MEDICINA PSICOSOMATICA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

MEDICINA PSICOSOMATICA

Massimo Biondi

Il termine (contratto da ''psichico'' e ''somatico'') indica il campo della m. che studia disturbi e malattie fisiche alla cui origine si ritiene esistano fattori psichici (malattie ex emotione). È un campo di recente sviluppo, che sottolinea l'importanza per il medico di centrare l'attenzione non solo sulla malattia ma anche sulla persona malata, e sull'insieme mente-corpo più che sul solo organo colpito, sia per comprendere le cause di una patologia sia per curarla in modo più completo. Fino a non molto tempo fa, la m.p. si fondava solo o quasi su osservazioni cliniche e interpretazioni psicologiche, talvolta attente e preziose, altre volte del tutto speculative e senza alcuna evidenza oggettiva. Negli ultimi 20 anni, grazie agli studi sulla biologia dello stress e sul rapporto tra stress e malattie, si è sviluppata una sempre più ampia documentazione scientifica che testimonia le complesse relazioni tra cervello e sistemi periferici dell'organismo: sistema neurovegetativo, psiconeuroendocrinologia, psicoimmunologia e neuroimmunomodulazione.

In passato, il termine ''psicosomatico'' è stato utilizzato con significati diversi: per indicare alcune malattie in cui sintomi psichici e somatici coesistono (per es., in determinate malattie endocrine), oppure per indicare i sintomi somatici di malattie psichiche, come mancanza d'appetito, tristezza e stanchezza nella depressione. Ormai quest'impiego del termine è quasi abbandonato.

L'interazione tra stati psichici e fenomeni somatici, fino al possibile sviluppo di malattie, è sempre stata notata fin dall'antichità. Proverbi, medicine tradizionali, letterati e poeti hanno sempre riconosciuto e descritto tali fenomeni ben prima che la moderna m.p. esistesse. Il termine m.p. si è diffuso a partire dagli anni Cinquanta, conoscendo un successo sempre maggiore, fino a uscire dall'area prettamente tecnica, medica, per divenire un orientamento diffuso entrato nella sensibilità culturale di molti.

Il primo studioso che affrontò in modo sistematico il problema del rapporto mente-corpo nella medicina contemporanea, tentando di riconoscere precise malattie psicosomatiche e di spiegarne i meccanismi etiopatogenetici, fu F. Alexander (1891-1964), della scuola psicoanalitica di Chicago, intorno agli anni Quaranta. Egli suggerì che conflitti specifici, concernenti l'aggressività oppure la dipendenza emotiva, avevano come correlato fisiologico l'iperattivazione del sistema neurovegetativo (rispettivamente orto- o parasimpatico, secondo le principali conoscenze dell'epoca), favorendo l'insorgere di malattie quali l'ipertensione arteriosa, l'infarto miocardico, oppure coliti, gastriti e ulcere. Negli stessi anni fu fondata la prima rivista scientifica del settore, l'americana Psychosomatic Medicine. Negli anni successivi iniziative analoghe sorsero in molti paesi. La letteratura internazionale dispone oggi di varie riviste e decine di volumi, sui temi più disparati, dalla cardiologia alla dermatologia, ai tumori. Negli anni Sessanta sono state fondate la Società Italiana di Medicina Psicosomatica e il suo organo ufficiale, la rivista Medicina Psicosomatica. Nel 1984 è uscito in Italia il primo trattato di m.p., comprensivo dei principali aspetti di base e clinici della materia.

