MERCURIO

Enciclopedia Italiana (1934)

MERCURIO

Felice DE CARLI
Alberico BENEDICENTI
Agostino PALMERINI
Leonardo MANFREDI

. Elemento chimico con simbolo Hg, peso atomico 200.61, numero atomico 80. Era conosciuto dai Greci e dai Romani (v. più oltre). Per le sue proprietà di metallo molto denso, liquido, volatile al riscaldamento, solvente dell'oro e dell'argento, gli alchimisti lo considerarono come uno degli elementi simbolici. Lavoisier, per primo, ne definì le proprietà classificandolo tra le sostanze semplici, di natura metallica. Il simbolo è tratto dal nome latino: Hydrargyrum (argento liquido).

Il mercurio elementare è molto raro in natura. Se ne trovano piccole quantità in gocce alla superficie dei giacimenti di cinabro e sotto forma di amalgami d'oro o di argento. Il composto più diffuso è il solfuro (HgS), che forma due specie mineralogiche: il cinabro (v.), rosso quando è puro, romboedrico, e la metacinnabarite, monometrica, isomorfa con la blenda (v.), nera. Spesso il cinabro trovasi associato ai solfuri di arsenico, antimonio, piombo, zinco, oppure ai tellururi e seleniuri di mercurio.

Preparazione. - Per estrarre il mercurio dal cinabro si sottopone questo ad arrostimento in forni speciali nei quali si compie la reazione:

la cui velocità dipende oltre che dalla temperatura, anche dalla natura più o meno compatta del minerale, e dalla sua suddivisione. Sopra 580°, temperatura alla quale la tensione di vapore del cinabro raggiunge il valore di un'atmosfera, la reazione si compie in fase gassosa, ed è molto rapida. A temperature inferiori reagisce solo il cinabro che si trova alla superficie dei frammenti di minerale, con velocità tanto più piccola, quanto più questo è compatto. Tra 350° e 400° si verifica anche parziale ossidazione del solfuro a solfato mercuroso e mercurico:

Per evitare l'ossidazione si consiglia di portare rapidamente i forni a regime, e di facilitare l'evaporazíone del cinabro frantumando il minerale in pezzi tanto più piccoli, quanto più basso è il suo titolo in solfuro.

Per i minerali ricchi può anche convenire il riscaldamento con calce o con rottami di ferro:

Queste reazioni si compiono tra vapore di cinabro e calce o ferro solidi. Anche in questo caso perciò la velocità dipende da quella di evaporazione del cinabro, donde la necessità di lavorare a temperature superiori a 580° e di impiegare minerali poco compatti.

Per il modo con cui la preparazione del mercurio ha luogo industrialmente, v. più oltre: Industria.

Proprietà. - A temperatura ordinaria il mercurio è liquido, di colore grigio, a superficie speculare. A pressione ordinaria bolle a 357° e solidifica a −38°,9; il calore di fusione è di 2,80 calorie/grammo e quello di vaporizzazione di 71 calorie/grammo. L'esame röntgenografico del mercurio solido ha portato a stabilire per esso due strutture: una romboedrica semplice a rapporto assiale 1,94 e una esagonale con quattro atomi per cella elementare (a = 3,84 Å, c = 7,24 f, 1: c = 1 : 1,88). La densità a 4° è 13,595, a −38°,9 è 14,485. La resistività a 0° è 94,0766 ohm/cm., e di conseguenza la conduttività alla stessa temperatura è 1,06297 ohm-1/cm.-1. Il mercurio possiede diversi isotopi: secondo Aston essi sarebbero sei e i loro pesi atomici 198, 199, 200, 201, 202, 204. Mediante la distillazione e la diffusione frazionata dei vapori di mercurio, è stato anche possibile eseguire una separazione parziale di detti isotopi. La vicinanza del mercurio con l'oro nel sistema periodico degli elementi e la possibilità di esistenza d'isotopi del primo con peso atomico molto prossimo a quello dell'oro (197,2) ha fatto pensare alla possibilità di trasformare il mercurio in oro. Fu affermato che tentativi in questo senso erano stati coronati da successo, ma la ripetizione delle prove ha mostrato che le minime quantità di oro riscontrate nel mercurio sottoposto all'esperienza non superano quelle che normalmente sono in esso contenute. Sembra invece che sia stato possibile ottenere la trasformazione inversa, la trasformazione cioè dell'oro in mercurio mediante l'azione dei raggi positivi d'idrogeno sull'oro.

