Finanziari, mercati

Enciclopedia delle scienze sociali (1994)

Finanziari, mercati

Tommaso Padoa-Schioppa

Introduzione

Il termine 'mercati finanziari' può definire, nella sua accezione più generale, l'insieme delle strutture (giuridiche, operative, tecniche, fisiche) attraverso cui avviene lo scambio delle attività finanziarie. Nell'uso comune, tuttavia, il termine è andato assumendo connotazioni più circoscritte, riferendosi allo scambio di attività finanziarie standardizzate e prontamente mobilizzabili attraverso la cessione 'sul mercato', cioè ad acquirenti non noti al venditore: in tale accezione, 'mercato finanziario' è così divenuto sinonimo di 'mercato mobiliare'. Nel mercato finanziario così definito rientrano, tipicamente, i mercati dei titoli obbligazionari e azionari, mentre non sono compresi i mercati di quei prodotti bancari o assicurativi che, come i depositi in conto corrente, traggono la loro liquidità dalla promessa di rimborso a vista o che, come le polizze assicurative, pur presentando caratteristiche standardizzate non sono mobilizzabili a richiesta. I mercati finanziari costituiscono quindi una soluzione, anche se non l'unica, a due ordini di problemi: il primo, costituito dal trasferimento del risparmio dai centri di formazione a quelli di utilizzo; il secondo, dalla diversificazione dei rischi. Soluzioni diverse agli stessi problemi sono offerte dagli intermediari bancari e da quelli assicurativi. Dall'interazione di queste tre diverse istituzioni deriva la conformazione del sistema finanziario complessivo.

I mercati finanziari possono essere classificati secondo una varietà di criteri. Vanno qui ricordati quello della collocazione temporale dello scambio, che porta a distinguere tra mercati 'a pronti' e 'a termine', a seconda che la consegna dei titoli sia contestuale o differita; il criterio della quotazione del titolo, che distingue tra mercati 'primario' e 'secondario' rispettivamente per i titoli di nuova quotazione o già presenti sul mercato; quello della durata del titolo, che individua un mercato dei titoli a breve o a lungo termine (rispettivamente money market e capital market nella dizione inglese); quello della regolamentazione, che distingue tra mercati ufficiali e non (over the counter); quello del meccanismo di formazione dei prezzi, che distingue i mercati ad asta da quelli con market maker, i mercati in cui la contrattazione è continua da quelli in cui è scandita nel tempo; infine il criterio che, sulla base dello strumento trattato, distingue i mercati dei titoli di proprietà, dei titoli di debito e dei titoli 'derivati'.

Il valore conoscitivo dei diversi criteri di classificazione emergerà dal seguito di questa esposizione, dove si darà conto delle principali connotazioni concettuali, istituzionali e storiche dei mercati finanziari. Nel cap. 2 saranno illustrati gli aspetti che contraddistinguono l'azione dei mercati nel più ampio contesto del sistema finanziario. Successivamente, l'attività dei mercati finanziari verrà considerata da tre diverse angolazioni: quella teorica, quella organizzativa e quella della regolamentazione. Nel cap. 3, sulla base delle indicazioni della teoria economica, verranno definite le principali funzioni dei mercati finanziari (§ 3a) e le determinanti dei prezzi che su di essi si formano (§ 3b). Le diverse forme di tassazione presenti sui mercati finanziari saranno descritte nel cap. 4. Il cap. 5 affronterà il tema dell'organizzazione dei mercati esaminando i meccanismi di formazione dei prezzi sui mercati primario (§ 5a) e secondario (§ 5b) e le procedure di liquidazione delle transazioni in titoli (§ 5c). Da ultimo, verranno indicate le principali aree e finalità della regolamentazione dei mercati finanziari (cap. 6) e le implicazioni derivanti dalla crescente integrazione internazionale dei mercati (cap. 7).

Le riflessioni teoriche, le analisi empiriche, le azioni normative che hanno avuto nei mercati finanziari il loro oggetto condividono con essi la duplice appartenenza al mondo concettualmente chiaro dei mercati e a quello più sfuggente dei sistemi finanziari. Cercheremo di dar conto di entrambe queste nature, senza, tuttavia, presumere di raccordare in un unico schema coerente un insieme di contributi tra i più vasti e i più eterogenei della riflessione economica.

Aspetti istituzionali ed evoluzione storica

Le connotazioni dei mercati finanziari, intesi in senso ampio e in senso stretto, derivano dalle caratteristiche del 'prodotto' che su di essi viene scambiato: le attività finanziarie. A differenza dei beni reali, queste non danno luogo alla prestazione diretta di servizi (produttivi o di consumo) ma conferiscono al loro detentore il diritto a prestazioni monetarie future a fronte di eventi quali la maturazione delle cedole, la scadenza del titolo, la sua alienazione o altro. La distribuzione nel tempo di tali flussi monetari conferisce ai mercati finanziari quella connotazione multiperiodale che ne costituisce il carattere fondamentale.

I prodotti scambiati sui mercati finanziari si possono distinguere per il grado e il tipo di incertezza connesso alle prestazioni monetarie future, stabilite dal contratto che li origina. I titoli di debito, quali le obbligazioni, sono generalmente contraddistinti da pagamenti di ammontare definito in termini assoluti o in relazione a specifici parametri. I titoli di proprietà, costituiti dalle azioni, conferiscono invece il diritto a flussi monetari variabili in funzione dei risultati dell'impresa emittente e comunque subordinati al soddisfacimento degli obblighi finanziari nei confronti dei detentori dei contratti di debito. Vi sono, tuttavia, titoli che, come le obbligazioni convertibili, condividono aspetti di entrambe le categorie.

A tali prodotti si aggiunge la categoria dei titoli 'derivati', quali le opzioni, i futures, gli swaps, il cui prezzo è derivato da quello di altri titoli, cui sono legati da specifici obblighi contrattuali. In particolare, le opzioni conferiscono al loro possessore la possibilità, ma non l'obbligo, di acquistare (opzione call) o di vendere (opzione put) il titolo di riferimento a un prezzo predeterminato (strike price): ciò fa sì che il valore di un'opzione dipenda positivamente o negativamente dal prezzo del titolo cui si riferisce, a seconda che si tratti di una call o di una put. I futures rappresentano, invece, un impegno allo scambio di beni o valori mobiliari da effettuare a una data futura e a un prezzo prefissato. Gli swaps costituiscono un analogo impegno, riferito però allo scambio di due serie di pagamenti, definiti sulla base di due diversi tassi di interesse (swap di interesse) o di differenti valute (swap di valute).

La molteplicità dei prodotti trattati sui mercati finanziari è strettamente legata all'offerta di una vasta gamma di servizi finanziari. Tra di essi vi sono i servizi rivolti alla gestione del rischio finanziario; i servizi di consulenza, intesi a facilitare l'incontro sul mercato dell'offerta e della domanda di fondi, ad esempio attraverso l'assistenza offerta agli emittenti nel collocamento di nuovi titoli; i servizi che migliorano la liquidità del mercato, come, ad esempio, l'impegno a effettuare quotazioni in modo continuativo. La prima categoria di servizi è offerta dagli investitori istituzionali, tradizionalmente rappresentati dai fondi comuni, dalle imprese di assicurazione, dai fondi pensione e dagli intermediari che offrono servizi di gestione fiduciaria di patrimoni mobiliari; le altre due categorie di servizi sono offerte dagli intermediari che svolgono, rispettivamente, attività di investment banking e di market making.

Storicamente, lo sviluppo dei mercati è stato condizionato dal grado di standardizzazione delle attività finanziarie. La natura fiduciaria di queste ultime tende infatti a conferire a ciascuna di esse connotazioni fortemente individualizzate che, valorizzando i rapporti bilaterali, privilegiano l'intermediazione creditizia. La standardizzazione, viceversa, indebolendo la connotazione bilaterale dei rapporti di finanziamento e garantendo la sostituibilità delle diverse attività, rende praticabili le forme di scambio multilaterali, tipiche dei mercati finanziari.