Quali sono esattamente le malattie psicosomatiche? L'orientamento scientifico attuale, sulla base di numerosi dati di ricerca clinica, ha eliminato la divisione artificiale tra malattie ''psicosomatiche'' e ''non psicosomatiche''. Qualsiasi patologia somatica può risentire di fattori emozionali, in misura differente a seconda dei disturbi e dei casi, e può quindi essere potenzialmente psicosomatica. Importante è che siano dimostrabili specifici mediatori biologici del rapporto tra reattività emozionale e malattia, e che quindi tale nesso sia verificabile. Per es., se si pensa che uno stress acuto aumenti il rischio di prendere l'influenza o una bronchite, è necessario dimostrare che nella condizione di stress acuto esiste una temporanea caduta delle difese immunologiche. Ovviamente dimostrazioni come questa non sono spesso possibili nel singolo caso clinico, ma è importante che il medico conosca come fattori ambientali e psichici, non solo il semplice contatto con il virus, possano influire sul rischio di malattia. Le conoscenze disponibili nella letteratura internazionale possono offrire basi interessanti su queste e altre malattie. Dal punto di vista pratico, pertanto, è opportuno affrontare il problema non tanto chiedendosi se una determinata malattia sia psicosomatica o no, quanto valutando se, in che misura e in quali casi fattori emozionali possano rivestire un ruolo significativo nella genesi, o nel decorso, e/o nella terapia di una specifica malattia somatica. Certamente esistono alcune malattie in cui il ruolo dei fattori emozionali nell'insorgenza è più frequente ed evidente all'osservazione (cefalee, alcune patologie gastrointestinali e dermatologiche), e altre in cui è praticamente nullo (tumori da radiazioni, traumi, alcune malattie ereditarie, ecc.). In vari casi, tuttavia, il ruolo di fattori emozionali può essere significativo non nell'insorgenza ma nell'adattamento e nel decorso, ed essere ugualmente importante. In tutti questi casi la diagnosi corretta viene fatta non sulla base del tipo di malattia o dopo il risultato negativo di vari classici esami diagnostici (diagnosi per esclusione), ma sulla base della ricostruzione della storia, dello stato d'animo e dei vissuti, della presenza di avvenimenti o situazioni nella vita che possono aver determinato modificazioni dell'equilibrio fisiologico e dell'osservazione di una relazione tra di essi. Molte malattie, peraltro, sono strettamente somatiche, come un infarto miocardico, uno scompenso diabetico, una recidiva di sclerosi multipla, una neoplasia, ma è dimostrato che possono essere precipitate o modificate nel loro decorso da eventi stressanti della vita.

Patogenesi. − Considerazioni generali. − Perché insorgono le malattie psicosomatiche? Sarebbe più esatto chiedersi in quali condizioni è più frequente che processi emozionali influenzino la salute fisica; ma continuiamo a usare il termine convenzionale di malattia psicosomatica. La prima ipotesi di Alexander, che esse rappresentino uno stato di iperattivazione fisiologica a carico di determinate funzioni od organi, correlato cronico di conflitto psichico, è nel suo insieme ancora valida anche se ormai piuttosto approssimativa. Modelli di studio animale hanno provato che l'esposizione ripetuta a situazioni di minaccia, per es. a un predatore, senza poter fuggire, provoca una condizione di stress che è causa di aumentata morbilità, e spesso mortalità, per patologie di vario tipo.

Nel caso dell'uomo, molti modelli patogenetici hanno sottolineato il ruolo di almeno cinque diversi fattori:

a) condizioni di aumentato stress esistenziale, per es. recenti eventi di perdita affettiva (separazione o morte di persone care, perdita del ruolo e pensionamento, ecc.), contrasti affettivi, sovraccarico lavorativo con insoddisfazione, agirebbero quali fattori di rischio, a volte preparanti, a volte scatenanti;

b) una ridotta capacità caratteriale a esprimere apertamente le emozioni, che porterebbe a subire in silenzio, a non reagire, favorirebbe la somatizzazione di tensioni psichiche. L'espressione aperta delle emozioni sul piano del comportamento, insieme alle modificazioni della biologia dell'organismo a essa associate, favorirebbe invece lo scarico di tali tensioni;

c) uno stato protratto di demoralizzazione o depressione, fino a condizioni di vera e propria disperazione, risultato di possibili condizioni diverse, potrebbe agire come fattore favorente, di per sé aspecifico, nei confronti di varie malattie e soprattutto del loro decorso;

d) la presenza di un ridotto supporto affettivo ed emozionale, come per es. la mancanza di relazioni all'interno delle quali la persona sente di essere importante per altri (partner, familiari, gruppo ristretto o allargato di appartenenza) non è causa di per sé di malattia; tuttavia è provato che la presenza di un valido supporto sociale ha come un effetto protettivo verso patologie sia psichiatriche che somatiche;

e) condizioni di stress emozionale acuto innescate da eventi intensi e improvvisi possono scatenare reazioni somatiche e precipitare episodi morbosi improvvisi. Tipici esempi possono essere una crisi cardiaca all'arrivo di una brutta notizia o per la paura durante un terremoto, la recidiva di una gastrite o una crisi ipertensiva in seguito a un'arrabbiatura. In tutti questi casi la malattia somatica è preesistente e la reazione emozionale di sufficiente intensità agisce scompensando un equilibrio precario.

