BUTTURINI, Mattia Giovanni Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUTTURINI, Mattia Giovanni Paolo

Piero Treves

Nacque a Salò il 26 giugno 1752 da Giovanni Francesco e da Maria Teresa Ferrante. La famiglia, oriunda francese, si era stabilita sul Garda almeno due secoli prima; famiglia contadina, laboriosa, non disagiata ma "sanza lettere", e tuttavia risoluta a tener il figliolo agli studi sotto la guida di locali e provinciali ecclesiastici. Il B. si aprì in tal modo la via all'università, che fece a Padova, iscritto alla facoltà di giurisprudenza e laureato in utroque il 22 maggio 1773, ma profittando soprattutto degl'insegnamenti e della familiarità "umanistica" del Sibiliato e del Cesarotti. Il titolo dottorale, l'acquisita abilità di verseggiare in italiano e in latino, i mezzi che la famiglia non gli lesinava, l'ascrizione all'Accademia salodiense degli Unanimi e l'attività di editore-tipografo (Salò 1774) dei versi e prose d'una concittadina, Diamante Medaglia Faini, è probabile favorissero non pure il trasferimento del B. a Venezia per tentarvi, e farvi, fortuna in quell'ambiente letterario, ma il conferimento della carica di nunzio, o ambasciatore, della Patria di Riviera presso la Repubblica Serenissima, che il B. tenne dal 1775 al 1788, non senza onore, ma non senza rimproveri dei conterranei, che lamentavano l'eccessiva prodigalità del loro rappresentante. Questi, del resto, è presumibile che giudicasse e sfruttasse l'incarico ai fini di un ampliamento della propria duplice carriera di avvocato-magistrato e di poeta teatrante. Nel 1785 raccolse in tre libri, e stampò presso il Gatti di Venezia, i suoi Carmina (per varia occasione). Nel 1789 un suo epigramma greco per madama Venier gli valse il pubblico elogio del Cesarotti, mentre, "per la gloriosa esaltazione a Doge di Venezia del Serenissimo Lodovico Manin", componeva la cantata Il vaticinio di Proteo (a imitaz. dell'ode di Orazio, anche nell'ignorato, ma attuatosi, infausto "finale" della profezia), musicata dal salodiense F. Bertoni. Questi versi di note, come la coeva cantata, per la stessa occasione "dogale", Unione del senno con la fortuna, così altre parecchie composizioni del B., avviatosi frattanto a divenir poeta di teatro, librettista, drammaturgo (e traduttore, oltre che di classici, di drammi stranieri, in ispecie la Sofonisba del Mairet). Il B., però, è assai probabile che già allora non fosse né un mero letterato né un conformista: erano, invero, tra i suoi più amici e patroni "letterarii" non conformisti (o prossimi non conformisti) come Angelo Anelli, Francesco Apostoli, Vincenzo Dandolo e il romagnolo Giuseppe Compagnoni, che del B. tradusse e stampò a Venezia nel 1792 Un inno greco I Veneziani e le nozze. IlB. simultaneamente sovrintendeva al teatro di San Benedetto, fornendo libretti per le stagioni liriche dal 1789 in avanti (ad es., Zenobia di Palmira, 1789, per la musica di Pasquale Anfossi; Apoteosi di Ercole, 1791, per la musica di Angelo Tarchi; Seleuco re di Siria, 1792, per la musica di Francesco Bianchi; I sacrifici di Creta, 1792, per la musica di Pietro Winter; I fratelli rivali, 1792, per la musica dello stesso Winter); svolgeva attività editoriale in collaborazione con lo Stella e il conte Alessandro Pepoli (avrebbe anche dovuto essere il coordinatore e direttore di una enciclopedia, imitazione dell'Encyclopédie, ma il progetto fallì con l'impresa editoriale che ne aveva lanciato l'idea); e legatosi allora o poco di poi strettamente col Dandolo, ne fu generosamente sovvenzionato pel compito, che il B. assunse, di estensore o revisore letterario dei discorsi e scritti politici dell'autorevole amico, sia nel periodo del giacobinismo veneziano sia nella Milano del Regno italico. Nemmeno è da escludere si stringesse allora, per la medesima esperienza politico-francesizzante, col giovane Foscolo, il quale, nell'istanza rispettosamente indirizzata il 19 marzo 1802 al vicepresidente della Repubblica italiana, Francesco Melzi d'Eril, invocava la testimonianza eventuale del B., altresì, a "far fede" degli studi da lui Foscolo perseguiti. E col B. Foscolo menzionava Oriani, Fontana, Lamberti, Morali e Monti. Con quest'ultimo in ispecie il B. si era, infatti, legato, dopo avergli con altri "uomini buoni sedotti" dapprima minacciato i fulmini di "una legge" e quindi perdonato, fra il 1797 e il 1798, la poesia, o il peccato politico, della Bassvilliana. Perché il B., il quale patì perdite domestiche e ruberie nella natia Salò fin dal giugno 1796 (onde ancor nel 1802 dovette appellarsi per un sussidio alla generosità e umana comprensione del Melzi), scelse tosto e senz'esitare il suo posto fra i "novatori", fece parte del Comitato di salute pubblica dopo la caduta della Repubblica veneta, e del Consiglio de juniori, per invito del Fontana, quando il Bresciano fu annesso alla Cisalpina. Il 26 genn. 1802 infine fu nominato membro consulente del Collegio elettorale de' dotti della Repubblica italiana, promulgata dai Comizi di Lione. A questa data il B. già era salito sulla cattedra pavese di lingua e letteratura greca, aprendo il suo corso con la celebre prolusione Omero pittore delle passioni umane (Milano 1802; rist. in P. Treves, pp. 159 ss.).

