FASIANI, Mauro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 45 (1995)

FASIANI, Mauro

Domenico Da Empoli

Nacque a Torino il 17 febbr. 1900 da Annibale e Battistina Randone.

La famiglia era originaria di Garessio (Cuneo), dove aveva dimorato per diverse generazioni, ed era imparentata alla famiglia di Luigi Einaudi. Due fratelli del F., Ugo ed Enrico, morirono durante la prima guerra mondiale (il primo in combattimento). Un altro fratello, Gian Maria, fu illustre neurochirurgo.

Frequentò la facoltà di giurisprudenza dell'università di Torino, ove si laureò nel 1924, discutendo una tesi sulla doppia tassazione del risparmio, di cui fu relatore Luigi Einaudi. Einaudi lo guidò in tutte le fasi della sua carriera scientifica e rimase sempre il suo punto di riferimento più importante, anche quando, come inevitabilmente doveva avvenire, le loro posizioni scientifiche cominciarono a divergere.

Frutto della rielaborazione della tesi è il primo saggio, Sulla teoria dell'esenzione del risparmio dall'imposta, che l'Einaudi trasmise all'Accadernia delle scienze di Torino, nei cui atti fu pubblicata (Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino, s. 2, LXVI [1926], 7, pp. 1-38).

In questo scritto il F. sostiene la validità della teoria einaudiana sull'esenzione del risparmio, con una duplice dimostrazione: "che la tassazione del reddito guadagnato implica effettivamente una doppia imposizione sul risparmio" e "che la legge del valore regge effettivamente, almeno in linea tendenziale, il fenomeno dell'imposta". La dimostrazione del primo assunto gli consente una erudita esposizione della letteratura sull'argomento, con critiche puntuali alle teorie contrarie alla doppia imposizione, mentre per dimostrare il secondo assunto egli richiama le due fondamentali "spiegazioni" del fenomeno finanziario, quella "economica" e quella "politica", criticandone acutamente l'unilateralità con l'osservazione che in ambedue prevale la legge del minimo mezzo e giungendo così alla conclusione che tali spiegazioni del fenomeno finanziario non contraddicono la teoria della doppia tassazione del risparmio.

Su questo tema il F. ritornò più volte nel corso del tempo, dapprima (Sulla doppia tassazione del risparmio, in Riforma sociale, XXXV [1928], 39, pp. 123-140) per difendere ulteriormente le posizioni di Einaudi, ma dopo qualche tempo per riconoscere che, pur rimanendo valida la tesi della doppia imposizione, la dimostrazione di Einaudi non era accettabile (A proposito di un recente volume sull'incidenza delle imposte, in Giornale degli economisti, n.s., II [1940], pp. 1-23, e poi Principii di scienza delle finanze, Torino 1941, II, spec. p. 285).

Apparvero nel 1929 un lungo articolo, Elementi per una teoria della durata del processo traslativo dell'imposta in una società statica (in Giorn. degli economisti, XLIV [1929], pp. 557-583 e 687-714), nonché due brevi scritti, Riflessioni su di un punto della teoria dell'illusione finanziaria (in Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, LXIV [1928-1929], pp. 333-345) e Di alcuni effetti dell'estinzione del debito pubblico mediante un'imposta sul capitale (in Riforma sociale, XXXVI [1929], 40, pp. 213-224).

Nel saggio più ampio, sulla durata del processo traslativo dell'imposta, certamente il più impegnativo della sua produzione giovanile, il F. si proponeva di approfondire un problema enunciato da Maffeo Pantaleoni (Teoria della traslazione dei tributi, Roma 1882, pp. 52 s.) ma da questo non sviluppato: quello della "velocità" della traslazione, anche se in realtà tale studio costituisce essenzialmente una premessa all'indagine sulla velocità, essendo soprattutto diretto a studiare la durata del processo traslativo, nel tentativo di "stabilire le condizioni che influiscono sulla determinazione del tempo".

In tale scritto, che ebbe diffusione internazionale (fu pubblicato in inglese qualche anno dopo, in Review of economic studies, I [1934], pp. 81-101, e II [1935], pp. 122-136), il. F. considerò elemento decisivo per la durata del processo traslativo l'intervallo temporale tra la fine di un processo produttivo e la fine del successivo, pur tenendo conto di numerose altre variabili che possono influenzare tale processo in una società statica. Questo tipo d'indagine fu successivamente sviluppato da un punto di vista più generale (non firnitato ai soli aspetti finanziari) dallo stesso F. con particolare riguardo alle posizioni intermedie tra un equilibrio e l'altro (in Di un fenomeno di attrito, in Rivista ital. di statistica, economia e finanza, IV [1932], 2, pp. 248-281, e Velocità nelle variazioni della domanda e dell'offerta e punti di equilibrio stabile e instabile, in Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino, LXVII [1932], pp. 383-425).

