INGOLI, Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

INGOLI, Matteo

Giorgio Tagliaferro

Figlio di Francesco, nacque a Ravenna tra il 1586 e il 1587, come si ricava dalla biografia di Carlo Ridolfi (1648).

Il 28 febbr. 1612 compare a Venezia come testimone alle nozze dello scultore Mattia di Paolo Carneri con la figlia dello scultore Andrea Dall'Aquila (Rossi, 2003). Nel relativo documento, che storpia il cognome in "Indoli", viene citato per la prima volta il patronimico. A partire dallo stesso anno, fino al 1630, risulta iscritto regolarmente fra i contribuenti della congregazione dei pittori veneziani (Favaro, 1975), segno che aveva ormai ottenuto lo status di maestro.

Ridolfi afferma che Gabriele Caliari contribuì ad avviarne la carriera, accogliendolo sotto la sua protezione e promuovendolo presso amici e committenti. Ancora nel 1682, come confermato da un inventario, si trovavano nella collezione dell'erede Giuseppe Caliari alcuni dipinti dell'I. citati dallo stesso Ridolfi (Savini Branca).

La scarsità di opere riconducibili al periodo giovanile impedisce di formulare un giudizio compiuto sulla sua formazione. Tuttavia la critica è concorde nel postulare, sulla base delle composizioni successive, un'educazione artistica improntata al gusto manierista di tradizione tintorettesco-veronesiana. In particolare, la carriera del pittore sembra svolgersi a contatto con i coetanei veneziani e sul solco tracciato da Jacopo Palma il Giovane, che lo stesso Ridolfi indica quale punto di riferimento per la sua maturazione stilistica. Talvolta sono stati individuati punti di contatto con certa pittura emiliana, contraddistinta da una sensibilità luministica di ascendenza correggesca. A questa prima fase lacunosa potrebbe risalire l'Ultima Cena con s. Apollinare e il beato Lorenzo Giustinian (Ravenna, Pinacoteca comunale), data all'I. da Ridolfi e Boschini (p. 252), e proveniente dall'altar maggiore di S. Aponal a Venezia, che nel 1604 era in procinto di essere edificato (Viroli).

Non si hanno ulteriori testimonianze prima del 1618, quando l'I. dipinse alcuni archi trionfali con figure di Virtù per accogliere il neoeletto doge Antonio Priuli sbarcato sulla riva di Vigo a Chioggia (Ridolfi). La pittura a sfondo celebrativo, e in particolare la produzione di apparati pubblici, sembra aver costituito un aspetto rilevante della sua attività.

È ancora Ridolfi a ricordare due importanti lavori condotti dall'I. negli anni Venti per la "nazione" fiorentina a Venezia, cui aveva già fornito gli addobbi della festa di S. Giovanni nella chiesa dei Ss. Apostoli: nel 1621, per la morte del granduca di Toscana Cosimo II, realizzò un'architettura effimera in Ss. Giovanni e Paolo, su ideazione del poeta Giulio Strozzi; nel 1623 curò un allestimento in S. Lucia per commemorare l'elezione di Urbano VIII (Maffeo Barberini) al soglio papale. Della prima di queste decorazioni - comprendente un catafalco ligneo, un altare effimero, fregi lungo le pareti della chiesa e altri ornamenti, tra cui chiaroscuri di mano del maestro - resta una dettagliata descrizione dello stesso Strozzi corredata da illustrazioni di un incisore anonimo (Esequie fatte in Venetia dalla natione fiorentina al serenissimo d. Cosimo II quarto gran duca di Toscana il dì 25 di maggio 1621, Venezia 1621).

È invece soltanto documentato l'incarico per l'affresco sul soffitto della sala dei Banchetti in palazzo ducale, facente parte della campagna decorativa avviata dal doge Antonio Priuli. L'I. ricevette 80 ducati per il riquadro centrale, che, inserito tra le prospettive architettoniche e gli ornati di Domenico Bruni e Giacomo Pedrali, era affiancato da due laterali più piccoli di Giuseppe Alabardi e Filippo Zaniberti (Knox). Il soffitto fu terminato entro il 7 febbr. 1622, quando lo stimò Antonio Aliense, ma venne demolito nel 1763.

Dell'opera dell'I. restano i brevi accenni di Ridolfi e Boschini (pp. 81 s.), che la descrivono come una Venezia in maestà seduta sopra nubi, circondata da personificazioni di città sottomesse e da divinità antiche sostenenti lo scudo del doge regnante. Un disegno raffigurante Nettuno, le città della Repubblica di Venezia e l'insegna della famiglia Priuli (Berlino, Kupferstichkabinett) sembra riportare lo schema preparatorio di questo dipinto (Meijer).

