, e con una Francesca Alemán, fatta passare pure per figlia, mentre era invece la sua amica Francesca Calderón, al Messico, dove fidava in appoggi e aiuti di un cugino che era là, Alonso Alemán. Da quest'anno si perdono le sue tracce. Sappiamo solo che a Messico pubblicò l'anno seguente, 1609, una sua Ortografía castellana (da un passo della quale parrebbe che in questa città si fosse messo a fare lo stampatore), intesa a promuovere un nuovo sistema ortografico del castigliano, e più tardi, nel 1613, un opuscolo dal titolo Sucesos de D. Fray García Gera (Guerra) arzobispo de México a cuyo cargo estuvo el govierno de la Nueva España. Ignoriamo l'anno della sua morte, che però dovette avvenire non molto dopo il 1613, se già lamentava la sua malferma salute per lunga infermità nel 1609. Fuori di Spagna si era recato nel 1604, quando, attratto dalla speranza di vendere con più vantaggio una sua Vida de San Antonio de Padua, scritta per adempiere un voto fatto, e venuta in luce l'anno avanti fu a Lisbona, dove, pure nel 1604, pubblicò la seconda parte del suo celebre romanzo picaresco.

Che venisse e dimorasse più o meno a lungo in Italia, ambita meta d'ogni spagnolo colto di quel tempo, è probabile, sebbene non sia comprovato da documenti; ne fa testimonianza la larga e fedele rappresentazione che nel suo capolavoro, il Guzmán de Alfarache, egli fa della vita italiana: il 3° libro della prima parte, il 1° e il 2° della seconda, vale a dire una buona metà dell'opera intera, narrano di avventure accadute a Guzmán in Italia, della sua vita a Genova, Roma, Firenze, Siena, Bologna e Milano, con una conoscenza di persone, di cose, di costumi, d'ambiente, che non poteva provenire all'autore se non da diretta esperienza.

La prima parte del Guzmán fu pubblicata a Madrid nel 1599; e cosí grande ne fu il successo, che si moltiplicarono, quasi sempre all'insaputa dell'autore, in Ispagna, in Francia, in Belgio, in Portogallo, le edizioni del libro. Della sua gran popolarità, tanto grande che l'opera era comunemente indicata col semplice titolo di Pícaro e dell'esser venuto a conoscenza di una prima stesura della seconda parte già scritta dall'Alemán e fatta conoscere ad amici, approfittò l'avvocato valenziano Juan Martí, il quale, sotto il nome di Mateo Luián de Sayavedra, pubblicò una sua apocrifa seconda parte nel 1602 a Barcellona presso Joan Amello: furto e inganno di cui si duole nel prologo al lettore l'Alemán (por haber sido pródigo, comunicando mis papeles y pensamientos, me los cogieron al vuelo), il quale dovette rimaneggiare e rifare la primitiva seconda parte, a noi nota quindi soltanto attraverso il plagio del Sayavedra, per non trovarsi a parere imitatore, lui derubato; e la pubblicò quindi a Lisbona presso l'editore Pietro Brasbeech, nel 1604, col titolo: Segunda parte de la vida de Guzmán de Alfarache, Atalaya de la vida humana por Mateo Alemán su verdadero autor. Aveva in mente di scriverne una terza, tanto da prometterla alla fine del libro, come fa anche il suo plagiatore, e fors'anche la scrisse, ma non venne mai in luce, per quanto un libraio di Brighton, nel Bulletin du bibliophile, 1853, p. 544, affermasse di possederla insieme con le altre due, confondendola, come ha ragione di pensare il Salvà, con la falsa del Luján de Sayavedra.

In ambedue le parti del Guzman de Alfarache si narrano, nella solita forma autobiografica del romanzo picaresco, le avventure di un briccone sivigliano, che, dopo tanto vagabondare per la Spagna e l'Italia e dopo averne fatte di tutti i colori, va a finire condannato a sei anni sopra una galera; poi, per aver tentato la fuga, è condannato a vita, finché non viene liberato per aver denunziato una congiura. Era passato per le più disparate condizioni sociali: da garzone d'osteria di campagna a sguattero a Madrid, a nobiluomo vagheggino a Toledo, a soldato in Italia, a mendicante in Roma, a paggio di un cardinale, a domestico e mezzano dell'ambasciatore di Francia (1a parte), elegante rimpannucciato a Firenze, a Siena, a Bologna, dove è condannato lui, invece che il ladro di un suo baule; baro e truffatore a Milano e a Genova, dove ostenta vita da gran signore, finché, abbandonata la fidanzata, torna in Ispagna; girovago a Barcellona, a Saragozza, commerciante imbroglione a Madrid, dove si ammoglia una prima volta. Rimasto vedovo presto, pensa di farsi prete; ed eccolo studente ad Alcalá, ma torna invece a prendere moglie, e a Madrid e a Siviglia, dove gli fugge la moglie, seguita nelle sue mariolerie, sì da essere messo in prigione, processato e condannato al remo. Come il Cervantes nel Don Quijote, anche l'Alemán intercala novelle nel romanzo: la moresca di Guzmán e Daraja (I, 1, 8), la napoletana di Dorido e Clorinia (I, 3, 10), la novella di messer Iacopo e dei suoi figli (II, 2, 9). Contrastano nel romanzo alla narrazione di bricconate le considerazioni morali sugli argomenti più varî; considerazioni del resto sempre interessanti. E ciò volutamente, come per offrire un antidoto al male e al peccato. Senza che il romanzo sia, come qualcuno inclinò a credere, la voluta autobiografia dello scrittore, vi è tuttavia riflessa per non poca parte la vita sua avventurosa, nonché l'amarezza profonda di cui le tante avversità imbevvero l'animo suo. Letto subito in tutta Europa nelle venti e più edizioni che si contarono prima del 1604, il Guzman fu presto tradotto nelle principali lingue. In italiano si ebbe la versione del Barezzi, col titolo: Vita del Picaro Gusmano d'Alfarace. Descritto da Matteo Alemanno di Siviglia, e tradotto dalla lingua spagnuola nell'italiana da Barezzo Barezci cremonese.... In Venetia, presso Barezzo Barezzi M. DC.VI. Fu ristampata, con la seconda parte, in due volumi, in Venezia nel 1615. Le due migliori edizioni in spagnolo sono quella del Guzmán (nella Bibl. de autores esp. del Rivadeneira, III) e quella di F. Holle nella Bibliotheca romanica, Strasburgo, 1913.

Bibl.: J. Hazañas y la Rúa, Mateo Alemán y sus obras, 1892; F. Rodríguez Marín, Vida de Mateo Alemán, Madrid 1907; U. Cronan, Mateo Alemán and Miguel de Cervantes Saavedra, in Revue Hispanique, XXV (1911); R. Foulché-Delbosch, Bibliographie de M. A., in Revue hispanique, XLII (1918); M. de Granges de Surgères, Les traductions du Guzmán d'Alfarache, in Bulletin du bibliophile, Parigi 1885, pp. 289-314.

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