MOLFINO, Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MOLFINO, Matteo.

Giuseppe Monsagrati

– Nacque a Rapallo il 16 ag. 1778 da Ambrogio, avvocato,  e da Anna Assereto.

Entrambi i genitori discendevano da famiglie rese illustri dai rispettivi antenati ed entrambi avevano un ruolo sociale distinto, il padre per aver ricoperto dopo la fine della Repubblica di Genova varie cariche pubbliche, prima come membro del Direttorio della neonata Repubblica Ligure insediato a Genova nel 1797 dai Francesi, poi come membro della prima sessione della commissione del Consiglio civile (1800) e come consigliere della corte d'appello di Genova (1805); la madre per essere sorella di Giuseppe Assereto, ricco proprietario di Rapallo che tra i primi si era schierato con i giacobini: membro del governo provvisorio della Repubblica Ligure (1797), della commissione di governo (dicembre 1799) e del Senato della Repubblica, nel 1805, sotto l'Impero, divenne maire di Rapallo.

Cresciuto in un ambiente al centro di vicende tumultuose come quelle innescate dalla Rivoluzione francese, il M. si avvicinò giovanissimo al gruppo dei giacobini formatisi sulle idee diffuse da Filippo Buonarroti nella sua attività di commissario impegnato in un lavoro di proselitismo democratico. Altro interlocutore importante era il francese M.-A. Jullien, ben nota figura del radicalismo rivoluzionario che, inviato in Italia da Napoleone Bonaparte, aveva cercato di ostacolare la politica del Direttorio francese collegandosi con i primi esponenti dell’unitarismo italiano, alcuni dei quali confluiti nella Società dei raggi. Non è provato che il M. ne abbia fatto parte; è invece assodata la sua presenza nella redazione del Censore italiano (dal 13 febbr. 1798 semplicemente Il Censore), un foglio trisettimanale fondato a Genova, cui il M. collaborò nella prima stagione di vita, quella più risolutamente democratica, destinata a protrarsi fino all’agosto del 1798.

Della redazione, composta in genere di giovani assai politicizzati, fece parte anche Giacomo Mazzini, futuro padre di Giuseppe, che forse rappresentò l’elemento più moderato all’interno di un foglio che si segnalò subito per la durezza delle critiche rivolte al governo provvisorio della Repubblica, ritenuto, a causa di una eccessiva e forse complice tolleranza, «responsabile della ripresa delle forze reazionarie e della decadenza dello spirito pubblico» (Capra, p. 454). In questo quadro i bersagli maggiormente presi di mira furono il clero e i patrizi, additati gli uni e l’altro come esponenti di una mentalità incompatibile con i principî e i valori della democrazia, mentre il vero termine di riferimento era visto nel popolo a favore del quale si auspicava un netto miglioramento dell’istruzione pubblica. Il principale fattore di novità era però rappresentato dal rifiuto del municipalismo e dall’adozione di una prospettiva unitaria certamente in largo anticipo sui tempi.

Quasi parallela alla pubblicazione del Censore si svolse a partire dal 18 febbr. 1798 l’attività del Circolo costituzionale della Liguria, una sorta di scuola di politica per la quale il M. svolse alcune conferenze: di una di esse si sa che si soffermava in particolare «su i danni che la superstizione e l’ignoranza hanno sempre arrecato all’uomo» e che si chiudeva con la richiesta alle autorità pubbliche di creare una commissione incaricata di redigere «una istruzione repubblicana in forma di dialoghi, che verta principalmente sulle virtù sociali» (Morabito, p. 165). L’obiettivo era quello di rendere sempre più popolari gli ideali democratici, in modo da poter fronteggiare una realtà continuamente minacciata dalle trame nobiliari e dalla controffensiva austriaca che ne sarebbe stata il prevedibile coronamento. Ciò rese molto esposta la posizione del M. e dei suoi colleghi, spesso accusati di violazione della Costituzione e di turbamento della pace pubblica: costretti a lasciare il periodico a una direzione più moderata, alcuni di essi (ma non il M.) passarono in gran parte al Monitore ligure che iniziò le pubblicazioni il 17 sett. 1798.

L’impegno come pubblicista, vissuto dal M. con tutto l’entusiasmo del giovane che sapeva di vivere una fase di decisivi rivolgimenti politici e sociali, ebbe anche il merito di metterlo in relazione con altri protagonisti di quella stagione: così conobbe e fu amico di U. Foscolo nel periodo in cui il poeta visse a Genova, soprattutto fu in corrispondenza con Giovanni Fantoni (Labindo), membro della Società dei raggi, che tra il 1797 e il 1798 lo tenne puntualmente al corrente dei suoi progetti e forse ne influenzò l'orientamento manifestando più di un dubbio sulla buona fede dei Francesi. Fu infatti da queste conoscenze che il M. vide rafforzato l’amore per le lettere e l’interesse per la bibliofilia, un settore che negli anni a venire avrebbe assorbito molte sue energie e sostanze nella raccolta di una biblioteca ricchissima di testi e manoscritti antichi, relativi in particolare alla storia di Genova nel Cinque-Seicento. Sarebbe stata questa la passione della sua vita, che lo avrebbe qualificato come uomo di cultura, chiamato a far parte sin dalla fondazione (1833) della Deputazione di storia patria di Torino. Proprio nelle adunanze della Deputazione (e con il M. ancora in vita) L. Sauli avrebbe più volte, tra il 1848 e il 1854, richiamato l’attenzione sulla sorte di questo grande patrimonio librario e soprattutto dei manoscritti cinquecenteschi di G.B. Cicala.

