TONDI, Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TONDI, Matteo

Pietro Corsi

– Nacque a San Severo il 21 settembre 1762, da Severino e da Eufrasia Cannavino, in una famiglia di notabili della Capitanata che vantava diversi ecclesiastici e giuristi (M. Fraccacreta, Teatro topografico storico-poetico della Capitanata, IV, Napoli 1834, in realtà 1836, pp. 289-291, 296-307).

Educato nei classici, nella filosofia e nella matematica, a diciassette anni venne inviato a Napoli per intraprendere studi medici. Ebbe come docenti, tra gli altri, Domenico Cirillo (1739-1799) e Domenico Cotugno (1736-1822), e si appassionò all’entomologia, sotto la guida di Vincenzo Petagna (1730-1810).

Per sostenersi a Napoli, Tondi teneva corsi privati di chimica e medicina, e pubblicava nel 1786 le Istituzioni di chimica (1786), il cui sottotitolo, In cui si spiegano tutti i fenomeni colla semplice, e nuova teoria pneumatica, e si dà una distinta idea delle sostanze gassose, annunciava l’adesione dell’autore alle teorie e alle metodiche sperimentali proposte da Antoine Lavoisier (1743-1794). Il testo è considerato il primo manuale italiano, e tra i primi in Europa, a sostenere alcune delle principali dottrine di Lavoisier e dei suoi collaboratori.

Nel 1788 Tondi dava alle stampe le Relazioni di due interessanti malattie curate col celebre specifico delle lucertole, severamente giudicate da diversi commentatori come espressione di tradizioni terapeutiche antiquate. In realtà, proprio alla metà degli anni 1780 si sviluppò in Italia un intenso dibattito sulle virtù terapeutiche dei corpi delle lucertole per curare malattie della pelle, che Tondi spiegava con l’aiuto dell’analisi chimica delle carni dell’animale.

La carriera di Tondi doveva tuttavia subire un brusco cambiamento. Per diminuire la dipendenza del Regno da forniture estere di minerali e di armamenti, il generale del corpo degli ingegneri militari Giuseppe Parisi (1745-1831) fu incaricato di selezionare un gruppo di cultori di scienza da inviare a ispezionare miniere e industrie metallurgiche attive nell’Impero austro-ungarico (A.M. Rao, Esercito e società a Napoli nelle riforme del secondo Settecento, in Studi storici, 1978, n. 28, pp. 623-677). Il 15 maggio 1789 Tondi partiva per Vienna in compagnia di Giovanni Faicchio, Carmine Antonio Lippi, Giuseppe Melograni, Vincenzo Ramondini e Andrea Savaresi. Dopo un periodo trascorso a Vienna, il gruppo fu inviato a seguire i corsi della Bergakademie di Schemnitz, allora in Ungheria, ora Banská S̆tiavnica, in Slovacchia, una accademia mineraria fondata nel 1770.

Tra la fine del 1789 e il 1791 Tondi acquisì notorietà europea per l’annuncio di essere riuscito a provare sperimentalmente la natura metallica degli alcali e delle terre e di aver isolato per riduzione nuovi metalli, che chiamava parthenium, austrum, borbonium, in onore della sua patria e dei suoi regnanti. I suoi esperimenti erano corroborati da Antal Leopold Ruprecht (1748-1814), professore di chimica e metallurgia alla Bergakademie. Ignaz von Born (1742-1791), alto esponente delle scienze minerarie e protetto di Maria Teresa d’Austria, si fece promotore delle nuove scoperte (Catalogue méthodique et raisonné de la collection des fossiles de Mlle Éléonore de Raab, II, Vienne 1790, pp. 474 s., 487-498).