Dibattendo il mercurio con acqua, o meglio con soluzioni saline e particolarmente con soluzioni di citrato potassico 1/1000 N. si ottengono sospensioni colloidali più o meno stabili. Col metodo di Bredig, facendo scoccare l'arco elettrico alimentato da una corrente di 3-4 ampères (110-120 volt), in una soluzione di gomma arabica tra un filo di platino e una superficie di mercurio si ottengono soluzioni colloidali grige poco stabili. Molti idrosoli di mercurio impiegati in terapia vengono preparati per via chimica ricorrendo all'azione riducente dell'idrazina o degli idrosolfiti sui sali mercurosi in presenza di colloidi protettori.

Il mercurio ha la proprietà di sciogliere parecchi metalli, formando quella categoria speciale di leghe denominate amalgami. Lo studio termico degli amalgami ha permesso di accertare in molti casi la formazione di composti. La solubilità del vanadio, del molibdeno, del tungsteno nel mercurio non è praticamente misurabile. Per gli altri metalli è stato accertato: che la solubilità è tanto maggiore quanto più i metalli si trovano vicini a quelli del gruppo del mercurio nel sistema periodico degli elementi (fanno eccezione gli alcalini e gli alcalino-terrosi); che le solubilità dei metalli alcalini, dello zinco, del cadmio, del bismuto sono inversamente proporzionali al punto di fusione, mentre sono direttamente proporzionali quelle dello stagno, del piombo e degli alcalino-terrosi; che i metalli che fondono sopra 1000° sono pochissimo solubili, e la loro solubilità diminuisce col crescere del punto di fusione.

Il mercurio si combina con l'ossigeno, quando viene riscaldato in presenza di questo gas a temperature prossime a quella di ebollizione. Si forma in tal caso l'ossido HgO, denominato dagli alchimisti "precipitato per sé". A temperatura ordinaria il mercurio non subisce ossidazione sensibile; sembra tuttavia che, in ambiente umido, si formino tmcce di ossidulo (Hg2O). Tutti gli alogeni reagiscono a temperatura ordinaria con il mercurio. Con lo zolfo si ha pure combinazione diretta con formazione di solfuro nero se la reazione viene fatta compiere a temperatura ambiente mescolando intimamente i due elementi, e rosso se si opera a caldo. Con selenio e tellurio si hanno reazioni analoghe. Con l'acido nitrico il mercurio reagisce a temperatura ordinaria, con il solforico e gli idracidi a temperatura elevata.

Nei suoi composti il mercurio funziona da monovalente o da bivalente. Nel primo caso si hanno i sali mercurosi, nel secondo quelli mercurici.

Composti mercurosi. - Le sostanze di natura basica precipitano dalle soluzioni dei sali mercurosi l'ossidulo Hg2O, sostanza polverulenta di colore nero, poco stabile, che si decompone facilmente in ossido di mercurio e mercurio. Le deboli proprietà basiche dell'ossidulo rendono ragione della facilità con la quale subiscono idrolisi i sali che si ottengono da esso. Tra questi sono degni di nota il nitrato HgNO3 e il solfato Hg2SO4, sostanza poco solubile in acqua, che si forma riscaldando il mercurío con acido solforico concentrato e che viene impiegata come prodotto di partenza per la preparazione della maggior parte degli altri sali mercurosi e delle pile normali (v. pile).

Il cloruro mercuroso (calomelano) HgCl è una sostanza polverulenta bianca, poco solubile in acqua. Si ottiene dalle soluzioni dei sali mercurosi per aggiunta di cloruri o di acido cloridrico.

Composti mercurici. - I sali mercurici si ottengono dai mercurosi per ossidazione. Sciogliendo il mercurio in acido nitrico concentrato a caldo, si ottiene il nitrato Hg (NO3)2. E parimenti riscaldando il solfato mercuroso con acido solforico concentrato, questo si riduce a SO2 mentre il sale mercuroso si ossida a mercurico HgSO4. Anche i sali mercurici subiscono idrolisi in soluzione acquosa, e siccome i prodotti basici che in tal modo prendono origine sono colorati in giallo, è facile accorgersi dell'inizio della decomposizione idrolitica.

L'ossido HgO si ottiene per precipitazione dalle soluzioni dei sali mercurici con le basi solubili. Se si opera a temperatura ordinaria, si ottiene un prodotto molto finemente suddiviso, di colore giallo. Dalle soluzioni calde si separa invece un precipitato giallo-rosso. Dalla decomposizione col calore del nitrato si ottiene una polvere cristallina rossa, analoga di aspetto a quella che si forma per riscaldamento all'aria del mercurio. La diversa colorazione dipende soltanto dal grado di suddivisione del prodotto e, come è naturale, alla diversa suddivisione corrisponde differente solubilità e reagibilità. Delle due forme la gialla è la più suddivisa e pertanto la più solubile e la più attiva.

Il cloruro (sublimato corrosivo) HgCl2 si prepara riscaldando una miscela di solfato mercurico e cloruro sodico:

è cristallino bianco, solubile in acido cloridrico col quale forma il complesso H2(HgCl), e nelle soluzioni di cloruro sodico con formazione di complessi Na2(HgCl.). È velenoso e corrosivo e si usa come antisettico.

