PALMIERI, Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALMIERI, Matteo

Elena Valeri

PALMIERI, Matteo. – Nacque a Firenze il 13 gennaio 1406 da Marco, iscritto all’arte dei medici e speziali, e da Tommasa Sassolini.

La famiglia paterna era originaria del Mugello; il nonno Antonio si trasferì a Firenze nel 1379 ed esercitò come speziale. Il padre e lo zio Francesco ricoprirono cariche pubbliche non solo nell’ambito della loro arte ma anche nelle principali istituzioni fiorentine, come Palmieri racconta nei Ricordi fiscali (a cura di E. Conti, Roma 1983, pp. 212 s.).

Sebbene coinvolto molto presto nella gestione della bottega di famiglia, con maggiore intensità dopo la morte del fratello maggiore Bartolomeo (1423), frequentò lo Studio, dove ebbe maestro di grammatica e retorica Giovanni Sozomeno e di retorica e poetica Carlo Marsuppini, nel 1444 succeduto a Leonardo Bruni nella carica di cancelliere della Repubblica (nel 1453 Palmieri pronunciò la sua orazione funebre, che fu pubblicata la prima volta nei Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina di Salvino Salvini, Firenze 1717, p. 525). Negli anni di formazione sui classici latini e greci (nei Ricordi fiscali in data 13 maggio 1429, scrive di avere venduto un codice contenente le commedie di Plauto da lui trascritte), strinse rapporti di amicizia umana e intellettuale con «il fiore della fiorentina gioventù» (Vitacivile, a cura di G. Belloni, Firenze 1982, I, 115, p. 37). Giannozzo Manetti, Leonardo Dati, Niccolò Niccoli, Alamanno Rinuccini, Neri Capponi, Luigi Guicciardini, Franco Sacchetti, Beato Angelico, Paolo Del Pozzo Toscanelli sono tra i letterati, politici, artisti frequentati da Palmieri, tutti rappresentativi dei principali orientamenti del sistema politico mediceo, fra mecenatismo culturale, dimensione religiosa e identità civile. Alcuni di essi compaiono come dedicatari o tra i personaggi delle sue opere. Tra costoro erano gli intellettuali che si riunivano nel monastero camaldolese di S. Maria degli Angeli intorno al priore Ambrogio Traversari, il quale, anche grazie al sostegno di Cosimo de’ Medici, aveva creato un centro per lo studio della patristica. All’evento culmine di questa stagione, il concilio di Ferrara e Firenze (1438-39) sulla riunione delle Chiese latina e ortodossa, tenacemente sostenuta tra gli altri da Traversari, Palmieri partecipò come ufficiale legato della Repubblica fiorentina; una sua Historia concilii Florentini è perduta.

Estratto per la prima volta nel 1430 come priore, fu costretto a rinunciare per la giovane età; il 26 febbraio 1432 fu nominato fra gli Otto Sindaci del podestà, l’anno successivo fu per un semestre dei Sette Ufficiali di Torre per il quartiere di S. Giovanni, dove era nato e viveva con la famiglia (nel 1433 sposò Niccolosa Serragli, da cui non ebbe figli) e con gli orfani di Bartolomeo, di cui aveva assunto la custodia. In anni cruciali per Firenze, segnati dal passaggio dal regime oligarchico alla signoria medicea, Palmieri fece parte, nel 1434, della Balia che consentì, dopo nemmeno un anno di esilio, il ritorno di Cosimo a Firenze e il confino dei suoi oppositori politici.

