MATERIE PLASTICHE BIODEGRADABILI

XXI Secolo (2010)

Materie plastiche biodegradabili

Amilcare Collina

La comparsa sul mercato delle materie plastiche biodegradabili risale all’inizio degli anni Novanta del 20° secolo. Lo sviluppo di questi nuovi materiali fu stimolato da due concause: la constatazione che il materiale plastico, una volta rilasciato nell’ambiente, ha su quest’ultimo un impatto molto negativo per le sue caratteristiche intrinseche di persistenza; la nascita del nuovo settore di ricerca della cosiddetta chimica verde, basato sull’intuizione che prodotti derivati da materie prime di origine naturale potessero competere con quelli tradizionalmente ottenuti dalla petrolchimica, con conseguente riduzione della dipendenza dell’industria chimica da petrolio e gas naturale.

Queste considerazioni, rafforzate in Italia dall’occasionale istituzione di un’imposta sulla fabbricazione dei sacchetti per il trasporto degli acquisti (shoppers), indussero imprese e ricercatori a raccogliere la sfida dello sviluppo di materiali innovativi, con caratteristiche fisico-meccaniche comparabili a quelle delle materie plastiche tradizionali, ma con la funzionalità aggiuntiva della biodegradabilità.

L’acceso dibattito scaturito sull’argomento comprese aspetti quali: il valore della biodegradabilità come caratteristica di una materia plastica; il fondamento razionale dello sviluppo di nuove tecnologie per ovviare a comportamenti irresponsabili e non rispettosi dell’ambiente; l’opportunità di impiegare materie prime di origine naturale, tradizionalmente destinate alla catena alimentare, per usi diversi quali quelli della filiera chimica. Tale dibattito, caratterizzato da posizioni contrastanti e spesso radicali, talvolta originate dalla difesa di interessi consolidati, è tuttora in corso. Il tempo passato non è, tuttavia, servito ad accrescere il livello di razionalità della discussione. Si continuano, infatti, a confondere qualità e caratteristiche di materiali diversi e ambiti non sovrapponibili: materiali biodegradabili con materiali derivati da materie prime di origine naturale; aspetti di degrado ambientale dovuti alla presenza di rifiuti nell’ambiente con i cambiamenti climatici indotti dall’uso di materie prime di origine fossile. Inoltre si paragonano in base alla competitività tecnologie differenti senza considerarne i costi ambientali associati. Peraltro, due sono i fatti rilevanti che caratterizzano la realtà odierna. In primo luogo, le materie plastiche biodegradabili sono una realtà industriale e stanno conquistando nicchie di mercato, di dimensioni molto contenute rispetto ai volumi delle materie plastiche non biodegradabili, ma con alti tassi di sviluppo. Questi nuovi prodotti sono quindi usciti dalla fase pionieristica e sono diventati un business nell’arena competitiva dei materiali. Esistono produttori che li vendono, trasformatori che li tramutano in oggetti, clienti che li comprano. Inoltre, la percezione dei limiti di tutte le risorse naturali del pianeta, prima considerate illimitate, ha portato alla condivisione diffusa del concetto di sostenibilità in termini di uno sviluppo inteso come «sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri», secondo la definizione del cosiddetto rapporto Brundtland dell’ONU (World commission on environment and development, Our common future, 1987, p. 8).

Il concetto di sostenibilità, nella sua più ampia accezione che comprende le componenti economica, sociale e ambientale, è ormai parte della cultura comune dei Paesi industrializzati.

Biodegradabilità e compostabilità

La biodegradabilità è la proprietà di una sostanza o di un composto di essere decomposto da microrganismi in molecole più semplici (Biodegradation, 2004). Tale proprietà è condizione necessaria per il mantenimento dell’equilibrio ecologico del pianeta: una sostanza che non possa essere scomposta nei suoi costituenti elementari, non può, infatti, essere riutilizzata in natura per altri scopi. La condizione per la biodegradabilità di una sostanza è che in natura esista un microrganismo (un batterio) capace di sintetizzare l’enzima necessario per decomporla.

È noto che i materiali organici naturali, giunti al suolo, tendono progressivamente a decomporsi. Questo fenomeno è molto importante per liberare l’ambiente dai rifiuti e dalle scorie creando presupposti per una nuova vita. Gli alberi, le colture per la produzione di prodotti agricoli per la catena alimentare (quali grano, mais, oleaginose), le alghe – attraverso il processo di fotosintesi clorofilliana che utilizza l’energia solare – assumono anidride carbonica dall’atmosfera e la utilizzano per sintetizzare zuccheri, carboidrati, oli vegetali e tutte le altre numerosissime sostanze organiche presenti in natura. Questo meccanismo non potrebbe però raggiungere una situazione di regime stazionario se non esistesse la possibilità inversa, cioè quella che permette di liberare anidride carbonica a partire dalla materia organica.

Il processo di biodegradazione è indispensabile quanto il processo di fotosintesi al mantenimento dell’equilibrio naturale. Ruolo importante nella biodegradazione è quello dei microrganismi che, presenti in qualunque ambiente, si nutrono della materia organica producendo di nuovo anidride carbonica con la chiusura del ciclo naturale. La materia organica, presente nel suolo e derivata da piante, animali e altri organismi morti, si degrada per opera dei microrganismi; parte di carbonio, ossigeno, azoto e anidride carbonica, nonché acqua, vengono rapidamente dispersi; gli altri componenti, invece, si decompongono più lentamente e permangono nel terreno sotto forma di humus. Si tratta di un materiale omogeneo, amorfo, di colore scuro e praticamente inodore. Durante la decomposizione dell’humus, i residui vegetali vengono trasformati in forme stabili, che si accumulano nel terreno e possono essere utilizzate come nutrimento dalle piante. La quantità di humus presente influenza importanti proprietà fisiche del terreno, come la struttura, il colore, la consistenza e la capacità di conservare l’umidità. L’humus può essere considerato una vera e propria riserva di nutrimento per le piante, data la capacità di liberare lentamente ma costantemente gli elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio sono i più importanti), assicurando la fertilità costante del suolo. La tecnica di compostaggio per produrre fertilizzanti da rifiuti organici (compost) imita i processi che in natura riconsegnano le sostanze organiche al ciclo della vita e danno luogo all’humus (Epstein 1997). Naturalmente i processi naturali sono riprodotti in forma controllata e accelerata, realizzando un perfetto smaltimento dei rifiuti organici. La compostabilità è l’attitudine di un materiale organico a produrre compost con caratteristiche qualitative adeguate.