Analoghi al cloruro sono il bromuro e lo ioduro. Quest'ultimo con ioduro potassico forma lo iodomercurato:

la cui soluzione alcalina (KOH) costituisce il reattivo di Nessler molto usato in analisi per rivelare piccole quantità di ammoníaca o di sali ammoniacali. Si forma in tal caso il composto:

di colore bruno solubile in eccesso di reattivo con colorazione gialla. Si conoscono due varietà di ioduro di mercurio: una rossa, monoclina, stabile al di sotto di 126° (dens. 6,27), l'altra gialla, tetragonale, stabile al di sopra di questa temperatura (densità 6,22). La varietà gialla si può mantenere anche a temperatura ordinaria allo stato di falso equilibrio, basta però toccarla per ottenere la trasformazione nella varietà rossa stabile in queste condizioni.

Il solfuro HgS è abbondante in natura e costituisce il minerale rosso, denominato cinabro. Viene impiegato principalmente per l'estrazione del mercurio metallico, e in parte anche per la preparazione di colori. Per azione dell'idrogeno solforato sulle soluzioni dei sali mercurici precipita solfuro mercurico nero, amorfo, che per sublimazione si trasforma nella varietà cristallina rossa. Questa trasformazione si compie anche a temperatura ordinaria, quando il solfuro nero viene tenuto in contatto con una soluzione di solfuro sodico. Il solfuro di mercurio è solubile solo in acqua regia.

Il cianuro Hg (CN)2 si prepara sciogliendo l'ossido in acido cianidrico. È sostanza cristallina bianca; scaldata svolge cianogeno:

e perciò viene impiegato per preparare piccole quantità di questo gas.

Il fulminato Hg (ONC)2 si ottiene trattando il mercurio con acido nitrico e aggiungendo alcool alla soluzione. Si decompone istantancamente, con esplosione, per semplice urto e trova impiego come innesco per gli esplosivi (v. detonanti, capsule).

Composti ammoniacali. - Per azione dell'ammoniaca sul cloruro mercurico a 15° si ottiene il cloruro di mercuriammonio:

sostanza bianca che cede una molecola di ammoniaca quando viene trattata con potassa. Per lavaggi prolungati perde la molecola di NH4, Cl e si ottiene allora il cloruro meercuri-ammonico:

la cui costituzione si ravvicina a quella ammessa per il cloruro ammonico:

Si conosce anche lo ioduro corrispondente, e l'ossido (NHg2)•O•4H2O, che si forma per azione dell'ammoniaca sull'ossido di mercurio. È una sostanza gialla, che per riscaldamento si decompone con esplosione. Possiede energiche proprietà basiche (il calore di neutralizzazione con soluzione acquosa di acido cloridrico ammonta a 52,9 cal.). Per disidratazione si ottiene il composto (NHg2)2 O•H2O, conosciuto col nome di base di Millon.

Trattando con ammoniaca i sali mercurosi si ottengono delle mescolanze nere di mercurio e complessi mercuri-ammonici.

Riconoscimento e dosaggio. - La presenza del mercurio e di alcuni dei suoi composti (ossido, nitrato, cromato) può essere svelata mediante semplice riscaldamento in un tubo da saggio, sulle pareti fredde del quale si depositano goccioline di mercurio. Queste provengono dall'evaporazione condensazione del metallo, se questo era contenuto come tale nelle sostanze in esame o dalla dissociazione termica dell'ossido, del nitrato, del cromato. Tutti i composti del mercurio, se mescolati con calce (CaO), si decompongono al riscaldamento nella maniera sopra descritta.

Le soluzioni acquose dei sali di mercurio hanno tutte reazione acida per l'idrolisi che questi subiscono. Se nelle soluzioni s'immerge una lamina di rame si ottiene su essa un deposito grigio di mercurio metallico. Dalle soluzioni dei sali mercurosi trattandole con acido cloridrico o cloruri solubili si ottiene precipitato di cloruro mercuroso, bianco, amorfo, e con ioduro potassico, ioduro verde, solubile in eccesso di reattivo per la formazione di ioduro mercurico-potassico:

Con cloruro stannoso si ha precipitato grigio di mercurio metallico:

Dalle soluzioni di sali mercurici con idrogeno solforato si ottiene precipitazione di solfuro mercurico nero (HgS) solubile in acqua regia. Con ioduro potassico si forma ioduro mercurico rosso scarlatto, solubile in eccesso di reattivo per formazione di K2 (HgJ4).