In questi frangenti si dedicò alla stesura della Vita civile, un trattato in forma di dialogo preceduto da un proemio di dedica all’amico e uomo politico Alessandro degli Alessandri. L’opera si inserisce nella tradizione toscana di valorizzazione del volgare, che risaliva fino a Dante Alighieri. Destinata a divenire uno degli scritti di riferimento dell’umanesimo civile fiorentino, fu pubblicata solo nel 1529 (Firenze, Eredi F. Giunti) e più volte riedita, anche in francese (Parigi, E. Groulleau, 1557). Si presenta come un testo di formazione politica dei futuri cittadini e governanti destinati a emergere, a prescindere dai propri natali, grazie all’intenzione di perseguire il bene comune. I tre interlocutori, Agnolo Pandolfini, Luigi Guicciardini e Franco Sacchetti, si ritrovano in una villa del Mugello di proprietà di Palmieri dopo avere lasciato Firenze per sfuggire alla peste nell’estate del 1430. è questo il termine postquem per la controversa datazione dell’opera, che probabilmente era terminata già nel 1436, con qualche aggiunta nei due anni successivi. La materia del dialogo è divisa in quattro libri: «nel primo con diligentia si conduce il nuovamente nato figliuolo infino alla età perfecta del huomo, dimostrando con che nutrimento et sotto quali arti debbe riuscire più che gli altri excellente. I due libri sequenti sono scripti della honestà, contengono in che modo l’uomo d’età perfecta in privato et publico operi secondo qualunque morale virtù. Onde nel primo di questi copiosamente si tracta di prudentia, temperantia et fortezza et di più altre virtù contenute da queste; l’altro che è nell’ordine terzo, tutto è dato a iustitia, la quale è la più optima parte de’ mortali et sopra ad ogn’altra necessaria a mantenere ogni bene ordinata repubblica [...]. L’ultimo libro solo è scritto dell’utile: provvede alla copia, a l’ornamento, alle facultà et abondanti ricchezze di tutto il corpo civile» (1982, pp. 8 s.). Lo Stato, inteso in senso aristotelico come prodotto e fine degli uomini, è alla base della concezione civile di Palmieri, che rievoca due luoghi fondamentali del rapporto tra cultura classica e impegno civile: il Somnium Scipionis di Cicerone e il mito di Er di Platone.

Negli stessi anni in cui lavorò alla Vita civile, Palmieri si dedicò alla scrittura storica, avviando la redazione degli Annales (o Historia Florentina), scritti parte in latino parte in volgare e destinati a seguire l’autore lungo tutta la sua esistenza, come una sorta di diario in cui annotò in modo cronachistico gli eventi principali riguardanti Firenze e l’Italia dal 1429 al 1474, valendosi, grazie alle cariche pubbliche ricoperte, di documenti degli Archivi fiorentini. Rimasti inediti nell’autografo Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XXV.551, gli Annales sono stati pubblicati solo agli inizi del XX secolo come Appendice al Liber de temporibus (a cura di G. Scaramella, in Rerum Italicarum Scriptores, XXVI, 1, Città di Castello, 1915-16, pp. 129-194).

Un altro testo che abbraccia un arco di tempo ampio nella vita di Palmieri è quello relativo alle annotazioni di spese, pagamenti di tasse e informazioni di ogni genere sulla attività economica sua e della famiglia dal 1427 al 1475. Conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze (Acquisti e doni, 7) e pubblicato con il titolo di Ricordi fiscali, questo codice costituisce una fonte di particolare interesse non solo per seguire le fortune patrimoniali dell’autore, ma anche per ricostruire il sistema economico nella Firenze quattrocentesca.

Nel 1437 Palmieri fu eletto gonfaloniere di compagnia per il quartiere di S. Giovanni (carica che ricoprì anche nel 1440 e nel 1452). Per questa occasione scrisse il Protesto, un’orazione in volgare declamata durante la cerimonia di investitura al cospetto della Signoria. Il testo si articola in due parti: una ripercorre la storia dell’istituzione del gonfalonierato di Giustizia a partire dalla sua origine negli Ordinamenti del 1289, per cercare di porre un freno alle divisioni intestine tra guelfi e ghibellini; l’altra in cui Palmieri pronuncia l’elogio della giustizia e delle istituzioni cittadine, in linea con il terzo libro della Vita civile a cui stava allora lavorando.

Dopo il completamento della Vita civile tornò alla attività di storico con la biografia di Niccolò Acciaioli (1310-1365), divenuto gran siniscalco del Regno di Napoli ai tempi della regina Giovanna I.

La Vita Nicolai Acciaioli, dedicata al discendente Adovardo Acciaioli, amico e collega di Palmieri, composta intorno al 1440, ricostruisce secondo il modello delle Viteparallele di Plutarco le origini familiari di Niccolò, le sue imprese politiche e militari, il suo profilo umano, con risultati talvolta più apologetici che storici. Il proemio, che si rifà al De officiis di Cicerone, insiste sull’importanza del ricordo per dare nella storiografia il giusto valore alle vicende e agli uomini grandi. Palmieri si valse delle biografie di Acciaioli già esistenti, in particolare la Vita di Niccola Acciaiuoli gran siniscalco di Filippo Villani, ma utilizzò anche documenti privati della famiglia. Redatta in latino, la Vita si inserisce nel quadro di rinnovato interesse per la biografia storica maturato in seno alla cultura umanistica. Fu pubblicata per la prima volta solo nel XVIII secolo all’interno dei Rerum Italicarum Scriptores (XIII, Milano 1728); maggiore circolazione ebbe la versione volgarizzata e in parte modificata, data alle stampe a Firenze nel 1588 (tip. B. Sermartelli), in calce alla Istoria della casa degli Ubaldini di Giovanni Battista Ubaldini (ed. crit. a cura di A. Mita Ferraro, Bologna 2001).