Le plastiche biodegradabili sono materiali che uniscono alle caratteristiche tipiche delle materie plastiche di largo impiego, derivate dalla petrolchimica e non biodegradabili, quelle di biodegradabilità e compostabilità che sono tipiche delle sostanze organiche naturali (Stevens 2002). Ai concetti di biodegradabilità e compostabilità vanno peraltro associati i parametri di tempo, entro il quale tali processi avvengono in modo significativo, e di qualità del compost prodotto. In merito, il riferimento più opportuno è la norma europea EN 13432/2000, in base alla quale sono stabilite le caratteristiche che un materiale deve possedere per essere definito compostabile. Questa norma è un punto di riferimento per i produttori di materiali, le autorità pubbliche, i produttori di compost e i consumatori. Secondo tale norma, le caratteristiche che un materiale compostabile deve avere sono le seguenti: a) biodegradabilità, determinata misurando l’effettiva conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica. Questa proprietà è valutata quantitativamente con un metodo di prova standard. Il livello di accettazione è pari al 90% di conversione metabolica da raggiungere in meno di 6 mesi; b) disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (assenza di contaminazione visiva). È misurata con una prova di compostaggio su scala pilota; il materiale in esame viene biodegradato insieme con rifiuti organici per 3 mesi. Alla fine il compost viene vagliato con un setaccio di 2 mm di luce e i residui del materiale di prova con dimensioni maggiori di 2 mm sono considerati non disintegrati; tale frazione deve essere inferiore al 10% della massa iniziale; c) assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio; il requisito va verificato con una prova di compostaggio su scala pilota; d) bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost (quali la riduzione del valore agronomico e la presenza di effetti ecotossicologici sulla crescita delle piante). Una prova di crescita di piante è eseguita su campioni di compost dove è avvenuta la degradazione del materiale di prova. Non si deve evidenziare nessuna differenza con un compost di controllo; e) limiti definiti su altri parametri chimico-fisici (quali, per es., livello di acidità, contenuto salino, sostanze volatili, contenuto di azoto, fosforo, potassio, magnesio), che non devono differire dal compost di controllo dopo la biodegradazione.

Un materiale è compostabile, quando soddisfa tutti i requisiti sopra citati, con valutazioni eseguite impiegando metodi definiti da specifiche normative. Per es., un materiale biodegradabile non è necessariamente compostabile, poiché deve anche disintegrarsi durante un ciclo di compostaggio. D’altra parte, un materiale che si frantuma durante un ciclo di compostaggio in pezzi microscopici che non sono però poi totalmente biodegradabili non è compostabile. Possiamo pertanto considerare appartenenti alla classe delle materie plastiche biodegradabili e compostabili i materiali plastici che soddisfino tutti i requisiti indicati dalla citata norma EN europea 13432/2000.

A questo punto ci si può chiedere se la biodegradabilità e la compostabilità di un materiale plastico siano valori positivi o negativi di esso. Su questo punto verte sostanzialmente il dibattito tuttora in corso. In realtà biodegradabilità e compostabilità di un materiale non hanno valore in sé: sono caratteristiche del materiale il cui valore, positivo o negativo, dipende dall’uso che si fa di esso, includendo nel termine uso anche le modalità con cui il materiale viene smaltito al termine della sua vita utile. Esemplificando questo concetto possiamo affermare che non ha senso proporre al mercato un serramento di materiale biodegradabile. Il serramento, per la sua funzione d’uso, deve garantire caratteristiche meccaniche che non si degradino nel tempo, elevata resistenza alle intemperie ed è caratterizzato da un lungo ciclo di vita; naturalmente ne andrà assicurato un corretto smaltimento al termine della sua vita utile. Al contrario, ha senso proporre un film di materiale biodegradabile come componente di un pannolino usa e getta, il cui smaltimento, che costituisce un problema significativo, può essere realizzato mediante biodegradazione, senza necessità di separare il film di materiale plastico dal materiale cellulosico di cui il pannolino è prevalentemente costituito.

La sostenibilità

Le materie plastiche sono alla base di una varietà molto ampia di articoli di largo consumo. Il loro grande successo, registrato nella seconda metà del 20° sec., è dovuto ad alcune caratteristiche vincenti: sono infatti economiche, leggere, hanno buone proprietà fisico-meccaniche, resistono alla degradazione. Questo insieme di caratteristiche le rende particolarmente attraenti per un impiego usa e getta. La contropartita di questo sviluppo esponenziale è stata una concomitante crescita delle quantità di materie plastiche nei rifiuti. La resistenza alla biodegradazione, caratteristica favorevole durante l’uso, si tramuta in un potenziale danno nel momento in cui il prodotto diventa rifiuto. Il concetto di sostenibilità impone, rispetto al passato, un aumento dell’attenzione ai processi di smaltimento dei rifiuti che, con riferimento alle materie plastiche, sono sostanzialmente i seguenti: a) il riciclo del materiale con riuso come materia prima per produrre un materiale simile a quello originale; b) l’incenerimento del materiale plastico con recupero di energia; c) la discarica, in modo indifferenziato, con altri rifiuti.