Nell'esperienza storica, lo scambio di attività finanziarie ha tardato ad affrancarsi dai vincoli bilaterali, generando un ritardo di alcuni secoli nello sviluppo dei mercati finanziari rispetto a quello delle prime istituzioni creditizie. I titoli che per primi hanno dato vita a mercati organizzati sono stati quelli emessi dal debitore pubblico, già scambiati correntemente in alcuni paesi europei nel XVII secolo. La nascita del mercato della carta pubblica in Inghilterra, Olanda, Francia affonda le sue radici nella riforma delle finanze dello Stato, realizzatasi nei principali paesi europei tra la metà del XVII e la fine del XVIII secolo, con il progressivo accentramento della funzione impositiva nelle mani dello Stato, e la conseguente regolarizzazione delle entrate fiscali e delle emissioni dei titoli del debito. Più tardivo è stato l'avvio di un mercato finanziario dei titoli privati, sviluppatosi solo dopo la rivoluzione industriale, quando l'avvio dei grandi lavori legati allo sviluppo della rete dei trasporti ha portato le iniziative industriali a dimensioni tali da richiedere risorse finanziarie amplissime, molto superiori a quelle fornite dalla ristretta cerchia di finanziatori che avevano dato vita alle prime manifatture. A tale esigenza ha risposto la modifica dell'ordinamento giuridico, che ha reso possibile la diffusione della società per azioni a responsabilità limitata.

Accanto alla definizione dell'assetto legale relativo alla forma societaria e alla natura dei contratti di debito e di proprietà, un ruolo determinante per lo sviluppo dei mercati finanziari è stato svolto dall'attività di regolamentazione e di controllo di questi ultimi, intesa a promuoverne la stabilità. Improvvise e accentuate riallocazioni dei portafogli verso le attività più liquide, generate da crisi di fiducia in particolari forme di investimento finanziario, hanno, infatti, costituito un severo ostacolo alla crescita dei mercati fin dal loro esordio, provocando a più riprese drastiche cadute dei corsi, note come crisi finanziarie. Tra le prime manifestazioni di tali crisi vanno ricordate quelle che all'inizio del XVIII secolo posero fine alle ondate speculative sul mercato inglese e sul mercato francese, note come bolle speculative dei Mari del Sud e del Mississippi. Numerose sono state le crisi finanziarie che nell'Ottocento hanno colpito i diversi mercati finanziari estendendosi frequentemente oltre le frontiere nazionali (v. Kindleberger, 1989²). Gli effetti più devastanti, sia per l'intensità sia per l'ampiezza internazionale della sua propagazione, rimangono quelli provocati dalla crisi del mercato finanziario americano del 1929. Da allora, l'intento di circoscrivere gli effetti dell'instabilità dei corsi delle attività finanziarie ha assai rafforzato il processo di regolamentazione dei mercati. Ai progressi compiuti in tale campo può essere in parte ricondotta la mancata ripercussione sulla struttura produttiva della crisi della borsa di New York del 1987.

Il ruolo dei mercati finanziari nei diversi sistemi nazionali è stato generalmente crescente, ma anche molto differenziato da paese a paese. L'evoluzione non è avvenuta lungo una successione di fasi determinate; al contrario, essa è apparsa dipendere dalle particolari caratteristiche degli operatori che domandano o offrono risorse finanziarie nei diversi contesti nazionali. Si suole distinguere, con riferimento a tali caratteristiche, un modello di stampo anglosassone, impostato sulla distinzione tra l'attività creditizia e quella di intermediazione mobiliare e caratterizzato dalla rilevanza dei mercati nel finanziamento delle imprese, da un modello tipico dell'Europa continentale, imperniato sulla possibilità per le banche di svolgere entrambe le attività e sull'egemonia degli strumenti bancari rispetto a quelli di mercato.

Il mercato dei titoli azionari e quello del debito pubblico hanno generalmente rappresentato i segmenti di maggior rilievo del mercato finanziario. A essi si è affiancato, a partire dagli anni settanta, in un numero crescente di paesi, il mercato dei titoli 'derivati', il cui sviluppo è stato reso possibile dall'ampliamento delle conoscenze teoriche nel campo della formazione dei prezzi di tali attività e dai progressi nella elaborazione elettronica dei dati.In Italia, fin dalla costituzione dello Stato unitario, i mercati finanziari più rilevanti sono stati quello del debito pubblico, quello azionario e, in alcune fasi, quello delle obbligazioni private. Nel secondo dopoguerra il valore complessivo dei titoli obbligazionari pubblici e privati si è mantenuto inferiore a quello dei titoli azionari fino agli anni sessanta. Solo successivamente, il mancato ammodernamento del mercato di borsa, la stabilità degli assetti proprietari pubblici e privati e lo sviluppo abnorme del fabbisogno pubblico hanno progressivamente ridotto il rilievo dei titoli azionari quotati: misurati sulla base della capitalizzazione alla borsa valori di Milano, essi rappresentavano, alla fine del 1990, circa un sesto della consistenza dei titoli di Stato, mentre erano stati circa il doppio nel 1960.

La teoria dei mercati finanziari

L'efficienza

I mercati delle attività finanziarie, come quelli delle attività reali, hanno promosso nel tempo lo sviluppo del benessere: il mercato dei beni reali favorendo la specializzazione produttiva, quello dei prodotti finanziari attraverso il trasferimento di risparmio, altrimenti inutilizzato, dai centri di formazione a quelli di spesa e attraverso la sua allocazione efficiente tra progetti alternativi. La possibilità di mobilizzare la ricchezza finanziaria consente a ciascuno di commisurare l'entità dei propri flussi di spesa non alle risorse disponibili contestualmente, ma a quelle disponibili in una prospettiva più ampia, che può coincidere con la vita lavorativa o con i tempi di realizzazione di investimenti produttivi. Ciò amplia le opportunità di scelta in materia di consumo e di investimento e facilita il conseguimento di una più efficiente allocazione delle risorse.

La teoria economica ha cercato di conferire precisione concettuale alla nozione intuitiva di 'efficienza allocativa', riferendola al conseguimento di una distribuzione delle risorse tra i diversi soggetti tale da non poter essere modificata senza ridurre il benessere di qualcuno (efficienza paretiana). La moderna teoria dei mercati finanziari ha approfondito l'analisi delle condizioni necessarie perché tali mercati realizzino allocazioni delle risorse rispondenti a tale criterio. Tali condizioni, pur avendo una natura esplicitamente teorica ed essendo difficilmente riscontrabili nella realtà, costituiscono un importante punto di riferimento per individuare e valutare le diverse funzioni dei mercati delle attività finanziarie. In estrema sintesi, le condizioni individuate sono: a) il prevalere di un regime di concorrenza perfetta, segnalato dalla impossibilità per il singolo operatore di influire sui prezzi; b) la presenza di un numero di strumenti trattati sui mercati sufficiente a offrire una protezione da tutte le possibili fonti di rischio; c) la distribuzione più ampia e uniforme dell'informazione tra gli operatori. L'obiettivo di avvicinare la situazione di fatto dei mercati a tali condizioni teoriche ha motivato gran parte dell'attività di regolamentazione volta a favorire la concorrenza tra gli operatori, l'ampliamento del numero degli strumenti finanziari disponibili e la diffusione delle informazioni.

Delle tre condizioni considerate, le ultime due pongono in luce due aspetti, quello assicurativo e quello informativo, cui è stata frequentemente associata la nozione di efficienza dei mercati finanziari.

Una ormai classica illustrazione della nozione di efficienza assicurativa è offerta dal modello di equilibrio generale di Arrow e Debreu. Esso mostra che, quando il numero dei mercati è uguale a quello degli eventi (stati di natura) che influenzano il prezzo dei titoli, è possibile combinare le attività finanziarie in un portafoglio che dia un rendimento certo in qualsiasi possibile situazione: i titoli costituiscono, in questo caso, lo strumento per immunizzare perfettamente la ricchezza finanziaria dagli shocks esterni. I mercati che realizzino tale condizione sono definiti 'completi', ed 'efficienti in senso assicurativo'. L'effettiva capacità dei mercati di esplicare compiutamente tale funzione assicurativa è stata posta in dubbio, tenuto conto che gli eventi futuri suscettibili di influire sulle attività finanziarie degli operatori sono di gran lunga più numerosi dei mercati esistenti. È stato tuttavia dimostrato (v. Ross, Options..., 1976) che la presenza di un mercato delle opzioni equivale all'ampliamento del numero dei titoli esistenti e quindi consente di ridurre, a parità di eventi rilevanti, il numero dei mercati necessari al conseguimento dell'efficienza assicurativa.

L'efficienza informativa consiste, invece, nella capacità del mercato di aggregare tutte le informazioni disperse sul mercato e di incorporarle nel processo di formazione dei prezzi. Tale funzione (v. Hayek, 1945) trae origine dal fatto che non tutti gli operatori dispongono dello stesso insieme di informazioni e che ciascuno di essi, attraverso la propria domanda, contribuisce a determinare il prezzo coerente con tali informazioni. In altri termini, il mercato aggrega l'informazione dispersa tra tutti i partecipanti e consente di raggiungere prezzi di equilibrio, corrispondenti a quelli che avrebbero prevalso in presenza di una informazione comune a tutti gli operatori.

