MATTEO dell’Aquila

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MATTEO dell’Aquila

Bruno Figliuolo

Figlio di Nicola, era originario di Pizzoli, piccolo borgo presso L’Aquila, e nacque presumibilmente tra il 1410 e il 1415.

L’appartenenza di M. alla famiglia aquilana dei Gaglioffi, ricordata dalla letteratura erudita (cfr. Pansa, 1964), non è suffragata dalle fonti.

Intorno al 1430 studiò probabilmente presso l’Università di Bologna dove, nel 1436, fu nominato lettore straordinario di filosofia naturale, presso la facoltà di artes. Nei primi mesi del 1440 condusse a termine i propri studi e fu proclamato maestro in teologia. Già in questa ultima notizia compare come membro della Congregazione benedettina dei celestini; all’Aquila, dove tornò nel 1443, M. era monaco del cenobio celestiniano di S. Maria di Collemaggio. Il 20 agosto di quell’anno papa Eugenio IV gli concesse in commenda la prepositura di S. Benedetto in San Benedetto in Perillis (Pansa, 1900, p. 235).

Il godimento di tale commenda non fu però pacifico, giacché essa era stata oggetto di una controversia tra precedenti prepositi. Forse perché stanco della lunga ed estenuante lite o, assai più probabilmente, perché allettato da altri incarichi, M. rinunciò presto alla modesta commenda, che già nel dicembre del 1446 risultava affidata ad altri. Egli, infatti, tra il giugno del 1446 e l’aprile del 1448 fu priore del cenobio di Collemaggio, il secondo della Congregazione per prestigio e ricchezza dopo la casa madre di S. Spirito del Morrone, presso Sulmona. Poco più tardi, alla fine del 1449 o, più probabilmente, nei primi mesi del 1450, M. fu nominato per tre anni abate generale dell’Ordine, in seguito alla morte del precedente generale, Luca da Roma.

A conferma del prestigio che dovette conquistare presso i confratelli, M. fu in seguito confermato abate generale per ben quattro altre volte; fu chiamato a sostenere l’incarico ogni volta che, secondo le regole della Congregazione che prescrivevano un periodo di intervallo fra un mandato e un altro, ciò si rese possibile: dal 1456 al 1459, dal 1462 al 1465, dal 1468 al 1471 e infine nel 1474.

Negli intervalli tra un mandato e l’altro egli mantenne quasi certamente la carica di vicario generale, come è documentato almeno per i trienni 1453-56 e 1471-74 (Abbazia di Montecassino. I regesti…, pp. 344 s., 354).

Dalla metà del secolo egli risiedette dunque per lo più nelle province abruzzesi, diviso tra gli studi e gli interessi scientifici da un lato e le cure politiche e amministrative connesse alle cariche ricoperte nell’Ordine dall’altro. Sovente però, carico di libri necessari alla predicazione e allo studio, M. si metteva in viaggio alla volta di Napoli, dove aveva ottenuto il prestigioso incarico di cappellano di corte, come attesta un documento del 1452 (Il «Codice Chigi»…, n. 198).

Nella notte tra il 4 e il 5 dic. 1456, mentre si trovava nell’abbazia di S. Spirito del Morrone, fu sorpreso dal violentissimo terremoto che rase al suolo gran parte delle località appenniniche centromeridionali. Decise allora di scrivere il trattato De cometa atque terraemotu, che portò a termine nell’abbazia morronese nel luglio del 1457.

Dopo la morte di Alfonso I (Alfonso V d’Aragona), il 27 giugno 1458, L’Aquila si impegnò in una prova di forza con il nuovo sovrano, Ferdinando I, per ottenere più ampi privilegi e proprio M. fu scelto dalla Comunità cittadina per condurre i negoziati con il re. Nell’ottobre di quell’anno M., eletto sindaco e procuratore della città, si recò presso Ferdinando e, il 18 di quel mese, nell’abbazia di S. Clemente a Casauria, ottenne dal sovrano il placet per i capitoli presentati.

