MEMORIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

MEMORIA

Alberto Oliverio
Bruno Antonini

(XXII, p. 829; App. IV, II, p. 428)

Neurobiologia. - Oggi esiste un consenso generale sul fatto che i processi mnestici rispondano a un passaggio dalla m. a breve termine a una m. a lungo termine. Esistono invece numerosi dubbi sulla possibilità di arrivare a un'identificazione del processo di codificazione dei ricordi attraverso una strategia che punti a identificare particolari macromolecole o a localizzare particolari categorie di ricordi, eccezion fatta per alcune m. di tipo spaziale che sembrano trovare nelle strutture del sistema limbico (l'ippocampo) una sede elettiva. Perciò, mentre negli anni Sessanta e all'inizio degli anni Settanta molti ricercatori battevano la strada della decifrazione dei codici biochimici della m., oggi vengono seguite strategie alternative, anche se, ovviamente, molti gruppi di ricerca lavorano ancora sui meccanismi di consolidamento e sui correlati, soprattutto emotivi, di drastiche modifiche esperienziali, come si verifica nel caso di esperienze stressanti nelle quali sono coinvolti peptidi quali l'ormone adrenocorticotropo (ACTH) o gli oppioidi endogeni (Martinez e altri 1981, Mc Gaugh 1985, Castellano 1987, Castellano e Puglisi-Allegra 1983).

Attualmente esistono due nuove e diverse strategie paradigmatiche dei ricercatori nei riguardi della m.: alcuni, come il gruppo guidato da E. R. Kandel, lavorano su organismi animali dotati di un sistema nervoso semplice nel tentativo di descrivere la struttura e le modifiche funzionali che sono alla base di semplici apprendimenti a livello neuronale. Altri studiosi si concentrano non tanto sui meccanismi specifici quanto sulle possibili procedure che sono alla base dei processi di memorizzazione, cioè su un approccio concettuale ed empirico ai modi attraverso cui il sistema nervoso rappresenta un particolare ricordo, generalizza e lo inserisce in un particolare contesto.

Per quanto riguarda il primo punto, cioè le ricerche volte a individuare le basi neurobiologiche della m. e dell'apprendimento attraverso l'uso di organismi caratterizzati da un sistema nervoso primitivo, i risultati più interessanti appaiono indubbiamente quelli ottenuti da Kandel su una lumaca di mare (Aplysia californica).

L'approccio di Kandel e del suo gruppo si basa sullo studio di una forma elementare di apprendimento, l'abituazione: se il sifone di Aplysia viene sfiorato da uno stimolo, la lumaca ritira la branchia; se lo stimolo viene ripetuto più volte in modo regolare, l'Aplysia si abitua, cioè ignora lo stimolo e non ritira più la branchia. Se ora l'animale subisce un'esperienza spiacevole, come può essere una piccola scossa elettrica, l'abitudine scomparirà all'improvviso e l'animale risponderà in modo eccessivo a uno stimolo che sfiori il sifone, dimostrando una sensibilizzazione che dura per diversi minuti od ore e che può essere considerata come una forma semplice di m. a breve termine.

Kandel ha dimostrato che sia l'abituazione sia la sensibilizzazione sono modifiche del comportamento dipendenti da alterazioni plastiche nelle sinapsi del circuito nervoso che controlla il riflesso di retrazione della branchia. Infatti, quando si sfiora il sifone vengono stimolati neuroni sensitivi che trasmettono uno stimolo eccitatorio ad altri neuroni, quelli motori, i quali innervano i muscoli che servono per retrarre la branchia. Registrando con un elettrodo l'attività elettrica dei neuroni che provocano la retrazione della branchia, si nota che, nel corso dell'abituazione allo stimolo, il potenziale postsinaptico (cioè l'attività elettrica della membrana del neurone motorio) diminuisce man mano che i neuroni sensitivi inviano a quelli motori scariche elettriche in risposta allo stimolo che sfiora il sifone. Il fenomeno contrario si verifica nel corso della sensibilizzazione: il potenziale postsinaptico aumenta e ciò comporta una risposta eccessiva dei neuroni motori e una forte retrazione della branchia. Questi fenomeni sono dovuti a un aumento dello ione K+ e a una diminuzione del numero dei canali dal calcio aperti (abituazione) o invece a una diminuzione degli ioni K+ e a un aumento dei canali Ca++ (sensibilizzazione) del neurone; come conseguenza di questi cambiamenti elettrolitici nel corso dell'abituazione si verifica una diminuzione dell'AMPc (Adenosin monofosfato ciclico) mentre nel corso della sensibilizzazione si verifica un aumento del secondo messaggero: nel primo caso l'attività del neurone diminuisce, nel secondo aumenta. Queste modifiche indicano che la m. a breve termine e altri fenomeni plastici di adattamento del sistema nervoso sono in fondo dovuti a modifiche dell'attività sinaptica.

In aggiunta a questi cambiamenti reversibili dell'attività sinaptica indotti dal calcio, sono stati anche dimostrati cambiamenti irreversibili, sempre indotti dal calcio a livello sinaptico, e che possono essere a loro volta alla base della m. a lungo termine. G. Lynch (1984) ha infatti dimostrato come il calcio sia in grado di attivare enzimi, come le calpaine e altre proteinochinasi. La loro azione comporta modifiche del citoscheletro del neurone e, di conseguenza, una riorganizzazione sinaptica che potrebbe indurre modifiche strutturali: queste modifiche sarebbero alla base di memorizzazioni durature sia negli invertebrati che nei vertebrati.