Nelle Riflessioni su di un punto della teoria dell'illusione finanziaria, un caso della teoria dell'illusione finanziaria di A. Puviani, quello dell'illusione sulla "quantità della sensazione penosa", viene fatto rientrare nel concetto marshalliano di rendita del consumatore, mentre nello scritto sul debito pubblico si considerano alcune limitazioni alla validità della tesi, contenuta nel Colwyn Report, secondo cui l'estinzione del debito pubblico mediante un'imposta sul capitale ridurrebbe l'imponibile in modo da non consentire una rilevante riduzione della pressione tributaria.

Nel febbraio del 1930, sulla base dei primi cinque lavori, il F. conseguiva la libera docenza in scienza delle finanze e diritto finanziario (commissari F. Flora, R. Benini, P. De Francisci Gerbino) e assumeva quindi l'incarico della stessa disciplina presso l'università di Sassari per l'anno accademico 1930-31.

Pubblicava, quindi, oltre ai due articoli già menzionati sull'elemento temporale nel passaggio da una posizione di equilibrio ad unaltra, numerosi altri scritti. Il saggio Di un particolare aspetto delle imposte sul consumo (in Riforma sociale, XXXVII [1930], pp. 1-20, trad. in inglese in International economic papers, n. 6, London-New York 1956, pp. 34-49) ha per oggetto il cosiddetto teorema di Barone sul confronto in termini di sacrificio tra un'imposta sul consumo ed un'imposta sul reddito a parità di gettito: in proposito il F. introduce utili precisazioni circa alcune possibili eccezioni all'applicabilità del suddetto teorema. Il Contributo ad alcuni punti della teoria della traslazione delle imposte sui "profitti" e sui "redditi" (in Studi sassaresi, IX [1930], 3, pp. 173-207, e X [1931], 1, pp. 1-51) esamina alcuni casi che costituiscono eccezioni alla tesi della intrasferibilità delle imposte, speciali o generali, sui sovrappiù, nonché delle stesse imposte generali sul reddito. Nell'articolo Aproposito di una divergenza di opinioni fra alcuni scrittori di finanza, in Rivista di politica economica, XXI (1931), 9, pp. 677-688, il F. confronta le posizioni contrapposte di Einaudi, in favore dell'imposizione del reddito normale, e di B. Griziotti, favorevole all'imposizione dei sopraredditi, dimostrando che parte di tali divergenze era dovuta a diversità terminologiche e parte alla diversa concezione dell'imposta. In A proposito degli effetti dell'esenzione dall'imposta delle case di nuova costruzione, in Riforma sociale, XXXVIII (1931), pp. 337-363, vengono esaminate le divergenze d'opinione tra Renzo Fubini e Riccardo Bachi sulle conseguenze di questo provvedimento, nell'ipotesi di una società "progressiva", mentre in Schemi teorici ed "exponibilia" finanziari, in Riforma sociale, XXXIX (1932), pp. 481-514, vengono confrontate le teorie finanziarie di A. Graziani, di A. Puviani e dell'Einaudi, giungendo alla conclusione che nessuna di esse è in grado di spiegare l'evoluzione dei sistemi finanziari, che deve essere considerata come "il risultato di un insieme di azioni non-logiche" (p. 514), nel senso che Pareto attribuiva a questo termine; infine, in Contributo alla teoria dell'"uomo corporativo", in Studi sassaresi, X (1932), 4, pp. 317-335, accanto alla tradizionale ipotesi dell'homo oeconomicus egli considera, come ulteriore approssimazione. quella dell'homo corporativus, cioè di un uomo "che si comporti secondo i principi fondamentali della Carta del Lavoro e che, a differenza del primo [homo oeconomicus], sia anche dotato del sentimento dell'interesse superiore della collettività a cui appartiene" (p. 326).

Nel 1932 il F. vinse il concorso per professore straordinario alla cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario dell'università di Messina (commissari: F. Flora, P. De Francisci Gerbino, G. Borgatta, A. De' Stefani, G. U. Papi), ma gli atti del concorso non furono approvati se non per un diretto intervento di Benito Mussolini, sollecitatogli da Einaudi con una lunga lettera nella quale si metteva in evidenza che il F. non era da considerarsi oppositore del regime per il semplice fatto di essere suo allievo, e inoltre che il Fascio di Garessio era stato intitolato ai due fratelli del F. morti durante la prima guerra mondiale (cfr. G. C. Marino, L'autarchia della cultura - Intellettuali e fascismo negli anni Trenta, Roma 1983, spec. pp. 213-216).

Chiamato dall'università degli studi commerciali di Trieste a partire dal 1º dic. 1932 (il ritardo di un mese rispetto all'inizio dell'anno accademico fu dovuto proprio alle vicende di cui si è detto circa l'approvazione degli atti del concorso), il F. vi rimase soltanto fino alla fine dell'anno accademico, essendo stato chiamato, a partire dal 1ºnov. 1933, alla cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario dell'istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Genova. Promosso ordinario a partire dal 1º dic. 1935 (commissari: M. Fanno, G. Zingali, G. Masci), il F. fu nominato preside nel 1937, carica in cui fu sempre confermato.

