MENADI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1961)

MENADI (Μαινάδες da μαίνεσϑαι, esser furente)

E. Simon

Donne invasate al seguito (thìasos) di Dioniso, chiamate per lo più Βάκχαι (lat. Bacchae), nella letteratura antica, mentre sui vasi classici dipinti è preferita la denominazione ΜΑΙΝΑΣ. Al culto dionisiaco prendono parte anche invasati di sesso maschile, ma questa esaltazione è più pronunciata nelle m., specie nell'arte figurativa. Qui non si tratta di una frenesia qualsiasi, neanche di un semplice stato di ebbrezza, ma di un invasamento divino, di un "entusiasmo" come lo chiamarono i Greci. Questo entusiasmo si manifesta nella danza estatica delle menadi nel modo più genuino. Giacché l'estasi, "l'estrinsecarsi" dell'essere umano è la premessa necessaria perchè egli si compenetri con il Dio e diventi ἔνϑεος Si potrebbe dire che non le m. infuriano, ma che Dioniso, che già da Omero fu chiamato μαινόμενος (Il, vi, 132), produce in loro quest'effetto. Estasi ed entusiasmo, i concetti greci che si condizionano a vicenda, sono i più adatti a circoscrivere il comportamento delle mènadi.

1. Confronti con altre civiltà. - Per la danza orgiastica delle m. si sono fatti confronti con l'etnologia e con la storia (Dodds). Dal ricco materiale etnologico si può dedurre che l'estasi fa parte dei fenomeni primitivi delle religioni umane. Dagli esempî storici risulta che tali fenomeni si possono ripetere periodicamente come, per esempio, la "danza orgiastica" in varî momenti del Medioevo europeo. Così anche nell'antichità, innanzi tutto nell'arte figurativa, si possono distinguere varie epoche con un forte influsso dionisiaco alternate a periodi di stasi. Dapprima gli studiosi interpretarono una di queste ondate, quella del VII sec. a. C., come la prima infiltrazione in Grecia della religione di Diòniso. In realtà si trattava di una nuova comparsa, di un risorgere. In territorio greco, innanzi tutto a Delfi, si pose un freno a questi fenomeni generali dell'estasi e della danza orgiastica, regolandoli in rituali. Furono limitate a determinati festeggiamenti, a determinati luoghi, e furono nobilitate attraverso forme artistiche - musica, poesia, arti figurative - in modo da far impallidire ogni parallelo etnologico e storico.

Non solo le seguaci di Dioniso, ma anche le sacerdotesse di Apollo - sibille, Cassandra, la Pizia - divenivano m. quando erano invasate dal loro dio. Apollo parlava per bocca loro, come i seguaci di Dioniso che potevano dare oracoli quando erano presi dall'entusiasmo. In questa particolarità comune risiede uno dei motivi basilari della connessione tra Apollo e Dioniso in Delfi, dove si trovava un particolare gruppo di m., le Thyadi. Erano caratteristici inoltre gli invasati addetti al culto della Madre degli Dèi, Cibele. Al suo seguito, che fin dal V sec. a. C. si poteva unire al thìasos dionisiaco, erano vere e proprie menadi. Anche le ninfe, delle quali fanno parte (cfr. più avanti), le m. mitiche, potevano portare all'invasamento i loro adoratori. Già per la religione cretese del II millennio a. C. erano caratteristici i riti orgiastici, come possiamo dedurre dalle rappresentazioni pittoriche (v. minoico-micenea, arte). Si potrebbero definire quali precorritrici delle m. anche le invasate danzatrici rappresentate sugli anelli d'oro cretesi. Lo specifico gusto minoico per la forma travolgente, libera, si collega qui felicemente con il tema. Queste composizioni perciò fanno parte delle più significative rappresentazioni dell'estasi rituale nell'arte di tutti i tempi. Sarà meglio qui non occuparsi del nome del dio o degli dèi a cui è dedicato questo sacro flirore. Ad ogni modo le rappresentazioni minoiche attestano che nell'ambiente egeo il terreno era da lungo tempo predisposto ad accogliere l'entusiasmo della religione dionisiaca.

2. Menadi nel culto e nel mito. - In molti luoghi della Grecia, come Atene, Delfi, Olimpia, Sparta, in Beozia e nella Jonia, erano associazioni femminili incaricate dallo Stato di occuparsi del culto di Dioniso. Per la durata delle feste dionisiache diventavano menadi. Nelle arti figurative greche compaiono, a prescindere da determinate eccezioni (cfr. sotto 5 c), non già le sacerdotesse umane, bensì i loro prototipi mitici, le ninfe di Nisa. Tutta una serie di m. sui vasi attici recano nomi di ninfe, noti già altrove, o semplicemente la designazione di "ninfa". Le ninfe di Nisa erano le balie di Dioniso, che lo allevarono e lo accompagnarono nel suo viaggio sulla terra (Hymn. Hom., 26, 4 ss.; Iliade, vi, 132). Le sacerdotesse mortali si trasformavano in queste ninfe, poiché culto e mito formavano un'unità quasi inscindibile nell'ambito dionisiaco. Questa fusione si esprimeva soprattutto nei misteri bacchici.