Malgrado esistano numerose indicazioni a favore di un coinvolgimento sinaptico in diversi tipi di memorizzazione a lungo termine, è tuttavia ancora difficile concettualizzare come un singolo ricordo venga iscritto nel sistema nervoso e, soprattutto, come vengano rintracciate delle m. preesistenti e come uno stimolo noto venga riconosciuto sulla base di paragoni effettuati con stimoli già precedentemente immagazzinati in memoria. Mentre infatti le ricerche di base sui correlati neurochimici e neurobiologici della m. indicano che ai livelli più elementari la memorizzazione può consistere in una sorta di processo di trasposizione del tipo 1:1 (l'iscrizione di una singola esperienza tramite una codificazione neuronale), non sembra che questo modello possa render conto dell'enorme massa di ricordi depositati nel sistema nervoso dei vertebrati e di altre caratteristiche legate alla codificazione e al rintraccio dei ricordi. Se infatti la codificazione dei ricordi consistesse in un semplice processo di trasposizione 1:1, sarebbe pressoché impossibile categorizzare, sistematizzare e generalizzare i ricordi, cioè elaborare mappe cognitive; inoltre, la permanenza di singole m. depositate in singoli neuroni o circuiti sinaptici delimitati (ipotesi microlocalizzazionista) sarebbe fortemente a rischio, in quanto i ricorrenti episodi di morte neuronale − che si verificano a partire dalla nascita − comporterebbero la scomparsa dei singoli ricordi.

Negli ultimi anni sono stati perciò elaborati dei modelli mnestici che privilegiano − in antitesi con le ipotesi localizzazioniste − i processi di categorizzazione e sottolineano l'importanza di circuiti in parallelo, responsabili dell'elaborazione di mappe a più livelli. Per affrontare questi problemi a livello neurofisiologico sono stati proposti modelli semplificati del sistema nervoso, modelli che possono derivare dal sistema nervoso di un invertebrato (come un verme), o da un circuito del midollo spinale dei vertebrati con le sue componenti eccitatorie e inibitorie, oppure, a un livello di crescente complessità, dall'insieme delle strutture paleoencefaliche che modulano dei comportamenti intelligenti di una specie − i cosiddetti istinti − o ancora, ovviamente, dalla corteccia cerebrale che, con la sua struttura colonnare, rappresenta un potente analizzatore ed elaboratore d'informazione.

Come si può notare, questi modelli sono estremamente diversi l'uno dall'altro, sia per le strutture nervose su cui si basano, sia per la funzione intelligente che essi implicano. Tale funzione, infatti, spazia da un circuito eccitatorio-inibitorio quale può essere quello sensitivo-motorio riflesso (come nel caso del sistema nervoso di un verme o di molte funzioni espletate dal midollo spinale dei vertebrati), fino a sofisticati processi di memorizzazione, generalizzazione e analisi, quali quelli espletati dalla corteccia cerebrale dell'uomo. Ciò comporta un uso piuttosto ambiguo del termine intelligenza da cui risulta che, di frequente, le analogie o contrapposizioni tra intelligenze e m. di tipo biologico e intelligenze e m. di tipo artificiale si riferiscono a un ampio ventaglio di strutture e funzioni che difficilmente possono essere assimilate tra loro. Il problema però non è soltanto semantico: spesso infatti i biologi valutano le attività intelligenti in termini che non aderiscono a criteri neurofisiologici (e quindi a strutture, circuiti e reti nervose analoghe a quelle dell'intelligenza artificiale) ma a criteri evoluzionistici, riferendosi in tal modo a una serie di modifiche adattative in cui i rapporti struttura-funzione sono strettamente intrecciati e fanno capo a modifiche plastiche che sono tipiche dei cervelli biologici e non usuali in quelli artificiali.

L'esistenza di importanti fenomeni di plasticità cerebrale indica come sia necessario ridimensionare una concezione esasperatamente determinista e localizzazionista del cervello che risale ai modelli della frenologia ottocentesca e alle polemiche tra i sostenitori di una rigorosa localizzazione delle funzioni cerebrali − come sostenevano i seguaci della scuola frenologica di F. J. Gall − e i sostenitori di una concezione olista del cervello, cioè di un suo coinvolgimento globale in singole funzioni. Le polemiche tra i localizzazionisti (da P.-P. Broca, C. Wernicke o H. Jackson sino a W. Penfield, E. Ross, K. Heilman ed E. Robins) e gli olisti (da K. Goldstein, I. Pavlov, H. Head, K. Lashley sino a E. Roy John e R. W. Thatcher) sono continuate con alterne vicende sino ai nostri giorni. Una posizione di conciliazione, anticipata nell'Ottocento da C. Wernicke e oggi ripresa da Kandel, vuole che alcune funzioni di base, come quelle motorie o somatosensitive, siano localizzate od organizzate in serie (e quindi più vulnerabili); le procedure più generali, come quelle della m. e dell'apprendimento, non sarebbero localizzate e risulterebbero da una logica in parallelo in quanto coinvolgono più nuclei e piani. Ma affermare che una funzione è localizzata non implica che essa non sia plastica, come affermare che alcune funzioni quali la m. siano organizzate in parallelo sulla corteccia non implica necessariamente che a esse non partecipino vari livelli cerebrali come le strutture sottocorticali implicate nell'emozione (v. anche emozione, in questa Appendice).