Consumatisi la Restaurazione austriaca e il rapido ritorno dei Francesi, quando la città fu annessa all’Impero il padre del M. fu nominato membro del Consiglio di uno dei dipartimenti – detto «degli Appennini» – in cui fu suddiviso il territorio della ex Repubblica. Anche il M., riconsiderate le condizioni in cui era venuta a trovarsi la Liguria, pensò bene, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, di dedicarsi alla professione legale: il governo francese gli venne incontro assegnandogli l’incarico di avvocato delle dogane. All’indomani del congresso di Vienna e dell’annessione della Liguria al Piemonte, mentre il padre era chiamato a presiedere il Senato di Genova, il M., probabilmente anche in virtù del prestigio della famiglia, ebbe agevolata la partecipazione alla vita pubblica: dal 1816 fu più volte presente nel Decurionato cittadino, e, nel 1819, fu nominato sostituto avvocato fiscale. Cominciò così una carriera nell’amministrazione che rivelò in lui il possesso di buone competenze nel settore dell’assistenza sanitaria, soprattutto in occasione delle epidemie, e in quello dell’istruzione pubblica, che volle affidato in gran parte al barnabita G.B. Spotorno. Sul piano politico si convertì al moderatismo, e il motivo di tale svolta va ricercato, oltre che in un sopraggiunto realismo della maturità, nel desiderio di favorire la ricerca di un modus vivendi con la monarchia sabauda, non troppo gradita ai Genovesi. Il M. riteneva infatti che solo la concessione da parte di Torino di un regime rappresentativo avrebbe consentito il superamento delle frattura apertasi con l’annessione della Liguria allo Stato sabaudo: se ne ebbe la prova nel 1821 quando, sindaco di Genova con G. Cattaneo, convocò il Consiglio per fargli votare un indirizzo di plauso a Carlo Alberto, in cui la promessa Costituzione era salutata con favore come il solo mezzo di conciliazione tra la tradizione repubblicana ligure e la sovranità monarchica.

Del giacobinismo della giovinezza il M. conservò soprattutto l’istanza unitaria cui faceva appello quando si trattava di contrastare il municipalismo in cui scorgeva anche la causa del degrado della vita amministrativa.

A ridosso del 1848 il M. fu suggestionato dalle teorie giobertiane ma, come ebbe modo di confidare a V. Ricci, quando V. Gioberti andò al potere (con Ricci all’Interno) il M. restò deluso dai suoi continui cedimenti alle pressioni dell’ultra sinistra e, più ancora, dalla decisione di un intervento armato del Piemonte per riportare il granduca in Toscana: decisione assai controversa, tanto che alla fine Gioberti dovette rassegnare le dimissioni. Sempre nel 1848 il M. fu eletto per due volte al Parlamento subalpino, ma l’elezione fu annullata entrambe le volte, la prima per un vizio di forma, e la seconda per incompatibilità con la funzione di segretario comunale da lui rivestita. Priore dal 1846 del Magistrato di misericordia, di cui era membro dal 1817, dedicò grande attenzione alle varie fasi dell’epidemia di colera cittadina del 1854-55 restando in città proprio per poter seguire da vicino l’organizzazione dei soccorsi a sollievo della parte più esposta della popolazione.

Il M. morì a Genova il 23 nov. 1859.

Fonti e Bibl.: M.G. Canale, Necrologia dell’avvocato M. M., Genova 1859; Ed. nazionale delle opere di U. Foscolo, XIV, Epistolario, a cura di P. Carli, Firenze 1970, pp. 77 s.; G.L. Bruzzone, Lettere inedite del p. Ottavio Assarotti a M. M., in Ricerche, XII (1992), pp. 69-82; A. Manno, L’opera cinquantenaria della R. Deputaz. di storia patria di Torino (1833-1883), Torino 1884, pp. 28 s., 91; Municipio di Genova, Museo del Risorgimento (catal.), a cura di A. Neri, I, Milano 1915, pp. 165 s.; II, ibid. [1924?], pp. 57 ss.; V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo (1768-1836), Genova 1932, pp. 251, 281; G. Vaccarino, I patrioti «anarchistes» e l’idea dell’Unità italiana (1796-1799), Torino 1955, p. 61; L. Morabito, Il giornalismo giacobino genovese, 1797-1799, Torino 1973, ad ind.; C. Capra, Il giornalismo nell’età rivoluzionaria e napoleonica, in V. Castronovo - G. Ricuperati - C. Capra, La stampa italiana dal Cinquecento all’Ottocento, Roma-Bari 1976, pp. 424, 454; R. Beccaria, I periodici genovesi dal 1473 al 1899, Genova 1994, ad ind.; Marc-Antoine Jullien segretario generale della Repubblica Napoletana. Lettere e documenti, a cura di M. Battaglini, Napoli 1997, p. 65; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 672; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce. Notizie sul padre del M. in L. Sinisi, Giustizia e giurisprudenza nell'Italia preunitaria. Il Senato di Genova, Milano 2002, p. 430.

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