È comunque importante notare che almeno tre di queste condizioni (a, c e d) non sono specifiche delle malattie psicosomatiche ma rappresentano una condizione di rischio anche per vari disturbi psichiatrici.

Meccanismi patogenetici. - Lo studio delle modificazioni somatiche correlate ai processi emozionali ha permesso di compiere il salto dallo psichico al somatico basandosi non più solo su congetture e modelli di tipo psicologico, ma identificandone i precisi mediatori biologici. Ciò ha consentito di superare la dicotomia tra interpretazioni psicologiche, per es. psicoanalitiche, e biologiche della malattia somatica. Numerosi studi hanno permesso di riconoscere le basi cerebrali della reattività emozionale e le sue connessioni con la periferia dell'organismo. Aree della neocorteccia, ma soprattutto la parte più antica del cervello denominata sistema limbico, le connessioni tra tale sistema e l'ipotalamo (area nervosa di dimensioni molto limitate ma importantissima, situata alla base del cervello), e tra ipotalamo e ghiandola ipofisaria rappresentano a livello centrale le principali sedi e vie che permettono il passaggio tra emozione e modificazioni somatiche. Dal punto di vista fisiologico poi quattro grandi sistemi portano dall'attivazione emozionale a livello cerebrale alla più lontana periferia dell'organismo: essi sono il sistema muscolare scheletrico, il sistema neurovegetativo, il sistema psiconeuroendocrino e il sistema immunitario, veri e propri canali del rapporto tra mente e corpo. Studi sistematici, condotti sia in laboratorio che in situazioni di vita reale, sia nell'animale che nell'uomo, hanno tentato di descrivere e identificare passo passo le alterazioni che per ciascuno di questi sistemi sono documentabili in condizioni di sollecitazione emozionale.

È così ormai ben noto che la funzionalità di un organo come il cuore, oltre a obbedire a precisi meccanismi di autoregolazione intrinseci, viene modulata attraverso complessi e articolati meccanismi di mediazione neurovegetativi, neuroendocrini e peptidergici, influenzati dal cervello (e quindi aprendo un punto di contatto tra stati d'animo, emozioni e funzionalità cardiaca). È stato per es. provato che condizioni di ''disperazione'' indotte sperimentalmente in animali portano a uno stato d'instabilità elettrica cardiaca, con abbassamento della soglia per extrasistolia ripetitiva, fino a possibili quadri di morte cardiaca improvvisa. Vari studi hanno mostrato che la pressione arteriosa si eleva in condizioni anche di blando stress emozionale; è interessante rilevare che l'elevazione è maggiore e più persistente se il soggetto è sottoposto per es. a una frustrazione ma nell'impossibilità di reagire.

Altri studi ancora hanno documentato l'estrema sensibilità di numerosi sistemi ormonali a stimoli stressanti, sia fisici che puramente emozionali. Tali sistemi, com'è noto (v. anche neuroendocrinologia, in questa Appendice), sono organizzati in ''assi'' che dall'ipotalamo, attraverso la ghiandola ipofisaria, controllano e regolano le funzioni di molte ghiandole endocrine come la corteccia e la midollare del surrene, le ghiandole sessuali maschili e femminili, la tiroide, e funzioni quali l'accrescimento, la lattazione, i metabolismi degli zuccheri e dei grassi, e altre ancora. Lo stress emozionale che accompagna l'attesa di un importante esame scolastico, l'attesa di un intervento chirurgico, un esame diagnostico, oppure la sofferenza dopo la morte di una persona cara sono caratterizzati da elevazioni di ormoni come l'ormone adreno-corticotropo (ACTH), il cortisolo, le catecolamine come adrenalina e noradrenalina, l'ormone somatotropo, la prolattina, e sono in genere accompagnati da una riduzione dell'attività degli assi endocrini sessuali, con modificazioni a carico delle gonadotropine (ormone luteinizzante, LH, e follicolostimolante, FSH, progesterone, estrogeni e testosterone). Le modificazioni ormonali innescate dall'esposizione ad agenti stressanti favoriscono nell'organismo le condizioni per un'efficace risposta a sollecitazioni ambientali. Una risposta di lotta o di fuga di fronte a una potenziale minaccia richiede certamente un'''allerta'' fisiologica e la mobilitazione in tempi molto brevi del massimo delle energie disponibili, per es. elevando frequenza cardiaca e pressione arteriosa, aumentando temporaneamente la disponibilità di energia e così via, e mettendo a riposo funzioni al momento inutili, come la sessualità o i processi digestivi. Lo stress acuto produce anche un fenomeno, denominato ''analgesia da stress'', che si ritiene sia mediato da peptidi oppioidi come la beta-endorfina; insieme all'ACTH questa mostra notevoli elevazioni nel sangue durante l'esposizione a stress. È probabile che così si spieghino fenomeni comuni, come per es. la temporanea insensibilità o ridotta sensibilità al dolore: lo sportivo che subisce una piccola ferita o una contusione durante una competizione importante non ''sente'' il dolore durante la gara, ma lo avverte tutto appena questa è finita e si riposa. Quest'area di ricerca, sul rapporto tra ormoni e comportamento, sviluppatasi tra il 1970 e il 1980, è chiamata ''psiconeuroendocrinologia''.