Nell’ottobre-novembre 1438 Palmieri fu camerlengo della Camera, organo finanziario dello Stato fiorentino. Nel 1440, a partire dal 1° marzo per la durata di un anno, fu tra gli Ufficiali del Monte e a maggio fra gli Sgravatori del suo Gonfalone, l’anno successivo tra i Cinque Ufficiali dello Studio Fiorentino, nel 1442 tra i Dodici Buonuomini. Nel 1444 fece parte della Balia che doveva decidere il destino dei condannati del 1434 e svolse il delicato ruolo di segretario dello Scrutinio, così come anche nel 1448. Nel 1445 ebbe per la prima volta un incarico fuori Firenze: fu capitano a Livorno per alcuni mesi, poi eletto tra i priori. Nel 1446, dopo essersi congedato dalla gestione della farmacia di famiglia, fu nominato ufficiale del Monte e conservatore delle Leggi. Nel 1447 e negli anni successivi partecipò alle Consulte. Nel 1449 fu tra gli Otto di Guardia. La varietà degli uffici ricoperti gli consentì di acquisire una conoscenza approfondita della macchina dello Stato e rivela la vicinanza al gruppo di potere mediceo e il convinto appoggio a Cosimo, per il quale Palmieri firmò anche un documento di sostegno datato 10 maggio 1449 (Rubinstein, 1999, pp. 34-39).

Negli anni Quaranta continuò a cimentarsi con il genere storico e nel De captivitate Pisarum ricostruì le vicende che portarono nel 1406 alla conquista fiorentina di Pisa, evento cruciale nella storia dell’Italia quattrocentesca, che pose fine al conflitto decennale tra la Repubblica e Milano e segnò l’inizio della creazione di uno spazio regionale in Toscana.

Dedicato a Neri Capponi, figlio di Gino, principale artefice della vittoria fiorentina, il testo è rimasto inedito fino al XVIII secolo (a cura di G.B. Recanati, in Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, VIII, 2, Lyon, 1723) e solo nel secolo scorso è stato oggetto di studio (ed. crit. a cura di A. Mita Ferraro, Bologna 2001). Dopo una iniziale asserzione sulla funzione celebrativa della storia («presertim cum nihil aliud fere sit historia nisi celebratio virorum illustrium», p. 2), Palmieri si sofferma sull’importanza del principio educativo civile insito nella storia («Historia... alacrioresque nos ad rempublicam defendendan et magnas res gerendas facit... Exemplis certe honoris cupido incenditur, et bonam famam magnamque nobilitatem enixius homines imitantur», p. 4). Prima di iniziare la narrazione degli avvenimenti e delle «recentes causas» che tra il 1405 e il 1406 portarono alla resa di Pisa, si sofferma sulle origini dell’inimicizia tra le due città. Quindi la narrazione si snoda lungo una fitta serie di rivolte, negoziati, assedi, con il precipuo fine di valorizzare la dignità e l’amor patrio fiorentino, il prestigio e l’identità della Repubblica, in una stretta relazione con la Historia Florentini populi di Leonardo Bruni.

Tra il 1445 e il 1448 Palmieri si dedicò alla composizione del Liber de temporibus, una cronologia universale dalla nascita di Cristo sino al 1448, dedicata a Piero de’ Medici, padre di Lorenzo, e destinata a una grande fortuna manoscritta e a stampa.

Pubblicata a Milano nel 1475 (tip. F. Lavagna), a Venezia nel 1483 (tip. E. Ratdolt) e in numerose edizioni per tutto il XVI secolo in Italia e in Europa, l’opera fu apprezzata dagli storici contemporanei e successivi (da Alamanno Rinuccini a Biondo Flavio, Cristoforo Landino, Paolo Cortesi, Paolo Giovio) e fu continuata fino al 1482 dal letterato pisano Mattia Palmieri. Presentato molto spesso come continuazione del Chronicon di Eusebio di Cesarea, il testo è una secca elencazione di eventi cadenzata dal succedersi dei pontefici e degli imperatori. La scansione annuale non viene mai assorbita dalla continuità della narrazione che procede divisa in tanti segmenti in cui i fatti appaiono tutti sullo stesso piano.