A partire dagli anni Trenta, quando venne descritto il cosiddetto sistema limbico, un insieme di strutture sottocorticali che modulano l'emozione, i neurofisiologi hanno dimostrato come i vari nuclei nervosi di questo sistema giochino un ruolo critico nei processi della m. consentendo di agganciare un ricordo o un'immagine di per sé neutra a un particolare contesto emotivo che consente di darle una specifica connotazione (sui rapporti tra sistema limbico e memorizzazione vengono oggi considerati come fondamentali gli studi effettuati da M. Mishkin, 1984). Esistono in effetti numerosi indizi in favore di una interpretazione della m. come strettamente dipendente dal contesto e come facente capo a strategie individuali piuttosto che a un processo di codificazione stimolo-specifico, identico in tutti gli individui. Per es., sin dagli anni Trenta le ricerche condotte dal neurofisiologo sovietico N. Bernstein (Rosenfield 1988) hanno dimostrato che i movimenti non sono mai identici tra loro e che essi comportano l'entrata in funzione di muscoli diversi; per tracciare un circolo con la mano utilizziamo muscoli diversi a seconda che il circolo venga tracciato nell'aria con il braccio teso dinnanzi a noi o con l'indice che punta verso terra: le ricerche di Bernstein indicano come il cervello non registri una informazione specifica in un magazzino di m. ma la capacità (o procedura) di effettuare dei movimenti in circostanze diverse. Anche in questo caso il processo non è specifico ma fa parte di una strategia generalizzante.

Numerosi altri risultati sono in linea con questo approccio concettuale che mette in dubbio sia le interpretazioni essenzialmente localizzazioniste sia le analogie tra cervelli biologici ed elettronici per quanto riguarda il processo di iscrizione di specifiche memorie. Per es., D. Marr (1978) ha contestato il classico approccio alla m. umana utilizzato dall'intelligenza artificiale per il riconoscimento visivo. Il significato di un cerchio o di un quadrato può variare sulla base del contesto in cui le figure sono inserite, così come il riconoscimento di una forma particolare può essere possibile senza far capo a un magazzino di m. fisse: inoltre, utilizzando programmi di simulazione al computer Marr ha notato come il riconoscimento di una forma particolare non avviene attraverso il suo immediato appaiamento con uno stimolo già codificato in precedenza, ma attraverso una serie di passi intermedi che consentono al cervello di calcolare le caratteristiche salienti di un oggetto e arrivare alla formazione di un cosiddetto primal sketch che comporta l'entrata in funzione di strategie generali e centri diffusi piuttosto che strategie specifiche e centri localizzati.

Un esempio ulteriore dell'importanza dei processi di categorizzazione e generalizzazione viene fornito dalle ricerche di A. Liberman (Rosenfield 1988) sul linguaggio: egli ha dimostrato come i suoni che percepiamo come parti del linguaggio (come i fonemi ''a'', ''b'', ecc.) non sono altro che categorizzazioni di segnali acustici basate sugli schemi motori (i movimenti delle labbra, della lingua, ecc.), necessari per produrre un particolare fonema. Noi non sentiamo in realtà i singoli suoni prodotti dal nostro apparato acustico, ma una generalizzazione o categorizzazione di questi suoni sotto forma di un fonema: ogni singolo fonema rappresenta un pacchetto di informazioni che non ha di per sé un significato isolato ma lo acquista una volta contestualizzato, cioè in rapporto ai fonemi che lo precedono e seguono. In ultima analisi il riconoscimento di una parola o di una frase è legato a quello delle modalità attraverso cui quel suono è stato prodotto (la sua articolazione motrice) e lo stesso tipo di movimenti viene riconosciuto come fonemi diversi a seconda del contesto. Per es., se uno spettatore guarda uno schermo televisivo senza audio dove una persona articola il suono /di/di/di e un registratore trasmette lontano dal televisore il suono /ba/ba/ba, lo spettatore percepisce /da/da/da se guarda lo schermo e /ba/ba/ba se non lo guarda e ascolta soltanto il messaggio registrato.