Anche la prolusione pavese è discorso, in ultima analisi, non conformista, se vi difettano accenni adulatori al Bonaparte, quali parimente si desiderano, non senza rammarico e deplorazione e vani tentativi compromissori del Monti, nell'orazione inaugurale del Foscolo. Oltre che per testimonianza di retto e coraggioso sentire (confermato da una dipintura del carattere di Agamennone, in cui, intenzionalmente o inintenzionalmente, si potevano leggere le fattezze del Bonaparte) - e analoga testimonianza (nonché d'un'interpretazione storico-storicistica del conflitto fra Grecia e Macedonia, che apparenterebbe quindi il B. agli allegorici esercizi coevi del Niebuhr e di F. Jacobs) offrì, per testimonianza del salodiense Pietro Grisetti (in una sua lettera del 19 marzo 1804), il volgarizzamento, universalmente acclamato e perciò appunto forse rimasto inedito, d'un'orazione di Demostene, "preceduta da una prefazione che dettagliava tutte le astuzie di Filippo per dividere e impadronirsi delle Repubbliche greche" - la prolusione del B. resta insigne per l'avviamento che fornì alla temperie omerica dell'età napoleonica, alla "riscoverta" di Omero non tanto sul piano della storia, ossia della cosiddetta "questione omerica", quanto sul piano della "poesia", dell'intelligenza simpatetica d'una poesia repugnante del pari a wertheriani e a cesarottiani, e compresa, invece, gustata e raccomandata ora ai giovani perché passionale, magnanima, d'alti sensi e ispirazioni: quasi diremmo, in una parola, preromantica e antiaccademica.

Ai meriti del B. rese pubblico e cordiale omaggio lo stesso Monti, che l'ebbe collaboratore nella polemica sull'esatta esegesi del cosiddetto "cavallo alato di Arsinoe" (1805)e lo citò ed elogiò fortemente nelle comuni lezioni pavesi. Le quali, del resto, ed è riprova del non conformismo del B., operoso ancor sul finire del 1808 per tutelare le fortune accademiche del Foscolo, non durarono a lungo, nonostante le speranze del Monti. Abolita, infatti, la cattedra pavese di letteratura greca, il B. venne trasferito a quella di procedura civile nell'università di Bologna, dove risiedette dall'anno 1809 al 1814, godendovi l'amicizia di Clotilde Tambroni e di Teresa Carniani Malvezzi. Tanto più è, d'altronde, probabile l'asserito non conformismo del B., in quanto è del 1810 l'unico atto a noi cognito di conformismo o di adulazione bonapartista: gli epigrammi greci per la nascita del re di Roma (con una eco o coda salodiense per le celebrazioni napoleoniche di quell'ateneo nel 1811).Ed è onorevole al B. che, fra il 1813 e il 1814, Ugo Foscolo meditasse d'indirizzargli una delle lettere proemiali al suo volgarizzamento dell'Iliade.