Con gli studi di cui si è detto si è, in un certo senso, conclusa la prima fase delle indagini del Fasiani. Una fase ancor più interessante si apre dopo il conseguimento della cattedra, sia per la naturale maturazione dello studioso, sia anche per la più completa libertà di elaborazione scientifica che una cattedra universitaria ha sempre consentito. Tale fase, di cui si tratterà brevemente qui di seguito, si conclude con la pubblicazione di due volumi di Principii di scienza delle finanze, un trattato che, sebbene rimasto incompleto (il disegno originario prevedeva quattro volumi), si può considerare tra i migliori che siano stati pubblicati in Italia nel periodo tra le due guerre mondiali.

Segue, dopo alcuni scritti polemici per lo più collegati con la pubblicazione dei Principii, una terza fase, coincidente con il dopoguerra e conclusasi con la morte prematura.

Già in Schemi teorici ed "exponibilia" finanziari (ultimo scritto del F. che comparirà sulla rivista di Luigi Einaudi) il F. aveva fatto ricorso per la prima volta a concetti paretiani, quali quelli di "azione logica" e "azione non-logica", in netto contrasto con gli insegnamenti di Luigi Einaudi, che guardava con scarsa simpatia la sociologia paretiana. L'interesse profondo (e crescente, nel corso degli anni) del F. per gli studi sociologici lo indurrà a dichiarare, nei Principii (I, p. 37), che "la Mecca della scienza delle finanze è nella sociologia ".

Risentono, invece, dell'impostazione precedente i saggi sulla teoria finanziaria in Italia (Der gegenwärtige Stand der reinen Theorie der Finanzwissenschaft in Italien, in Zeitschrift für Nationalökonomie, III [1932], 5, pp. 651-691; IV [1933], 3, pp. 357-388, trad. ital. in M. Finoia, Il pensiero economico italiano, 1850-1950, Bologna 1980, pp. 117-202), in cui l'atteggiamento nei riguardi della sociologia paretiana è ancora piuttosto critico.

Una certa diffidenza nei riguardi dell'impostazione pigouviana traspare dalla Prefazione del F. alla Economia del benessere di A. C. Pigou, cui è dedicato il vol. X della "Nuova Collana di economisti" (Torino 1934). Il testo del F. (pp. VII-XVI), se si escludono i riferimenti bibliografici, è di due sole pagine, cosa molto insolita per uno scrittore facondo quale egli fu. Nei suoi Principii, inoltre, il F. parla del "concetto di benessere che Pigou ha tentato di elaborare", dichiarando che "tale elaborazione non è così priva d'incertezze, da costituire una base sicura ed inequivoca per gli ulteriori sviluppi della teoria" (Principii, I 2 ed., Torino 1951, p. 49). Più esplicitamente, in una lettera ad Einaudi del 24 genn. 1934, il F. affermava, riferendosi alla sua prefazione all'Economia del benessere: "Ho dato dell'inglese al libro di Pigou perché è mia impressione che quell'arrabattarsi, suo e di Marshall, a studiare dell'opportunità di pigliare qualche po' da una parte per dare all'altra, sia un po' il portato della fiducia che in fondo gli inglesi nutrono sul valore pratico dei risultati delle indagini teoriche".

Accanto alle indagini di carattere strettamente teorico, il F. trattò, in quegli anni, tematiche più concrete, attinenti alla politica economica quale sembrava configurarsi nella nascente teoria economica corporativa.

Dopoil Contributo alla teoria dell'uomo corporativo il F. approfondì il suo pensiero al riguardo in una serie di scritti, due dei quali apparvero nel 1935. Il più breve di essi, Problemi tributari inglesi (in Annali di economia, X [1935], 2, pp. 335-365), frutto di una conferenza tenuta all'università Bocconi, fornisce al F. l'occasione per riproporre la metodologia paretiana, parlando di teorie della finanza pubblica che minacciano di trasformarsi in "derivazioni". Contrapponendo il sistema economico del Regno Unito, "collettività organizzata su basi eminentemente individualistiche", a quello che stava emergendo in Italia con l'organizzazione corporativa, egli concludeva affermando: "Altri rimedi, altri spiragli, altre risorse si palesano in una organizzazione quale la nostra, in cui il sistema tributario non è che una parte, e non la principale, nell'organismo di manovra creato dal Fascismo" (p. 365).

In un saggio dello stesso anno, Fluttuazioni economiche e economia corporativa (in Annali di statistica e di economia della Facoltà di economia e commercio di Genova, II [1935], 3, pp. 1-70), il F. presentava "alcune osservazioni che possono essere una parte, una piccola parte, di una teoria dell'economia corporativa" (p. 5).