Ridolfi riferisce anche di una pittura eseguita dall'I. per il palazzo del nobile Luigi Mocenigo, all'interno di un ciclo a più mani con scene tratte dalle imprese di famiglia.

Secondo la proposta di Ivanoff potrebbe trattarsi della tela con lo Sbarco trionfale del doge Tommaso Mocenigo, ritrovata in palazzo Mocenigo-Robilant a S. Samuele insieme con altre opere, assegnate dallo studioso al Padovanino (Alessandro Varotari) e a Matteo Ponzone. Questi ultimi sarebbero stati impegnati nella decorazione del medesimo edificio, come sembrano confermare le spese per alcuni loro quadri annotate tra 1623 e 1626 in un registro di casa Mocenigo, nel quale però non è riportato il nome dell'Ingoli.

Nel 1627 la Scuola del Nome di Dio, avente sede in Ss. Giovanni e Paolo, affidò all'I. il progetto per il nuovo altare della propria cappella (la prima a destra entrando in chiesa). Il suo disegno fu approvato dai confratelli una prima volta il 4 marzo e nuovamente il 15 maggio, e vagliato infine l'8 giugno dagli architetti Francesco Contin, Antonio Smeraldi, Silvestro Tagliapietra e Baldassare Longhena. Nei relativi documenti (Vio) l'artista è detto "pittor et architetto", a testimonianza di un'attività non isolata che trova riscontro nelle parole di Ridolfi (p. 247): "si dilettò anco dell'Architettura, e dicesi fosse di sua inventione l'Altar maggiore di San Lorenzo di Venetia".

Al 1627 risale anche la Madonna in gloria col Bambino e i ss. Scolastica, Antonio Abate e Francesco (Breonio di Verona, parrocchiale), già in Ss. Marco e Andrea a Murano, di cui parlano Ridolfi e Boschini (p. 534). La pala, originariamente centinata, è stata tagliata nelle due parti oggi visibili: una lunetta con la Vergine e s. Scolastica e una tavola rettangolare con due figure di santi in un paesaggio. Quest'ultima riporta, in basso al centro, la data in numeri romani (Spiazzi).

Facendo base a Venezia l'I. partecipò con il Padovanino e Ponzone alla decorazione della chiesa di S. Teonisto a Treviso annessa a un convento di monache domenicane. Il 17 nov. 1629 ricevette 80 ducati, 20 in meno rispetto alla somma ricevuta da entrambi i suoi colleghi, per le due tele con Gesù tra i dottori e il Riposo durante la fuga in Egitto (Liberali).

Quest'ultima presenta sullo sfondo non la Strage degli innocenti, come spesso erroneamente riportato, bensì la Caduta degli idoli narrata nel Vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo. Le sei tele complessive, tutte a tema mariano e cristologico, occupavano l'attico della navata (quelle dell'I. si trovavano nel lato a cornu Evangelii), donde furono trasferite nel Museo civico della città in seguito ai bombardamenti del 1944 (Coletti; Menegazzi).

È del 1630 la Vergine con il Bambino e i ss. Anna, Domenico, Margherita e Chiara, la Fortezza e la Prudenza (Venezia, chiesa dei gesuati, già Murano, Ss. Marco e Andrea), unica opera firmata e datata dall'I., menzionata nella sua sede originale da Ridolfi e Boschini (p. 536).

A questa fase matura, ben documentata grazie alle tele qui menzionate, sono stati riferiti altri dipinti che comprovano una piena adesione alla temperie formale del terzo decennio del secolo, quando l'eredità palmesca produce diffusi fenomeni di accademismo neocinquecentesco.

È il caso della Madonna del Rosario, pala firmata (parrocchiale di Almissa in Dalmazia), raffigurante al centro la Vergine incoronata col Bambino in atto di donare il rosario ai santi Caterina da Siena e Domenico, in alto quindici tondi con i misteri del rosario, in basso in primo piano alcuni ritratti di donatori, sullo sfondo al centro il papa, il doge e l'imperatore (Prijatelj). Per confronto con la costruzione spaziale di questo dipinto, è stata attribuita all'I. (Aloisi) l'Incoronazione della Vergine (Rauscedo, Ss. Maria e Giuseppe, proveniente dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia), dove sono anche raffigurati la visitazione al centro sullo sfondo e un ritratto di donatore in primo piano a sinistra. Una firma molto deperita assegnerebbe all'I. anche la Madonna col Bambino e i ss. Zenone e Giovanni Battista (Treviolo, Ss. Nazaro e Celso), di cui tuttavia non si hanno ulteriori notizie documentarie (Olivari).