L'efficienza informativa dei mercati è stata oggetto di un esteso lavoro di analisi volto a indagarne la rilevanza empirica e le implicazioni teoriche. Parte delle verifiche empiriche dell'ipotesi di efficienza informativa dei mercati si sono basate sulla osservazione che, se i prezzi incorporano tutte le informazioni di rilievo presenti sul mercato, la migliore previsione di un prezzo è costituita dal suo valore presente; ciò consente di rappresentare l'evoluzione nel tempo dei corsi delle attività finanziarie come un sentiero aleatorio (random walk). Questa nozione è alla base della costruzione dei test statistici sull'efficienza informativa dei mercati. Sulla base di una definizione di Roberts, ripresa da Fama (v., 1970), l'efficienza informativa dei mercati è stata distinta in debole, semiforte e forte a seconda che i prezzi incorporino solo l'informazione più facilmente disponibile, rappresentata dall'evoluzione passata dei prezzi, o incorporino tutta l'informazione disponibile pubblicamente, o, infine, rispecchino anche l'informazione privata. I lavori empirici hanno in genere confermato l'ipotesi di efficienza in senso debole dei mercati. Una seconda categoria di test empirici dell'ipotesi di efficienza informativa si basa sulla volatilità dei prezzi delle attività finanziarie (v. Shiller, 1989, p. 105): se infatti il valore di un titolo è dato dal valore scontato dei suoi dividendi futuri, la sua variabilità non dovrebbe eccedere, come invece accade, i limiti insiti nella variabilità dei dividendi; l'evidenza empirica a sostegno di tale ipotesi non può, tuttavia, essere considerata conclusiva (v. Kupiec, 1993).

Sotto il profilo teorico l'ostacolo principale all'esistenza di mercati efficienti dal punto di vista informativo è costituito dalla constatazione che, se un mercato è pienamente efficiente quando trasmette tutta l'informazione disponibile, può non esservi una remunerazione per chi ha reperito tale informazione e quindi può mancare l'incentivo alla produzione stessa dell'informazione. In altri termini, un mercato efficiente sotto il profilo informativo potrebbe negare le premesse per la sua esistenza. Solo la persistenza di una componente aleatoria nei prezzi (noise) che renda imperfetta la percezione dell'informazione rilevante e consenta la remunerazione dell'attività di produzione dell'informazione può, paradossalmente, rendere possibile l'esistenza del mercato stesso.

L'esplicito riconoscimento della diffusa presenza di situazioni in cui l'informazione è distribuita in modo disomogeneo tra gli operatori (asimmetrie informative) ha consentito di riconsiderare i temi dell'efficienza allocativa da angolazioni assai diverse da quelle del modello di concorrenza perfetta, rendendo possibile, in particolare, il confronto dell'efficienza relativa di sistemi finanziari tra loro differenti, come quelli basati sui mercati finanziari o sull'intermediazione bancaria. Il diverso sistema di incentivi e di vincoli presenti nei contratti di prestito bancari e in quelli obbligazionari e azionari implica, infatti, differenti modalità di selezione dei progetti di investimento e di controllo dell'efficiente uso dei fondi erogati, facendo dipendere la configurazione ottimale del sistema finanziario dalla natura dei problemi informativi di ciascun contesto nazionale.

La formazione dei prezzi

Il prezzo delle attività scambiate sui mercati finanziari dipende dall'importo dei pagamenti futuri che tali attività comportano, dalla loro distribuzione nel tempo, dalle condizioni sotto le quali tali pagamenti vengono effettuati. Per alcune attività finanziarie, come i titoli di Stato, ciascuno di tali aspetti è definito fin dall'emissione e la definizione del prezzo consiste nella semplice attualizzazione dei pagamenti prestabiliti al tasso di interesse rilevante. Per altre, come i titoli azionari, la presenza di elementi di incertezza rende più complessa la definizione del valore presente dei flussi monetari futuri, che dovranno essere stimati sulla base dell'evoluzione attesa di variabili relative all'impresa, al settore industriale, all'economia nel suo complesso.

Le opinioni soggettive degli operatori relative all'entità dei flussi di reddito futuri e al tasso di interesse con cui attualizzare i pagamenti futuri danno luogo all'emergere di valutazioni soggettive dei prezzi. Attraverso l'incontro di tali valutazioni sul mercato, in domanda e in offerta, avviene la formazione dei corsi e dei rendimenti di equilibrio. Questi ultimi possono pertanto essere scomposti concettualmente in due componenti riferite, rispettivamente, al tempo e al rischio. La prima componente, non influenzata da fattori di incertezza, è data dalla remunerazione richiesta dai sottoscrittori per posporre nel tempo i propri consumi (time value of money) ed è indipendente dal rischio insito nell'investimento finanziario considerato. In mancanza di tassi reali di interesse indenni da rischio in senso stretto, tale componente viene comunemente approssimata sulla base dei tassi reali sui titoli di Stato o sui depositi. La seconda componente è data dalla remunerazione per il rischio richiesta dagli operatori per sottoscrivere titoli i cui pagamenti futuri possono differire dai valori attesi.

La teoria finanziaria ha individuato due principali modi attraverso cui i mercati possono portare alla valutazione della componente di rischio e alla formazione del prezzo (rendimento) di ciascuna attività. Il primo si rifà allo schema concettuale dei mercati 'completi' (v. § 3a) e si basa sull'esistenza di un numero di attività finanziarie (e di relativi mercati) almeno uguale a quello delle possibili cause di variazione dei prezzi (stati di natura). Arrow e Debreu hanno mostrato come a ogni pagamento futuro incerto possa essere assegnato un prezzo pari a una frazione di quello di un uguale pagamento futuro certo, e come tale frazione sia legata inversamente al rischio associato a ciascun pagamento. La somma del valore attualizzato dei diversi pagamenti futuri di un titolo definisce il prezzo del titolo stesso: quanto maggiore il rischio, tanto minore sarà il prezzo e più elevato il rendimento.

Nella realtà, troppo ampio risulta il quadro dei possibili avvenimenti futuri che possono influire sui prezzi delle attività finanziarie perché possa essere conveniente, in presenza di costi di transazione e di informazione, creare un adeguato numero di mercati. Ma l'assenza di mercati completi non impedisce la valutazione delle attività finanziarie da parte degli operatori e la determinazione dei prezzi e dei rendimenti di equilibrio. Il processo di valutazione del rischio di ciascuna attività finanziaria deve pertanto poter seguire anche criteri diversi. La teoria finanziaria moderna ha individuato diverse forme di valutazione del rischio da parte degli operatori.

La nozione di rischio come variabilità del rendimento di un'attività finanziaria è stata introdotta da Markowitz nell'ambito della teoria della selezione efficiente del portafoglio. In tale approccio il rischio rilevante ai fini della formazione dei prezzi delle attività finanziarie non è misurato dalla variabilità totale del rendimento, ma da quella componente di essa che non può essere eliminata per mezzo della diversificazione del portafoglio. Solo tale componente, nota come 'rischio sistematico', richiede un premio per l'assunzione del rischio.

Nel Capital Asset Pricing Model (CAPM), elaborato da Sharpe, Lintner e Mossin, il rischio non diversificabile è individuato nella volatilità del rendimento del portafoglio rappresentativo della composizione complessiva della ricchezza dell'economia (portafoglio di mercato); la remunerazione di tale unico fattore di rischio è fatta dipendere dall'equilibrio della domanda e dell'offerta sul mercato. La verifica empirica della dipendenza del rendimento atteso di ciascuna attività finanziaria dal rendimento del portafoglio di mercato è, tuttavia, resa difficile dalla non osservabilità di quest'ultimo, dovuta all'impossibilità di censire accuratamente l'evoluzione della ricchezza finanziaria e reale degli individui (v. Roll, 1977). Merton e Breeden hanno formulato versioni del CAPM che considerano più di una fonte di rischio.