Il primo elemento importante da mettere in evidenza, secondo il F., è che "l'ordinamento economico corporativo è nato in una società dinamica e per una società dinamica". Deriva da ciò che, qualora ci si ponga dal punto di vista della dinamica economica, "non solo gran parte degli studi di Economica applicata cessano di persuadere, ma vengono meno tutte le critiche e le obbiezioni rivolte alle 'economie regolate', ove abbiano unica base nelle nozioni delle 'tendenze' offerte dall'Economica tradizionale" (p. 17). In particolare, le crisi congiunturali, che nell'ottica della teoria statica sono un "fenomeno transeunte" e quindi "non possono fornire argomento di critica verso il sistema capitalistico liberista" (p. 17), devono essere valutate in modo del tutto diverso quando si riconosca "che le leggi della statica non trovano applicazione fuori del caso limite in cui sono valide, e che una politica economica riflettente i prezzi o le quantità non può poggiare su quelle leggi" (p. 21). Sostiene quindi il F. che "se non esiste un movimento tendenziale retto dalle leggi proprie della statica, P' intervento' non può essere un ostacolo alla manifestazione di quelle leggi, ma deve essere considerato e valutato con tutt'altri criteri" (p. 19), che giustificano l'economia regolata", che non è però sinonimo di "economia corporativa". Le economie regolate sono considerate dal F. come "tentativi di raggiungere un massimo di utilità per la collettività" (p. 23), ma ciò non è ancora economia corporativa, la quale, secondo il F., "non si limita a ricercare un massimo di benessere o di utile per la società, ma persegue, inoltre, un massimo di benessere o di utile della società" (p. 23). Ne deriva che "sarebbe assurdo supporre che l'economia corporativa fosse soltanto un rimedio alle fluttuazioni. I suoi scopi sono assai più vasti ed importanti" (p. 23) e di duplice ordine. Vi sono, in primo luogo, gli "scopi fondamentali e generali", che "trascendono di gran lunga i problemi di cui solitamente si è occupata l'Economica" e "costituiscono le basi fondamentali del sistema economico e del sistema politico nazionale" (p.24). In secondo luogo, accanto ad essi, "l'economia corporativa ne persegue altri minori", "di amministrazione", tra i quali rientra quello del controllo delle fiuttuazioni industriali (p.25), che deve attuarsi "aggiungendo al movimento controllato dei prezzi, altre forze direttive capaci di coadiuvarlo nelle sue funzioni" (p. 27). Infatti, l'organizzazione corporativa può "ottenere quel rapido adeguamento di prezzi e quel pronto sacrificio di guadagni che l'azione separata ed autonoma degli imprenditori non sa consentire" (p. 56). In aggiunta al controllo dei prezzi, secondo il F., possono essere necessari altri tipi d'intervento, quali l'imponibile di lavoro" a carico delle imprese, e l'azione diretta sulla domanda e l'offerta di impianti industriali, attraverso un "piano controllato di produzione", che includa, se giudicato necessario, un "contingentamento della produzione a cui è destinato il macchinario-base" (p. 61).Pochi anni dopo, in uno degli scritti più impegnativi su questa tematica, Principii generali e politiche delle crisi (in Annali d'economia, XII [1937], 1-4, pp. 25-108), il F. distinse (p. 94) tre diverse "politiche", dirette alternativamente: a) "ad alleviare gli effetti più dolorosi delle depressioni" (secondo il modello liberale, che il F. giudicava superato); b) "ad agire su alcune delle forze che giocano sul meccanismo delle fluttuazioni"; c) "a modificare la combinazione e il funzionamento di quel complesso di forze". La terza soluzione, che è quella "totalitaria, continua, rivolta a tutti i punti del sistema, nell'intento di armonizzarne i movimenti" (p. 96), è quella che il F. preferisce. Infatti, egli giudica la seconda alternativa, nella quale include anche la politica della spesa pubblica finanziata in disavanzo suggerita da J. M. Keynes nel 1933 (The means to prosperity, London 1933) di dubbia efficacia, in quanto essa "può, al massimo, risollevare dalla stasi e portare a un nuovo ciclo, ma non prevenire o limitare le fluttuazioni" (p. 99). Dopo aver individuato la soluzione totalitaria come l'unica accettabile, il F. distingue tra la "soluzione comunista" con pianificazione centralizzata e la "soluzione corporativa fascista", che, invece di un piano integralmente predisposto da un organo centrale, prevede "un "piano" nato dall'iniziativa individuale, che l'organo centrale controlla e plasma, coordinandone le varie parti", (p. 104) e che il F. giudica preferibile, sia perché più flessibile, sia perché conforme ai principi della proprietà privata. In un successivo scritto, Autarchia economica (in Annali di statistica e di economia, V [1939], 6, pp. 352), il F. dopo aver distinto tra "autonomia", in cui l'indipendenza economica è un fine, e "autarchia", in cui l'indipendenza economica è un mezzo, sostiene che la Nazione Fascista tende all'"autarchia" e non alla semplice "autonomia". L'obiettivo, infatti, dev'essere quello di "cornandare" l'economia, al fine di "raggiungere determinati obiettivi di politica interna e di politica estera" (p. 8). Anche Keynes viene chiamato (p. 16) a sostegno dell'autarchia (in Autarchia economica, in "Nuova Collana di Economisti", III, Torino 1933, p. 339), soprattutto per le sue critiche al "capitalismo individualistico". In una parola, "il liberismo commerciale internazionale non può sopravvivere al liberismo nazionale" (p. 17).