Negli anni Cinquanta furono ancora affidati a Palmieri magistrature e incarichi di rilievo: il gonfalonierato di Giustizia nel 1453, il vicariato in vari centri della Repubblica, ambascerie (nel 1452 a Perugia, nel 1455 a Napoli, nel 1458 in Lunigiana), per la terza volta il gonfalonierato di Compagnia nel 1452; nel 1453 fu tra i sei Consoli del mare. Dal 1458 al 1465 fu eletto fra i Dieci Accoppiatori, mentre proseguirono le partecipazioni a consulte, balie e uffici vari in materia fiscale. Nel 1460 fu capitano a Pistoia per sei mesi e nel 1462 ancora per sei mesi fra gli Otto di Guardia.

Tra il 1455 e il 1464 cade la composizione di un lungo poema, intitolato Città di vita, formato da cento capitoli in terza rima articolati in tre libri.

L’opera, alla quale Palmieri continuò a lavorare probabilmente fino al termine della sua vita, è il racconto di un viaggio nell’oltretomba, sul modello della Commedia dantesca, compiuto dall’autore al fine di apprendere l’origine e la natura delle anime e il loro destino ultraterreno. Diversamente da Dante, Palmieri sembra ispirarsi alle dottrine del filosofo greco Origene, in particolare a quelle sull’incarnazione degli angeli in terra per purificarsi e tornare a Dio. Conclusa la stesura, Palmieri affidò la revisione del testo a Leonardo Dati, ma nonostante avesse rimesso mano al poema sulla scorta delle annotazioni di quest’ultimo, l’opera non solo non fu data alle stampe, ma secondo alcuni studiosi fu consegnata dallo stesso autore alla corporazione dei Giudici e notai «ut non aperiatur» (Bandini, 1778, col. 81) e fu pubblicata, parzialmente, solo nel XVIII secolo (ibid., coll. 85-95). Nell’orazione funebre per Palmieri Alamanno Rinuccini vi fa solo un accenno e nel XVI secolo molti letterati formularono accuse di eterodossia su di essa; Paolo Giovio si spinse addirittura a insinuare che Palmieri fosse «un seguace dell’eresia ariana» e a sostenere che il poema era stato «condannato dai teologi e bruciato» (Giovio, 2006, p. 358). La parabola intellettuale di Palmieri si consumò, in realtà, in stretta connessione con la mutata realtà politica e culturale della sua città, indirizzatasi verso quelle istanze neoplatoniche che a distanza di alcuni anni sarebbero state al centro della riflessione dell’Accademia Platonica fondata da Marsilio Ficino.

Nel 1464 morì Cosimo de’ Medici. Nonostante la difficile congiuntura interna, la successione di Piero, con il quale Palmieri aveva un’antica consuetudine, significò un’ulteriore affermazione negli organi del governo cittadino: continuò a far parte delle Balie e gli furono affidate missioni diplomatiche a Roma nel 1466, nel 1468, nel 1473 e nel 1475, a Bologna nel 1466, a Milano nel 1467, ma a quest’ultima ambasciata rinunciò per problemi di salute. Nel luglio 1468 fu eletto priore e tra i venti Ufficiali del Catasto. Nello stesso anno commissionò un ritratto in marmo allo scultore Antonio Gambarelli, detto il Rossellino, oggi conservato al Museo nazionale del Bargello. Dopo la morte di Piero de’ Medici, nel 1469, entrò a far parte dei centocinquanta cittadini incaricati di formare una nuova balia voluta da Lorenzo. Nel 1472 fu vicario in Valdinievole, accoppiatore e dei Dodici Buonomini. L’anno successivo fu tra i Conservatori delle leggi e oratore ancora a Roma, presso Sisto IV, per trattare il rinnovo della Lega Italica. Nonostante la salute malferma, nel 1474 ricoprì l’incarico di vicario a Volterra, dove affrontò una situazione particolarmente difficile dopo la sanguinosa repressione della rivolta condotta da Federico da Montefeltro e la crisi economica che attanagliava la città. Dal 1° gennaio 1475 fu eletto tra gli Otto di Custodia.

Non portò a termine il mandato, perché il 13 aprile 1475 morì a Firenze. Le esequie, alla presenza di Lorenzo de’ Medici, furono celebrate nella chiesa di S. Pier Maggiore; Alamanno Rinuccini, per incarico dello Stato, tenne l’orazione funebre.

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