L'unione dell'uomo con il suo dio, mira principale dei culti misteriosofici, era scontata a priori nell'ambito dionisiaco mediante l'entusiasmo. Perciò questa religione era predestinata alla formazione dei misteri. In ciò è una delle principali cause del perché gli altri misteri non si potevano sottrarre all'influenza dionisiaca, come per esempio quelli di Eleusi. Secondo Platone (Nòmoi, 7, 815 c), le partecipanti femminili alle iniziazioni dionisiache divenivano ninfe, dunque m. mitiche. Con l'iscrizione di Cuma si possono attestare misteri bacchici nella Magna Grecia già al principio del V sec. a. C., e per mezzo delle arti figurative attiche ancor prima probabilmente nella madrepatria (cfr. sotto 5 b). I misteri più recenti ci sono noti dalle testimonianze figurative e da iscrizioni. In questi misteri la m. in preda all'esaltazione sacra divenne il prototipo degli iniziati. Nell'epoca ellenistica questi misteri, originariamente privati, si estendono anche nelle religioni di Stato dei Diadochi. L'origine di ciò è nel culto tributato alle m. dalla madre di Alessandro il Grande, Olimpia. Essa era particolarmente dedita al culto misterico di Dioniso, proveniente dalla sua patria semibarbara (Plut., Alex., 2). Secondo un'antica credenza la sede primitiva delle m. era la Tracia, paese confinante con la Macedonia.

3. Le Menadi di Euripide. - Tra le opere postume del poeta, che morì in Macedonia nel 407-6, è la tragedia Le Baccanti. Il dramma era sorto dunque nelle immediate vicinanze della Tracia, patria delle menadi. La sua influenza si estese fin nella tarda antichità ed ha decisamente determinato il concetto di m. del mondo antico. Lo stesso vale per le m. dell'arte figurativa attica deI periodo di Euripide, come per esempio il famoso ciclo che rimonta a Kallimachos (cfr. sotto 5 d). Forse ornava il monumento coregico che fu eretto in Atene dopo il successo della rappresentazione delle Baccanti. È questo uno dei rari casi in cui si può seguire attraverso i secoli, l'azione parallela di un'opera letteraria e delle creazioni contemporanee dell'arte figurativa tramandateci. La tragedia di Euripide ci fa conoscere due tipi di m.: il coro sacro delle seguaci di Dioniso della Lidia e quello funesto delle Tebane che avevano dubitato della sua divinità. Ambedue i cori constano di donne mortali che il dio tramuta in m., ma le prime delirano nell'estasi, le seconde nella forna. Le une stanno al di là di ogni colpa e tragicità, le altre si macchiano nella loro follia di un'azione orribile: Agave con le sue m. sbrana il proprio figlio, egli pure avverso a Dioniso. Il dio dunque può dare due generi di invasamento. Così egli fa presa anche sui suoi avversari perché testimonino il suo potere. Il rapimento estatico con cui le m. della Lidia cantano i loro inni religiosi, la loro nostalgia per l'isola di Afrodite (402 ss.) sono indicativi anche per le m. dell'arte figurativa attica contemporanea, nelle quali all'estasi è unita la leggiadria. In Euripide questa beatitudine è condizionata al carattere misterico delle sue m., poiché il loro parlare è pieno di allusioni ai misteri. L'abisso che le divide dalle Tebane è lo stesso che divide gli iniziati dai non iniziati.

4. Caratteristiche ed attributi delle menadi. - Le danze delle m. si svolgevano in luoghi liberi e selvaggi, a Delfi, per esempio sul Parnaso. Nell'arte figurativa le m. possono essere circondate da alberi o rocce nonostante la scarsezza delle indicazioni paesaggistiche. Significativa è la comparsa delle m. in numero di più d'una, nel qual caso la sacra triade assume importanza sia nel mito che nel culto come pure nell'arte figurativa. L'entusiasmo aumenta nelle funzioni sacre svolte in comune e soprattutto nella danza collettiva. Eppure ogni m. appartenente ad un coro danzante si dà all'estasi individualmente, al contrario delle danze di Ninfe e Canti dei rilievi attici e neo-attici (Fuchs). Queste si prendono per le mani o per i lembi delle vesti, le m. danzano ciascuna per proprio conto. Infatti ciascuna non ha di fronte che il solo dio. Ancora così Filostrato ha descritto nel tardo impero l'immagine di una m. (Imag., 2, 17, 7). L. B. Lawler ha confrontato con l'arte figurativa gli schemata della danza delle m. tramandati dalla letteratura, e li ha riccamente illustrati (tavv. 12-22). Corrispondevano alle loro, talune figure di danza dei loro compagni, i sileni. Spesso le m. fuggono anche durante la danza alla lascivia di questi dèmoni. Non erano minacciate soltanto da inseguimenti originati da brama amorosa ma, in certe leggende e culti, le m. fuggivano poiché era questione di vita o di morte: il tracio Licurgo (v.) cacciò "le balie di Dioniso invasate" insieme al loro dio (Il., vi, 130 ss.). In Orcomeno le m. venivano inseguite con la spada dal sacerdote di Dioniso ed uccise non appena raggiunte (Plut., Quaest. Gr., 38). Come Dioniso, le m. sono anche cacciatrici. Le prede della loro caccia sono gli animali dei boschi e dei greggi: caprioli, cervi, lepri, capre e montoni. Le m. come gli animali feroci, cacciano, sbranano e divorano questi animali. Perciò al loro seguito si trovano spesso gli animali feroci, anzitutto pantere, linci, raramente leoni. Le m. portano anche la pelle della pantera (pardalis) o del cervo (nèbris) sopra la veste. Persino l'animale feroce più pericoloso, il serpente, anch'esso un divoratore di carne viva, si avvinghia alle braccia, al corpo, alla testa delle menadi. Le m. sbranano la loro preda con le mani o con un coltello da caccia che tengono in mano specie nelle rappresentazioni del IV sec. a. C. Inoltre durante la danza le m. hanno in mano tutta una serie di strumenti musicali e a percussione come flauti, cembali, sonagli e, dalla metà del V sec., i timpani che provengono dal culto di Cibele (cfr. sotto 5 c d). S'aggiungono fiaccole per le celebrazioni notturne. Più rari sono boccali e coppe. Le m. possono portare vasellami da sacrificio e rami sacri conformemente alla loro funzione sacerdotale. Come danzatrici si presentano spesso senza alcun attributo, e allora le loro mani sono nascoste nelle vesti fluttuanti. L'attributo più importante delle m. è il tirso o il bastone di ferula (gr. narthex). Consiste in un ramoscello di ferula, che per altro fu usato anche per bastoni (Beazley, in Am. Journ. Arch., xxxvii, 1933, p. 400 ss.), con una fronda d'edera sulla punta. Gli svariati elementi vegetali sono uniti in un vivace insieme. In segno che il tirso non è morto, gli spuntano, come appare sui vasi attici, da entrambe le parti rami d'edera. In epoca romana si prediligeva come ornamento della punta la pigna. Oltre le m. anche i sileni e Dioniso portano questa verga. L'uso ed il significato si deducono dalle rappresentazioni figurative (v. più innanzi 5 b).