Nel 1940, in A proposito dei recenti provvedimenti tributari italiani (in Annali di statistica e di economia, VI [1940], 7-8, pp. 209-235), riferito all'introduzione dell'imposta ordinaria sul patrimonio e dell'imposta generale sull'entrata, il F., dopo aver sostenuto l'importanza dell'autarchia economica come strumento per l'indipendenza politica, e considerando che lo stato di guerra doveva essere ritenuto come un periodo non eccezionale nella vita dei popoli, affermava tra l'altro che "la distinzione tradizionale tra "finanza ordinaria" e "finanza straordinaria" perde molto della sua importanza", sostenendo che "il sistema tributarlo deve preordinarsi in modo da poter funzionare e rispondere alle esigenze statali, tanto nei periodi di pace armata quanto nei periodi di guerra guerreggiata" (p. 217). Egli giungeva, così, sia pure per vie molto diverse, a risultati analoghi a quelli della cosiddetta "finanza funzionale" di derivazione keynesiana.

Nello stesso periodo il F. continuava, parallelamente, la sua attività scientifica di carattere più tradizionale. Nel 1935 egli pubblicava un lungo saggio su Imposta e rischio (in Studi in onore di Salvatore Ortu Carboni, Roma 1935, pp. 139-202), nel quale esaminava diverse possibili relazioni tra rischio e imposizione. L'anno seguente, nell'articolo Diun elementare problema di tempo e di alcune sue applicazioni finanziarie (in Annali di statistica e di economia, V [1936], 4, pp. 69-112), il F. esaminava il calcolo economico individuale nella ripartizione della ricchezza disponibile su tutto il periodo economico che l'individuo considera e che può essere illimitato o, invece, di durata limitata.

Secondo il F., un soggetto dotato di un "periodo economico" di durata limitata ottiene un vantaggio particolare (analogo alle "rendite marshalliane" e definito "rendita del celibe") per il fatto di vivere in una collettività i cui soggetti "normali" sono dotati di un "periodo economico" illimitato. Ritornando sul tema già tante volte affrontato della -doppia tassazione del risparmio, il F. ne ricava la conclusione che "i sistemi tributarii moderni rivelano una tendenza non già ad esentare il risparmio, come tale, ma soltanto quel risparmio che è rivolto a perpetuare il reddito del soggetto normale, allo scopo di restringere la tassazione alle sole rendite del celibe presumibilmente realizzate, con esclusione di quelle parti del reddito che presumibilmente non ne contengono" (p. 110).Hanno carattere erudito due scritti del 1936 e dell'anno seguente. Nel primo, Precedenti di alcune recenti teorie finanziarie (in Annali di statistica e di economia, III [1936], 4, pp. 195-240), il F. intende dimostrare come "frequenti, facili e impensate siano le ripetizioni, nello svolgimento della dottrina". Egli si sofferma soprattutto sui precedenti della teoria del debito pubblico di A. De Viti De Marco, sul "valuta-dumping", sul principio produttivistico dell'imposta, sulla polemica tra Einaudi e Griziotti e sulla teoria dell'incidenza di De Viti De Marco.

Il secondo saggio, Note sui "Saggi economici" di Francesco Fuoco (ibid., IV [1937], 5, pp. 1-131), che costituisce in assoluto lo studio più erudito del F., è dedicato alla presentazione di uno studioso del primo ottocento lungamente ignorato che proprio in quegli anni veniva riscoperto (cfr. il commento di L. Einaudi, Fuoco rivendicato, in Rivista di storia economica, III [1938], 1, pp. 60-77, rist. in: L. Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma 1953, pp. 175-199).

La pubblicazione del libro di Duncan Black, The incidence of income tax, London 1939, fu salutata dal F. con un articolo di recensione, A proposito di un recente volume sull'incidenza delle imposte, in Giornale degli economisti, n.s., II (1940), che gli fornì lo spunto per riprendere, con nuovi sviluppi, temi a lui molto cari, come quello della doppia tassazione del risparmio e, inoltre, quello della teoria dell'incidenza delle imposte di De Viti De Marco. Nei riguardi di quest'ultima teoria il F. elaborò delle ipotesi circa la possibilità di trascurare l'uso del gettito delle imposte, che suscitarono alcuni commenti critici di Attilio Da Empoli (in Lineamenti teorici dell'economia corporativa finanziaria, Milano 1941, pp. 131-136), ai quali, come vedremo, il F. avrebbe replicato poco dopo.

Gli studi condotti dal F. durante un quindicennio ebbero un elemento di fusione nei suoi Principii di scienza delle finanze, che apparvero nel 1941 dopo una prima versione litografata dell'anno precedente (Appunti presi alle lezioni tenute dal prof. M. F. dalla cattedra di scienza delle finanze, Genova 1940).

Secondo la sua definizione, basata sul concetto di "gruppo pubblico", da lui mutuato da E. R. Seligman, "la Scienza delle finanze studia le uniformità di quella parte dell'attività economica del gruppo pubblico che assume l'aspetto contabile di entrate e di spese nella pubblica amministrazione ".