L'Arbitrage Pricing Theory (APT) di Ross (v., The arbitrage..., 1976) non deriva i prezzi delle attività finanziarie dalle condizioni di equilibrio tra domanda e offerta ma esclusivamente da considerazioni di arbitraggio, ovvero della condizione per cui due attività finanziarie che danno diritto a identici flussi finanziari hanno lo stesso prezzo. Il numero e la natura dei fattori che possono influenzare il prezzo delle attività finanziarie non è specificato dalla teoria e deve essere desunto sulla base dell'analisi econometrica.L'assenza di arbitraggio costituisce una condizione di assoluta centralità nella determinazione del prezzo dei titoli sui mercati finanziari. Essa è alla base della determinazione del prezzo di quelle attività finanziarie note come 'titoli derivati', il cui valore è legato da precise relazioni a quello di altri titoli scambiati sul mercato e non risente pertanto dell'apprezzamento del rischio da parte degli investitori. Sull'assenza di arbitraggio è basata anche la costruzione della formula di valutazione delle opzioni, derivata per la prima volta da Black e Scholes (v., 1973), nonché la moderna derivazione delle relazioni fra i prezzi di titoli obbligazionari con diverse scadenze che è alla base della struttura per scadenza dei tassi di interesse (v. Cox e altri, 1985).

I diversi modelli di determinazione dei prezzi fin qui considerati pongono in relazione il valore delle attività finanziarie con un numero di fattori in grado di influenzarne i flussi di pagamento futuri. Linee alternative di analisi sono state motivate dall'osservazione dell'accentuata variabilità dei corsi dei titoli, di cui le crisi finanziarie e le bolle speculative (v. cap. 2) costituiscono una manifestazione estrema. La presenza di bolle speculative suggerisce che i prezzi possano essere influenzati non solo da determinanti 'fondamentali', suscettibili di influire sui pagamenti futuri, ma anche da quei fattori di diversa natura, legati ad esempio a componenti emotive o a consuetudini degli operatori, sinteticamente definiti con il termine di 'mode' (fads) (v. Shiller, 1989, p. 7).

Le implicazioni normative derivanti dalla teoria della formazione dei prezzi sui mercati finanziari sono molteplici. Tra di esse, hanno particolare rilevanza quelle relative alla misurazione della rischiosità dei portafogli degli intermediari finanziari; in particolare, la relazione tra la rischiosità del singolo titolo e quella del portafoglio nel suo complesso concorre a definire l'entità dei coefficienti patrimoniali previsti dalle normative di vigilanza sui diversi mercati. Sempre nell'ambito della misurazione del rischio, l'individuazione, sulla base di precise relazioni di arbitraggio, del legame tra il prezzo dei titoli 'derivati' e quello dei titoli 'sottostanti' consente di ricondurre per intero a questi ultimi la rischiosità insita in contratti finanziari quali le opzioni, i futures, gli swaps.

La tassazione dei mercati finanziari

La tassazione esercita un'importante influenza sulla vita dei mercati finanziari e sulla determinazione dei prezzi di equilibrio. Essa interviene in duplice modo: attraverso le imposte indirette, gravanti sugli scambi di attività finanziarie, e attraverso le imposte dirette, gravanti sul reddito degli emittenti e dei sottoscrittori dei titoli.

Le imposte indirette, tra le quali ricade in Italia l'imposta sui contratti di borsa, sono commisurate al valore delle contrattazioni. Comportando un maggior onere relativo sulle operazioni di durata più breve, esse costituiscono un freno alle operazioni di arbitraggio. In alcuni casi ciò può essere desiderabile, ad esempio, per scoraggiare alcune operazioni a brevissimo termine che possono esercitare impulsi destabilizzanti sulle quotazioni. In altri casi l'elevatezza delle aliquote può avere effetti negativi, ostacolando le operazioni di arbitraggio necessarie a dare spessore e liquidità al mercato. La presenza di aliquote differenziate per tipo di strumento trattato e per categoria di contraente esercita, inoltre, indesiderati effetti discriminanti. Negli ultimi anni, in diversi paesi, tra cui l'Italia, la differenziazione delle aliquote è stata ridotta ed è stato abbassato il loro livello medio.

Le imposte dirette, nella forma personale o societaria, gravano con aliquote diverse sui rendimenti tratti dalle attività finanziarie (interessi, dividendi e plusvalenze). Per i soggetti che emettono titoli, il costo del finanziamento è deducibile, in varia misura, dall'imposta (tipicamente, quella sulle società). Dal momento che le scelte di chi offre fondi e di chi li domanda sono determinate, rispettivamente, dai rendimenti e dai costi unitari al netto delle imposte, è evidente l'importanza dell'imposizione diretta nella formazione dei prezzi di equilibrio. L'esistenza di regimi di tassazione differenziati tra categorie di soggetti (persone fisiche, società, intermediari specializzati) e/o tra categorie di strumenti può, inoltre, ostacolare il raggiungimento di prezzi di equilibrio per tutti i soggetti e tutti gli strumenti.

In genere le persone fisiche sono tassate in base all'imposta personale sul reddito: quasi tutti gli ordinamenti fiscali prevedono, almeno in linea di principio, l'inclusione dei dividendi e degli interessi nell'imponibile. Per questi ultimi, tuttavia, sono frequenti le eccezioni, con ritenute 'alla fonte' (cioè, trattenute dall'emittente e da questi versate al fisco per conto del contribuente) che possono divenire, a scelta del contribuente, d'acconto o definitive; in alcuni paesi le ritenute alla fonte sono definitive. Le plusvalenze su titoli azionari sono assoggettate a una pluralità di regimi, che variano dalla completa esenzione alla tassazione delle plusvalenze su tutte le operazioni effettuate. Se tassate, le plusvalenze sono talvolta incluse (usualmente con correttivi) nell'imponibile dell'imposta personale, talaltra sono soggette a imposta separata. Infine, la diversa efficacia degli accertamenti effettuati dal fisco da Stato a Stato fa sì che la tassazione effettiva, a causa dell'elusione e dell'evasione, possa essere molto diversa da quella prevista dalle norme fiscali.

Per le imprese, i proventi conseguiti tramite l'impiego di capitali in attività finanziarie rientrano nella base imponibile dell'imposta (societaria o personale, a seconda della forma giuridica dell'impresa). Gli interessi passivi sui titoli obbligazionari emessi e sui debiti verso gli intermediari creditizi sono deducibili dalla base imponibile. Poiché gli utili distribuiti sono, invece, tassati come reddito d'impresa, vi è un incentivo per le imprese a ricorrere a finanziamenti sotto forma di debito piuttosto che sotto forma di capitale azionario. Questa tendenza è accentuata se i dividendi vengono nuovamente tassati in capo al percettore. Per evitare questa doppia imposizione, diversi Stati hanno introdotto correttivi: aliquote dell'imposta societaria più basse sugli utili distribuiti, oppure credito d'imposta a favore dell'azionista per compensare l'imposta già pagata dalla società partecipata. In Italia i dividendi sono normalmente assoggettati a ritenuta d'acconto e inclusi nell'imponibile IRPEF o IRPEG a seconda che il percettore sia una persona fisica o una persona giuridica. Il percettore detrae la ritenuta dall'imposta dovuta e gode di un credito d'imposta che compensa pienamente l'IRPEG pagata dalla società partecipata.

Gli interessi percepiti dalle persone fisiche sono tassati con ritenute definitive trattenute alla fonte; per le persone giuridiche, la ritenuta subita sugli interessi attivi è a titolo d'acconto e i proventi sono tassati in IRPEG. Le plusvalenze di tutti i tipi sono tassate per le imprese; per le persone fisiche, quelle sui titoli azionari e sulle quote di partecipazione al capitale sono soggette, dal 1990, a un'imposta speciale (sospesa nel corso del 1992 relativamente alle azioni quotate).In tutti gli ordinamenti gli intermediari finanziari sono soggetti a regimi fiscali che differiscono, in misura più o meno ampia, da quelli applicati alla generalità delle imprese. Ciò è dovuto alla necessità di tener conto di alcune peculiarità dell'attività che essi svolgono, di equiparare il loro trattamento a quello delle persone fisiche o di favorire la loro attività. Alcuni intermediari finanziari sono soggetti all'imposta sui redditi sui proventi della loro attività, altri sono invece esenti o subiscono regimi particolari. Gli intermediari creditizi, che usualmente assumono la forma giuridica di società di capitali, sono tassati in base all'imposta sulle società; usualmente, e l'Italia non è un'eccezione, sono previste norme particolari, soprattutto in materia di accantonamenti esenti a fronte dei rischi, che differenziano il loro trattamento rispetto al regime normale che riguarda la generalità delle società. Anche per le imprese di assicurazione valgono considerazioni analoghe. I fondi comuni e gli altri organismi di investimento collettivo subiscono generalmente una tassazione che si ispira al criterio della 'trasparenza'; tende, cioè, a equiparare il carico fiscale a quello subito dalla persona fisica che investe direttamente in valori mobiliari. Anche il regime italiano si ispira a questo criterio: il fondo non è soggetto a imposte dirette e subisce a titolo definitivo le stesse ritenute subite dalle persone fisiche; non subisce l'imposta sulle plusvalenze, ma è soggetto a una imposta patrimoniale sul valore dei titoli detenuti. Anche i fondi pensione sono generalmente esenti da imposte dirette: i contributi versati dai lavoratori e dalle imprese godono anch'essi di agevolazioni (in taluni casi sono esenti), mentre generalmente i trattamenti erogati sono soggetti all'imposta personale, eventualmente con abbattimenti.