5. Le menadi nelle arti figurative. - Dato il genere del loro movimento, le m. si prestano più al rilievo e alla pittura che non a rappresentazioni a tutto tondo. Soltanto sporadicamente la m. è rappresentata a tutto tondo, ed in tal caso è scolpita da un artista eccezionale (cfr. 5 g). Le nostre testimonianze più importanti dell'epoca greca sono perciò le pitture vascolari e i rilievi; nell'arte romana ed etrusca, i rilievi e gli affreschi. Poiché le m. costituiscono uno dei temi più frequenti dell'arte figurativa antica, sarà necessario qui appresso fare una rigorosa cernita. Se si segue la raffigurazione delle m. dalla loro prima comparsa nell'arte figurativa, circa nel 550 a. C., fino al declino dell'antichità, ciò che colpisce meno è la trasformazione dello stile, comune a tutte le altre opere d'arte. Risalta piuttosto il fatto che le femmine invasate dal loro dio rispecchiano fedelmente il concetto che ogni epoca ha avuto di Dioniso. Così la raffigurazione delle m. seguita attraverso i secoli può mostrare il carattere e la trasformazione della religione di Dioniso.

a) Vasi a figure nere (attici e non attici; M. W. Edwards, 79 ss.). - Uno dei temi preferiti dalle pitture vascolari arcaiche, il ritorno di Efesto all'Olimpo, ha le rappresentazioni più antiche e più sicure del thzàsos dionisiaco. Sulla più bella di queste raffigurazioni, sul vaso François (v.), le compagne dei sileni sono nelle iscrizioni denominate ninfe. Portano vesti lunghe, una di loro è portata in braccio da un sileno, un'altra batte i cembali. Gli esseri femminili che compaiono insieme ai sileni nella prima metà dei VI sec. hanno spesso vesti corte o sono nude. Veramente potrebbero anche fuggire dinanzi alla cupidigia dei sileni, ma per lo più si concedono docilmente, al contrario delle m. più tarde. Poiché mancano inoltre gli attributi proprî delle m. (nèbris, pardalis, thìrsos, serpenti) queste figure sono indicate con la vasta denominazione di ninfe come per il vaso François. Nell'Inno omerico ad Afrodite (5 262 s.) i sileni si uniscono ad esse. Anche le balie del Dioniso di Nisa sono ninfe, ma queste sono particolarmente dignitose. Sul vaso di Sophilos esse sono denominate NYSAI dall'iscrizione. Esse si allineano solennemente nella marcia nuziale cantando e suonando, ma non rapite in estasi. Le prime vere e proprie m. compaiono attorno alla metà del VI sec. nella pittura attica. La più bella fra queste raffigurazioni più antiche è il cratere di Lydos a New York: un intero thìasos di m. e sileni danzanti attorniano un placido Dioniso ed Efesto che ritorna. Le m. portano pepli con sopra la nèbris, dai quali durante la danza può apparire una gamba nuda. Una ha un serpente attorno alla vita a mo' di cintura. Nessuno dei sileni mette loro le mani addosso. Essi sono ancora in maggioranza. Ciò è ben diverso durante la seconda metà del VI secolo. Ora o predominano le m., o Dioniso appare circondato solo da figure femminili, come su una coppa con i busti del dio, di Semele e m. che reggono rami d'edera. Spesso Semele, la madre, e Ariadne, la sposa di Dioniso, che allo stesso tempo sono i modelli divini delle m. mitiche, non si possono distinguere dalle m. stesse nelle rappresentazioni figurative.