Il mercurio viene dosato precipitandolo allo stato di solfuro e pesandolo come tale dopo essiccamento a 105-110°. Talvolta può convenire di sottoporre all'elettrolisi la soluzione in esame e pesare il mercurio che in tal modo si separa. Altri metodi si basano sulla formazione di sali poco solubili e facilmente preparabili, quali il solfocianuro di mercurio e zinco, il bicarbonato di mercurio e piridina, lo ioduro complesso di mercurio rame ed etilendiammina.

Per dosare piccole quantità di mercurio vengono consigliati anche metodi colorimetrici e nefelometrici. Tra i primi è degno di nota quello basato sulla formazione di un composto azzurro tra soluzione di cloruro mercurico e difenilcarbazide; tra i secondi è maggiormente usato quello fondato sulla nefelometria di soluzioni colloidali di solfuro.

Usi. - Il mercurio per le sue proprietà di metallo liquido, molto denso, dotato di piccola tensione di vapore a temperatura ordinaria, viene utilizzato nella costruzione di barometri, manometri, densimetri, termometri, ecc. Serve inoltre per il confezionamento delle lampade a vapori di mercurio che dànno una luce molto ricca di raggi ultravioletti, degli elettrodi normali e delle pile campioni, per la preparazione degli amalgami, e come catodo nell'elettrolisi dei cloruri alcalini.

Molti composti inorganici e organici del mercurio, solidi, in soluzione o allo stato di sospensione colloidale, trovano largo impiego in terapia.

Bibl.: v. magnesio.

Industria.

Cenno storico. - Il mercurio era conosciuto dai Greci e dai Romani ed essi sapevano estrarlo dal cinabro (v.) già utilizzato come colorante. Nel sec. III a. C. Teofrasto dice che lo si può preparare macinando, in un mortaio di bronzo, il cinabro mescolato ad aceto. Quattro secoli dopo, Dioscuride (v.) e Plinio dicono che può essere anche ottenuto riscaldando il cinabro in un vaso di ferro col coperchio di terracotta; Vitruvio parla della sua estrazione per distillazione del cinabro nei forni. Fin da allora si sapeva che scioglie l'oro e l'argento e lo si usava per ricuperare questi metalli dai tessuti. Secondo il Beckmann, alla fine del sec. VI, si sfruttò questa proprietà del mercurio per estrarre l'oro dai suoi minerali. Più tardi, nella Summa perfectionis magìsterii attribuita a Geber (v.) si parla dell'amalgamazione di altri metalìi.

Gli Etruschi coltivarono le miniere di cinabro del Monte Amiata. l Cartaginesi e, dopo di loro, i Romani quelle della Spagna; grazie alle quali, secondo Teofrasto, nel 415 a. C. si sarebbe arricchito l'ateniese Callias, che aveva trovato il modo di lavorare il cinabro. Nell'epoca romana le miniere spagnole erano coltivate per conto dello stato, sotto una strettissima sorveglianza; il cinabro era lavorato a Roma, dove lo si spediva in recipienti suggellati. Secondo Plinio, quelle miniere avrebbero prodotto fino a centomila libbre all'anno. Il loro sfruttamento fu continuato dai Visigoti e dagli Arabi; di questi ultimi resta traccia nel nome della località dove si trovano: Almadén, che in arabo significa miniera. Nel 1163 furono donate all'ordine di Calatrava, dal quale, nel sec. XIII, tornarono alla corona.

Nel 1490 secondo il Banzer, nel 1497 secondo il Valvasor, furono scoperte le miniere di Idria (v.) che furono dapprima coltivate da italiani ma, dopo diverse vicende, passarono alla casa d'Austria. Fra il sec. XV e il XVI s'iniziò pure l'esercizio delle miniere della Boemia, che continuò fin verso il 1820, e di quelle del Palatinato renano, che arrivarono a dare forti produzioni e furono chiuse nel 1830. Al Perù, dove il cinabro era già usato dagl'Indiani come colorante, dopo la conquista spagnola Enrico Garcés scoprì il giacimento di Huancavelica. I Fugger già interessati in molte miniere europee, nel 1525 assunsero l'esercizio delle miniere di Almadén, che tennero fino al 1645, quando fu riassunto dallo stato. Durante la gestione Fugger, la produzione crebbe fortemente, fino a superare le 180 tonnellate all'anno.