Le asserzioni di Tondi erano contestate da chimici sia nei Paesi di lingua tedesca sia in Francia (ad esempio, Jean-Claude Delamétherie, Mémoire de M. François Tihavsk [...], sur les métaux retirés des différentes terres, in Observations sur la physique, janvier 1791, 38, pp. 208-225 e Lorenz Florenz Friedrich von Crell, Extrait d’une lettre de M. Crell à J.-C. Delamétherie, ibid., pp. 68 s.) Alcuni membri del contingente italiano, tra cui Savaresi, si schierarono dalla parte dei detrattori, contribuendo ad aumentare i dissidi e i malumori all’interno del gruppo.

Negli anni successivi, Tondi non fece mai riferimento all’episodio nelle sue opere, ma si lasciò andare ad accuse di boicottaggio contro i colleghi napoletani nelle sue lezioni (E. Cerulli - F. Cerulli, Matteo Tondi, in L’Omnibus. Foglio periodico, 26 dicembre 1835, n. 40, riassunto in M. Fraccacreta, Teatro topografico..., cit., p. 299). Tuttavia, il giudizio positivo degli ambienti di corte valse al naturalista un premio in denaro da parte del re di Napoli Ferdinando IV in visita a Vienna. La carriera di Tondi conobbe poco dopo una seconda svolta, segnata dall’incontro con Abraham Gottlob Werner (1749-1817), docente della Bergakademie di Freiberg e uno tra più famosi mineralogisti dell’epoca. Tondi ne sposò la dottrina nettunista, che attribuiva tutti i fenomeni geologici e la formazione dei minerali all’azione di liquidi, e apprese dal maestro i principi di una classificazione dei ‘fossili’ – Tondi non abbandonò mai il termine per indicare tutto ciò che è conservato sotto la superficie del suolo – fondata sull’esame delle caratteristiche esterne (sensazioni tattili, sapore, odore, resistenza) dei minerali.

Alla fine del 1794 Tondi visitò insieme a Lippi – il gruppo napoletano era stato diviso in coppie per porre fine all’imbarazzante litigiosità – miniere e industrie nel Regno Unito, e fabbriche che iniziavano a implementare i telai meccanici azionati da macchine a vapore, spingendosi poi sino in Islanda. L’acuirsi delle guerre contro la Francia rivoluzionaria rese il ritorno in patria difficile. Finalmente, nel settembre del 1796 Tondi rientrò a Napoli via mare, da Trieste. Aveva spedito in patria trentacinque casse di minerali, incluse due casse di metalli preziosi, e aveva redatto quarantotto volumi manoscritti di un’opera enciclopedica che riassumeva tutte le osservazioni effettuate.

A Napoli, Tondi e i colleghi furono subito impiegati in una sorta di ‘consiglio delle miniere’, e inviati a ispezionare diverse località e stabilimenti. Tondi, con Lippi e Savaresi, accompagnati da dodici minatori sassoni, fu inviato alle Reali ferriere di Mongiana, in Calabria, per migliorare la produzione. Le riforme introdotte, e il tentativo di mettere fine a ruberie di varia natura, produssero una viva opposizione nella popolazione, che nei disordini del 1799 distrusse la casa di Tondi e aggredì Savaresi. Tondi si recò allora a Napoli: non è chiaro se e in quale veste partecipò alle vicende della Repubblica napoletana, pare nelle fila della guardia nazionale, se venne catturato dagli inglesi, e come si salvò dalla repressione. Esiliato, perse le sue collezioni e gran parte della sua enciclopedia manoscritta; un biografo di Tondi accusava il collega Melograni, che Tondi detestava, di aver sottratto l’opera e parte delle collezioni (V. De Ambrosio, Elogio di Matteo Tondi, Napoli 1837, p. 60).

Si ritrovò così esule a Marsiglia, privo di mezzi di sostentamento; raggiunse Lione nel luglio del 1799. Trovò impiego presso una miniera di carbone, recandosi poi a Parigi, agli inizi del 1800, per offrire i propri servigi alla spedizione verso le terre australi che il capitano Nicolas Baudin (1754-1803) stava allestendo. Non fu imbarcato poiché straniero, e gli venne per la stessa ragione negato il posto di docente di storia naturale nella École centrale di Blois.