La caduta di Napoleone restituì il B. alla cattedra di Pavia, ma per insegnarvi (con decreto 11 nov. 1814) procedura civile e successivamente anche procedura giudiziaria. Il suo cuore, tuttavia, restò agli studi greci (come che ne lo satireggiasse post mortem l'esule Foscolo, contrapponendogli la competenza linguistica d'ogni "barbatello" educatosi a Eton e ad Oxford) e rinnovò l'amicizia col Monti sotto il segno di Omero e "dell'ammirabile vostra versione", alla quale il B. augurava che il vecchio poeta affiancasse "anche la versione dell'Odissea". Anni amari, tuttavia, per il B., che, rifattasi una famiglia con Anna Tomich, dopo la breve parentesi del matrimonio contratto nel maggio del 1785, quindi annullato dalla compiacente magistratura veneto-pontificia, con Annetta Vadori, perdette fra il 1815 e il '17 l'unica figlia, anch'essa lettrice entusiastica dell'Iliade montiana. Morendo in Pavia il 15 ag. 1817, lasciava "erede in proprietà assoluta", per tutto ciò che di suo vi esistesse (mentre l'usufrutto dei beni paterni in Salò era diviso fra i quattro fratelli e la sorella superstiti) la vedova; e questa in data 19 maggio 1818 vendeva al conte Vincenzo Dandolo per L. 12.000 "la Biblioteca del Prof. Butturini"; alla cui memoria l'università di Pavia ha scolpito e dedicato una lapide.

Fonti e Bibl.: Per i giudizi del Monti e del Foscolo, cfr. i rispettivi epistolari; in ispecie il sommario bio-bibliografico di A. Bertoldi (nell'ed. del Monti, III, Firenze 1929, pp. 87 s.) e di P. Carli (nell'ed. naz. del Foscolo, I, Firenze 1949, p. 136, n. 8).Del Monti veggansi anche gli accenni al B. nell'edizione Resnati delle Opere, V, Milano 1841, pp. 271, 290, 296. Altra testimonianza autorevole (e significativamente cauta o pavida) di contemporanei: gli articoli di B. Gamba e G. Chiappa, in E. De Tipaldo, Biografie degliitaliani illustri, rispettivamente I, Venezia 1834, pp. 386 s., e X, ibid. 1845, pp. 122s. Forse il meglio fra i critici ottocenteschi del B. presso S. Grosso, Sugli studii di Francesco Ambrosoli, Milano 1871, pp. 41-44.E cfr. il giudizio (tanto sullo scritto del Grosso quando sul discorso "omerico" del B.) di E. Camerini, in una sua al Grosso appunto (Milano, 8nov. 1871), da costui pubblicata in un opuscolo di Lettere (per nozze Schiappapietra-Gervasio, Pisa 1889), p. 11. Molti scritti aneddotico-biografici dedicò al B. il suo corregionale e collega G. Bustico (per la più parte elencati dal Treves, p. 158), tra cui il Contributo alla biografia di M. B., in Atti d. Accademia degli Agiati, s. 3, XIV (1908), pp. 57-87; Un carteggio fra Vincenzo Dandolo e M. B. (1786-1811), Brescia 1934 (estr. dai Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1932, pp. 297-325). Per ulteriore bibl. (e la ristampa annotata del discorso omerico), cfr. P. Treves, Lo studio dell'antichità classica nell'Ottocento, Milano-Napoli 1962, pp. 149 ss.

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