Dopo l'introduzione del processo del patio nelle miniere del Messico (1557) e in quelle del Perù (1567), l'amalgamazione dei mineralì d'argento (v. argento) assorbì quantità di mercurio che erano forti per quei tempi (75 tonn. all'anno alla fine del sec. XVI). La vicinanza della miniera di Huancavelica favorì lo sfruttamento della miniera di argento del Potosì. Nel 1633 Lope Saavedra Barba, a Huancavelica, creò il forno che poi fu chiamato Bustamante, dal nome di I. A. de Bustamante che lo introdusse nel 1646 ad Almadén, dove è stato usato fino ai nostri giorni. In California, nel 1845, fu iniziata la coltivazione della miniera di New Almadén, che giovò molto allo sfruttamento dei depositi di oro della Sierra Nevada; in seguito furono aperte quelle di New Idria (1858), Redington (1862) e Sulphur Bank (1874). Nel Messico, nel 1874, fu aperta la miniera di Huitzuco nello stato di Guerrero. In Russia fu scoperto nel 1879 il giacimento di Nikitovka nella regione del Donec, che fu coltivato fino al 1911.

In Italia, nella regione del Monte Amiata, nel 1846, fu iniziata la coltivazione della miniera del Siele; più tardi quella delle altre: Solforate Schwarzenberg (1875), Cornacchino (1880), Reto o Montebuono (1886), Abbadia S. Salvatore (1897), Pietrineri (1902), Solforate Rosselli (1907), Morone (1909), Cerreto Piano (1911).

Si calcola che le miniere di Almadén abbiano prodotto complessivamente 60.000 tonn. di mercurio dal 1564 al 1800 e 100.000 tonn. dal 1801 al 1900; quelle d'Idria, 24.000 tonn dal 1525 al 1800 e 27.000 tonnellate dal 1801 al 1900; quella di Huancavelica, 52.000 tonn. dal 1564 al 1850; quella di Nikitovka, 6500 tonn. dal 1868 al 1911; quelle degli Stati Uniti, 67.000 tonn. dal 1850 al 1900.

Estrazione del mercurio dal cinabro. - Si è visto come il mercurio si estragga dal cinabro riscaldandolo a più di 400° in presenza di aria. Questo processo presenta pericoli igienici (intossicazione mercurica o idrargirismo: v. sotto) che un tempo erano gravi, sicché gli operai non potevano resistervi che pochissimi anni. Però, con l'apparecchiatura moderna e le misure preventive in uso l'idrargirismo si è fortissimamente ridotto.

Anticamente il processo si applicava in un modo molto semplice. Il cinabro si disponeva in mucchi, insieme a combustibile che si accendeva; i vapori di mercurio si condensavano in uno strato di minerale minuto che copriva il mucchio e dal quale il metallo veniva poi ricuperato per lavaggio: la resa non poteva essere superiore al 50%. Nell'epoca moderna il cinabro si abbrucia entro forni (v. oltre). Furono ripetutamente proposti - e anche di recente (I. Cavalli, 1927) - processi elettrolitici che, sebbene preferibili dal lato igienico, non sono stati applicati su scala industriale.

Minerali utilizzati e loro preparazione. - Il minerale attualmente utilizzato è molto povero di mercurio: il tenore medio varia dal 0,3% all'1%; ma si utilizzano anche minerali con meno del 0,3%.

Il minerale di Almadén ha il piu̇ alto tenore medio (5-8%; in passato anche 14%); quello delle altre miniere è molto più povero (Idria, 0,60-0,85%); Abbadia S. Salvatore, o,8-1,0%; altre miniere europee, 0,3-0,80. 0; miniere degli Stati Uniti, generalmente meno del 0,3%.

Prima dì mandare il minerale ai forni, si frantumano i pezzi più grossi e poi si classificano meccanicamente, per grossezza: i pezzi più piccoli sono anche i più ricchi, perché la frattura generalmente avviene entro le vene di cinabro, che sono più fragili della roccia sterile. Il minerale delle diverse pezzature viene poi lavorato in forni di tipo diverso. Spesso il minerale più ricco viene macinato, per facilitarne l'abbruciamento, fino ad avere granuli di dimensioni inferiori a 4 mm. Se il minerale non è naturalmente asciutto, lo si essicca al sole o in essiccatoi ad aria calda. L'asciugamento ha importanza non solo per ottenere economie nel combustibile, ma anche perché la presenza di umidità faciliterebbe la formazione di H2SO4, che avrebbe azione corrosiva sulle parti metalliche dei condensatori.

Arrostimento e condensazione. - In passato l'arrostimento e la condensazione erano compiuti rispettivamente in forni a esercizio non continuo e in condensatori primitivi, sicché si avevano forti perdite di mercurio.

Il forno Bustamante - che ad Almadén è stato usato fino ai nostri giorni - aveva sezione circolare: nella sua parte inferiore stava il focolare; la parte superiore, che una vòlta forata divideva dall'inferiore, era la camera di distillazione, entro la quale si caricava il cinabro. In alcuni casi entro questa eamera si trovava una seconda e anche una terza vòlta, destinate a sostenere vasi contenenti minerale minuto oppure neri (v. oltre). I condensatori erano costituiti da tubazioni di terracotta, formate da elementi detti aludelle e poggiate sopra un pavimento inclinato, nel quale si raccoglieva il mercurio che colava dalle tubazioni traverso appositi fori. Quando la temperatura esterna era elevata, i condensatori funzionavano così male, che d'estate si sospendeva l'esercizio dei forni. Gli altri forni antichi differivano da quello ora descritto solo per particolarità costruttive, specialmente dei condensatori. Nel forno d' Idria (fig. 1) la condensazione avveniva entro camere in muratura.