Per l’ottima impressione che aveva fatto su diversi esponenti della scienza francese, e per le sue conoscenze della terminologia tecnica tedesca, gli fu chiesto di tradurre il catalogo di una costosa collezione di minerali che un commerciante austriaco, Weiss, intendeva vendere al governo francese, poi destinata al Muséum (A. Lacroix, La vie et l’œuvre de l’abbé Haüy, in Bulletin de la Société française de minéralogie, 1944, 67, pp. 15-226, in partic. p. 63). Forse per questa ragione, e appoggiato da Alberto Fortis (1741-1803) e da Barthélemy Faujas de Saint-Fond (1741-1819), ottenne dapprima un posto di coadiutore del professore di mineralogia del Muséum national d’histoire naturelle, Déodat de Dolomieu (1750-1801), appena tornato in patria dopo una dura prigionia nelle carceri borboniche, poi del suo successore, René Just Haüy. Dal 1806 al 1813 fu aiuto naturalista di Haüy al Muséum, finalmente con uno stipendio accettabile. Continuava tuttavia a tenere ben remunerati corsi privati di mineralogia, molto seguiti da visitatori italiani, primo tra tutti il vicentino conte Giuseppe Marzari Pencati (1779-1836). Mentre aneddoti più o meno attendibili abbondano sulle avventurose vicende degli anni della peregrinazione europea, poco si sa del suo soggiorno a Parigi. A titolo di esempio, nulla sappiamo sul suo ruolo nella visita del maestro Werner a Parigi, nel 1802, e fonti francesi contemporanee, in primis Delamétherie, non nominano mai il mineralogista napoletano al riguardo (J.-C. Delamétherie, Idées de Werner sur quelques points de la géognosie. Extrait de ses conversations, in Journal de physique, LIII (1802), 53, pp. 443-450). Anche autori di classificazioni mineralogiche ispirate da Werner e pubblicate nei primi anni del secolo come Jean-François d’Aubisson des Voisins (1769-1841) o André Brochant de Villiers (1772-1840), un collaboratore di Wermer, e lo stesso Delamétherie (che in ogni numero del Journal de physique discuteva le idee del collega tedesco), non citavano mai Tondi. Non è dunque esatto affermare che Tondi fosse il primo a far conoscere la mineralogia werneriana a Parigi, come alcuni suoi allievi sostennero (L. Pilla, Matteo Tondi, 1836, p. 49).

Lo scienziato napoletano si era sicuramente guadagnato la stima di Haüy (D’Angelo, 2018, pp. 118-121). Quando nel novembre del 1806 l’amministrazione napoleonica di Napoli gli offrì la cattedra di mineralogia, Tondi rifiutò, invocando tra l’altro le condizioni economiche meno favorevoli di quelle di cui godeva a Parigi. Nel 1808 intraprese un viaggio nella Spagna occupata dai francesi per integrare le collezioni del Muséum a lui affidate. Si salvò a malapena dall’insurrezione antifrancese e le dodici casse di reperti inviate in Francia furono confiscate e disperse dagli inglesi; solo due pervennero a Parigi. Dopo molte peripezie riuscì a rientrare a Napoli, ma presto ripartì alla volta di Parigi.

Nel 1811 Tondi vi pubblicò una classificazione della collezione di minerali del Muséum, ispirata ai criteri di Werner e di Haüy, la sua prima opera a stampa di una certa ambizione, anche se breve (24 pp.), dopo il trattato chimico del 1786. Il Tableau synoptique d’oreognosie ou connaissance des montagnes ou roches era in effetti uno scarno elenco di minerali, redatto nello stile usuale dei mineralogisti contemporanei, e organizzato secondo l’epoca probabile di formazione delle varie rocce.