Infine, è ormai stabilito che condizioni di stress acuto possono alterare significativamente la funzionalità del sistema immunitario, più spesso riducendo la reattività di cellule linfocitarie e le risposte anticorpali. Uno stress emozionale intenso e acuto può sopprimere nell'animale la reazione anticorpale, deprimere la risposta dei linfociti in provetta verso alcuni stimolanti comunemente usati nei test di funzionalità immunitaria, oppure verso sostanze estranee (antigeni). Tali modificazioni sono mediate da meccanismi sia nervosi sia endocrini, e hanno provato l'esistenza di rapporti tra cervello e sistema immunitario, fino a pochi anni fa insospettati. Quest'area di ricerca, nata tra il 1980 e il 1990, è chiamata ''psicoimmunologia''.

Non esistono in senso stretto, come si è detto, malattie psicosomatiche. Esistono semmai malattie somatiche in cui è più frequente che in altre il concorso di stress e fattori emozionali, che agiscono attraverso i meccanismi descritti. Per questa ragione, allo stato attuale della ricerca, sarebbe utopistico elaborare un elenco sistematico di tali patologie. Importante è sapere che condizioni di stress emozionale hanno probabilmente un ruolo di rilievo nel ''preparare'', per es., patologie cardiocircolatorie. È stato descritto, con buon sostegno di dati epidemiologici in vari paesi, un comportamento a maggior rischio di malattia coronarica, denominato ''tipo A'', contrapposto a un ''tipo B'', a basso rischio. Il tipo A è caratterizzato da competitività, aggressività, senso di fretta, incapacità a rilassarsi, facile irritabilità, impazienza, e da un sistema cardiocircolatorio con aumentata continua sollecitazione. Lo stress emozionale ha poi un ruolo accertato nel ''precipitare'' quadri acuti (cardiopatia ischemica come infarto miocardico, angina pectoris) e nel peggiorare il decorso dell'infarto miocardico. Nel caso dell'ipertensione arteriosa essenziale è provato il ruolo di fattori emozionali in almeno un sottogruppo, chiamato ''neurogeno'' o ''iperadrenergico'', il quale è tipico di soggetti normopeso, di età giovane-adulta, e diverso dall'ipertensione del soggetto anziano, sovrappeso, spesso diabetico e cardiopatico.

È stato provato che situazioni di stress emozionale acuto, nell'animale, possono aumentare in modo significativo la suscettibilità a malattie infettive. Nell'uomo tale dato è probabile, ma esistono per ora pochi studi. Incerto ma molto interessante è il problema dei tumori. Nell'animale è stato provato che lo stress può modificare la suscettibilità a tumori indotti, trapiantati e anche spontanei. Per l'uomo, allo stato attuale delle ricerche, mancano elementi incontrovertibili i quali consentano di affermare che in determinati casi fattori esistenziali stressanti incrementino il rischio di neoplasia.

Dal punto di vista pratico, è importante sottolineare che l'indagine psicosomatica non sostituisce, ma si aggiunge, a quella medica classica. La valutazione del paziente con possibili disturbi psicosomatici richiede che il medico osservi e indaghi come di consueto tutti gli aspetti somatici necessari, sia mediante esame fisico che eventuali esami di laboratorio o strumentali. La presenza di una positività di tali reperti non esclude assolutamente il fatto che fattori emozionali influenzino il decorso o l'andamento di una malattia.