La struttura portante dell'opera è costituita da un'applicazione dello schema devitiano dei "tipi" di Stato, comprendente lo Stato monopolista e quello cooperativo, con l'aggiunta, rispetto all'impostazione devitiana, dello "Stato moderno", o "corporativo", verso il quale, a suo avviso, si sarebbero indirizzati gli Stati contemporanei, dato che "nel corso del tempo, si tenderà in ogni Paese ad allontanarsi sempre più dai casi limite dello Stato Monopolista e Cooperativo, per avvicinarsi al caso dello Stato Moderno".

Lo Stato monopolista rappresenta "un'organizzazione in cui una classe eletta dirigente (i dominanti) eserciti il potere nel proprio esclusivo interesse, senza preoccuparsi degli interessi dei dominati", mentre lo Stato cooperativo si ha nel caso di "un'organizzazione in cui il potere sia esercitato nell'interesse di tutti gli appartenenti al gruppo pubblico, ma avendo di mira gli interessi particolari di ciascuno o almeno della maggioranza". Ambedue questi "tipi" di Stato hanno rispondenza nella teoria microeconomica, nei casi di monopolio e di concorrenza perfetta, secondo quanto proposto da De Viti De Marco.

Appare al di fuori della struttura "microeconomica" il terzo caso, dello Stato corporativo, rappresentato da "un'organizzazione in cui il potere sia esercitato invece nella preoccupazione degli interessi del gruppo pubblico, considerato come un'unità". La differenza tra Stato cooperativo e Stato corporativo consisterebbe nel fatto che, mentre nel primo il protagonista è l'individuo, nel secondo è il gruppo pubblico, nel cui interesse viene perseguita l'attività finanziaria, "anche se non accresce il benessere individuale della totalità o della maggioranza dei consociati".

Peraltro, secondo il F., tutti e tre questi tipi di Stato rappresentano dei casi limite, non potendo nessuno di essi essere identificato con uno Stato storicamente esistito.

Il disegno originario dei Principii di scienza delle finanze prevedeva quattro volumi, dei quali soltanto due sono stati pubblicati, dedicati, il primo, alla finanza dello Stato monopolista (dopo un'introduzione sulla teoria generale della finanza pubblica), ed il secondo alla finanza nello Stato cooperativo. In questi due volumi il F. ha inserito, talvolta con qualche inevitabile forzatura, la maggior parte delle tematiche della scienza delle finanze. Un terzo volume avrebbe dovuto riferirsi alla finanza dello Stato moderno, mentre il quarto volume sarebbe stato dedicato all'imposizione straordinaria, che per sua natura, secondo il F., si prestava ad essere esaminata allo stesso modo, pur nell'ambito di tipi di Stato diversi (anche se, come si è accennato, la stessa distinzione tra finanza ordinaria e finanza straordinaria era stata messa in dubbio dal Fasiani).

Nella trattazione dello Stato monopolista ampio spazio è dato alla tematica delle illusioni finanziarie di Amilcare Puviani, alle quali in questo tipo di Stato la classe eletta farebbe sistematicamente ricorso per via non logica, sebbene illusioni finanziarie possano riscontrarsi anche negli altri tipi di Stato. Lo sfruttamento dei fenomeni di illusione, peraltro, non può svolgersi oltre certi limiti. Viene inquadrato in quest'ambito il fenomeno della traslazione delle imposte, con particolare riferimento a quelle di carattere speciale, che più si prestano ad un trattamento discriminatorio tipico dello Stato monopolista.

Nello Stato cooperativo, invece, secondo il F., la "classe eletta" dovrà soddisfare gli "interessi della totalità dei consociati o almeno della maggioranza" (II, p. 12), attuando così il principio che "non si deve mai giovare ad alcuno con danno di altri, ogni qual volta ciò sia possibile". Rientra in quest'ambito, secondo il F., la cosiddetta "teoria edonistica della finanza pubblica".

In questo tipo di Stato il compito della "classe eletta" è quello di risolvere tre problemi: la scelta dei servizi da dichiarare pubblici, la determinazione del loro ammontare e la ripartizione del costo.

Sul primo problema egli osserva che tutti i servizi (inclusa la stessa difesa) potrebbero, in principio, essere prodotti dai privati, per cui il criterio per la scelta dei servizi pubblici dev'essere quello economico (quando lo Stato fornisca servizi di qualità migliore allo stesso costo dei privati o, a costo minore, servizi della stessa qualità), con le eccezioni dei servizi che devono tipicamente essere prodotti dallo Stato, pena la sua scomparsa, e dei servizi prodotti in condizioni di monopolio naturale.

Sulla base di queste considerazioni, il F. ritiene che "lo Stato cooperativo debba limitarsi a dichiarare pubblici quelli che riescono utili alla totalità dei consociati" (II, p. 11), o almeno alla maggioranza.