L'organizzazione dei mercati

Il mercato primario

Il mercato primario è definito dall'insieme dei potenziali sottoscrittori e dei meccanismi che consentono il collocamento dei titoli sia azionari che obbligazionari. Esso può essere riferito in senso lato al collocamento dei titoli di nuova emissione presso gli investitori o, alternativamente, al collocamento iniziale sui mercati ufficiali di titoli nuovi o di titoli già esistenti, ma non ancora quotati. Nell'ambito di questa seconda accezione, il mercato primario rappresenta quel segmento su cui si verifica la prima valutazione di titoli. La struttura del mercato primario è importante per la determinazione del costo di finanziamento per l'emittente, poiché da essa può dipendere l'accuratezza della valutazione dei titoli di nuova emissione.

Il collocamento di capitale di rischio in borsa può riguardare sia titoli azionari non ancora quotati, noti nella letteratura anglosassone come Initial Public Offering (IPO), sia aumenti di capitale di titoli già quotati in borsa; i collocamenti possono riferirsi a una vasta gamma di strumenti finanziari rappresentativi del capitale di una società, quali azioni ordinarie, di risparmio, obbligazioni convertibili in azioni, warrant. Anche le offerte pubbliche di vendita di azioni che abbiano come fine la quotazione in borsa ricadono nell'ambito del mercato primario, in quanto, pur non facendo affluire all'impresa risorse finanziarie aggiuntive, danno luogo alla prima valutazione del titolo considerato da parte del mercato.Il collocamento di titoli sul mercato primario può avvenire attraverso una procedura d'asta o a fermo, cioè con offerta pubblica di sottoscrizione a un prezzo prefissato. La prima procedura viene normalmente seguita per i titoli di Stato; il collocamento a fermo riguarda la maggioranza delle sottoscrizioni di titoli azionari.

I meccanismi adoperati più comunemente nel collocamento di titoli di Stato in Italia e all'estero sono noti come asta marginale (uniform price auction) e asta competitiva (discriminatory price auction). La prima prevede che tutte le domande accolte vengano aggiudicate a un unico prezzo pari al più basso fra quelli risultati aggiudicatari (prezzo marginale). La seconda prevede che a ogni domanda aggiudicataria sia applicato il prezzo al quale essa è stata formulata.

I sistemi di asta possono prevedere meccanismi di difesa per l'emittente, volti a contenere forme di collusione fra i partecipanti o speculazioni derivanti dalla debolezza della domanda. Uno dei meccanismi più comuni è costituito dall'esistenza di un 'prezzo base' esplicito (noto nella letteratura economica come reservation price) al di sotto del quale l'emittente dichiara di non accettare domande. Una versione meno rigida di tale meccanismo prevede l'esclusione delle domande che in termini statistici divergano eccessivamente dalla media dei prezzi offerti. Un'altra forma di difesa prevede il diritto per l'emittente di non soddisfare richieste risultate aggiudicatarie a prezzi considerati troppo bassi pur senza la preventiva indicazione del prezzo di riserva.

Oltre che con asta, i titoli possono venire collocati a fermo, cioè con offerte pubbliche di sottoscrizione a prezzo prefissato e per quantità predeterminate. Tale meccanismo, adottato in passato per la maggioranza dei titoli emessi dallo Stato italiano, è oggi utilizzato in prevalenza per il collocamento dei titoli azionari. Le quotazioni iniziali in borsa di titoli azionari avvengono tramite aumenti di capitale riservati ai nuovi soci o con offerte pubbliche di vendita di azioni di vecchi soci. In entrambi i casi viene abitualmente costituito un consorzio per il collocamento. Alcuni intermediari specializzati, banche e, soprattutto negli Stati Uniti, security houses, stabiliscono le condizioni di offerta e l'impegno nell'attività di collocamento. Se gli intermediari si impegnano a sottoscrivere i titoli non collocati presso il pubblico, si parla di firm commitment; qualora invece l'intermediario si impegni a collocarli al meglio delle proprie possibilità, non assicurando l'intera sottoscrizione, si parla di best effort. Nel caso italiano gli aumenti di capitale possono essere sottoscritti, a un prezzo prefissato, dagli azionisti che hanno un diritto di prelazione (o di opzione) nell'acquisto delle nuove azioni; tale diritto è proporzionale al numero delle azioni già possedute e può essere rivenduto dall'azionista o, qualora nessuno lo eserciti, dalla società. Ciò configura una tecnica di collocamento a prezzo predeterminato per gli azionisti e invece variabile, in funzione della valutazione attribuita in borsa al diritto d'opzione, per gli altri sottoscrittori.Il meccanismo che consente di evitare il rischio del razionamento, dovuto alla presenza di eccessi di domanda, è il cosiddetto collocamento 'a rubinetto', con il quale i titoli vengono offerti a prezzo prefissato ma in quantità variabile. Esso si pone in una situazione intermedia fra l'asta e l'offerta a fermo e viene utilizzato da alcuni emittenti esteri per il collocamento di titoli di Stato.Un fenomeno comune a tutti i meccanismi citati è l'underpricing, cioè la possibile sottovalutazione dei nuovi titoli da parte dei sottoscrittori. Nel caso delle aste, tale fenomeno è stato posto in relazione alla diversità delle informazioni dei partecipanti. Chi risulta aggiudicatario in asta, perché sulla base delle proprie informazioni ha attribuito ai titoli un valore più elevato di quello di altri partecipanti, corre il rischio di avere acquistato a un prezzo troppo elevato (cosiddetto fenomeno del winner's curse). Da questo rischio i partecipanti si cautelano formulando richieste a prezzi inferiori al valore da loro atteso, con il risultato di spingere il prezzo d'asta sotto il vero valore dei titoli in emissione. Considerazioni analoghe si applicano anche ai collocamenti a fermo dove l'emittente dovrà in generale offrire un prezzo di sottoscrizione inferiore al valore atteso dai sottoscrittori. Il fenomeno è tanto meno rilevante quanto maggiore è il grado di efficienza informativa dei mercati: segnali precisi sui titoli in emissione danno luogo infatti a una contenuta dispersione delle valutazioni. In asta, inoltre, l'underpricing può derivare da comportamenti speculativi, legati a imperfezioni del mercato primario e connessi a carenza di domanda oltre che a comportamenti collusivi da parte dei partecipanti. In presenza di tali fenomeni si attivano i meccanismi di difesa adottati dall'emittente: nel caso del collocamento a fermo la difesa è massima, mentre il sistema più esposto è quello ad asta marginale.

La scelta fra i diversi meccanismi non è quindi indipendente dalle condizioni della domanda e dall'efficienza informativa dei mercati. Il collocamento a fermo può risultare la soluzione preferibile qualora vi sia una forte dispersione delle valutazioni; viceversa, in presenza di un mercato secondario che aggreghi efficientemente le informazioni, il collocamento con asta risulta preferibile: anche le piccole differenze fra il prezzo offerto e quello di equilibrio potrebbero infatti portare a notevoli eccessi di domanda o di offerta.

Nell'esperienza italiana, caratterizzata dall'elevato livello del debito pubblico, il Tesoro ha introdotto una serie di innovazioni nelle tecniche di emissione per le diverse tipologie di titoli: per i BOT, con il passaggio dall'asta marginale a quella competitiva, avviato nel 1983, e con l'abolizione del prezzo base nel biennio 1988-1989; per i titoli a medio e a lungo termine, con l'introduzione dell'asta marginale, dal 1988, e con l'abolizione del prezzo base nel 1992. In generale, il Tesoro ha privilegiato il collocamento con asta dei titoli per i quali vi fosse un sufficiente grado di diffusione delle informazioni fra gli operatori. Per i titoli a medio e a lungo termine, i cui corsi sono naturalmente più volatili, il passaggio all'asta marginale è pertanto avvenuto solo quando, a seguito della cresciuta efficienza del mercato secondario telematico, si è ridotta la dispersione delle informazioni fra gli operatori.