Il testo fu ripreso da un allievo, Jean André Henri Lucas, che lo inserì nel suo Tableau méthodique des espèces minérales (II, Paris 1813, pp. 519- 545), introducendo tuttavia termini coniati da Haüy, che sostituiva a quelli proposti da Tondi. Contrariamente al napoletano, Lucas arricchì il suo volume di 587 pagine di un interessante apparato di note, una sinonimia nelle principali lingue europee, e fece continui riferimenti alla collezione di Tondi e al manoscritto del resoconto del suo viaggio in Spagna.

Nell’autunno del 1811 Tondi accettò infine di rientrare a Napoli. Nell’agosto i professori del Muséum avevano elogiato pubblicamente il suo lavoro e gli avevano accordato un premio in denaro: non è dunque chiaro perché Tondi lasciò Parigi all’apice del suo successo scientifico e istituzionale (L. Pilla, Matteo Tondi, cit., pp. 52 s., riportava l’estratto delle deliberazioni dell’assemblea dei professori). Dal 1812 al 1815 occupò la posizione di ispettore generale nella direzione delle acque e foreste; nel luglio del 1815, le autorità borboniche tornate al potere gli conferirono la cattedra di mineralogia che, a seguito del rifiuto di Tondi del 1806, era stata occupata dal gennaio del 1807 dal suo amico Ramondini e affidata poi dall’amministrazione francese, alla morte di questi nel 1811, al padre scolopio Carlo Giuseppe Gismondi (1762-1824). Tondi assunse anche la carica di direttore del Museo di mineralogia, istituito nel febbraio del 1802 grazie ai minerali inviati da Tondi e da Lippi negli anni 1790; l’odiato Melograni era stato incaricato della catalogazione.

Il discorso inaugurale tenuto nel 1816 conteneva in apertura un riferimento alle tante promesse non mantenute che gli erano state fatte per convincerlo a tornare in patria e costituisce una delle rare esplicite prese di posizione teoriche di Tondi. Lo scienziato riconosceva la sua iniziale adesione al metodo di classificazione fondato sulla chimica proposto da Torbern Bergman (1735-1784); esprimeva una critica dettagliata del sistema di Werner; appoggiava la cristallografia di Haüy come guida all’identificazione delle specie minerali. Proponeva tuttavia una combinazione di metodi chimici, cristallografici e di osservazione dei caratteri esterni come la più adatta per l’ordinamento delle collezioni e la formazione dei giovani mineralogisti: «Chaemia classes, Mathesis species, Physiognomia varietates», dichiarava (Discorso pronunziato nel 1816 in occasione dell’apertura della cattedra di geognosia, Napoli 1817, p. 14).

Le opere del secondo periodo napoletano, dedicate a questioni di gestione delle risorse boschive, alla caccia, e a diversi aspetti della mineralogia, riproducono lo stile scarno e sintetico delle pubblicazioni precedenti. Uscirono nel 1817 due volumi di Elementi di orittognosia (Napoli) e un volume di tavole, e nel 1825 gli Elementi di oreognosia (Napoli).

Fedele alla terminologia werneriana oramai seguita da pochi in Europa, l’orittognosia era per lui la parte della geognosia (geologia) che si occupava della conoscenza delle produzioni minerali; l’oreognosia studiava rocce e montagne, la loro genesi e distribuzione geografica. Tondi sembrava ignorare i profondi mutamenti che le scienze della Terra avevano subito a partire dagli anni 1810 in tutta Europa; i suoi riferimenti alla storia recente della mineralogia erano molto meno informati di quanto disponibile in opere di divulgazione pubblicate a Parigi e altrove dagli inizi del 1800, e citate estesamente, ad esempio, anche dall’allievo Lucas (De la minéralogie, Paris 1818). Fedele al nettunismo della scuola di Werner, non compì mai escursioni sul Vesuvio, anche se lo studio dei vulcani, e in particolari dei vulcani campani e siciliani, era al centro dei dibattiti europei contemporanei sui rivolgimenti della superficie terrestre. Tondi non sembra aver interagito scientificamente con i naturalisti e geologi che da ogni parte d’Europa convergevano verso il Vesuvio, come facevano invece suoi allievi quali Leopoldo Pilla (1805-1848) e Arcangelo Scacchi (1810-1893).