Il Pittore di Amasis su un'anfora ben nota della Bibliothèque Nationale pone di fronte al dio due m. che si abbracciano. Portano corone di edera e quella in primo piano una pelle di pantera. Agitano nelle mani la selvaggina cacciata e lunghi rami di edera. Qui si manifesta in modo particolarmente genuino l'immediatezza dell'entusiasmo estatico provocato da Dioniso, l'esclusività con cui le m. lo servono. Qui per la prima volta il tema dell'arte figurativa si presenta quale già da lungo tempo era stato per il culto e per il mito, il dio delle donne invasate. Oltre a queste m. sacerdotesse nella pittura attica e innanzi tutto in quella non attica si trovano anche ninfe nel senso dell'Inno omerico ad Afrodite. Su un'anfora di Berlino il Pittore di Amasis sembra scindere consciamente le ninfe vestite da quelle nude, che si fanno abbracciare dai sileni. Eppure sembra essere troppo rigida la separazione terminologica moderna tra ninfe e m., quale la attuano ad esempio il Nilsson ed l'Edwards. I limiti non sono ben definibili. Numerose danzatrici sui vasi attici, calcidesi, ionici e "ceretani" sono ninfe e m. contemporaneamente, nonostante la mancanza di attributi.

b) Vasi a figure rosse del periodo attico arcaico maturo (530-480 a. C.). - La figura della m. diventa ora il tema principale della pittura vascolare. Già durante la prima generazione che dipingeva le figure in rosso, in Oltos, Phintias e Smikros, le m. ebbero un nuovo attributo, il tirso, che rimase loro fino alla fine dell'antichità. Lo adoperano spesso, come anche i serpenti, per difendersi dai sileni; ma esso non è solo un'arma, bensì molto di più. Spesso le m. lo portano a mo' di scettro. È la sacra insegua dell'appartenenza al thìasos dionisiaco. La sua comparsa improvvisa fece supporre recentemente l'influenza della religione misterica (Edwards). In effetti il proverbio: "Vi sono molti che portano il nàrthex ma pochi baccanti" proviene dal linguaggio dei misteri (Plat., Phaedon, 69 c). L'ipotesi dell'Edwards guadagna in veridicità se si riflette che alla corte dei Pisistratidi in Atene era Onomakritos, un collezionista ed autore di poesie orfiche e fondatore dei misteri orfico-bacchici. Orfeo sarebbe stato seguito inizialmente da donne con verghe di ferula, come le m. (Palaiphatos, Fr., 33 = Mythogr. Gr., iii, 2, p. 51, Festa). L'ambito d'azione di Orfeo era la Tracia, la patria d'origine delle menadi. L'approfondita concezione delle donne del thìasos che s'incontra sui vasi attici fin dalla seconda metà del VI sec. è dunque certamente connessa con le correnti orfico-mistiche. Un contegno ingenuo come quello delle ninfe fu soppiantato dalle sacerdotesse portatrici di tirso che sono animate da un ethos del tutto diverso. I sileni che s'incontrano con esse sono spesso piccoli e brutti e le m. li respingono con forza e dignità. Oppure i sileni servono le m. e suonano il flauto per la danza. I due sileni su un'anfora di Phintias che si presentano pari per dignità alle loro m., formano un'eccezione; essi si richiamano al Pittore di Amasis. Attorno al 500 a. C. le m. sono già talmente predominanti nel thìasos, che la dignità demoniaca dei sileni appare veramente solo là dove mancano le m.; come, per esempio, sulle anfore del Pittore di Berlino. Le rappresentazioni delle m. di questo grande pittore di vasi tra il 500 e il 480 a. C. dimostrano una tale familiarità con le diverse forme e fasi dell'estasi, che dev'esserci senz'altro un'influenza di una concezione viva. Si noti solo la differenziazione delle due m., del Pittore di Kleophrades nel suo capolavoro di Monaco. Riportiamo qui la descrizione di J. D. Beazley (Der Kleophrades-Maler, p. 13): "Una di esse fugge precipitosamente, la testa rovesciata all'indietro, afferrando il tirso con ambo le mani e gridando; l'altra, bionda con gli occhi azzurri, procede calma con aria sognante, rapita in estasi" (v. kleophrades, Tav. a colori). Le due forme di entusiasmo, lo sfrenato slancio e il sacro rapimento ormai non possono più essere scissi dal thìasos. Nel tardo V sec. le incontriamo ancora in rilievi dalla forma stilistica mutata, la cui influenza continua fino all'epoca romana. Anche l'incedere caratteristico dalla m. bionda, dal passo morbido, si ripete sempre. Lo stesso pittore in un'opera tarda del 480 sostituisce alle m. energiche quelle più delicate. Esse danzano attorno al loro dio nella sacra triade, al suono del flauto di un sileno giacente. I loro capelli biondi sono sciolti. Nell'enfasi della danza trattengono con ambo le mani le maniche del loro chitone sì da dare l'impressione di ali spiegate, un gesto spesso ripetuto dai gruppi bacchici. Gli arcaici mantelli messi di traverso delle precedenti m. sono scomparsi. Queste donne andavano dunque in giro nel sottile chitone, in un abbigliamento che nessuna greca normale avrebbe indossato per uscire di casa. Le m. del Pittore di Brygos e di Makron adottano lo stesso sistema. Al centro dello sviluppo vascolare è ora la coppa. Le m. circondano con danze estatiche le immagini esterne e riempiono l'interno della coppa con composizioni artistiche, da sole o in gruppo con un sileno. La m. che risalta sul bianco fondo della coppa di Brygos in Monaco supera per vivacità le sue sorelle danzanti delle figure esterne. La sua capigliatura svolazzante è incoronata da un serpente velenoso, nella sinistra agita una lince, nella destra un tirso disegnato con audace semplicità. Attorno alle spalle ed al dorso fluttua la pelle di pantera. Di Makron si citi la coppa di Berlino, in cui le m. danzano attorno alla maschera di Dioniso che è appesa ad un palo ornato. Sotto uno dei manici sta un cratere ed una delle m. ha in mano una coppa. Si beve in occasione delle feste Lenee, festività attica, il cui nome proviene da Lenai, come le m. erano chiamate nella Ionia.