Come abbiamo visto in precedenza, la strategia predominante dei neurobiologi è stata quella di andare a ricercare a livello sinaptico le modifiche che singole esperienze possono comportare, cioè il processo attraverso cui vengono fissati i ricordi: da quelli massivi come l'imprinting all'abituazione nell'Aplysia studiata da Kandel, alla memorizzazione nel pesce rosso studiata da B. Agranoff. Ora, se è indubbio che numerose evidenze sperimentali suggeriscono che le esperienze comportano modifiche a livello delle strutture sinaptiche e quindi modifiche nella trama neuronale, è però dubbio che ogni singolo input o ricordo comporti modifiche specifiche in un particolare neurone o in un gruppo di neuroni: anche perché, come già notato, il deterioramento o la morte di singoli neuroni comporterebbe la perdita selettiva di ricordi specifici, un fatto che sarebbe negativo in termini evoluzionistici in quanto avrebbe conseguenze estremamente negative col procedere degli anni. Questo tipo di ipotesi microlocalizzazioniste della m. vengono oggi contestate da diversi studiosi, tra cui J.-P. Changeux o G. M. Edelmann: è soprattutto quest'ultimo a sostenere un darwinismo neuronale che implica che l'attività cerebrale sia altamente individuale e che non vi siano due cervelli che reagiscono in modo simile allo stesso tipo di stimoli. Secondo Edelmann la variabilità individuale dipende da una sorta di selezione darwiniana che comporta una selezione di strutture nervose o gruppi di neuroni che reagiscono più di altri a stimoli particolari. Questo principio farebbe sì che in diversi individui lo stesso gruppo di neuroni possa codificare stimoli-m. diversi e soprattutto che lo stesso evento venga memorizzato a più livelli, tramite circuiti o mappe di neuroni che definiscono i differenti tipi di riferimenti o categorizzazioni di una stessa esperienza: secondo tale concezione la m. di un evento richiede un complesso processo di codificazione e di ricostituzione in cui vengono codificati e definiti i diversi aspetti, cognitivi ed emotivi, di un ricordo.

Bibl.: B. W. Agranoff, Molecules and memories, in Perspectives in Biology and Medicine, 2 (1965), pp. 13-22; D. Marr, H.K. Nishihare, Representation and recognition of the spatial organization of three-dimensional shapes, in Proceedings of the Royal Society, 144 (1978), pp. 269-94; A. Oliverio, Genetic and environmental factors in relation to behavioral rigidity and plasticity, in Neurobiological basis of learning and memory, a cura di Y. Tsukada e B. W. Agranoff, New York 1980; Endogenous peptides and learning and memory processes, a cura di J. L. Martinez, R. A. Jensen, R. B. Messing, H. Rigter, J. L. Mc Gaugh, ivi 1981; D. Marr, Vision, San Francisco 1982; C. Castellano, S. Puglisi-Allegra, Strain-dependent modulation of memory by stress in mice, in Behavioral and neural Biology, 38 (1983), pp. 133-38; J.-P. Changeux, L'uomo neuronale, Milano 1983; G. M. Edelmann, E. Gall, W. W. Cowan, Dynamic aspects of neocortical function, New York 1984; M. Mishkin, B. Malamut, J. Bachevalier, Memories and habits: two neural systems, in Neurobiology of learning and memory, a cura di G. Lynch e altri, ivi 1984, pp. 65-77; J. L. Mc Gaugh, Contemporary psychology: biological processes and theoretical issues, ivi 1985; E. R. Kandel, J. H. Schwartz, Principles of neural science, New York 1985; E. R. John, Mechanism of memory, New York 1987; I. Rosenfield, The invention of memory, ivi 1988;C. Castellano, La memoria, Roma 1987; G. M. Edelmann, Neural darwinism, New York 1987; A. Oliverio, Biological and artificial intelligence, in A.I. and Society, 2 (1988); Id., Alla ricerca della sede dei ricordi, in AA.VV., La parte del tutto: saggi sull'olismo, Udine 1992, pp. 91-112.

Elettronica. - Memorie magnetiche, a semiconduttore e ottiche (v. anche calcolatrici, macchine, App. III, i, p. 282; elaboratori elettronici, App. IV, i, p. 650). − In elettronica, si definisce m. qualunque dispositivo adatto a fissare delle informazioni su supporti materiali. Le informazioni possono essere in forma analogica o digitale, secondo che siano rappresentate da una grandezza fisica variabile con continuità o da un numero. In questo caso il numero può essere rappresentato mediante il sistema decimale oppure mediante il sistema binario. Qualunque sistema fisico possa esistere in due stati stabili è suscettibile di essere utilizzato come m. digitale binaria, associando i due stati stabili alle cifre 1 e 0 (per es. un circuito elettronico in stato di conduzione o d'interdizione, una scheda perforata dove sia presente o assente un foro, una pellicola fotografica con una zona trasparente od opaca, un materiale magnetico che si trovi in uno dei due opposti stati di magnetizzazione, ecc.). Si dice cella la parte di m. che contiene una cifra binaria (bit). Una m. può essere ad accesso casuale (RAM, Random Access Memory) quando si può accedere direttamente a un determinato indirizzo, oppure ad accesso sequenziale quando per accedere a un determinato indirizzo è necessario far scorrere tutti quelli che lo precedono. Una m. ad accesso casuale è organizzata di solito in forma di matrice, una m. ad accesso sequenziale è organizzata di solito in forma di registro di scorrimento, che può essere aperto o ad anello. Negli elaboratori (v. elaboratori elettronici, in questa Appendice) vengono utilizzate m. digitali binarie per la facilità con cui possono essere scritte e lette da una macchina.