La tecnologia del riciclo è quella che valorizza meglio il materiale di scarto. Essa richiede tuttavia una selezione a monte per poter disporre di materiale omogeneo da sottoporre al trattamento di riciclo, condizione indispensabile per assicurare il livello qualitativo del materiale prodotto. Tra le principali materie plastiche riciclate vi sono: polietilentereftalato, polietilene alta e bassa densità, polivinilcloruro, polipropilene, polistirene.

L’incenerimento del materiale plastico è in linea di principio interessante perché consente la valorizzazione del contenuto energetico del materiale di scarto, ferma restando la necessità di garantire processi e impianti senza effluenti inquinanti. Considerando che petrolio e gas naturale – il cui uso prevalente è quello per combustibili per trasporti e per generazione di energia elettrica – sono all’origine delle materie plastiche, si può affermare che la tecnologia dell’incenerimento con recupero di energia consente l’utilizzazione della stessa risorsa di origine fossile due volte: la prima sotto forma di materia plastica, la seconda come combustibile al termine della vita utile dell’oggetto in plastica. Tuttavia, l’avversione molto diffusa nei confronti di tale tecnologia, peraltro notevolmente utilizzata in Europa al di fuori dei confini italiani, non consente previsioni sul suo sviluppo futuro.

La modalità della discarica è attualmente quella più diffusa, non soltanto in Italia; non consente la valorizzazione del rifiuto al fine di ridurre il costo di smaltimento e presenta la criticità del reperimento degli spazi necessari per allestire nuove discariche. Nel 2008, in Europa, la quantità di rifiuti di materie plastiche è stata stimata in circa 25 milioni di t, a fronte di una produzione di 60 milioni di t; di questi rifiuti il 21% è stato riciclato, il 30% è stato incenerito per recuperare energia e il 49% smaltito nelle discariche (Plastics Europe 2009).

La disponibilità sul mercato di materie plastiche biodegradabili e compostabili apre una prospettiva di smaltimento di tali materiali in impianti di compost, insieme ai rifiuti organici oggetto di raccolta differenziata. Il sacchetto di plastica biodegradabile e compostabile rappresenta, per es., il contenitore ideale per la frazione organica dei rifiuti – il cosiddetto umido – in quanto può alimentare l’impianto di compostaggio senza essere separato dal contenuto. Peraltro, qualora lo stesso oggetto fosse abbandonato nell’ambiente, situazione legata a comportamenti certamente riprovevoli, ma purtroppo reali, scomparirebbe alla vista in tempi ragionevoli e sarebbe poi biodegradato senza dar luogo a prodotti dannosi all’ambiente. Va citata, a questo proposito, la norma prevista nella legge finanziaria 2007 (l. 27 dic. 2006 n. 296, art. 1, 1130° co.) che bandisce, in Italia, dal genn. 2010 la vendita e l’uso di shoppers di materia plastica non biodegradabile. Una legge di questo tipo, già in vigore in alcuni Paesi europei e coerente con la legislazione dell’Unione Europea, offre una risposta alla crescente consapevolezza dei danni ambientali prodotti in particolare dai sacchetti di plastica abbandonati nell’ambiente che, per es., gettati in mare o lasciati sulla spiaggia, possono causare la morte per soffocamento di animali marini (tartarughe, delfini e balene) che li scambiano per meduse, parte della loro dieta. Naturalmente l’aspetto dello smaltimento dei rifiuti non è l’unico rilevante per la sostenibilità. I cambiamenti climatici legati all’uso dei combustibili fossili hanno sollecitato l’attenzione dei governi dei Paesi industrializzati sui rischi climatici del pianeta connessi all’aumento dei gas a effetto serra nell’atmosfera e in particolare dell’anidride carbonica. Il Protocollo di Kyoto (1997) e gli impegni che i Paesi aderenti stanno prendendo per la riduzione delle emissioni di gas serra lo testimoniano. L’uso di materie prime di origine naturale per la produzione di materiali plastici, in luogo di petrolio e gas naturale, produce un effetto benefico sul bilancio dell’anidride carbonica. Infatti, utilizzando materie prime sintetizzate dalla natura attraverso il processo di fotosintesi clorofilliana, che fissa l’anidride carbonica dell’atmosfera, si ottengono materiali che, al termine della loro vita utile, smaltiti mediante incenerimento, compostaggio o in discarica, restituiscono all’atmosfera l’anidride carbonica che li ha originati. Questo fatto supporta l’affermazione di neutralità dei nuovi prodotti, a condizione che abbiano un contenuto prevalente di componenti di origine naturale, dal punto di vista del ciclo dell’anidride carbonica atmosferica; le materie plastiche di origine petrolchimica, invece, quando incenerite, contribuiscono all’incremento del contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera emettendo CO2 derivata da una materia prima fossile (petrolio o gas naturale). Va tuttavia rilevato che l’effetto benefico sul bilancio globale dell’anidride carbonica del pianeta è modesto; la petrolchimica utilizza, infatti, meno del 15% delle risorse di combustibili fossili impiegate annualmente, di cui solo una frazione è destinata alla produzione di materie plastiche. La riduzione significativa delle emissioni di gas serra si ottiene affrontando il tema prioritario dei combustibili per i trasporti e della produzione di energia, utilizzando tutte le opzioni messe a disposizione dalle moderne tecnologie – combustibili da biomasse; energia idroelettrica, eolica, solare e nucleare – e in primo luogo dando vita a seri ed estesi progetti di risparmio energetico quali, per es., il miglioramento dell’isolamento termico degli edifici, l’aumento dei rendimenti delle centrali elettriche anche attraverso impianti di cogenerazione di energia termica ed elettrica, l’uso di apparecchiature elettriche ad alta efficienza.