Subito dopo egli tornò all’abbazia di S. Spirito, dove non mancavano incombenze e preoccupazioni. La badia era rimasta infatti seriamente danneggiata nel corso del terremoto e necessitava di restauri, cui fu possibile far fronte solo attraverso l’alienazione di immobili della Congregazione, come attesta un documento del 1459 (Abbazia di Montecassino. I regesti…, p. 349).

M. è di nuovo documentato nell’autunno del 1465, quando fu chiamato da re Ferdinando a occupare la cattedra di filosofia (che mantenne fino alla morte) nello Studio napoletano. In quegli anni fu anche membro attivo dell’Accademia Alfonsina e fu impegnato in varie attività amministrative. Oltre ai ciclici incarichi di abate generale della Congregazione, infatti, il 28 marzo 1468 ricevette dal cardinale Amico Agnifili, vescovo dell’Aquila, anche quello di procuratore del ricco monastero maschile di S. Lorenzo di Aversa e di quello femminile di S. Biagio, dipendente dal precedente e situato nella medesima città. E, soprattutto, il 10 ag. 1471 Ferdinando lo elevò a teologo regio, vale a dire a proprio consigliere per le cause ecclesiastiche. M. entrò così a far parte del più potente e prestigioso fra i tribunali napoletani, il Sacro Regio Consiglio.

Gli impegni universitari e forse le condizioni di salute dovevano rendergli però sempre più onerosi i viaggi in Abruzzo. Il 20 febbr. 1471, perciò, l’atto con il quale, con il consenso di tutta la comunità, si concedeva in fitto un terreno nella località di Roccacasale a tre fratelli del luogo recava l’intitolazione di M. ma la firma autografa del vicario generale, Nicola da Campi, che agiva dietro suo mandato (Inguanez, n. 863). Il 1° genn. 1474 il cardinale Agnifili gli rinnovò la nomina a proprio vicario e luogotenente per l’amministrazione del monastero di S. Lorenzo di Aversa e delle sue dipendenze (ibid., n. 859).

Nel settembre del 1474 fu eletto per la quinta volta abate generale della Congregazione celestiniana. È l’ultima volta che il suo nome compare nella documentazione. Poco più tardi, nel febbraio del 1475, M. morì, probabilmente a Napoli. Non è noto il luogo della sepoltura.

Figura apprezzata dai contemporanei e dagli esponenti del mondo culturale della generazione successiva quali Antonio De Ferrariis, Giovanni Pontano, Pietro Ranzano, nonché di altri ordini religiosi, come il francescano Alessandro De Ritiis, M. indirizzò i suoi interessi culturali, scientifici e didattici soprattutto sulla teologia e sulla filosofia. In particolare, in campo filosofico, sono pervenuti tre suoi scritti: oltre al citato Tractatus de cometa atque terraemotu, il Tractatus de sensu composito et diviso e l’Inquisitio quae scientiarum dignitate praecellere debeat.

Il Tractatus de cometa atque terraemotu (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 268), è stato pubblicato a cura di B. Figliuolo (Salerno 1990). Dell’intero fenomeno sismico l’autore si prefigge di indicare, come affermato nella prefazione, gli antecedentia, i concomitantia e, infine, i consequentia (p. 42). Un ruolo di rilievo nella trattazione riguardante gli antecedentia è attribuito alla cometa; in questo caso l’esemplificazione è condotta sulle comete di cui M. era stato testimone oculare, in particolare quella del 17 maggio 1456 e un’altra apparsa nel 1457, delle quali descrive materia, colore, forma e percorso.

La cometa apparsa sei mesi prima del terremoto del 1456 è presentata da M. come messaggera di calamità naturali e tensioni politiche e civili; sulla scorta di Seneca e Plinio il Vecchio M. descrive poi i vari aspetti in cui la cometa si può presentare. Passa quindi a elencare gli altri segnali che indicano il prossimo verificarsi dell’evento sismico. Si tratta di notazioni empiriche, che si riferiscono a fattori climatici, al comportamento degli animali, nonché avvertimenti miracolosi e soprannaturali.