Il mercato secondario

Con il termine mercato secondario ci si riferisce a quelle strutture (regole, operatori, procedure) che consentono lo scambio di titoli già quotati, rendendo possibile la liquidazione di un investimento finanziario, indipendentemente dalla data di scadenza del titolo. Le caratteristiche di costo e di rapidità di una compravendita di titoli definiscono la liquidità di un mercato. Essa condiziona in misura rilevante la capacità dei mercati finanziari di assolvere alla propria funzione di trasferimento dei fondi tra le unità che presentano un eccesso e quelle che presentano una carenza di risparmio. Dal conseguimento di buone condizioni di liquidità dipende infatti l'incontro tra una domanda di fondi (offerta di titoli), spesso a lungo termine, e un'offerta frequentemente caratterizzata da orizzonti temporali più circoscritti.

La nozione di liquidità è la risultante di un insieme di caratteristiche relative alle transazioni che si svolgono su di un mercato, tra cui rientrano la rapidità di esecuzione degli ordini di vendita o di acquisto di un volume dato di titoli (immediatezza), il numero di titoli che possono essere scambiati senza influire sui costi di esecuzione (spessore), la velocità con cui i prezzi assorbono le oscillazioni causate da scambi di elevato ammontare (elasticità). Le componenti del costo complessivo degli scambi includono le commissioni, i bolli e le spese di esecuzione dei contratti, tra cui lo scarto tra le quotazioni in lettera (ask) e in denaro (bid).

Le procedure di scambio adottate per favorire la liquidità del mercato sono differenziate e consentono di distinguere i mercati in quelli a contrattazione continua e quelli a contrattazione periodica. In questi ultimi gli scambi si concentrano in uno o più momenti predeterminati e la formazione dei prezzi è generalmente affidata a meccanismi d'asta. Nei mercati a contrattazione continua gli scambi si distribuiscono nell'arco dell'intera giornata e la formazione dei prezzi è generalmente assicurata da meccanismi d'asta (order driven markets) o dalla presenza di market makers (quote driven markets), anche se combinazioni dei due sistemi sono presenti in diversi mercati.

Sui mercati quote driven le quotazioni sono effettuate da intermediari, i market makers, che si impegnano a esporre con continuità prezzi in denaro e in lettera e ad acquistare o vendere i titoli ai prezzi esposti, per importi massimi predeterminati. La possibilità di effettuare a ogni istante scambi a prezzi certi conferisce a tale sistema un elevato grado di immediatezza, il cui costo è misurato dall'ampiezza dello scarto lettera-denaro.

I mercati ad asta continua non richiedono la quotazione da parte di operatori specializzati e l'incontro tra la domanda e l'offerta di titoli avviene direttamente, attraverso la semplice chiamata di un banditore o l'azione di un sistema elettronico. Tale sistema può ridurre lo scarto denaro-lettera dal momento che nessun intermediario si frappone tra i due lati del mercato. In questo caso la liquidità del mercato proviene dall'ampiezza e dalla regolarità del flusso di ordini di acquisto o di vendita forniti a ciascun prezzo dagli investitori (ordini con limite di prezzo).

Il mercato italiano vede la presenza di tutti i diversi meccanismi di contrattazione menzionati: l'asta a chiamata contraddistingue, nel mercato di borsa, le contrattazioni di titoli di Stato, di titoli obbligazionari privati e di parte di quelli azionari. Sempre nell'ambito del mercato di borsa è stato introdotto dal 1991, e via via esteso a un numero crescente di titoli azionari, un sistema di contrattazione ad asta continua. La contrattazione continua con un sistema di market makers caratterizza il mercato telematico dei titoli di Stato.

Nell'asta a chiamata, una volta al giorno e partendo dalla quotazione del giorno precedente, gli operatori ammessi alle negoziazioni dichiarano 'alle grida' gli ordini della clientela per un dato livello di prezzo, consentendo al banditore di modificare la quotazione fino al conseguimento di un equilibrio tra la domanda e l'offerta.Nel sistema telematico di contrattazione continua per i titoli azionari gli ordini con limite di prezzo, relativi a ciascun titolo, vengono ordinati secondo il prezzo richiesto od offerto e le proposte per le quali vi sia un incrocio dei prezzi in acquisto e vendita vengono eseguite automaticamente. Gli ordini senza limite di prezzo vengono eseguiti alle migliori quotazioni presenti nel sistema.

Nel sistema telematico dei titoli di Stato, invece, alcuni intermediari (operatori principali) quotano, per i titoli da loro prescelti, i prezzi a cui si impegnano ad acquistare o a vendere lotti di entità prestabilita, facendo uso delle proprie scorte di titoli per fronteggiare i possibili squilibri tra i flussi di domanda e di offerta.In alcuni casi gli investitori desiderano scambiare pacchetti consistenti di titoli (blocchi) in un intervallo di tempo limitato. In tal caso la ricerca della controparte assume una maggiore complessità non solo per l'entità delle negoziazioni ma anche perché esse possono essere motivate da informazioni privilegiate disponibili solo a cerchie ristrette di operatori (insiders): ciò richiede quindi procedure di scambio specifiche e distinte da quelle fin qui indicate. Sui principali mercati azionari internazionali la negoziazione di 'blocchi' si è sviluppata a partire dagli anni cinquanta seguendo la crescita degli investitori istituzionali, che per natura e dimensioni hanno necessità di operare transazioni unitarie di elevate dimensioni.

Sia il sistema di asta a chiamata che quello di asta continua, pur permettendo di contenere il costo delle singole transazioni in presenza di un numero elevato di scambi di dimensioni contenute, non garantiscono sufficiente liquidità ai 'blocchi', il cui arrivo sul mercato può determinare temporanei squilibri tra domanda e offerta e sensibili variazioni dei prezzi. Tali motivi hanno indotto a consentire gli scambi di 'blocchi' al di fuori dei meccanismi d'asta. Il collegamento tra le quotazioni d'asta e quelle relative ai 'blocchi' è stato ricercato attraverso obblighi di pubblicità per le condizioni relative allo scambio di questi ultimi o garantendo priorità di esecuzione per gli ordini sottomessi in asta, che presentino condizioni migliori rispetto a quelle relative allo scambio di 'blocchi'.In Italia le transazioni di entità rilevanti di azioni possono avvenire fuori borsa, ma vi è l'obbligo di una comunicazione tempestiva delle condizioni agli organi di controllo, che ne informano il mercato; l'entità dei 'blocchi' è definita per ciascun titolo in base allo spessore del mercato sottostante.

I sistemi di liquidazione

Il 'ciclo vitale' delle transazioni in titoli effettuate sui mercati finanziari (primario e secondario) si articola nei due momenti della negoziazione, nel cui ambito avviene la determinazione degli aspetti qualificanti dello scambio (prezzo, quantità, scadenza), e della esecuzione o regolamento del contratto stesso, in cui si verifica l'effettivo scambio dei titoli contro mezzi di pagamento. Questa seconda fase, in particolare, è quella esposta al rischio che una delle parti non sia in grado di adempiere agli impegni contrattualmente assunti, a causa dell'emergere di situazioni di insolvenza o di illiquidità (rischio di controparte). Nei casi più gravi si può verificare che l'insolvenza di un operatore si estenda alle sue controparti, generando un pericoloso effetto di trascinamento (rischio sistemico).

Le procedure di liquidazione dei contratti di compravendita di attività finanziarie prevedono normalmente meccanismi di prevenzione e di contenimento di tali rischi, quali la riduzione dell'intervallo di tempo che separa la negoziazione dal regolamento e la contestualità del trasferimento dei titoli e dei mezzi monetari (Delivery Versus Payment: DVP). La prima delle due misure mira a contenere la durata dell'esposizione della controparte e i costi necessari per sostituire il contratto qualora una delle parti si renda insolvente e i prezzi si siano modificati (rischio di mercato). Il fine della seconda è quello di contenere il rischio che gli operatori possano consegnare titoli senza ricevere il corrispettivo monetario o che possano effettuare il pagamento senza ottenere la consegna dei titoli (rischio di capitale). Considerata la rilevanza e la pericolosità di quest'ultima tipologia di rischio, la generalità dei sistemi di liquidazione prevede, o ha programmato di introdurre, meccanismi del tipo DVP.