Per quanto riguarda, poi, la determinazione della quantità dei servizi pubblici, il F. distingue a seconda che essi siano divisibili o meno. Nel primo caso, la quantità è determinata dalla domanda (mentre il prezzo è pari al costo di produzione). Nel secondo, che viene distinto dal F. a seconda che vi sia indivisibilità in senso stretto, che dà luogo a consolidamento (per i servizi che soddisfano bisogni fondamentali), o indivisibilità in senso lato (dovuta all'estensione del gruppo pubblico che usufruisce di tali servizi), il meccanismo basato sulla domanda non può operare. Nel caso dei beni indivisibili in senso stretto, la quantità dovrà essere quella necessaria perché il bisogno rimanga consolidato, mentre per i beni indivisibili in senso lato la scelta è lasciata alla valutazione della "classe eletta", che vi provvederà dopo aver soddisfatto i bisogni consolidati e tenendo conto delle reazioni dei contribuenti che, nello Stato cooperativo, devono essere degli indicatori per l'attività finanziaria, mentre nello Stato monopolista costituiscono degli ostacoli all'attuazione della volontà della classe eletta.

Infine, la ripartizione del costo dovrebbe avvenire in modo che "la contribuzione di ognuno sia proporzionata al vantaggio tratto dal servizio pubblico" (II, p. 33), cosa che, nel caso dei beni divisibili, richiede da parte di ciascuno il pagamento della quota di costo corrispondente al suo consumo, mentre nel caso dei beni indivisibili il pagamento deve avvenire attraverso un sistema d'imposte che colpiscano il reddito sulla base del principio del sacrificio proporzionale.

Anche nell'ambito dello Stato cooperativo vi è un problema di traslazione delle imposte, ma, diversamente dal caso dello Stato monopolista, poiché in questo caso i servizi pubblici sono utili a tutti i cittadini ed il costo viene ripartito secondo il principio del sacrificio proporzionale, i fenomeni di traslazione saranno meno frequenti. Anche a questo proposito viene accennato il tema della considerazione della spesa, di cui, nel caso d'imposta generale, il F. sostiene si debba tener conto simultaneamente agli effetti dell'imposizione, non essendo più legittimo, come nel caso dell'imposta speciale, tipica invece dello Stato monopolista, fare ricorso all'ipotesi dell'imposta grandine, almeno "in linea di principio" (infatti, anche nell'ipotesi di Stato cooperativo, il F. ritiene non si possano escludere fenomeni caratteristici della traslazione di imposte speciali).

Quanto al previsto terzo volume, dalle sue anticipazioni possiamo ritenere che esso sarebbe consistito soprattutto in una risistemazione dei contributi da lui elaborati sul tema della teoria del corporativismo, a partire dal saggio del 1932 sull'uomo corporativo, integrati da alcuni scritti che diede alle stampe poco dopo (La traslazione dell'imposta in regime di concentrazione industriale, in Studi economici finanziari corporativi, II [1942], pp. 200-225, ed inoltre: Potenziale di lavoro e moneta, in Annali di statistica ed economia, VII [1942], 9-10, pp. 139-223).

Sul volume della finanza straordinaria, invece, le sue idee non erano, forse, del tutto definite (come egli stesso ebbe a dichiarare, in una lettera a Luigi Einaudi del novembre 1941) anche se, come si è accennato, era possibile, a suo avviso, svolgere una trattazione unica per i tre tipi di Stato.

Dopo la pubblicazione dei Principii, il F., oltre agli scritti di cui si è già detto, pubblicò anche un saggio su imposta e offerta di lavoro (Appunti critici sull'offerta individuale di lavoro, in Annali di statistica e di economia, VII [1942], 9-10, pp. 139-223) ed alcuni scritti polemici di notevole interesse, per rispondere sia alle critiche rivoltegli da Einaudi con riferimento al teorema della doppia imposizione del risparmio (Della teoria della produttività dell'imposta, del concetto di "stato fattore della produzione" e del teorema della doppia tassazione del risparmio, in Giornale degli economisti, n.s., IV [1942], 11-12, pp. 491-511) ed al concetto di "gruppo pubblico" (Di alcuni connotati del gruppo pubblico e di una definizione dei bisogni pubblici, in Rivista di diritto finanz. e scienza delle finanze, VII [1943], pt. 1, pp. 62-83, nonché: Postilla a "L. Einaudi, Discutendo con F. e Griziotti di connotati dello Stato e di catasto e imposta fondiaria", ibid., pp. 190 s.), sia alle critiche rivoltegli da Attilio Da Empoli circa la legittimità dell'ipotesi d'imposta-grandine nello studio degli effetti delle imposte (Sulla legittimità dell'ipotesi di un'imposta grandine nello studio della ripercussione dei tributi, in Studi in memoria di Guglielmo Masci, Milano 1943, I, pp. 261-279).