Le caratteristiche di una m. sono: la capacità, cioè il numero di bit immagazzinabili nella m.; la densità, cioè il numero di bit per unità di volume o per unità di superficie; il costo per bit; il tempo di accesso, cioè il tempo necessario per accedere a una qualsivoglia informazione contenuta nella m. (v. fig. 1); l'affidabilità, definita come la probabilità di funzionamento senza errori per un determinato periodo di tempo (la misura dell'affidabilità è data dal tasso di errore, cioè dalla percentuale di errori in un determinato periodo di tempo); la permanenza o meno delle informazioni in assenza di energia fornita al sistema, nei quali casi la m. si dice non volatile se esiste permanenza, volatile nel caso opposto. Le proprietà elencate non sono tutte indipendenti, e la scelta del tipo di m. dipende dalle prestazioni e dal costo: per es. un tempo di accesso breve implica un costo elevato e una piccola capacità; negli elaboratori si tende a utilizzare m. veloci e costose, di capacità relativamente piccola, nelle unità centrali, e m. lente, di basso costo e di grande capacità, nelle unità periferiche.

I campi di applicazione delle m. sono molteplici: elaboratori elettronici, telecomunicazioni, attività aerospaziali, intelligenza artificiale, archivi, registrazione audio e video, e altri.

Memorie magnetiche. - I materiali magnetici (v. magnetici, materiali, in questa Appendice) possono essere utilizzati come elementi bistabili per immagazzinare informazioni binarie associando i due stati stabili della magnetizzazione con le cifre 0 e 1. Una modesta quantità di energia è richiesta per far transire un materiale da uno stato di magnetizzazione all'altro, e non è richiesta energia per mantenerlo indefinitamente in uno dei due stati.

Le m. a nuclei di ferrite (v. calcolatrici, macchine, App. III, i, p. 283 e figg. 2-3) hanno avuto una grandissima diffusione dalla metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Settanta. Una m. di questo tipo (RAM) consiste in una matrice di nuclei di materiale magnetico (ferrite; v. magnetismo, App. IV, ii, p. 370) di forma toroidale, ciascuno dei quali ha la capacità di un bit. Queste m. danno buone prestazioni come tempi di accesso e affidabilità, ma presentano l'inconveniente di essere complesse costruttivamente e non essere suscettibili d'integrazione con i circuiti elettronici accessori.

Le m. a film sottile (RAM), proposte come alternativa ai nuclei di ferrite, consistono in matrici di elementi in forma di dischi o di rettangoli ritagliati da un film sottile costituito da un materiale magnetico ad alta permeabilità (permalloy).

La deposizione del film in un campo magnetico genera un'anisotropia nel piano del film, rendendo una direzione in esso contenuta di facile magnetizzazione rispetto alle altre. I due stati stabili del sistema corrispondono ai due versi di magnetizzazione nella direzione facile. Queste m. sono caratterizzate da una maggiore semplicità costruttiva e da un minor costo rispetto ai nuclei di ferrite, oltre che da una maggiore velocità di transizione, e quindi un minore tempo di accesso. Tuttavia, a causa della mancata chiusura del flusso magnetico di un elemento piano, esse danno un segnale troppo piccolo e sono eccessivamente sensibili ai disturbi. Per questo motivo non hanno mai raggiunto la diffusione commerciale.

Le m. a filo placcato (RAM), proposte come rimedio agli inconvenienti delle m. a film sottile, sfruttano sia la geometria toroidale dei nuclei di ferrite, che consente la chiusura del flusso, sia le proprietà magnetiche dei film sottili, che consentono un'elevata velocità di transizione: la deposizione di un film sottile di permalloy sulla superficie di un filo di CuBe fornisce le caratteristiche richieste. Le m. a filo danno segnali ampi e sono poco sensibili ai disturbi ma, a causa dello strisciamento delle pareti di dominio nel processo di magnetizzazione, i margini di funzionamento sono molto ristretti, e ciò le rende economicamente non competitive. Per questo motivo sono state usate soltanto per un numero limitato di applicazioni speciali.

Le m. a nastri e dischi magnetici (registrazione magnetica; v. calcolatrici, macchine, App. III, i, p. 283 e fig. 5) si basano sulla magnetizzazione di uno strato di materiale magnetico depositato su un supporto di varia natura (plastica, vetro, metallo) in forma di nastro o di disco. Negli anni Cinquanta e Sessanta si usavano anche supporti a forma di tamburo, sulla cui superficie cilindrica veniva depositato lo strato magnetico; in seguito sono stati abbandonati, a causa del loro ingombro e della mancanza di sostanziali vantaggi rispetto ai dischi. Le informazioni possono essere codificate in modo analogico o in modo digitale. Nel modo analogico la configurazione della magnetizzazione del mezzo magnetico riproduce fedelmente il flusso delle informazioni; nel modo digitale una sequenza di 1 e di 0 viene rappresentata da una sequenza di regioni di opposte magnetizzazioni, oppure da una sequenza di regioni contenenti o meno un'inversione della magnetizzazione. Il modo analogico (v. suono, App. III, ii, p. 873; IV, iii, p. 545) è stato utilizzato estesamente per registrare informazioni audio e video, mentre il modo digitale è stato utilizzato prevalentemente per registrare dati. Attualmente la situazione sta cambiando e il modo digitale viene utilizzato sempre più spesso anche nella registrazione audio e video, poiché più facilmente si possono correggere eventuali errori e ricostruire le informazioni originali con maggiore fedeltà. Per la registrazione audio e video viene utilizzato l'accesso sequenziale, mentre per la registrazione di dati si può avere sia l'accesso sequenziale (nastri), sia l'accesso casuale o misto (dischi).