c) Pittura vascolare attica (480-430 a. C.). - I grandi pittori di coppe del primo periodo classico, dopo le guerre persiane, collegano direttamente le loro m. all'epoca precedente. La coppa a fondo bianco del pittore Pistoxenos (v., con tavola a colori) di Taranto reca gruppi di sileni e m. quasi simili alle figure del Pittore di Brygos. È più forte però la caratterizzazione della coppia dissimile. La m. ha acquistato sul sileno una superiorità ancora maggiore di quella delle figurazioni precedenti, poiché il semplice fatto della sua esistenza la pone molto al di sopra di lui. Poiché costui è meno un dèmone selvaggio che un libertino degenerato, dallo sguardo strabico e dalle dita impotenti, la m. gli rivolge un sottile sguardo un po' sprezzante, un po' compassionevole. Essa porta il peplo spesso e decente, preferito allora anche per le mènadi. Per quanto anche in seguito ci siano una quantità di rappresentazioni di m. sui vasi da simposio, l'originalità e l'elevatezza artistica delle m. tardo-arcaiche viene raggiunta ben di rado. L'insieme di m. e sileni può assumere un accento nuovo per il dramma dei satiri introdotto nel frattempo: ci sono quadri familiari con sileni padri, m. madri e figli satiri (F. Brommer, Satyrspiele, p. 40 ss., fig. 35 ss.). Tra tale imborghesimento delle m. e la rappresentazione di donne attiche borghesi come m. v'è un solo passo. È compiuto sui vasi lenei di quest'epoca (Frickenhaus). Le figurazioni del Pittore di Villa Giulia (v.) sono le più significative; le m. si presentano mansuete e costumate. L'attinger il vino e la danza sembrano attivita inusitate. Il loro chitone è coperto da un mantello. Si nota da queste scene, disegnate accuratamente, che questo periodo non era più direttamente influenzato da Dioniso come lo era stata l'epoca precedente. Il dio che dominava nella prima classicità era Apollo. Persino il thìasos assume un'impronta apollinea. Compaiono pure scene di sacrificio con m. di compostezza quasi statuaria. Diventa popolare la consegna di Diòniso-bambino alle ninfe di Nisa, già rappresentata da Makron, in un frammento ad Atene (Acropoli 325). Qui il contegno calmo delle m. è condizionato dal soggetto. Nella prima classicità, secondo la versione del cratere di Ferrara del Pittore di Altamura, come in Makron, è Zeus che consegna il bambino; una delle m. ha sulla spalla una minuscola pantera a mo' di un gatto domestico. È invece Hermes che consegna Dioniso sul cratere a fondo bianco del Vaticano, da Vulci. A sinistra siede pensosa una m. con tirso, che assomiglia più ad una Musa che a una menade. Ciò è tipico di quest'epoca. Ma già Atene è raggiunta dalle prime ondate di un nuovo entusiasmo. Appare nel thiasos uno strumento che spinge di nuovo le m. all'estasi, il timpano (esempio più antico: Lawler, tav. 18, 1). Questo timpano risuona nelle splendide rappresentazioni di thìasos del Pittore di Kleophon, che è un precursore del futuro sviluppo, e sullo stupendo cratere a volute da Spina (Ferrara, T 128). Appare qui nello stile della matura classicità un thìasos di m., formato da donne e fanciulle in estasi selvaggia; la maggior parte di loro agita serpenti. La loro bocca è aperta in invocazioni estatiche. Esse danzano in onore di una coppia di dèi non già attici bensì dell'Asia Minore: Cibele con Sabazio, il Dioniso frigio (E. Simon, Opfernde Götter, 1953, p. 79 ss.). Per contenuto e forma questa figurazione si riferisce all'ultimo venticinquennio del V sec. quando culti orgiastici stranieri si infiltrarono in Atene e distrussero la rappresentazione tradizionale del thìasos.

d) Arte attica (430-380 a. C.). - Alla fine del V sec., culmine del cosiddetto "stile fiorito", l'arte attica mise in luce le m. che divennero patrimonio comune dell'antichità, cioè le m. danzanti che si attribuiscono a Kallimachos. Esse danzano in vesti trasparenti e fluttuanti, al suono del timpano battuto da una di loro. Altre portano in mano i tirsi, una corona di edera e parti di un cerbiatto sbranato. La copia del primo neo-atticismo del Palazzo dei Conservatori ci fornisce l'idea migliore degli originali perduti, con la danzatrice assorta che brandisce un coltello da caccia ed una parte di un cerbiatto. I due tipi principali dell'estasi, già dipinti come prototipi dal Pittore di Kleophrades (cfr. sopra 5 b), ci sono conservati, ma disgregati in parti diverse. W. Fuchs sceglie come archetipi due gruppi di tre m. dalle riproduzioni neo-attiche (ricostruzione in op. cit., p. 89, fig. 1). Se però i rilievi, come egli asserisce, appartengono ad un unico monumento coregico, alla base di un tripode, allora sarebbe da supporsi una terza triade di m. danzanti, in corrispondenza alla forma triangolare di tale base. Tre volte la sacra triade sarebbe inoltre una usanza del culto delle m.: le m. tebane delle Baccanti di Euripide constano di tre thìasoi (v. 680 ss.).