Intanto, l'incalzare degli eventi militari e politici toglieva al F., come a molti altri studiosi in quegli anni, la serenità, premessa indispensabile per ogni indagine scientifica (tra l'altro, un bombardamento aveva distrutto la biblioteca della sua facoltà). Il 1º apr. 1945 il F., che negli ultimi anni aveva visto peggiorare le sue condizioni di salute, da tempo malferme, chiedeva al ministero dell'Educazione nazionale un'aspettativa per motivi di salute di quattro mesi, "date specialmente le attuali contingenze e la necessità in cui si trova di evitare qualsiasi genere di strapazzi e fatiche". I tempi burocratici e la conclusione della guerra, di lì a poche settimane, fecero sì che questo periodo di aspettativa non fosse effettivamente usufruito dal Fasiani. È indubbio, però, che le sue energie erano ormai molto ridotte. Pertanto, nel dopoguerra (che coincide con il periodo che abbiamo indicato come la terza fase della vita scientifica del F.) la sua produzione si ridusse.

Nel 1946 apparve il saggio L'imposizione degli incrementi patrimoniali (in Rapporto della Commissione economica del ministero per la Costituente, Roma 1946, V (Finanza). App., pp. 429-451), che costituisce una sintesi molto completa dei principali aspetti inerenti l'introduzione nell'ordinamento italiano di questa forma d'imposizione come tributo a carattere ordinario.

Sono del 1949 tre articoli, uno dei quali è il testo della sua commemorazione del collega E. Sella (Emanuele Sella, in Economia internazionale, II [1949], pp. 50-67), mentre è particolarmente interessante l'articolo Contributi di Pareto alla scienza delle finanze (in Giornale degli economisti, n.s., VIII [1949], pp. 129-173, rist. nel vol. Vilfredo Pareto, l'economista e il sociologo, Milano 1949, pp. 263-307), nel quale il F. dimostra come, contrariamente alle apparenze, nell'opera paretiana vi sia "un nocciolo attorno al quale riesce possibile costruire una teoria finanziaria" (p. 306). Costituisce uno sviluppo di questo più ampio studio un altro scritto, su La distribuzione dell'imposta e la "legge di Pareto" in una recente indagine teorica (in Economia internazionale, II [1949], pp. 299-321).

Infine, appare nel 1950 I'ultimo scritto, Sull'equivalenza tra imposte sui redditi e imposte di successione, in Finanza pubblica contemporanea (Studi in onore di Jacopo Tivaroni), Bari 1950, pp. 155-190, nel quale il F. sostiene che la tesi dell'equivalenza tra un'imposta sul reddito di capitale e un'imposta di successione deve essere assoggettata a numerose limitazioni ed eccezioni.

Non aveva ancora completato la revisione dei primi due volumi dei suoi Principii (pubblicati, in seconda edizione ampliata, postumi a Torino nel 1951-52, a cura di A. Scotto) quando si spense a Genova il 20 luglio 1950.

Fonti e Bibl.: Torino, Fondazione L. Einaudi, Carte Einaudi (lettere del F. a L. Einaudi); Necrol. in Economia internazionale, novembre 1950, pp. 913-919; L. Einaudi, in Riv. di diritto finanz. e scienza delle finanze, XIV (1950), pp. 199 ss.; A. Scotto, Gli scritti di M. F., ibid., pp. 202-218 (con bibliogr.).

Recensioni e commenti agli scritti del F.: A. Loria, Sintomi di risveglio scientifico, in Echi e commenti, 5 dic. 1926, p. 6; G. Capodaglio, in Economia, XX (1942), 5-6, pp. 188 s.; E. d'Albergo, in Rivista bancaria, XXIII (1942), pp. 187 s.; A. De Pietri Tonelli, in Rivista di politica economica, XXXII (1942), 1, pp. 122-125; L. Einaudi, Scienza e storia, o dello stacco dello studioso dalla cosa studiata, in Rivista di storia economica, VII (1942), 1, pp. 30-37; Id., Ipotesi astratte ed ipotesi storiche e dei giudizi di valore nelle scienze economiche, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, LXXVIII, 2, disp. 1 (novembre 1942 0 1943), pp. 57-119; B. Griziotti, in Rivista di diritto finanziario e di scienza delle finanze, V (1941), 4, pp. 274-275. Sul pensiero del F. cfr. inoltre: J. M. Buchanan, "La scienza delle finanze". The Italian tradition in fiscal theory, in Id., Fiscal theory and political economy - Selected essays, Chapel Hill 1960, pp. 24-74 (trad. ital.: La scuola italiana di finanza pubblica, in M. Finoia, Il pensiero economico italiano, 1850-1950, Bologna 1980, pp. 203-242). Di recente, il pensiero del F. è stato oggetto di rinnovato interesse. Cfr.: F. Forte, Il pensiero finanziario in Italia fra le due guerre, con particolare riferimento a Pesenti, Pugliese, Fasiani e Fubini, in Quaderni di storia dell'economia politica, VIII (1990), 2-3, pp. 197-221; N. Bellanca, Il dibattito Einaudi, Fasiani-Cosciani sul declino d. scuola ital. di finanza pubblica, in Annali d. Fondazione L. Einaudi, 1990, v. 24, pp. 173-212; R. Cellerino, Dai servizi indivisibili ai beni pubblici: nota in margine all'opera di M. F., XXXVIII (1991), 6-7, pp. 585-604. Per i rapporti tra il F. e L. Einaudi, cfr. R. Faucci, L. Einaudi, Torino 1986, ad Ind.

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