Nella configurazione convenzionale lo strato magnetico viene magnetizzato nel piano e nella direzione di scorrimento del supporto (fig. 2A). Una variante, proposta per la registrazione digitale dalla metà degli anni Settanta, e attualmente in uso, è quella della registrazione perpendicolare, nella quale lo strato magnetico viene magnetizzato perpendicolarmente al piano (fig. 2B). Questa configurazione consente una maggiore stabilità delle regioni adiacenti con magnetizzazioni opposte, a causa della minore energia magnetostatica, con possibile riduzione del rumore del mezzo.

I materiali usati per la registrazione sono praticamente gli stessi per entrambi i modi (analogico e digitale) e sono di due tipi: i mezzi particolati e i film sottili. I primi consistono in una matrice non magnetica nella quale sono disperse particelle magnetiche orientate, gli altri sono sottili film metallici di materiali magnetici accresciuti con varie tecniche. Alla prima classe appartengono il γ´Fe2O3, il più economico e di gran lunga il più diffuso, il Co− Fe2O3, il CrO2, il Fe, il Fe4N, il BaFe e altri. Alla seconda appartengono Fe, Co, Ni e loro leghe con altri elementi, in particolare il CoCr per la registrazione perpendicolare. I mezzi particolati hanno il vantaggio di poter essere prodotti facilmente e a basso costo, con un ampio spettro di proprietà, ma presentano inconvenienti dai quali sono esenti i film: in particolare, il volume occupato dalle particelle magnetiche oscilla tra il 20% e il 40% del volume del mezzo, contro il 100% dei film; inoltre non possono essere fabbricati strati di spessori inferiori al μm ed è difficile ottenere una grande uniformità. In ragione delle loro rispettive caratteristiche meccaniche, i mezzi particolati sono più adatti per i nastri e i dischi flessibili, mentre i film metallici sono più adatti per i dischi rigidi.

Le testine di registrazione e riproduzione per la registrazione convenzionale sono di tipo induttivo ad anello (v. suono, App. III, ii, p. 875 e fig. 9; IV, iii, p. 547). La tendenza è quella di restringere il traferro per aumentare le densità. In alcuni sistemi a disco rigido particolarmente sofisticati le testine (Winchester) ''volano'' sul disco, sostenute da un cuscinetto di aria. Nella registrazione perpendicolare si usano testine di registrazione di tipo diverso (v. fig. 3), che consentono una maggiore concentrazione del flusso nel mezzo magnetico, mentre per la riproduzione si possono utilizzare anche le testine ad anello. Testine magnetoresistive si usano vantaggiosamente per la riproduzione, sia nel modo parallelo, sia perpendicolare, in quanto, specie a bassa velocità, danno un segnale di maggiore ampiezza. I tempi di accesso sono dell'ordine dei secondi per i nastri e dell'ordine di 10−1−10−2s per i dischi.

Le m. a bolle magnetiche (MBM, Magnetic Bubble Memory; v. magnetismo, App. IV, ii, p. 370 e figg. 3-4) sono di tipo sequenziale. Ciò richiede un numero limitato di connessioni elettriche, ma presenta lo svantaggio di un tempo di accesso relativamente lungo. Un modo per mantenerne la semplicità costruttiva e ridurne contemporaneamente il tempo di accesso è quello di suddividere la m. in un registro principale e in più registri secondari. Tutte le operazioni di scrittura, lettura e cancellazione delle informazioni vengono eseguite nel registro principale, con il quale i registri secondari sono connessi per mezzo di opportuni circuiti di trasferimento. Si ottengono così tempi di accesso dell'ordine di 10−3 s.

Per aumentare la densità delle bolle, sono stati ideati nuovi metodi di organizzazione e di accesso delle memorie. Uno di questi consiste nel riempire il film magnetico di bolle le quali, a causa della repulsione magnetostatica, si dispongono secondo un reticolo. L'organizzazione della m. in questo caso è completamente diversa da quella convenzionale: l'1 e lo 0 sono rappresentati non dalla presenza e dall'assenza di una bolla in una determinata posizione della struttura, ma dalla presenza di bolle le cui pareti hanno strutture diverse dal punto di vista magnetico. Questo metodo, che consente l'accesso casuale, non ha raggiunto la diffusione commerciale. I materiali magnetici utilizzati come supporto delle bolle sono film sottili monocristallini di granati magnetici (v. magnetismo, App. IV, ii, p. 370). Sebbene le MBM abbiano un alto costo di fabbricazione, a causa dei materiali, alcune caratteristiche, come l'elevata affidabilità, il basso consumo specifico di energia e il piccolo ingombro, ne rendono economico l'esercizio. Queste qualità, insieme con l'ampio intervallo di temperatura di funzionamento (−40 °C÷90 °C), le rendono vantaggiose per applicazioni particolari, come quelle militari e aerospaziali. Le MBM sono utilizzate anche nei piccoli elaboratori.