Attualmente invece tutti i forni sono a esercizio continuo. Inoltre nei forni e nei condensatori, aspirando i gas e i vapori di mercurio, si mantiene una depressione, sicché non sono possibili le fughe. La resa viene a essere così generalmente superiore al 90% del mercurio contenuto nel minerale messo in lavorazione.

L'arrostimento di minerali in pezzi relativamente grossi è fatto in forni a tino (o a torre). L'arrostimento di minerali minuti, invece, che in questi forni tenderebbero a disporsi in strati compatti, impedendo il passaggio di gas, è fatto in forni a griglia e tubolari rotativi. Questi ultimi si sono molto diffusi negli ultimi 25 anni e, p. es., forniscono il 90% del mercurio prodotto negli Stati Uniti. Solo eccezionalmente e per materie ricche, si usano forni a riverbero.

Forni a torre. - Il forno Špirek (figg. 2 e 6) ha sezione rettangolare, sicché possono esserne costruiti parecchi eguali l'uno accanto all'altro. Il minerale e il combustibile, a strati alternati, vengono caricati intermittentemente per mezzo del dispositivo illustrato alla fig. 3: la tramoggia 6, carica del materiale, porta un uncinetto di chiusura 5; abbassando la leva 1 si apre il coperchio del forno 2 e contemporaneamente si sposta sulla bocca di alimentazione la tramoggia ad avanzamento 3; con lo spostamento il nasello di spinta 4 solleva l'uncinetto di chiusura 5 e provoca lo scarico del materiale. Il minerale poggia nel forno sopra una griglia inclinata. Recentemente nel riscaldamento di alcuni dei forni Špirek la nafta ha sostituito il carbone. Poco diverso dallo Špirek è il forno Novák.

Forni a griglia e a caduta libera automatica. - Il forno Čermák-Špirek (fig. 4) è costituito da camere rettangolari, entro le quali sono disposti a quinconce degli elementi o tegoli di ghisa nella parte superiore, di materiale refrattario in quella inferiore (e più calda) del forno, che formano da 4 a 7 ordini sovrapposti di lunghe e strette tramogge. Il minerale viene caricato dall'alto e, man mano che i rosticci si scaricano dal basso, scivola giù, chiudendo le bocche di tutte le tramogge (fig. 5), ma lasciando al di sotto di ciascun elemento uno spazio libero entro il quale passano i prodotti della combustione che, dai due focolari dispostì lungo l'asse maggiore del forno, salgono e circolano negli spa2î sopra accennati per mezzo di appositi canali 2, 3, 4, e di finestre praticate nelle pareti delle camere, finché arrivano al canale 5 nella parte alta del forno; da questo canale, per il tubo 6, vanno al condensatore con i vapori di mercurio. In alcuni di questi forni il calore del minerale degli strati inferiori è utilizzato per il riscaldamento dell'aria che alimenta la combustione nel focolare. Siccome l'umidità tende a condensarsi nello strato più alto, che fa da chiusura alla bocca del forno, in alcuni casi con appositi tubi si aspira vapor d'acqua immediatamente al disotto di questo strato, che non viene riscaldato.

Il forno americano di W. B. Dennis (fig. 7) è simile a quello Čermák- Špirek; però in esso si usa combustibile gassoso e i prodotti della combustione circolano nello stesso senso del minerale, cioè dall'alto al basso; ma si ha egualmente la temperatura più alta nella parte inferiore del forno perché, man mano che scendono, vengono riscaldati e se ne aumenta il volume bruciando dell'altro gas in camere situate ai due lati del forno.

Forni tubolari rotativi. - Il forno Möller e Pfeiffer (fig. 8) impiantato ad Abbadia S. Salvatore nel 1913, è costituito da un grande tubo di ferro con mattoni refrattarî, il cui asse ha una inclinazione di 1:20 e che si muove di moto pendolare: un terzo di giro in un senso e un terzo in senso opposto. Un elevatore a tazze i porta il minerale nella tramoggia 2; di qui, traverso la camera a polvere 3, per mezzo di una coclea entra nel forno e scivola, abbrustolendosi, all'altro estremo del tubo, di dove i rosticci cadono in una camera 4, dalla quale vengono estratti continuamente per mezzo di un'altra coclea. Il forno è riscaldato da gas prodotto nel generatore 5, che brucia entro il tamburo.