La filosofia di base richiede al medico di utilizzare un modello ''allargato'' di malattia, analizzando non solo l'organo ammalato, ma anche le caratteristiche della persona e il suo contesto di vita, spesso la sua storia, la rete interpersonale, le fonti di stress e di supporto vedendo un possibile rapporto tra questi, cervello e organo ammalato. È necessario che il medico, trascurando l'inconveniente rappresentato dal fatale prolungamento del colloquio, sviluppi le proprie capacità di empatia, per consentire al paziente una libera e completa esposizione dei propri stati d'animo, nella consapevolezza che i momenti di tensione e di sfogo possono essere utilizzati a fini costruttivi. È bene sapere che spesso parlare del ruolo dei fattori psichici implica automaticamente per molte persone che i disturbi dipendono dalla volontà, o che sono in qualche modo ''immaginari''. Va chiarito che tali convinzioni sono errate. Va evitato un modello di colloquio rigido e direttivo, con interventi di tipo autoritario o paternalistico, dispensando pareri e consigli ''in cattedra'' o spingendo ad agire. È opportuno sviluppare la disponibilità a ricercare le informazioni importanti, a inquadrare il caso e i suoi problemi.

Terapia. - Dal punto di vista terapeutico, la diagnosi di malattia psicosomatica viene abbinata erroneamente in modo automatico a terapia con ricostituenti e tranquillanti. Fermo restando che una malattia fisica a componente emozionale richiede innanzitutto la seria valutazione e l'eventuale trattamento dello stato di malattia fisica, occorre tener presente che la terapia con ricostituenti non ha ragioni, e quella con tranquillanti spesso non è indicata, specie se il quadro sottostante è di tipo depressivo. Un altro frequente equivoco è quello di terapie o trattamenti con metodi ''alternativi'', omeopatici, o altri rimedi curiosi e suggestivi, con scarsa base e meccanismi d'azione dubbi, imprecisati o non dimostrati. Nella maggior parte dei casi, salvo quelli in cui la malattia mostra remissioni spontanee al cessare dello stress o per altri motivi, il paziente non riceverà danni, ma nemmeno benefici, e potrà perdere tempo e denaro. Al momento della scelta terapeutica, effettuare una diagnosi di disturbo o malattia psicosomatica richiede d'identificare le singole aree del problema e trattare ciascuna in modo specifico ed efficace. In molti casi, può essere utile un trattamento farmacologico con antidepressivi ed eventualmente tranquillanti, in altri un trattamento con tecniche di rilassamento e autocontrollo (come il biofeedback, la risposta rilassante, il training autogeno), in altri ancora psicoterapie brevi o colloqui di consulenza centrati sul problema (gestione dello stress, soluzione dei problemi, ristrutturazione cognitiva). Possono essere utili anche combinazioni diverse di tali interventi, a seconda dei casi.

Nonostante i problemi psicosomatici siano causa molto comune di ricerca e contatto col medico, l'insegnamento di m.p. praticamente non esiste nel corso di laurea di medicina, salvo in alcune università in Italia. Ciò può portare alcuni pazienti con malattie psicosomatiche a trovarsi mal compresi o trattati parzialmente. Il medico generale può fare molto per aiutare un paziente con tali malattie, ma è necessario che abbia una sua preparazione personale minima a riguardo, che l'università in genere non gli ha offerto. Quasi mai è indicato lo specialista neurologo, che tratta tutt'altro tipo di problemi. Le figure più utili come consulenti, a parte medici specialisti della malattia somatica in causa, sono lo psichiatra, lo psicologo medico, e lo psicologo. L'ideale sarebbe che tutte e tre tali figure possedessero una specifica formazione psicosomatica, in genere post-laurea e in corsi privati riconosciuti. Una generica formazione psicoterapeutica o psicoanalitica non sono in genere sufficienti di per sé per trattare questo tipo di problemi.

Bibl.: F. Alexander, Medicina psicosomatica, trad. it., Firenze 1951; F. Antonelli, Elementi di medicina psicosomatica, Milano 1972; P. Pancheri, Trattato di medicina psicosomatica, Firenze 1984; M. Biondi, La psicosomatica nella pratica clinica, Roma 1992. Riviste: Psychosomatic Medicine, Journal of Psychosomatic Research, Medicina Psicosomatica, Revue de Medecine Psychosomatique.

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