Delle sei tele nella cappella a destra del presbiterio in S. Sebastiano a Venezia (Nascita della Vergine, Presentazione della Vergine al tempio, Sposalizio, Visitazione, Natività di Cristo, Fuga in Egitto), che Boschini (p. 336) attribuisce all'I., solo la prima e l'ultima si trovano ancora in loco, spostate tuttavia nella cappella di sinistra (Ridolfi ne cita solo quattro). Non rientra invece nell'elenco l'Annunciazione attualmente sul fondo della parete, che - nonostante venga spesso riferita all'I. - sembra di mano diversa e va probabilmente espunta dal suo catalogo. Sempre secondo le fonti gli spettano ancora quattro tele con Cardinali dell'Ordine agostiniano nella sacrestia di S. Stefano (Ridolfi; Boschini, p. 117), la cui attribuzione è tuttavia dibattuta; la pala con Padre Eterno in gloria e angeli in S. Lorenzo a Vicenza, proveniente dall'altar maggiore della chiesa veneziana del Corpus Domini (Boschini, pp. 496 s.; Spiazzi); l'Assunzione della Vergine nel santuario della Vergine Assunta a Borbiago di Mira, in origine collocata dietro l'altar maggiore dei Ss. Giovanni e Paolo (Ridolfi; Boschini, p. 224; Moretti). Si sono invece perdute le tracce di numerose altre opere per chiese e per privati veneziani, segnalate dagli autori antichi.

Non si conoscono altri dati inerenti la vita e l'attività dell'Ingoli. Secondo quanto riferito da Ridolfi, il pittore morì nel 1631 all'età di quarantaquattro anni, stroncato dalla peste mentre era intento a creare un modello per la chiesa della Salute, dono votivo alla Vergine da parte dei Veneziani per la liberazione dal morbo.

Fonti e Bibl.: C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte… (1648), a cura di D.F. von Hadeln, II, Berlin 1924, pp. 247-250; M. Boschini, Leminere della pittura, Venezia 1664, pp. 81 s., 117, 224, 252, 336, 496 s., 534, 536; L. Coletti, Catalogo delle cose d'arte e antichità di Treviso, Roma 1935, pp. 268 s.; G. Liberali, Appunti d'archivio: originali inediti di Paolo Veronese, Jacopo Palma, Antonio Fumiani, Gerolamo Campagna, Antonio Zucchi e altri minori nella chiesa di S. Teonisto a Treviso, in Rivista d'arte, XXII (1940), p. 266; L. Menegazzi, Il Museo civico di Treviso, Venezia 1964, pp. 119 s.; S. Savini Branca, Il collezionismo veneziano nel '600, Padova 1964, pp. 27, 196; N. Ivanoff, Un ignoto fregio del Seicento con i fasti di Tommaso Mocenigo, in Arte veneta, XIX (1965), pp. 160 s.; C. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 209-211 (con bibl.); K. Prijatelj, Una pala firmata da M. I. in Dalmazia, in Arte veneta, XXVI (1972), pp. 202 s.; E. Favaro, L'arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, p. 150; J. Byam Shaw, Drawings by old masters at Christ church, Oxford, I, Oxford 1976, pp. 225 s.; M. Dazzi - E. Merkel, Catalogo della Pinacoteca della Fondazione scientifica Querini Stampalia, Vicenza 1979, pp. 55 s.; G. Knox, The sala dei Banchetti of the ducal palace. The original decorations and Francesco Guardi's "veduta ideata", in Arte veneta, XXXIV (1980), pp. 202 s.; A.M. Spiazzi, Dipinti demaniali di Venezia e del Veneto nella prima metà del secolo XIX. Vicende e recuperi, in Bollettino d'arte, XX (1983), 20, pp. 94, 120; M. Olivari, Presenze venete e bresciane, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, II, Bergamo 1984, pp. 185 s.; B.W. Meijer, Disegni di M. I., in Prospettiva, 1989-1990, nn. 57-60, pp. 163-166; S. Aloisi, Proposte attributive per quattro tele conservate in chiese del Friuli occidentale, in Ce fastu?, LXXI (1995), p. 88; L. Moretti, L'altar maggiore. La costruzione, in Per una monografia sulla basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, Venezia 1996, p. 63; G. Vio, Le cappelle della navata destra. La cappella del Santo Nome di Dio: dodici sculture lignee di Giovanni Ach e un altare di M. I., ibid., p. 73; G.C.F. Villa, Treviso, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, I, Milano 2000, pp. 193 s.; N. Roio, ibid., II, ibid. 2001, p. 838; G. Viroli, in Pinacoteca comunale di Ravenna. Museo d'arte della città. La collezione antica, a cura di N. Ceroni, Ravenna 2001, pp. 104 s. (con bibl.); P. Rossi, Andrea Dall'Aquila e Mattia Carneri a Venezia, in Scultura in Trentino. Il Seicento e il Settecento, a cura di A. Bacchi - L. Giacomelli, Trento 2003, p. 400 n. 21; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, pp. 599 s.

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