Le materie plastiche biodegradabili esistenti

Il mercato del settore, pur migliorato rispetto al disordine dei primi anni Novanta, è tuttora caratterizzato da un livello di trasparenza non soddisfacente; non tutti i produttori, infatti, rendono disponibili informazioni tecniche corrette ed esaurienti sulle caratteristiche di biodegradabilità e compostabilità dei prodotti offerti. Le definizioni di materiale biodegradabile e compostabile sono frequentemente utilizzate come strumenti di marketing senza riferimento a dati oggettivi e spesso la comunicazione esalta la presenza in plastiche così dichiarate di componenti di origine naturale come garanzia di biodegradabilità, cosa non sempre vera, enfatizzando il contributo alla riduzione dei gas serra. Si ha l’impressione che alcuni produttori siano più interessati alla creazione di effetti emozionali che a illustrare le caratteristiche dei prodotti offerti: questa constatazione fa nascere il sospetto che tali effetti siano usati per nascondere la realtà delle prestazioni tecniche dei prodotti; fortunatamente ci sono alcune eccezioni a questi comportamenti.

I materiali presenti sul mercato possono essere raggruppati in alcune classi, caratterizzate dal diverso componente prevalente.

Materiali a base di amido

L’amido, polimero naturale presente in grandi quantità in prodotti vegetali quali il mais, il grano, la patata, non può essere utilizzato così com’è per due motivi: non ha un comportamento di tipo termoplastico, cioè lavorabile a caldo (in quanto si decompone prima di fondere) e quindi non può essere processato come una materia plastica convenzionale; ancora più importante, l’amido è idrofilo, si rigonfia ed è parzialmente solubile in acqua. Tuttavia, alcune sue caratteristiche, quali larga disponibilità, basso costo, struttura di polimero insieme all’intrinseca biodegradabilità, hanno reso questo prodotto sin dall’inizio attraente nell’utilizzo come componente di formulazioni per materie plastiche biodegradabili.

L’impiego dell’amido è avvenuto per gradi. Inizialmente, mediante un approccio superficiale, sono state aggiunte piccole percentuali di amido alle materie plastiche convenzionali derivate dalla petrolchimica, tipicamente al polietilene. Questi materiali misti, con il tempo, si sfaldano e scompaiono, ma riducono, di fatto, solo l’impatto visivo, in quanto lasciano residui non biodegradabili di polietilene destinati ad accumularsi nell’ambiente. Questa strada, che inizialmente in Italia ha trovato un certo seguito per aggirare la già ricordata imposta sulla fabbricazione degli shoppers, ha avuto fortunatamente vita breve a fronte dei dati oggettivi di inadeguatezza dei prodotti dal punto di vista ambientale, ma ha creato una notevole turbativa sul mercato nascente alimentando un clima di sfiducia che è stato superato solo in tempi lunghi. Successivamente, con un approccio scientificamente corretto basato sulla conoscenza della struttura dei materiali, sono state messe a punto formulazioni con un contenuto di amido fino all’85%, e contenenti più modesti quantitativi di altri polimeri biodegradabili di sintesi (quali il poliestere policaprolattone e i derivati del polivinilalcol). La miscelazione tra l’amido e gli altri polimeri, per essere efficace, deve passare attraverso la destrutturazione della morfologia cristallina dell’amido, risultato che si ottiene mediante processi termomeccanici (uso di estrusori bivite) e/o chimici. L’estrusore garantisce la compenetrazione dell’amido con il polimero sintetico a formare una fase macroscopicamente omogenea. Il prodotto viene poi ridotto in forma di granuli.

I materiali plastici a base di amido sono offerti da una decina di produttori, tra cui alcune imprese multinazionali leader nel settore chimico e alcune piccole realtà imprenditoriali specializzate nel business e molto aggressive sul mercato. I materiali sviluppati presentano un comportamento termoplastico e sono quindi processabili con le tecnologie esistenti e consolidate di trasformazione dei materiali termoplastici tradizionali. I nuovi materiali, forniti in forma di granuli, sono adatti alla produzione di film, di elementi termoformati, di materiali espansi per l’imballaggio, di oggetti stampati a iniezione o di oggetti ottenuti per estrusione. Gli esempi di applicazione proposti sono numerosi e relativi a vari settori di impiego, quali l’agricoltura, l’industria dell’imballaggio, l’industria della cura della persona, lo smaltimento dei rifiuti. L’attenzione alla valutazione quantitativa dei parametri di biodegradabilità è cresciuta nel tempo e i produttori, nella quasi totalità dei casi, rivendicano tale caratteristica per i materiali offerti. Tuttavia, non molti di loro citano esplicitamente le normative di riferimento e un solo produttore, Novamont SpA, rende disponibili sul proprio sito web le curve di biodegradazione dei materiali prodotti misurate in test di compostaggio controllato. Se ne fornisce un esempio, per un test condotto secondo la norma ISO 14855-1/2005, nella figura in cui si mostra, rispetto alla cellulosa pura (linea verde continua), la percentuale di biodegradazione nel tempo di materiali (differenti classi di Mater-Bi®) adatti rispettivamente per stampaggio (linea arancione) e per film (linea blu).

Materiali a base di polivinilalcol

Il polivinilalcol è un polimero della filiera petrolchimica, utilizzato come materiale per la produzione di film barriera prevalentemente per la protezione di alimenti dall’ossigeno atmosferico; è solubile in acqua e perde le sue caratteristiche di barriera alla diffusione dei gas in presenza di umidità. Per questa ragione è impiegato usualmente in film multistrato rivestendolo con altri materiali idrofobi, per es. il film di polietilene, che lo proteggono dall’umidità. Date le sue caratteristiche di biodegradabilità, è utilizzato come componente delle formulazioni delle materie plastiche a base di amido. Viene anche impiegato tal quale per la produzione di film idrosolubili che trovano particolari applicazioni in lavanderia, tintoria e agricoltura.