Con il cratere d'argento con m., a Berlino (Züchner), dell'inizio del IV sec. ci è conservata un'originale opera toreutica con sei splendide menadi. Da ambedue i lati danzano tre m. per parte al suono del timpano ed uccidono degli arieti. Sono figure graziose e delicate in vesti fluttuanti; tanto più sorprendente è l'ebbrezza sanguinaria di cui sono pervase. Si è fatta già notare l'intima affinità di queste figure di m. con quelle di Euripide (cfr. sopra, 3). Nella pittura vascolare di quell'epoca si trovano somiglianze col Pittore del Deinos di Berlino, innanzi tutto nel suo stàmnos delle m. di Napoli (Furtwängler-Reichhold, tav. 36 s.; Red-fig., 789, 2). Il vaso appartiene ai vasi lenei, ma la prosaicità delle borghesi attiche è scomparsa; m. in estasi celebrano la festa attorno alla maschera del dio, al rimbombo del timpano: un degno parallelo tardo della festa lenea di Makron. Ambedue le creazioni appartengono a periodo di guerra: la prima al tempo delle guerre persiane, la più tarda alla guerra del Peloponneso. Questo entusiasmo è una fuga dinnanzi all'asprezza della realtà? Ciò sembra essere il caso per le pitture tarde, poiché i nomi, che nell'ambito del Pittore di Meidias sono attribuiti alle m., indicano la stessa tendenza, descrivono il thìasos "come il paradiso della letizia, della felicità e della beatitudine" (Fränkel). Afrodite e gli Eroti partecipano a questa cerchia, poiché il culto orientale di Adone, allora popolare in Atene, veniva celebrato con riti orgiastici di quel genere. Dioniso infuria con le m. nel cratere di Napoli 3240 da Ruvo o appare calmo in mezzo allo stuolo selvaggio come su un'idria di Villa Giulia (G. Cultrera, Opere d'Arte, 8, 1938) che mostra una folla di m. disposte in audaci movimenti che attorniano il folle gesto di Licurgo. Fra loro sono anche m. che si lasciano cadere per la spossatezza ed altre rovesciate a terra. La singolare rappresentazione di una m. che dorme solitaria ed esausta ed è aggredita dai sileni è in verità una trovata più antica (cfr. Hampe-Simon, Griechisches Leben, tav. 12), ma è dotata ora di una caratteristica speciale: la m. dorme nuda (oinochòe di Oxford 534).

e) Arte della Magna Grecia del V-IV secolo. - Nell'epoca in cui il Pittore di Meidias dipinse le sue fragili m., ci sono nel territorio àpulo vigorose figure di m., innanzi tutto sul più grandioso di tutti i vasi italioti antichi, un cratere a volute di Taranto. Dioniso sta seduto su una pendenza rocciosa insieme a tre m.; una esegue davanti a lui una danza vorticosa, girando attorno all'asse del proprio tirso (v. danza), l'altra suona il doppio flauto, la terza fa luce con una fiaccola; questa porta, come Dioniso, una veste corta e coturni, che alludono alla caccia selvaggia delle menadi. Che si tratti di una m. e non già di Artemide, come veniva denominata, lo dimostra la situla di vino nella sua sinistra. Su di un cratere a campana di Napoli, tutta una schiera di m. celebra una festa di Dioniso. Viene versata una libagione, portato un vassoio sacrificale e un caprone viene immolato sull'ara. Altre m. danzano e battono timpani e cembali. La concezione delle m. come sacerdotesse di Dioniso assume qui un'evidenza particolarmente chiara. Ancora nel thiasos di Messalina le m. gesticolavano quali sacrificantes vel insanientes Bacchae (Tac., Ann., II, 31). Le scene dionisiache sui vasi del IV sec. si distinguono più per quantità che per qualità.

f) Arte etrusca. - Le danzatrici in estasi dei dipinti delle tombe etrusche non sono veramente m. nel senso del mito greco, per quanto prese singolarmente, siano influenzate dai modelli di m. dell'arte greca tardo-arcaica. Però dalle connessioni e dagli ornamenti è evidente che esse rappresentano danze bacchiche, anche se i loro compagni non sono sileni, ma giovanetti. Dalla più bella camera sepolcrale con questo tipo di decorazione, la Tomba del Triclinio, proviene inoltre un sarcofago sul cui coperchio la morta è rappresentata come una m., come una baccante iniziata con la nèbris, il tirso, il cerbiatto ed il kàntharos. Secondo una notizia di Livio i misteri bacchici penetrarono a Roma provenienti dall'Etruria (cfr. A. Bruhl, Liber Pater, p. 76 ss.).

g) Arte greca del IV sec. a. C. - I tipi di m. sui vasi di Kerč sono in gran parte derivati dalla pittura attica precedente. Il tema favorito diventa lo smaniare delle Thyadi delfiche. Oltre a ciò nascono ora due tipi opposti di m., dei quali specie il primo ha influenza fino all'epoca romana: la m. quasi nuda e la danzatrice avvolta in un fitto mantello. Ma la più importante m. di questo periodo è quella a tutto tondo di Skopas in marmo dell'isola di Paro, patria. dell'artista. Epigrammi ed una lunga iscrizione retorica dànno notizia della fama di quest'opera (v. skopas). La M. di Dresda ce ne conserva una riproduzione in formato ridotto, che può darci solo l'impressione della forza e della passionalità di quest'opera. È da escludere il rilievo di Copenaghen che è una trasformazione classicistica di una Nike in una menade. Lo Hauser lo mise in discussione a causa dei capelli fluttuanti, di cui parla Kallistratos. Come accade a più d'uno dei descrittori di opere d'arte, quel retore cercò di brillare più per parole che non per obiettività. La m. portava sulla spalla sinistra una capra e con la destra brandiva un coltello. Rovesciava la testa molto indietro e rivolgeva uno sguardo estatico verso l'alto. Dalla statuetta di Dresda risulta che essa non aveva alcun punto di vista fisso: il nostro sguardo vaga continuamente. Osservata dalla parte sinistra dà quasi un'impressione di nudità, dalla destra sembra vestita, snella e flessibile; vista frontalmente sembra vigorosa. Inoltre il volto si presenta di tre quarti o in un vago profilo - al contrario del puro profilo della M. di Kallimachos (dev'essere perciò escluso il lezioso restauro Arias, Skopas, fig. 37). La M. di Skopas appartiene alle opere che, nonostante la loro celebrità, furono copiate assai di rado, poiché mancava loro la "leggiadria". La statuetta di Dresda dev'essere stata fatta per un intenditore d'arte, come altre statuette di questo genere.