Eseguito l'arrostimento, i gas che escono dal forno dovrebbero passare ai condensatori. Ma occorre anzitutto eliminare i prodotti solidi polverulenti che vengono trascinati meccanicamente, i quali durante il raffreddamento potrebbero aderire alle gocce di mercurio impedendo loro di riunirsi. La separazione si effettua facendo circolare lentamente i gas in camere riscaldate intorno ai 400° nelle quali il mercurio rimane allo stato di vapore mentre le impurità solide hanno tempo di depositarsi al fondo. Negli stabilimenti dove si usano i forni cilindrici dai quali escono notevoli quantità d'impurità polverulente, può anche convenire la precipitazione elettrostatica.

I prodotti della combustione e i vapori di mercurio, vengono raffreddati nel condensatore fino a 15-50°. Un ventilatore li aspira attraverso il condensatore e poi li spinge nel camino. Fra il condensatore e il camino sono inserite delle camere che servono a ridurre la velocità dei gas e a far depositare la maggior parte del mercurio che ancora contengono.

In alcuni casi particolari s'inseriscono anche appositi apparecchi a gelosie di legno, che filtrano i gas.

Il condensatore Čermak-Špirek (figg. 9 e 10) è costituito da tubi a sezione ellittica, disposti verticalmente e collegati da curve; le curve inferiori sono aperte in basso e pescano in casse piene d'acqua, nelle quali si raccolgono il mercurio e i neri che si condensano sulle pareti interne dei tubi. L'acqua che cade in pioggia sui tubi e li raffredda, viene trattenuta da un tavolato fisso all'incastellatura, in modo che non si mescola con quella delle casse dei neri. Ciascun condensatore ha da 4 a 10 file di tubi; ogni fila da 6 a 8 tubi; i più viclni al forno (nei quali è più elevata la differenza fra la temperatura interna e l'esterna) sono di ghisa rivestita di cemento; gli altri sono di materiale refrattario. Negli Stati Uniti si sono adottati anche tubi di ferro omogeneo, di metallo Monel, di Duriron. Le curve che collegano le estremità inferiori dei tubi sono di legno, oppure di materiale refrattario; le casse dei neri sono di legno o di ghisa o di cemento. Il mercurio va al fondo delle casse e ne viene estratto per mezzo di un tubo che lo porta ai serbatoî; i neri si estraggono quando si puliscono internamente i tubi, dopo averne isolato un'intera fila dal forno. I neri più ricchi sono quelli che colano dai tubi più vicini al forno.

Dai condensatori non si ottiene che una parte (dal 20 al 50%) del mercurio sotto forma di metallo. Il resto, in parte libero, in parte combinato, è mescolato a polvere, a fuliggine e a catrame provenienti dal combustibile e dal bitume contenuto nel minerale e forma i neri, che contengono fino all'80% di mercurio. Dai neri ricchi si separa gran parte del mercurio trattandoli con calce in appositi estrattori (detti anche, impropriamente, presse). I residui, detti neri calcinosi pressati, oltre alla calce contengono dal 14 al 40% di mercurio (in parte sotto forma di sali), che si ricupera per distillazione. I neri poveri contengono dal 3 al 30% di mercurio, che viene anch'esso ricuperato per distillazione. Il mercurio così ottenuto contiene pochissime impurità, generalmente grasso e polvere.

Estrazione del mercurio dai neri. - Il mercurio libero si trova nei neri in minute goccioline, mantenute separate dai sali e, specialmente, dalle sostanze oleose che le rivestono. La loro unione è facilitata dal rimescolamento e dall'aggiunta di calce o di acidi, che assorbono l'umidità e saponificano le sostanze oleose. Su questo fenomeno si fonda la lavorazione con la quale gran parte del mercurio si separa dai neri.

Un tempo i neri e la calce erano rimescolati a mano, con agitatori di legno, sopra una superficie liscia e inclinata, anch'essa di legno, fino a tanto che non ne usciva più mercurio. Questo metodo, molto malsano, è stato seguito ad Almadén fino ai nostri giorni; nelle altre miniere è stata adottata da molti anni la lavorazione meccanica che si compie in un estrattore (fig. 11) costituito da una vasca cilindrica di ghisa, al cui fondo sono fissati dei coltelli 1 e dentro la quale girano lentamente altri coltelli 2 che, per mezzo dei bracci 3, sono portati da un albero verticale. La calce si aggiunge a poco a poco, fino a metterne il 30% del peso dei neri. Il mercurio che si separa dai neri cola attraverso fori praticati nel fondo della vasca e si raccoglie nella vasca inferiore 4. L'estrattore è munito di coperchio, attraverso il quale si possono aspirare le polveri e i vapori nocivi. A lavorazione finita, restano nell'estrattore delle sferette, che costituiscono i neri calcinosi pressati.