Materiali a base di acido lattico

L’acido lattico è il più semplice degli idrossiacidi e può polimerizzare con una reazione di autopolicondensazione con eliminazione di acqua. Esso è generalmente prodotto per fermentazione di zuccheri a opera di microrganismi. Le proprietà del polimero dell’acido lattico, ottenuto con un processo di polimerizzazione controllato, sono vicine a quelle del polistirene, con la caratteristica aggiuntiva della biodegradabilità e della compostabilità. Il materiale può essere processato con le tecnologie standard applicate ai materiali termoplastici. Prodotti commerciali di questa classe sono offerti da un ridotto numero di imprese, nessuna delle quali italiana. Le tecnologie applicabili e gli esempi di applicazione proposti sono analoghi a quelli dei materiali a base di amido.

Materiali a base di legno

Si tratta di compounds a base di legno additivato che consentono la produzione di granuli adatti per stampaggio a iniezione. Pur essendo prodotti concettualmente biodegradabili e con comportamenti assimilabili a quelli dei materiali termoplastici, i tempi necessari per il processo di biodegradazione non li rendono coerenti con la normativa di riferimento assunta per la definizione di plastiche biodegradabili. Questa considerazione non de­ve apparire come un giudizio negativo su tali prodotti; costituiscono semplicemente un’altra classe di materiali, non confrontabile con quelli citati in precedenza e che non rientrano nel campo di quest’analisi.

Altri materiali

Completano l’offerta di prodotti industriali i materiali a base di poliesteri sintetici. Sono prodotti con caratteristiche particolarmente adatte alla produzione di film; sono rivendicate le proprietà di biodegradabilità e compostabilità, peraltro senza alcuna indicazione sulle normative prese a riferimento per la valutazione. Sono purtroppo tuttora presenti sul mercato additivi che rivendicano la proprietà di rendere biodegradabili e compostabili le materie plastiche più largamente diffuse quali polietilene, polipropilene, polistirene, per loro natura non biodegradabili. Questi esempi di comunicazione non corretta e di proposte non accettabili sul piano etico dimostrano purtroppo che il mercato non ha ancora raggiunto un livello di trasparenza adeguato.

Le tecnologie di trasformazione

Le materie plastiche biodegradabili possono essere assoggettate agli stessi processi di trasformazione tradizionali che consentono la realizzazione di un’ampia gamma di oggetti. In particolare:

a) film che si ottengono utilizzando le stesse macchine per la filmatura di polietilene a bassa densità (il materiale di riferimento in questa applicazione) con temperature di estrusione più basse e con la possibilità di rigenerare gli scarti con tecniche simili a quelle in uso per il polietilene. Il film prodotto si stampa con inchiostri ad acqua o solventi, con qualsiasi tecnologia di stampa. La saldabilità, caratteristica critica per la produzione di sacchi, è simile a quella del polietilene e l’operazione di saldatura può essere effettuata alla stessa velocità. La produttività in filmatura e saldatura è la stessa dei materiali tradizionali, con scarti confrontabili;

b) oggetti rigidi di piccolo spessore, con i quali si realizzano vassoi, vaschette, blister ecc., utilizzando le usuali tecniche di termoformatura di lastre su stampi di diverse forme. Si usano le stesse macchine applicate per le materie plastiche tradizionali – polistirene, polietilene, acrilonitrile butadiene stirene (ABS), polivinilcloruro sono i materiali di riferimento in questa applicazione – adattando tempi e temperatura alle caratteristiche del materiale impiegato;

c) fogli e blocchi di materiale espanso, la cui applicazione consente di ritagliarlo nelle forme e dimensioni desiderate. Utilizzando vapor d’acqua come agente espandente, si ottiene un materiale con una struttura a celle chiuse, robusta e resistente agli urti, analoga a quella del polistirene espanso (materiale di riferimento in questa applicazione);

d) riempitivi espansi per imballaggio a perdere, con proprietà antiurto e capacità di adattamento alle varie forme del tutto analoghe al polistirene espanso (materiale di riferimento in questa applicazione);

e) oggetti stampati mediante normali presse a iniezione: il materiale fuso, a una temperatura che ne consente lo scorrimento, viene alimentato con pressioni elevate in uno stampo. La temperatura di iniezione, nel caso di materiali plastici biodegradabili, non può essere molto elevata per evitare di avvicinarsi a quella di decomposizione del componente meno termoresistente presente nella formulazione, e in genere va mantenuta a un valore inferiore a 200 °C. Nel processo di stampaggio a iniezione, il materiale può essere colorato utilizzando coloranti e pigmenti che non interferiscano nel processo di biodegradazione, e quindi di tipo organico, ma privi di effetti di ecotossicità. Alcuni produttori di materiali plastici biodegradabili offrono pigmenti e coloranti incorporati in elevate concentrazioni nel materiale stesso (master batch), da utilizzare in mescola con i granuli alimentati nella tramoggia di carico dell’impianto di stampaggio a iniezione, al fine di ottenere la colorazione voluta degli oggetti prodotti;

f) profilati ottenuti per estrusione. Il materiale plastico in forma di granuli viene alimentato in un miscelatore riscaldato (estrusore) dove viti rotanti, sottoponendolo a elevati sforzi di taglio, lo omogeneizzano. La massa allo stato fuso viene poi spinta attraverso una filiera per dare al prodotto finito la forma desiderata. Variabile critica del processo di estrusione dei materiali plastici biodegradabili è la temperatura, che deve essere controllata al fine di evitare la decomposizione del componente termosensibile della formulazione;

g) lastre o fogli ottenuti per calandratura. Il materiale dello spessore richiesto è ottenuto attraverso un processo di trasformazione che si effettua in macchine (calandre) composte da rulli ad assi paralleli aventi distanza regolabile, e ruotanti a bassa velocità. Il processo prevede il passaggio del materiale termoplastico, allo stato pastoso, tra le coppie di rulli (similmente alla laminazione dei metalli). Si utilizzano le stesse attrezzature utilizzate per i materiali termoplastici, con la precauzione di prevedere un raffreddamento ad acqua, per evitare lunghi tempi di permanenza ad alta temperatura del materiale plastico contenente il componente termosensibile.