h) Arte ellenistica. - Questa epoca, invece delle m. sacerdotali o in estasi, preferisce le antiche compagne dei sileni, le ninfe. La scultura a tutto tondo presenta gruppi erotici e di danzatrici. Vi sono m. vere e proprie, ma solo in un determinato ambito, quello dei misteri, fiorenti nell'epoca ellenistica. Che il culto misteriosofico di Dioniso sia stato trasferito dall'Arcadia a Pergamo ci è dimostrato da una serie di scene del fregio pergameno di Telefo (v. pergamo). Ci è conservata una m. fanciulla vista di spalle con due grandi fiaccole. Come nella M. di Skopas, il suo fianco sinistro è nudo. Camminando essa flette le ginocchia nel tipico modo di avanzare delle menadi. Nella scena seguente due sileni stanno seduti su rocce, uno di fronte all'altro. Vicino a loro sono due donne che, nonostante il loro calmo contegno, si possono definire m., poiché variazioni di questo gruppo si trovano ancora su sarcofagi dell'età romana, rappresentanti l'infanzia di Dioniso (per esempio Österr. Jahresh., xxxvi, 1946, 62 ss., tav. 7 ss.). Sono m. quali "balie di Dioniso", quali iniziate, sacerdotesse. Della maggior parte delle opere dionisiache dell'arte ellenistica abbiamo soltanto echi nell'arte romana, che per la loro complessità non possono qui essere trattati dettagliatamente.

i) Arte romana. - Non appaiono più nuovi tipi importanti di m.; ormai si attinge ai molteplici tipi greci, da quelli dell'epoca classica, fino a quelli ellenistici. Le M. di Kallimachos (cfr. sopra 7 d) furono copiate nelle officine greche a partire dalla fine del II sec. a. C. Dell'età repubblicana e della prima età imperiale possediamo molte rappresentazioni di m., provenienti dalle città sepolte della Campania. Va menzionata in primo luogo anche la Villa dei Misteri (Pompei). È notevole che nel fregio si trovi un'unica danzatrice in estasi tra le numerose addette femminili al culto: una m. nuda vista di schiena che suona dei cembali al di sopra della testa in una tipologia creata dall'arte ellenistica. Le altre donne sono piuttosto sacerdotesse e addette ai sacrifici, che corrispondono al carattere misterico del fregio, e sono paragonabili alle m. del fregio di Telefo (cfr. sopra 5 h). Sui sarcofagi bacchici che appaiono nel II sec. d. C. si ripetono gli stessi due gruppi di m.: m. ferme tranquille in vesti lunghe, o danzanti nude con vesti che scompostamente fluttuano. È significativo che non oppongono resistenza ai sileni, ma si presentano in atteggiamenti amorosi. Questo mutamento è subordinato ad un determinato èthos dei Misteri, poiché durante il periodo imperiale non è neanche più concepibile il culto di Dioniso senza un'infiltrazione misterica. L'iniziazione ai misteri bacchici e la cerimonia nuziale seguivano, a quanto pare, la stessa procedura; la sposa diveniva m. e lo sposo rappresentava il satiro. È cosi che un'ara sepolcrale di età claudia con una coppia di coniugi, in cui è rappresentata la dextrarum iunctio (v.) può essere ornata contemporaneamente con m. che danzano in estasi selvaggia ed agitano i timpani. L'associazione di questi due elementi risale, in Campania, all'epoca sannitica. Dalla Casa dei Capitelli Figurati di Pompei, provengono capitelli sui quali sono riprodotti busti di satiri e m. accanto a coniugi raffigurati realisticamente (A. Maiuri, Pompei, Itinerari, 1958, tav. 38). Dopo l'Etruria, la Campania era la seconda regione dalla quale il culto dei misteri di Dioniso penetrò in Roma. Mentre sui menzionati capitelli la sfera reale ed ideale della rappresentazione è separata, nella pittura pompeiana satiri e m. si presentano con spiccati tratti ritrattistici. Con questo significato mistico-reale dell'unione di satiri e m. si spiega che le migliori raffigurazioni di m. dell'arte romana non sono meri cori di m., ma gruppi erotici di satiri e m. in sempre nuovi, graziosissimi rapporti. In questo campo sono innanzi tutto i pittori campani che rivelano originalità - per la verità, meno nei "quadri" (più legati alla tradizione classica) che non nei gruppi bacchici fluttuanti sullo sfondo luminoso delle pareti -; si ricordino le due coppie della Casa dei Dioscuri. Non c'è da meravigliarsi in definitiva, se dato questo accoppiamento, le m. si vedano a volte con orecchie di satiri divenendo "femminucce dei satiri", come in un tipo di rilievi della Campania del primo periodo imperiale (cfr. Rohden-Winnefeld, tav. 99).