Quanto alle cause concomitanti del sisma, dopo aver accennato alle opinioni degli antichi filosofi, M. riassume le tesi espresse da Aristotele, dal quale egli esplicitamente dichiara di dipendere, che attribuisce il fenomeno sismico all’evaporazione della terra e dell’acqua. Il vapore che si forma dalle viscere della terra riempie gli interstizi in essa presenti e si agita alla ricerca di una via d’uscita verso l’alto, premendo contro la crosta terrestre sino a farla talvolta vibrare, dando vita così al fenomeno sismico. Esso può manifestarsi in tre modi, e qui M. si richiama piuttosto all’opera di Seneca, attraverso cioè la scossa, il tremito o il movimento ondulatorio. M. passa poi a considerare gli effetti pratici che, in base alla propria esperienza, sogliono seguire un terremoto: crollo degli edifici, inondazioni nelle località colpite, spaccature nei monti e nella crosta terrestre, epidemie tra gli animali, mutamento cromatico dell’aspetto del sole.

Nella conclusione dell’opera M. abbandona i panni del filosofo naturalista per vestire quelli del teologo e del predicatore, sostenendo che la natura si limita sempre a obbedire agli ordini divini e che dunque il terremoto del 1456 altro non aveva rappresentato che la punizione inviata agli uomini per il gran numero e la nefandezza dei peccati commessi.

Carattere sostanzialmente analogo presenta anche il secondo dei trattati di M. pervenuti, il De sensu composito et diviso.

Si tratta di un agile commento, a uso universitario, alle Summulae logicales, il compendio di logica scritto da Pietro Ispano (poi papa Giovanni XXI): un’opera che conobbe un grande successo e che fu largamente utilizzata negli Studia e nelle scuole teologiche. Il trattato, inedito, è presente in un unico codice (Napoli, Biblioteca naz., Mss., V.H.112, cc. 74-99) contenente copia di numerosi lavori filosofici e teologici scolastici.

La terza opera di M. è l’Inquisitio quae scientiarum dignitate praecellere debeat, tradita da un codice miscellaneo cartaceo conservato a Parigi (Bibliothèque nationale, Fonds Espagnol, 448, cc. 207-213, ed. in appendice in Figliuolo, 1997, pp. 71-86).

L’opera si presenta come una quaestio sostenuta di fronte al sovrano e a tutti i giuristi, i medici e i filosofi dello Studio napoletano dall’ormai stanco e malato M. probabilmente negli ultimi anni della sua vita. Condotta secondo la forma usuale, cioè ricercando e connettendo tra loro fundamenta e rationes, a loro volta sostenute dagli argumenta, essa è un’apologia poco originale dell’enciclopedismo scolastico. L’inquisitio fondata sull’autorità indiscussa di Aristotele e dei suoi commentatori più diffusi, discute, in modo articolato, sulla preminenza della filosofia sul diritto.

Dall’analisi dell’opera di M. emerge dunque il carattere fortemente teologizzante e scolastico di tutta la sua cultura. Le autorità seguite sono Aristotele, Seneca, Plinio, Cicerone, i Padri della Chiesa e, tra i «moderni», quasi unicamente i commentatori arabi di Aristotele, Alberto Magno e i logici scolastici più ortodossi. Il suo pensiero appare insomma molto lontano dai temi culturali e scientifici più innovativi che venivano in quel periodo dibattuti e nessuna delle istanze umanistiche sembra trovare spazio nella sua attività speculativa.

Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca naz., Mss., V.H.112, cc. 74-99; V.H.274, c. 108; VII.E.33, c. 163; S. Martino, 80, cc. 38v-39v; Arch. di Stato di Firenze, Signori, Minutari, 9, c. 257; A. De Tummulillis, Notabilia temporum, a cura di C. Corvisieri, in Fonti per la storia d’Italia [Medio Evo], VII, Roma 1890, pp. 151-156; G.G. Pontano, De fortitudine libri II, in Id., Opera, I, Venetiis 1518, c. 80v; A. De Ferrariis, Esposizione del Pater noster, in La Giapigia e varii opuscoli di Antonio De Ferrariis detto il Galateo, a cura di S. Grande, IV, Lecce 1868, p. 194; U. Dallari, I Rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, I, Bologna 1888, pp. 12 s.; G. Pansa, Regesto antico dell’insigne monastero di Collemaggio presso Aquila, in Rass. abruzzese di storia ed arte, IV (1900), pp. 80, 235 s., 239 s., 261; M. Inguanez, Le bolle pontificie di S. Spirito del Morrone conservate nell’Arch. di Montecassino, in Gli Archivi italiani, V (1918), p. 164, n. 76; F. Ehrle, I più antichi statuti della facoltà teologica dell’Università di Bologna…, Bologna 1932, p. 114; A. De Ritiis, La «Chronica civitatis Aquilae»…, a cura di L. Cassese, Napoli 1943, p. 50; A. Capograssi, Le pergamene del monastero di S. Spirito del Morrone negli archivi dell’Annunziata e della cattedrale di Sulmona, in Rass. degli Archivi di Stato, XXII (1962), 3, p. 327 n. 6; Il «Codice Chigi». Un registro della Cancelleria di Alfonso d’Aragona re di Napoli per gli anni 1451-1453, a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1965, p. 196; Abbazia di Montecassino. I regesti dell’archivio, III, a cura di T. Leccisotti, Roma 1966, pp. 344 s., 347-349, 354, 357; A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi dalle origini all’anno 1777, XV, 2, Bologna 1972, pp. 469-471; XVI, 1, ibid. 1972, p. 179; L. Novelli, Un manoscritto celestino della Biblioteca Malatestiana di Cesena, in Benedictina, XX (1973), pp. 268 s.; Regesto Antinoriano, a cura di S. Picentino, L’Aquila 1977, p. 20, n. 32; Regesto delle fonti archivistiche degli Annali antinoriani (voll. III-XVII), a cura di A. Clementi - M.R. Berardi, L’Aquila 1980, ad ind.; Archivia Coelestinorum, L’Aquila 1994-97, I, pp. 131 s., 200; II, pp. 132, 351, 466, 654 s., 663 s., 691-693, 741, 753; Digestum scripturarum Coelestinae Congregationis, a cura di L. Zanotti, L’Aquila 1994-99, I, 1, p. 44; II, 2, pp. 375-379, 693 s.; IV, 1, pp. 335 s., 341, 413-415; IV, 2, pp. 419-421, 431-434; P. Capocitto, Constitutiones monachorum Ordinis S. Benedicti Congregationis Coelestinorum, Bononiae 1590, pp. 335 s.; G.N. Pasquali Alidosi, Li dottori forestieri, che in Bologna hanno letto…, Bologna 1623, p. 53; Constitutiones monachorum Ordinis S. Benedicti Congregationis Celestinorum…, Romae 1627, p. 6; N. Toppi, Biblioteca napoletana…, Napoli 1678, pp. 209 s.; L. Nicodemo, Addizioni copiose… alla Biblioteca napoletana, Napoli 1683, p. 173; G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, I, Napoli 1753, p. 284; A. Dragonetti, Le vite degli illustri aquilani, Aquila 1847, pp. 214 s.; C. Minieri Riccio, Biografie degli accademici Alfonsini detti poi Pontaniani dal 1442 al 1543, Napoli 1880, pp. 133 s.; G. Rivera, Cenni biografici degli arcivescovi e vescovi che sortirono nascimento in Aquila e suo contado, in La Palestra aternina, III (1885), pp. 302-310; G. Pansa - P. Piccirilli, Elenco cronologico delle pergamene e carte bambagine pertinenti all’archivio della Pia Casa della Ss. Annunziata di Sulmona, Lanciano 1891, p. 70; V. Balzano, I legisti ed artisti abruzzesi lettori nello Studio di Bologna, Castel di Sangro 1892, pp. 133-139; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli 1895, ad ind.; R. Filangieri di Candida, L’età aragonese, in Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, p. 185; G. Pansa, Biblioteca stor. degli Abruzzi…, a cura di A. Chiappini, L’Aquila 1964, pp. 123-125, 673; B. Figliuolo, Il celestino abruzzese M. dell’A., filosofo e teologo (1410 ca.-1475), in Id., La cultura a Napoli nel secondo Quattrocento. Ritratti di protagonisti, Udine 1997, pp. 39-86; U. Paoli, Fonti per la storia della Congregazione celestina nell’Arch. segr. Vaticano, Cesena 2004, ad vocem.