Adattabilità delle tecnologie di trasformazione

Le principali tecnologie di trasformazione dei materiali termoplastici tradizionali possono essere impiegate sui materiali plastici biodegradabili; essi, infatti, non richiedono attrezzature specificamente progettate per la loro trasformazione, ma consentono, con semplici accorgimenti, l’uso delle attrezzature esistenti e comunemente impiegate per i materiali termoplastici tradizionali. Questo risultato, oggettivamente constatabile, non è casuale, ma è stato certamente considerato come obiettivo irrinunciabile dalle imprese che si sono impegnate nello sviluppo dei nuovi materiali biodegradabili e come vincolo non superabile dai ricercatori coinvolti nei progetti di ricerca e sviluppo. La necessità di dover sviluppare tecnologie specifiche per la trasformazione dei nuovi materiali avrebbe, infatti, costituito una barriera insormontabile all’ingresso sul mercato dei nuovi prodotti. Va però osservato che non tutti i materiali presenti sul mercato possono essere trasformati con tutte le tecnologie di trasformazione sopra citate. Ogni tecnologia, per essere applicata con risultati positivi, richiede al materiale da trasformare caratteristiche fisico-meccaniche precise e con intervalli di variabilità limitati.

Coerentemente, i produttori non offrono singoli prodotti, ma in generale una linea articolata di prodotti, ciascuno dei quali è stato progettato e realizzato per una specifica tecnologia di trasformazione. Le caratteristiche di ciascun prodotto e le tecnologie di trasformazione applicabili sono illustrate nelle schede tecniche che il produttore mette a disposizione dei propri clienti. Un servizio di assistenza tecnica, garanzia di affidabilità dei produttori, supporta il cliente nella scelta del materiale più consono alle sue esigenze ed è fattore chiave di successo per lo sviluppo del mercato.

I settori di impiego

I settori di impiego in cui i materiali plastici biodegradabili vengono proposti sono numerosi e di vario tipo come risulta dall’elenco di applicazioni che segue: a) igiene e cura della persona (cotton fioc, film per articoli usa e getta quali pannolini, assorbenti femminili e salvaslip); b) imballaggio alimentare (vaschette termoformate, reti estruse e tessute, film trasparenti per il confezionamento di frutta, verdura e altri prodotti alimentari); c) imballaggio espanso (fogli, blocchi, loose filler per imballaggio di prodotti farmaceutici, di apparecchi per laboratori, di prodotti di largo consumo); d) oggettistica (penne, temperamatite, righelli, cartucce, giocattoli per bambini); e) cartotecnica (film trasparenti per accoppiamento con carta e cartoncino); f) lavanderia e tintoria (film idrosolubili); g) agricoltura (teli di pacciamatura, vasetti per vivaistica, corde e legacci, dispositivi per il rilascio controllato di principi attivi antiparassitari, film idrosolubili); h) grande distribuzione organizzata (shopper riutilizzabile per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti); i) casa (film come involucri esterni di carta igienica, tovaglioli e fazzoletti, articoli usa e getta quali posate, piatti, bicchieri, tazze); l) gestione dei rifiuti (sacchetto contenitore della frazione organica dei rifiuti da avviare alla raccolta differenziata).

I nuovi materiali appaiono quindi in grado, secondo quanto affermato dai produttori e spiegato in precedenza, di proporsi come alternativa valida, da un punto di vista prestazionale, alle tradizionali materie plastiche, in un significativo numero di applicazioni.

Le prospettive di sviluppo

È evidente che un materiale, come qualsiasi prodotto, si afferma e si sviluppa sul mercato se il suo rapporto costo/prestazione è più favorevole rispetto al materiale che si propone di sostituire. Va innanzi tutto osservato che i costi dei materiali plastici biodegradabili sono significativamente più alti rispetto a quelli dei materiali concorrenti, le materie plastiche tradizionali. Ciò è dovuto in parte alla necessità di utilizzare, nella formulazione dei nuovi materiali, componenti di costo elevato (polimeri di sintesi quali poliesteri e polivinil­alcol) e in parte alle diseconomie di scala causate dai volumi di produzione, notevolmente inferiori rispetto ai materiali tradizionali. Il vantaggio, se esiste, va trovato quindi nelle prestazioni superiori o comunque nelle caratteristiche distintive che il nuovo materiale può offrire. Da quanto già illustrato (v. Le materie plastiche biodegradabili esistenti), i nuovi materiali sviluppati hanno raggiunto un livello di prestazioni del tutto paragonabile a quello delle materie plastiche tradizionali, offrendo la caratteristica distintiva e peculiare della biodegradabilità e compostabilità; per i materiali esclusivamente o prevalentemente costituiti da materie prime di origine naturale, potendo anche rivendicare una neutralità rispetto al bilancio dell’anidride carbonica dell’atmosfera.

Ci si chiede se queste caratteristiche distintive possano costituire un reale valore aggiunto tale da giustificare un costo più elevato per il cliente. Data la scarsa significatività della quantità di anidride carbonica associata alle materie plastiche derivate dalla petrolchimica, rispetto alla quantità associata ai combustibili per i trasporti e per la generazione di energia, il valore aggiunto va ricercato nella maggiore sostenibilità, con particolare riferimento alla componente ambientale legata al loro uso e al loro smaltimento.

Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale legata all’uso, le leggi che vietano nel prossimo futuro la vendita e l’impiego di shoppers di materia plastica non biodegradabile aprono una grande opportunità di sviluppo a questa nuova classe di materiali. Le plastiche biodegradabili non saranno, però, senza competitori in questo impiego, in quanto dovranno misurarsi da un lato con i sacchetti di carta, e dall’altro con altri oggetti ad analoga funzione d’uso, ma durevoli e riutilizzabili, come le borse in tessuto o anche in materie plastiche tradizionali. In questo nuovo scenario gli shoppers biodegradabili, per affermarsi, dovranno offrire un rapporto costo/prestazioni più favorevole rispetto alle possibili alternative. Grande influenza sull’esito della competizione potrà avere il mantenimento, da parte del consumatore, dell’abitudine, oggi consolidata, all’uso degli shoppers di materia plastica.

Per quanto riguarda la sostenibilità legata allo smaltimento, la disponibilità sul mercato delle materie plastiche biodegradabili e compostabili apre, come già ricordato, la nuova prospettiva di smaltimento in impianti di compostaggio, insieme ai rifiuti organici oggetto di raccolta differenziata. I prodotti che avranno maggior successo e più elevati tassi di sviluppo sono quindi quelli per l’igiene e la cura della persona, i prodotti per imballaggio alimentare, i loose fillers (oggi di smaltimento problematico per le bassissime densità che originano grandi volumi), i prodotti per la casa, tutti i prodotti applicati in agricoltura, e, ovviamente, i sacchetti contenitori per la raccolta della frazione organica dei rifiuti. Una considerazione particolare merita il film per accoppiamento con carta e cartoncino nel settore della cartotecnica. Lo sviluppo dell’applicazione è legato alla possibilità di alimentare questi accoppiati alla filiera del riciclo carta, strada preclusa agli accoppiati con plastiche tradizionali. Il fatto che questa possibilità, di grande valore, non venga rivendicata dai produttori, fa ritenere che debba essere ancora dimostrata la fattibilità dell’operazione. L’affinità di tipo chimico tra i prodotti a base amido e la cellulosa, costituente principale della carta, lascia prevedere prospettive favorevoli a questa opportunità.

Non sono disponibili dati affidabili sul mercato attuale dei materiali plastici biodegradabili. Alcune stime parlano di una capacità produttiva nel 2008 di 500.000 t/anno, con tassi di crescita intorno al 30% annuo. Le stime relative alle capacità produttive sono da ritenere poco realistiche, tenuto conto del fatto che in Italia risulta installata una capacità produttiva di circa 20.000 t/anno; tuttavia, i tassi di sviluppo citati, pur impressionanti, non sono da ritenersi del tutto irrealistici se si considera che soltanto in Italia oggi si producono annualmente circa 300.000 t di shoppers. Il mercato dei nuovi materiali, in rapporto alle dimensioni di quello delle materie plastiche tradizionali, prodotte in Europa in quantità annue dell’ordine di circa 60 milioni di t, si configura comunque come una nicchia di dimensioni modeste, pur attraente per i suoi potenziali tassi di sviluppo. La crescita di questo business è legata al successo della competizione sugli shoppers, alla possibilità di riciclo del film di plastica biodegradabile con la carta e allo sviluppo della tecnologia di compostaggio per lo smaltimento della frazione organica dei rifiuti. Lo sviluppo del metodo di smaltimento tramite compostaggio richiede un coerente sviluppo della raccolta differenziata dei rifiuti e una educazione dei consumatori a comportamenti conseguenti. D’altra parte riesce difficile immaginare metodi di smaltimento migliori o equivalenti alla tecnologia di compostaggio per oggetti quali pannolini, assorbenti femminili, film di imballaggio aderenti ai residui delle sostanze organiche con cui sono stati in contatto, piatti e posate con residui di cibo. Il valore aggiunto dei materiali plastici compostabili e biodegradabili è, in questo scenario, molto evidente: non è necessaria la separazione del componente di plastica dalla frazione organica, in quanto contribuisce, come la frazione organica e negli stessi tempi imposti dal processo, alla formazione del compost. La proprietà peculiare di questi nuovi materiali rispetto alle plastiche tradizionali è il fattore chiave per la loro adozione generalizzata nella specifica applicazione e si traduce in un valore economico che influisce sul rapporto costo/prestazione rendendolo favorevole.

Le nuove sfide tecnologiche

I materiali plastici biodegradabili sono relativamente nuovi e sono prevedibili ulteriori sviluppi delle tecnologie attuali. È sempre difficile prevedere quali siano i margini di miglioramento di una tecnologia, ma l’esperienza insegna che tali margini in generale esistono e sono significativi.