Monumenti considerati. - a) Vasi a figure nere: vaso François: F. Brommer, in Jahrbuch, lii, 1937, p. 198 ss. Vaso di Sophilos: J. D. Beazley, Black-fig., 39, 15. Cratere di Lydos: A. Rumpf, Sakonides, tav. 21 s.; J. D. Beazley, op. cit., 108, 5. Coppa con Dioniso, Semele e m.: C. V.A., Napoli, tav. 21 ss.; J. D. Beazley, op. cit., 203, 1. Anfora della Bibliothèque Nationale del Pittore di Amasis: E.A.A., i, p. 298, fig. 431. Anfora di Berlino del Pittore di Amasis: S. Karouzou, Amasis-Painter, tav. 27; J. D. Beazley, op. cit., 151, 21. - b) Vasi a figure rosse (530-480 a. C.): anfora di Phintias: Furtwängler-Reichhold, tav. 21; J. D. Beazley, Red-fig., 22, 2. Anfora del Pittore di Berlino: E. A. A., ii, figg. 95-96. Anfora del Pittore di Kleophrades: J. D. Beazley, Antike Kunst, i; 1958, p. 6 ss. Coppa del Pittore di Brygos, a Monaco: J. D. Beazley, Red-fig., 247, 14. Coppa di Makron a Berlino: A. Greifenhagen, Antike Kunstwerke, tav. 65; J. D. Beazley, op. cit., 304, 37. - c) Pittura vascolare attica (480-430 a. C.): coppa a fondo bianco del Pittore di Pistoxenos: G. Gullini, in Arch. Class., iii, 1951, p. 1 ss.; H. Diepolder, in 110. Berl. Winckelmannspr., 1954, p. 7, fig. 2, tav. 2 b. Frammento di Makron (Acropoli 325): J. D. Beazley, op. cit., 302, 117. Cratere di Ferrara del Pittore di Altamura: Alfieri, Arias, Hirmer, Spina, tav. 9; J. D. Beazley, op. cit., p. 412, 2. Cratere del Vaticano da Vulci: Furtwängler-Reichhold, tav. 169; J. D. Beazley, op. cit., 671, 1. Cratere a volute da Spina (Ferrara T 128): Alfieri, Arias, Hirmer, op. cit., tav. 74 ss.; J. D. Beazley, op. cit., 696, 23. - d) Arte attica (430-380 a. C.): rilievo del Palazzo dei Conservatori: G. Gullini, art. cit., tav. 62. Stàmnos del Pittore del Deinos di Berlino: Furtwängler-Reichhpld, tav. 36 s.; J. D. Beazley, op. cit., 789, 2. Cratere di Napoli 3240, da Ruvo: J. D. Beazley, op. cit., 849, 1. Hydrìa di Villa Giulia: id., ibid., 965, P. 851. Oinochòe di Oxford 534: J. D. Beazley, op. cit., 732. - e) Arte della Magna Grecia del V-IV secolo: cratere a volute di Taranto: A. D. Trendall, Frühitaliotische Vasen, Lipsia 1938, n. 36, tav. 24 s. Cratere a campana di Napoli con festa di Dioniso: id., ibid., n. 92; Furtwängler-Reichhold, tav. 175. - f) Arte etrusca: sarcofago dalla Tomba del Triclinio: Mem. Am. Acad. Rome, vi, 1927, tav. ii. - g) Arte greca del IV secolo: vasi di Kerč: H. Metzger, Les représentations dans la cér. att. du IV siècle, tavv. 9-22; 24 s. Rilievo di Copenaghen: P. E. Arias, Skopas, n. 3. - i) Arte romana: menadi di Pompei: A. Maiuri, Villa dei Misteri, tav. 12. Ara sepolcrale con dextrarum iunctio: Arch. Anz., 1941, p. 574 s., tav. 86 s. Figurazioni dalla Casa dei Capitelli Figurati: A. Maiuri, Pompei, Itinerari, 1958, tav. 38 s. Coppie di sileni e m. dalla Casa dei Dioscuri: Hermann-Bruckmann, p. 126, tav. 6. Rilievi campani con sileni e m.: Rohden-Winnefeld, tav. 99.

Bibl.: A. Rapp, Die Mänade im griechischen Cultus, in der Kunst und Poesie, in Rhein. Museum, 27, 1872, p. i ss.; 562 ss.; A. Frickenhaus, Lenäenvasen, in 72. Berl. Winckelmannspr., 1912; Ch. Fränkel, Satyr- und Backennamen auf Vasenbildern, Halle 1912; L. B. Lawler, The Maenads, in Mem. Acad. Rome, VI, 1927, p. 69 ss.; H. Philippart, Iconographie des Bacchantes d'Euripide, in Rev. Belge de Philol. et d'Histoire, IX, 1930, p. 5 ss.; G. E. Rizzo, Thiasos, Roma 1934; W. Züchner, Die Berliner Mänandenkrater, in 98. Berl. Winckelmannspr., 1938; E. Coche de la Ferté, Les Ménades et Dionysos, in Rev. Arch., XXXVIII, 1951, p. 12 ss.; M. Bieber, Sculpture of Hellenistic Age, New York 1955, p. 627, figg. 562 ss.; M. P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, Monaco 1955, p. 567 s.; id., The Dionysiac Mysteries of the Hellenistic and Roman Age, Lund 1957; W. Fuchs, Die Vorbilder der neuattischen Reliefs, in Jahrbuch, Erg. Heft., 20, 1959, p. 72 ss.; E. R. Dodds, Euripides Bacchae, Introduction and Commentary, Oxford 1960; M. W. Edwards, Representations of Maenads on Archaic Red-figure Vases, in Journal Hell. St., LXX, 1960, p. 78 s.; F. Matz, in Gnomon, 32, 1960, p. 541 ss.