La liquidazione di un contratto finanziario si articola in due fasi principali: il riscontro e il regolamento. Nel riscontro si procede alla definizione delle posizioni creditorie e debitorie sia in titoli sia in contante. Nel regolamento si dà luogo all'effettivo scambio del denaro e dei titoli. Sotto quest'ultimo profilo occorre sottolineare che nei principali paesi industrializzati i titoli sono in prevalenza custoditi presso istituzioni di deposito centralizzato (Sicovam in Francia, Kassenverein in Germania, Monte titoli e gestione centralizzata dei titoli di Stato, in Italia) che consentono il trasferimento dei titoli stessi attraverso semplici scritturazioni contabili, evitando le onerose e inefficienti movimentazioni materiali di certificati cartacei.I sistemi di liquidazione possono essere fondati sul regolamento bilaterale delle transazioni (gross settlement), in cui lo scambio dei titoli e del controvalore fra gli operatori avviene operazione per operazione, ovvero sulla compensazione multilaterale delle operazioni (netting); tale modalità, seguita nel sistema italiano delle 'stanze di compensazione', si applica a più operazioni condotte in uno stesso periodo e determina la consegna da parte di ciascun operatore degli importi netti di titoli e di denaro, che risultano dalla somma algebrica dell'insieme di compravendite effettuate. La maggiore complessità di tale procedura è compensata dal risparmio di titoli e mezzi monetari che essa consente.

La compensazione multilaterale può avvenire quotidianamente, con un regolamento giornaliero dei saldi (rolling settlement), come nella procedura di liquidazione giornaliera utilizzata per il regolamento delle operazioni su titoli di Stato; ovvero periodicamente, al termine di un intervallo temporale più esteso (account settlement), come per le liquidazioni mensili dei titoli azionari. Quest'ultima modalità consente di ridurre l'entità dei trasferimenti finali di titoli e di mezzi di pagamento, ma amplifica il rischio di mercato; la consapevolezza di tale aspetto ha spinto al suo progressivo abbandono sul piano internazionale, a favore del regolamento giornaliero.

Un'importante innovazione nell'ambito delle procedure di liquidazione è costituita dall'introduzione, limitatamente ai mercati dei contratti derivati standardizzati (opzioni e futures), di una controparte centrale che in ogni transazione si interpone tra i contraenti originari; nel mercato italiano questa entità è rappresentata dalla Cassa di compensazione e garanzia, costituita nel marzo del 1992. L'affidabilità di tale istituzione e il costante controllo della sua esposizione complessiva, attraverso la quotidiana chiusura di tutte le posizioni di rischio, consentono il sostanziale annullamento del rischio di controparte. Le complesse procedure necessarie alla valutazione delle singole posizioni di rischio ne limitano, tuttavia, l'applicazione allo scambio di strumenti altamente standardizzati.

La regolamentazione dei mercati finanziari

La struttura di norme che regola il funzionamento dei mercati finanziari mira a garantire la tutela dell'interesse pubblico, costituito, in termini generalissimi, dal pieno sviluppo e dall'ordinato svolgimento degli scambi di attività finanziarie e, più specificamente, dalla stabilità del sistema finanziario e dalla tutela dei risparmiatori. La necessità dell'intervento pubblico deriva dall'incapacità dei mercati di conseguire spontaneamente tali obiettivi, propedeutici al conseguimento di una efficiente allocazione delle risorse.

Oggetto della regolamentazione dei mercati finanziari sono gli strumenti finanziari (titoli), le tecniche di contrattazione, le strutture che rendono possibile l'attività di negoziazione e di scambio (borse valori e circuiti telematici), gli intermediari presenti sul mercato mobiliare.

Le norme che regolano la tipologia dei contratti finanziari tendono soprattutto a promuoverne la standardizzazione, al fine di facilitare la valutazione dei titoli e l'esercizio degli impegni e dei diritti da loro derivanti. In aggiunta alle norme di legge che stabiliscono, in via generale, le caratteristiche delle diverse forme dei titoli di proprietà e di debito, vi sono regole volte a selezionare, all'interno di queste due categorie, titoli dotati di requisiti comuni. A ciò tendono le regole per l'ammissione alla quotazione in borsa, che certificano l'esistenza di alcune caratteristiche comuni a tutti i titoli quotati sul mercato. In tale ambito possono ricadere anche le norme relative al taglio minimo, che per taluni contratti definiscono livelli minimi non frazionabili di investimento in relazione alla natura al 'dettaglio' o all''ingrosso' del mercato su cui vengono scambiati.

La regolamentazione dei meccanismi di contrattazione e scambio sui mercati finanziari abbraccia una molteplicità di aspetti attinenti alla negoziazione dei titoli, tra cui le modalità di formulazione delle proposte di scambio, le regole di priorità nell'esecuzione degli ordini, la definizione degli impegni relativi alla fase di liquidazione, gli obblighi di informazione nei confronti del mercato. Tali norme, differenziate tra mercati all'ingrosso e al dettaglio, a pronti e a termine, primari e secondari, perseguono il comune obiettivo di rafforzare la liquidità del mercato attraverso il contenimento dei costi di transazione, la riduzione dei rischi associati allo scambio, la diffusione delle notizie sulla formazione dei prezzi. In questo ambito ricadono non solo le regole di contrattazione e liquidazione (v. cap. 5), ma anche norme quali l'obbligo di concentrazione degli scambi sui mercati ufficiali o la definizione di limiti alle commissioni di intermediazione. Al contenimento dei rischi sono rivolti i divieti relativi a particolari categorie di operazioni suscettibili di amplificare l'instabilità dei corsi; finalità analoga perseguono le regole che governano l'interruzione degli scambi in condizioni di mercato eccezionali (circuit breakers). Nell'ambito delle regole per la diffusione delle informazioni rientrano quelle volte a contrastare l'insider trading e a impedire che gli operatori coinvolti nel processo di formazione dei prezzi utilizzino la propria posizione privilegiata in contrasto con gli interessi della loro clientela e, più in generale, degli altri partecipanti al mercato.

Una rilevanza particolare rivestono sotto il profilo concettuale le regole che governano la creazione dei mercati, nella forma di borse valori o di reti telematiche, e ne stabiliscono le modalità di sorveglianza da parte delle autorità competenti. La normativa su tali argomenti appare ispirata a due diverse impostazioni: nei paesi dell'Europa continentale i mercati sono considerati come istituzioni di natura pubblicistica; nei paesi anglosassoni sono visti piuttosto come imprese e la loro funzione ricade preminentemente nella sfera privata. Per i primi le borse valori, e più in generale i mercati ufficiali, non possiedono personalità giuridica e vengono istituiti da norme di legge o emanate da una autorità pubblica; per i secondi i mercati assumono la forma di società per azioni e ricadono sotto la normativa societaria. Anche l'attività di supervisione appare improntata a differenti soluzioni organizzative nell'ambito delle due impostazioni considerate. In particolare, nei paesi dell'Europa continentale l'attività di vigilanza sui mercati è accentrata nelle mani dell'autorità pubblica. In Italia e in Francia, ad esempio, tale funzione è affidata rispettivamente alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB), istituita nel 1974, e alla Commission des Opérations de Bourse (COB), istituita nel 1967. Nei paesi anglosassoni vi è invece maggiore tendenza al decentramento dei controlli, che sono in parte delegati a organizzazioni costituite dagli stessi partecipanti al mercato (Self Regulatory Organizations o SROs nella dizione inglese). Negli Stati Uniti l'agenzia pubblica di controllo, costituita nel 1934, è la Securities and Exchange Commission (SEC) che, pur svolgendo una vigilanza capillare sul mercato, delega parte dell'attività normativa e di vigilanza alle singole borse valori. In Inghilterra l'agenzia centrale di sorveglianza del mercato, la Security and Investment Board (SIB) costituita nel 1986 e composta da esperti di varia estrazione, nominati dal governo e dalla Banca d'Inghilterra, si avvale per il controllo dei diversi segmenti del mercato di alcune SROs dotate di specifiche competenze.