Considerando le prestazioni attuali e il valore aggiunto dei nuovi materiali rispetto alle plastiche tradizionali, l’area di ricerca da privilegiare è quella dell’impatto ambientale, con la messa a punto di proprietà che consentano altre forme di smaltimento, oltre al compostaggio. Tutte le abitazioni civili sono dotate di un efficiente impianto fisso di raccolta dei rifiuti che è il sistema di raccolta delle acque nere, poi convogliate nel sistema fognario e avviate agli impianti di depurazione. La disponibilità di materiali rigonfiabili e disgregabili dall’acqua (flushable) in tempi brevi e biodegradabili in tempi compatibili con quelli di residenza in impianti di depurazione civili, aprirebbe nuovi scenari allo smaltimento dei rifiuti. Si pensi, per es., a un assorbente che, con queste caratteristiche, possa essere smaltito attraverso la rete fognaria. Più difficile risulta pensare a uno stesso percorso per quanto riguarda un pannolino, considerate le sue dimensioni; non è, tuttavia, impensabile l’idea di dotare le abitazioni di piccoli elettrodomestici che sminuzzino questi rifiuti prima di avviarli allo scarico. In questo senso è da tener presente che molte delle abitazioni statunitensi hanno un lavello della cucina dotato di un’apparecchiatura tritarifiuti che consente lo scarico di residui di cibo. La messa a punto di materiali che rendessero disponibili al consumatore oggetti flushable, consentirebbe una gestione più articolata della raccolta dei rifiuti e in definitiva più efficiente, con l’utilizzazione delle reti fognarie, a patto che fosse verificata la compatibilità con gli impianti di depurazione esistenti. Le caratteristiche di biodegradabilità del materiale plastico, in particolare la sua velocità di biodegradazione, andrebbero tarate sui requisiti richiesti dagli impianti di depurazione, che avrebbero anche la funzione di impianti di smaltimento di tali materiali. La dimostrata possibilità di produrre film idrosolubili a base di polivinilalcol è un punto di partenza favorevole per un progetto di ricerca volto all’obiettivo di prodotti flushable. Il successo di un progetto del genere, caratterizzato da elevato rischio tecnico, aprirebbe ulteriori interessanti opportunità di sviluppo al business delle materie plastiche biodegradabili.

Conclusioni

Le materie plastiche biodegradabili, affacciatesi sul mercato all’inizio degli anni Novanta del 20° sec., riassumendo, sono oggi una realtà e hanno conquistato nicchie di mercato di piccole dimensioni, ma caratterizzate da elevati tassi di sviluppo. Il mercato, inizialmente caratterizzato da un grande disordine, è oggi più disciplinato, anche se non ha ancora raggiunto il livello di trasparenza auspicabile. I requisiti di biodegradabilità e compostabilità sono stabiliti dalla già citata normativa europea, che definisce i metodi standard di valutazione, fissa i limiti di accettabilità della conversione metabolica che deve essere garantita e i relativi tempi in cui la conversione deve essere raggiunta. Tale normativa fissa inoltre gli standard di qualità del compost residuo.

Le materie plastiche biodegradabili più diffuse sono a base di amido con componenti biodegradabili di sintesi, quali polimeri dell’acido lattico e poliesteri. I produttori hanno oggi la possibilità di offrire linee di prodotto articolate in prodotti specifici progettati e realizzati per le tecnologie di trasformazione a valle, che possono utilizzare le stesse apparecchiature di trasformazione impiegate per le materie plastiche tradizionali. Dato il livello di prestazioni raggiunto, i nuovi materiali sono in grado di proporsi come alternativa valida, dal punto di vista delle prestazioni, alle tradizionali materie plastiche in un significativo numero di applicazioni; naturalmente offrono una caratteristica aggiuntiva e peculiare rappresentata dalla loro biodegradabilità e compostabilità e, per i materiali esclusivamente o prevalentemente costituiti da materie prime di origine naturale, possono rivendicare una neutralità rispetto al bilancio dell’anidride carbonica dell’atmosfera. Tale rivendicazione, pur corretta, enfatizza un effetto benefico che, sul bilancio globale dell’anidride carbonica del pianeta, è modesto.

Poiché il costo delle materie plastiche biodegradabili è superiore a quello delle materie plastiche tradizionali, il raggiungimento di un rapporto costo/prestazione favorevole, condizione necessaria per la loro affermazione e il loro sviluppo sul mercato, richiede la valorizzazione del diverso e più favorevole impatto ambientale legato al loro uso e al loro smaltimento. Per quanto riguarda l’impatto ambientale legato all’uso, le leggi che bandiscono nel prossimo futuro, in alcuni Paesi dell’Unione Europea, la vendita e l’uso di shoppers di materia plastica non biodegradabile, aprono una grande opportunità di sviluppo a questa nuova classe di materiali.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale legato allo smaltimento, per i nuovi materiali si apre la prospettiva di essere smaltiti in impianti di compost, insieme ai rifiuti organici oggetto di raccolta differenziata.

I tassi di sviluppo negli anni futuri dipenderanno molto dall’esito della competizione sugli shoppers, dalla possibilità di alimentare accoppiati carta-film plastico biodegradabile alla filiera del riciclo carta e dallo sviluppo della tecnologia di compostaggio per lo smaltimento dei rifiuti organici. Ulteriori avanzamenti della tecnologia che potrebbero aprire, in tempi più lunghi, significative opportunità di sviluppo, riguardano la messa a punto di materiali per oggetti flushable.

È infine auspicabile che il dibattito, tuttora in corso, sul valore intrinseco della biodegradabilità, evolva verso una maggiore razionalità. La discussione, che sembrava sopita dopo le prime asprezze polemiche, si è infatti riaccesa in concomitanza con l’emanazione delle leggi che bandiscono la vendita e l’impiego di shoppers di materia plastica non biodegradabile. Si è arrivati a sostenere la tesi che tali leggi finiscano per favorire l’abbandono degli shoppers nell’ambiente; sarebbe come sostenere che l’obbligo del casco per i motociclisti finisca per favorire le violazioni al codice della strada e quindi causi un aumento del numero di incidenti. Sono evidentemente posizioni strumentali dettate dalla difesa di interessi consolidati. A questo proposito la posizione di difesa del business da parte degli attuali produttori di materie plastiche per shoppers può apparire miope, se si considera che, nell’era della globalizzazione, la minaccia per loro dovrebbe provenire più dai produttori delle materie plastiche tradizionali nei Paesi emergenti che dai produttori delle nuove materie plastiche biodegradabili.

Bibliografia

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