Tondi fu un insegnante molto apprezzato; scapolo, si consacrava totalmente ai propri allievi, arricchendo le lezioni di aneddoti concernenti i suoi viaggi e le sue travagliate vicende: aneddoti che molti studiosi hanno spesso acriticamente riportato. Accanto alla collezione del Museo, ne curava una sua personale, che gli eredi misero in vendita subito dopo la sua morte. Il catalogo elencava 5359 pezzi, di cui 2200 rocce e 3159 minerali (Catalogo delle collezioni orittologica e oreognostica del fu chiarissimo professor Matteo Tondi, Napoli 1837). Unitamente alla sua indubbia capacità di identificare reperti e alla vasta esperienza acquisita nei suoi viaggi, la ricca collezione fece dell’insegnamento di Tondi un punto nodale nella formazione della tradizione mineralogica napoletana ottocentesca.

Morì a Napoli il 16 novembre 1835.

Opere. Oltre alle opere di Tondi citate nel testo, si vedano: La caccia considerata come prodotto selvano ad uso de’ forestali, Napoli 1816; La scienza selvana ad uso de’ forestali, I-III, Napoli 1821, 1829; Relazione sul carbon fossile di Gifuni, in Atti della R. Accademia delle scienze, 1825, vol. 2, pp. 25-32.

Fonti e Bibl.: Le sparse fonti archivistiche sono dettagliate nella bibliografia citata. F. De Luca, Necrologia: M. T., in Annali civici del Regno delle Due Sicilie, 1835, vol. 18, pp. 148-173; An., M. T., in La fama, 15 gennaio 1836, n. 7, pp. 25 s.; An., Necrologia. Onori renduti a M. T. in San Severo sua patria, in L’Omnibus. Foglio periodico, III (1836), 45 (30 giugno 1836); S. De Renzi, Notizie biografiche di M. T., in Filiatre-Sebezio. Giornale delle scienze mediche, 1836, vol. 62, pp. 1-16; L. Pilla, M. T., in Il Progresso delle scienze, delle lettere, delle arti, 1836, vol. 13, pp. 37-74.

A. Scherillo, La storia del ‘reale Museo mineralogico’ di Napoli nella storia napoletana, in Atti dell’Accademia Pontaniana, 1966, n. 15, pp. 5-48; F. Abbri, Chimici e artiglieri: Lavoisier e la cultura scientifica napoletana, in Atti del VI Convegno nazionale di storia e fondamenti della chimica..., Cagliari... 1995, Roma 1995, pp. 245-258; R. Spadaccini, Dalle miniere agli archivi. Viaggio mineralogico di sei napoletani in Europa, in Napoli nobilissima, s. 5, 2002, n. 3, pp. 179-206; R. Seligardi, Lavoisier in Italia. La comunità scientifica italiana e la rivoluzione chimica, Firenze 2003, pp. 7-44; C. Guerra, Prima del Traité élémentaire (1789): Lavoisier in due manuali di chimica napoletani, in Circolazione dei saperi scientifici tra Napoli e l’Europa nel XVIII secolo, a cura di R. Mazzola, Napoli 2013, pp. 145-168; Ead., Lavoisier e Partenope. Contributo ad una storia della chimica del Regno di Napoli, Napoli 2017, pp. 104-130; F. D’Angelo, Dal Regno di Napoli alla Francia. Viaggio ed esilio tra Sette e Ottocento, Napoli 2018, pp. 35-47, 118-121, 196-215.

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