Vi è infine la regolamentazione degli intermediari che operano sul mercato mobiliare. Essa ha il fine di garantire condizioni di trasparenza e di prevenire l'insorgere di situazioni di insolvenza. In tale ambito ricadono le norme intese a promuovere l'affidabilità degli intermediari, quali l'adozione della forma societaria e i requisiti di professionalità e onorabilità del management, nonché le norme di prevenzione dei conflitti di interesse tra l'intermediario e la clientela, quali gli obblighi di separatezza organizzativa e contabile tra le diverse attività di intermediazione finanziaria svolte dallo stesso operatore (chinese walls nella dizione inglese). In particolare, la protezione degli investitori dal rischio di insolvenza degli intermediari è affidata a norme che consentano di prevenire l'insorgere di situazioni di illiquidità, come quelle relative ai coefficienti patrimoniali e di liquidità, o che, in caso di crisi, facilitino l'ordinata liquidazione dell'intermediario: a quest'ultimo fine risponde, in Italia, l'istituzione del Fondo di garanzia, oltre alle norme sanzionatorie quale la gestione commissariale o fallimentare. Nei paesi in cui le banche possono svolgere l'attività di intermediazione mobiliare, la supervisione su di esse è di norma affidata all'autorità di vigilanza bancaria. In Italia, per prevenire la frammentazione dei controlli tra intermediari bancari e non, la legge n. 1 del 1991 ha adottato una distinzione per obiettivi delle competenze, affidando alla Banca d'Italia la vigilanza sui vincoli di capitalizzazione e alla CONSOB quella sugli obblighi di trasparenza relativi a tutti gli intermediari operanti sul mercato.

L'internazionalizzazione dei mercati finanziari

L'integrazione tra i mercati finanziari nazionali, nota come internazionalizzazione o globalizzazione dei mercati, si è venuta realizzando con la caduta delle barriere tecniche o amministrative che hanno ostacolato in passato lo scambio di strumenti e servizi finanziari tra operatori di paesi diversi. Essa ha prodotto un allineamento delle condizioni sui diversi mercati finanziari nazionali, una crescita degli investimenti esteri sui mercati domestici, uno sviluppo delle emissioni estere da parte di soggetti residenti. Il processo di internazionalizzazione è stato accompagnato da una crescita senza precedenti dei flussi finanziari tra diversi paesi: la consistenza dei prestiti bancari internazionali si è ampliata di oltre venti volte tra il 1973 e il 1992, passando da 175 a 3.690 miliardi di dollari; le transazioni valutarie giornaliere si sono portate nel 1992 in prossimità di 900 miliardi di dollari, valore pari al 15% del prodotto interno lordo degli Stati Uniti nello stesso anno (v. Group of Ten, 1993).

Nel recente passato i tre fattori che più hanno spinto verso l'internazionalizzazione della finanza sono stati la liberalizzazione dei mercati dei capitali, lo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione e di elaborazione dati e l''istituzionalizzazione' dei mercati, cioè il progressivo trasferimento delle decisioni di investimento dal piccolo risparmiatore agli investitori istituzionali (fondi comuni, fondi pensione). Tali sviluppi hanno favorito la crescente competizione tra i diversi mercati nazionali e una forte crescita delle piazze che, come Londra e New York, hanno saputo offrire migliori condizioni nella prestazione dei servizi finanziari.

La crescente integrazione dei mercati ha sollevato la duplice questione dell'adeguatezza delle politiche macroeconomiche e di quelle di vigilanza dei mercati e degli intermediari. Le prime trovano crescenti ostacoli nel mantenimento di cambi stabili anche in presenza di un'ordinata evoluzione degli andamenti economici di fondo. L'efficacia delle seconde appare ridotta a causa della mancanza di un coordinamento delle diverse normative nazionali.La convergenza dei diversi sistemi nazionali di regolamentazione non può, tuttavia, essere lasciata a una 'competizione tra sistemi regolamentari' che porterebbe a favorire i mercati con minore ma non necessariamente migliore regolamentazione. Il processo di creazione di un mercato unico dei servizi finanziari nella Comunità Europea rappresenta l'esempio più avanzato dello sforzo di elaborare una legislazione internazionale della finanza con piena efficacia giuridica. La legislazione comunitaria prevede il conseguimento di un'armonizzazione minima, che renda possibile il mutuo riconoscimento delle norme nazionali e la supervisione degli intermediari da parte del paese di origine. La cooperazione che si sviluppa nell'ambito del Gruppo dei Dieci ha invece carattere volontario. Un impulso all'armonizzazione normativa internazionale può provenire dall'adozione di norme che, come i requisiti patrimoniali, siano basate su criteri automatici, legati alla composizione del portafoglio, piuttosto che su vincoli di tipo autorizzativo e presentino, pertanto, caratteristiche di maggiore trasparenza e di più facile confronto internazionale. (V. anche Banca e sistema bancario; Borsa; Cambio; Credito; Economia internazionale; Mercato; Moneta; Prezzi; Titoli di credito).

Bibliografia

Arrow, K., The role of securities in the optimal allocation of risk bearing, in "Review of economic studies", 1964, XXXI, 1, pp. 91-96.

Banca d'Italia, Le procedure di liquidazione dei titoli, Roma 1991.

Black, F., Scholes, M., The pricing of options and corporate liabilities, in "Journal of political economy", 1973, LXXXI, 3, pp. 637-654.

Conti, V., Hamaui, R., Il mercato dei titoli di Stato, Bologna 1993.

Cox, J.C., Ingersoll, J., Ross, S.A., A theory of the term structure of the interest rates, in "Econometrica", 1985, LIII, 2, pp. 385-407.

Diamond, D., Dybvig, D., Bank runs, deposit insurance and liquidity, in "Journal of political economy", 1983, XCI, 3, pp. 401-419.

Drudi, F., Panetta, F., Rischio di tasso di interesse e coefficienti patrimoniali: un'analisi dei regolamenti SIM, in "Temi di discussione", 1992, n. 180.

Fabozzi, F. J., Modigliani, F., Capital markets institutions and instruments, Englewood Cliffs, N.J., 1991.

Fama, E.F., Efficient capital markets: a review of theory and empirical work, in "Journal of finance", 1970, XXV, 2, pp. 383-417.

Giannini, S., Imposte e finanziamento delle imprese, Bologna 1989.

Grossman, S.J., On the efficiency of competitive stock markets where traders have diverse information, in "Journal of finance", 1976, XXXI, 2, pp. 573-585.

Grossman, S.J., Stiglitz, J., The impossibility of informationally efficient markets, in "American economic review", 1980, LXX, pp. 393-408.

Group of Ten, International capital movements and foreign exchange markets, april 1993. Group of Thirty, Report on clearance and settlement system in the world's securities markets, Washington-London 1989.

Hayek, F.H. von, The use of knowledge in society, in "American economic review", 1945, XXXV, pp. 511-530.

Ho, T., Stoll, H., Optimal dealer pricing under transactions and return uncertainty, in "Journal of financial economics", 1981, IX, 1, pp. 47-73.

Kindleberger, C.P., Manias, panics and crashes, New York 1978, 1989² (tr. it.: Euforia e panico. Storia delle crisi finanziarie, Roma-Bari 1981).

Kindleberger, C.P., A financial history of Western Europe, London 1984 (tr. it.: Storia della finanza nell'Europa occidentale, Roma-Bari 1987).

Kupiec, P.H., Do stock prices exhibit excess volatility?, in "Financial markets, institutions and instruments", 1993, II, pp. 1-61.

Leland, H., Pyle, D., Informational asymmetries, financial structure and financial intermediation, in "Journal of finance", 1977, XXXII, 2, pp. 371-387.

Lucas, R.E.jr., Asset prices in an exchange economy, in "Econometrica", 1978, XLVI, 6, pp. 1429-1445.

Majnoni, G., Roma, A., Mercato degli swaps, tassi di interesse e titoli di Stato, in "Bancaria", 1993, XII, pp. 17-30.

Merton, R.C., An intertemporal capital asset pricing model, in "Econometrica", 1973, XLI, 5, pp. 867-887.

Monti, E., Onado, M., Il mercato monetario e finanziario in Italia, Bologna 1989.

Penati, A., Il rischio azionario e la borsa: un'analisi del funzionamento del mercato italiano, Milano 1991.

Roll, R., A critique of the asset pricing theory's tests, in "Journal of financial economics", 1977, IV, 2, pp. 129-176.

Ross, S.A., Options and efficiency, in "Quarterly journal of economics", 1976, XC, 1, pp. 75-89.

Ross, S.A., The arbitrage theory of capital asset pricing, in "Journal of economic theory", 1976, XIII, 3, pp. 341-360.

Sharpe, W., Capital asset prices: a theory of market equilibrium under conditions of risk, in "Journal of finance", 1964, XIX, pp. 425-442.

Shiller, R.J., Market volatility, Cambridge, Mass., 1989.

CATEGORIE
TAG

Offerta pubblica di sottoscrizione

Securities and exchange commission

Cassa di compensazione e garanzia

Capital asset pricing model

Intermediazione finanziaria