Memorie a semiconduttore. - Queste m. possono essere rese compatibili con l'elettronica periferica, eliminando i circuiti d'interfaccia, con notevole risparmio di spazio e di spesa. Il grande sviluppo della microelettronica (v. elettronica, App. IV, i, p. 669) ha reso possibile la fabbricazione di più circuiti su uno stesso supporto (chip) e l'automazione dei processi di progetto e di fabbricazione con l'ausilio di un elaboratore. A differenza delle m. magnetiche, le m. a semiconduttore presentano il problema della volatilità, per il quale, in alcuni casi, sono state trovate soluzioni.

I dispositivi di m. utilizzano diversi tipi di transistori: i bipolari, i p-MOS e i C-MOS. Anche se i rispettivi principi di funzionamento sono diversi, la loro fabbricazione richiede gli stessi processi tecnologici di base. In generale i p-MOS sono i più semplici da fabbricare e i più economici, ma sono anche i più lenti. I bipolari sono i più veloci e i più costosi, e anche i più complessi per quanto riguarda la fabbricazione. I C-MOS, circuiti ibridi di p-MOS ed n-MOS, non sono in grado di competere con il basso costo dei p-MOS, né con l'alta velocità dei bipolari, tuttavia hanno il vantaggio di dissipare potenze dell'ordine dei μW, contro i mW dei bipolari e le centinaia di μW dei p-MOS. La scelta del tipo di transistori dipende dalle prestazioni richieste e dal costo. La maggior parte delle m. a semiconduttore sul mercato utilizza il Si, la cui tecnologia è ormai consolidata. Una piccola frazione delle m., per le quali è richiesta una grande velocità di operazione, utilizza il GaAs, in cui la mobilità degli elettroni e la loro velocità di saturazione sono rispettivamente 6 volte e 2 volte quelle del Si. Sebbene la tecnologia del GaAs non sia ancora consolidata come quella del Si, e i suoi vantaggi potenziali non siano ancora pienamente sfruttati, un dispositivo di rilievo è il transistore risonante a effetto tunnel, fabbricato per la prima volta verso la fine del 1986. La sua caratteristica innovativa consiste nel fatto che, anziché un solo stato stabile di conduzione come i transistori convenzionali, esso ha più stati stabili di conduzione con diversi valori della corrente. Esso potrebbe essere utilizzato per costruire dispositivi di m. digitali a più valori.

Le RAM a semiconduttore possono essere statiche (SRAM, Static RAM) o dinamiche (DRAM, Dynamic RAM). La cella di una SRAM è costituita da un flip-flop, che può essere costruito sia con un transistore MOS, sia con uno bipolare. Le SRAM bipolari sono le m. più veloci, sebbene abbiano una densità limitata: le più veloci tra esse hanno tempi di accesso dell'ordine del ns. Le SRAM MOS sono le più veloci di tutte le MOS: esse hanno tempi di accesso dell'ordine della decina di ns. Nelle DRAM il flip-flop è sostituito da una capacità (per es. la capacità parassita di un transistore). La carica immagazzinata nella capacità decade gradualmente e dev'essere ripristinata a intervalli di tempo predeterminati, dell'ordine dei ms, da cui il termine ''dinamiche''. Caratteristiche importanti delle DRAM sono il ridotto consumo di energia rispetto alle SRAM e la densità, che nelle ultime generazioni può raggiungere valori fino a 4 volte quelli delle SRAM. In virtù del notevole miglioramento delle loro prestazioni, negli ultimi due decenni le RAM a semiconduttore hanno sostituito le m. magnetiche a nuclei di ferrite.

I dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD, Charge-Coupled Devices; v. elettronica, App. IV, i, p. 678) sono m. ad accesso sequenziale con tempo di accesso dell'ordine di 10−4 s. Un'altra classe è costituita dalle m. a sola lettura (ROM, Read Only Memory). In un certo stadio della fabbricazione viene attivata una connessione permanente tra la linea di scrittura e la linea di lettura. Una variante delle ROM sono le ROM programmabili (PROM, Programmable ROM), che possono essere programmate dall'utilizzatore secondo le proprie esigenze: ogni cella è fornita di un fusibile, che può essere bruciato elettricamente, oppure di un diodo, che può essere cortocircuitato in modo permanente. Le ROM e le PROM sono non volatili e non possono essere cancellate: esse vengono utilizzate per registrare informazioni permanenti, come funzioni matematiche, tabelle di verità, e altre. La mancanza di flessibilità è il loro maggiore inconveniente; esso viene superato dalle ROM semipermanenti, le quali possono essere cancellate di tanto in tanto, ma non durante il ciclo di funzionamento. Esse si ottengono iniettando nello strato di ossido del MOS una carica elettrica che viene conservata in modo semipermanente. Le EPROM (Erasable PROM) possono essere cancellate mediante irraggiamento con luce ultravioletta. Le EEPROM (Electrically Erasable PROM), che sono le più sofisticate tra le ROM, possono essere cancellate mediante un impulso di tensione che consente il defluire delle cariche immagazzinate. Le m. che hanno la massima densità sono le DRAM-MOS (fig. 4) e le EPROM. La densità attuale è di 16 Mbit per chip e aumenta di un fattore 4 ogni generazione di m. (3 anni). Questo fattore 4 deriva in parte dalla riduzione delle dimensioni della cella (un fattore 3) e, per il restante fattore 1,3, dall'aumento delle dimensioni del chip e dall'aumento della frazione del chip occupata dalle celle di memoria. Questo processo tenderà necessariamente a un limite, sia perché non tutte le grandezze fisiche rilevanti per il funzionamento delle m. si riducono nella stessa scala delle dimensioni della cella, sia per il manifestarsi di fenomeni quantistici. La densità limite stimata è dell'ordine di 100 Mbit per chip.

Memorie ottiche. - Sono m. non volatili. Esse possono essere ad accesso casuale, pagina per pagina (m. olografica), o ad accesso sequenziale, bit per bit. Queste ultime possono essere statiche oppure dinamiche (dischi). Entrambi i modi consentono di raggiungere densità dell'ordine di 108 bit/cm2, con dimensioni della cella dell'ordine del μm2. Una m. ottica consiste in un film di materiale trasparente o riflettente sul quale vengono scritte le informazioni mediante un fascio laser: il riscaldamento locale di una cella induce una variazione dell'assorbimento o della riflettività del materiale. La lettura viene effettuata mediante un laser di minore potenza. Se la m. è ad accesso casuale viene usata una matrice di rivelatori, se è ad accesso sequenziale viene utilizzato un solo rivelatore in sequenza, ed è necessaria la deflessione del fascio. Questa può essere ottenuta mediante uno o più prismi di materiale rifrangente, il cui indice di rifrazione viene modulato da una sollecitazione meccanica, oppure da un'onda acustica o da un campo elettrico. Nel caso dinamico (disco) la deflessione non è necessaria. Attualmente la maggior parte delle m. ottiche è del tipo dinamico, a disco.

La scrittura può avvenire in modo reversibile, mediante una transizione di fase amorfo-cristallina, che comporta un drastico cambiamento della riflessività, nei materiali Te/TeOx, In/InOx, In/InNx, Cu/CuNx, Sb2Se3 e altri, oppure in modo irreversibile, in film di Te o di leghe di Te con altri elementi, mediante asportazione di materiale per irraggiamento, creando nel film dei fori, ciascuno dei quali rappresenta un bit. Si ottiene in tal modo una CD-ROM (CD, Compact Disc), che viene utilizzata nella registrazione audio e in archivi per la memorizzazione di testi e di dati.

Una classe particolare delle m. ottiche è quella delle m. magnetoottiche, nelle quali la variazione delle proprietà ottiche deriva dal diverso stato di magnetizzazione del materiale. La scrittura (termomagnetica) avviene in modo reversibile riscaldando localmente una cella al di sopra della temperatura di Curie o della temperatura di compensazione e lasciandola raffreddare in un campo magnetico. La lettura avviene mediante l'effetto Faraday o l'effetto Kerr. Si può ottenere la cancellazione dell'intera m. mediante un impulso di campo magnetico maggiore del campo coercitivo. I materiali suscettibili d'impiego sono ferromagnetici o ferrimagnetici con anisotropia magnetica uniassale perpendicolare al piano del film. Essi si possono catalogare in quattro classi: il MnBi, i calcogenuri di Eu, principalmente EuO ed EuS, i granati magnetici del tipo Gd3Fe5O12 e le leghe amorfe di terre rare ed elementi di transizione. Il MnBi presenta l'inconveniente dell'instabilità di fase, a causa di una transizione di fase in prossimità della temperatura di Curie (circa 360°C). I calcogenuri di Eu hanno temperature di Curie inferiori a 100°K e richiedono temperature di esercizio troppo basse. I granati magnetici sono molto versatili, in virtù della possibilità di numerose sostituzioni ioniche nella loro struttura, che consentono di variarne le proprietà magnetiche e ottiche entro ampi limiti, ma la loro fabbricazione è costosa e si possono produrre in superfici non molto estese. Le leghe amorfe, nonostante il problema della stabilità delle proprietà magnetiche, offrono le migliori prospettive di utilizzazione, in quanto possono essere prodotte in superfici di grandi dimensioni a costi relativamente bassi.

Rispetto ai dischi magnetici convenzionali, i dischi magnetoottici hanno maggiore affidabilità, maggiore densità limite e assenza di usura dovuta al contatto del mezzo con le testine. Sono attualmente in commercio dischi magnetoottici in competizione con i dischi magnetici, con prestazioni confrontabili, tuttavia i dischi magnetoottici sono ancora alla ricerca della loro fascia di mercato.

Bibl.: R. F. Soohoo, Magnetic thin films, Londra 1965; C. E. Lowman, Magnetic recording, New York 1972; H. Chang, Magnetic bubble technology, ivi 1975; S. Middelhoek, P. K. George, P. Dekker, Physics of computer memory devices, Londra 1976; S. M. Sze, Physics of semiconductor devices, New York 1981; Integrated circuit technologies of the future, a cura di K. A. Pickar, J. D. Meindl, in Proceedings of the Institute of Electrical and Electronics Engineers, 74, 12 (1986); M. Camras, Magnetic recording handbook, New York 1988. Cfr. anche IEEE, Journal of Solid-State Circuits, Special issue on memory and logic, 26, 11 (1991), pp. 1486 ss.; 27, 11 (1992), pp. 1490 ss.

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