Purificazione e imballaggio. - La poca polvere e i grassi contenuti nel mercurio che viene dalle casse e dagli estrattori dei neri, per la forte differenza di peso specifico salgono alla sua superficie. Sfruttando questo fenomeno, lo si purifica con metodi molto semplici; p. es., facendolo passare in una batteria di recipienti di vetro, collegati, nella loro parte inferiore, da tubicini di gomma; le impurità si fermano nei recipienti, mentre il mercurio cola puro dall'ultimo di essi.

Nel mercurio grezzo si trovano sempre tracce di zinco, piombo, stagno, bismuto, argento e oro. Quando tali impurità sono in quantità rilevante si nota che il metallo perde il suo splendore caratteristico e si ricopre di una pellicola opaca aderente ai recipienti che lo contengono. Una prima purificazione si ottiene filtrandolo attraverso pelle scamosciata o facendolo passare attraverso a un imbuto a punta molto affilata. Per eliminare però completamente i metalli amalgamati, è necessario sottoporre il mercurio a lavaggi con soluzione acquosa di acido nitrico (8%), o con soluzioni ossidanti, o meglio ancora alla distillazione a pressione ridotta. Quest'ultimo sistema permette di ottenere il prodotto più puro.

Il mercurio, purificato che sia, viene spedito dalle miniere in bombole di acciaio o di ferro, di 2,7 litri di volume, chiuse da un tappo a vite, che ne contengono 34,5 kg. (75 libbre spagnole, pari a circa 76 libbre inglesi). La bombola, del peso netto suddetto, serve di base ordinariamente alle quotazioni dei prezzi.

Produzione mondiale. - I maggiori paesi produttori di mercurio attualmente sono l'Italia, la Spagna, e gli Stati Uniti. L'Italia è al primo posto: le miniere di Idria dànno il 25% della sua produzione; il resto è dato dalle miniere del Monte Amiata, una delle quali ha il più basso costo di produzione del mondo. La produzione degli Stati Uniti, che nel 1877 aveva superato le 2700 tonni, ora è poco più del 40% di quella dell'Italia. Oltre che dalla California (la cui miniera di New Idria è la più importante della Confederazione), essa è data dagli stati di Nevada, Oregon, Texas, Washington e Arizona. Piccole produzioni hanno il Messico, la Cecoslovacchia e il Giappone. La Cina, che estrae cinabro da tempi remotissimi, ha una modesta produzione di mercurio nel Hu-nan occidentale, nel Kwei-chow e nel Sze-chwan. È stato tentato lo sfruttamento di giacimenti di cinabro nell'Algeria e nella Nuova Zelanda.

Le miniere di Almadén sono gestite dallo stato spagnolo, che, dal 1921, mette direttamente in commercio la produzione; dal 1835 al 1921, invece, la cedeva tutta alla casa Rotschild di Londra la quale, con essa, regolava il mercato mondiale del mercurio. La miniera di Idria è gestita dallo stato italiano. Il 1° ottobre 1928 entrò in vigore un accordo fra le miniere italiane e quelle spagnole per il quale, contingentata la produzione, esse hanno potuto regolare il mercato. La produzione degli ultimi anni è indicata nella tabella annessa.

Farmacologia.

Il mercurio metallico viene usato esternamente sotto forma di unguento mercuriale o cinereo contro la sifilide, le affezioni della pelle di natura parassitaria, quali la scabbia, la tigna, la psoriasi, il pediculus pubis, e come antiflogistico e risolvente nelle infiammazioni di organi interni.

Si attribuisce a Berengario da Carpi il merito d'aver per primo preparato l'unguento mercuriale, ma questo farmaco fu fatto largamente conoscere da Giovanni Vigo di Rapallo: ancor oggi l'empiastro mercuriale composto di Vigo figura nelle nostre farmacopee.

La Farmacopea italiana registra: il mercurio metallico (Hg, hydrargyrum) che serve alla preparazione: dell'empiastro mercuriale (o cerotto mercuriale, o empiastro diachilon con mercurio: emplastrum hydrargyri: mercurio parti 2, trementina1, empiastro diachilon 6, cera gialla 1) e dell'unguento mercuriale (o unguento cinereo, o pomata mercuriale: ununguentum hydrargyri cinereum: mercurio 30, grasso con benzoino 50, lanolina 20), specialmente quest'ultimo adoperato come parassiticida e antiluetico. Il biioduro di mercurio, ioduro mercurico o ioduro rosso di m. (HgJ2 hydrargyrum biiodatum: polvere cristallina, rosso scarlatta, inodore e insapore, quasi insolubile in acqua) antiluetico, per iniezioni ipodermiche e nello sciroppo di iodomercurato potassico o sciroppo del Gibert (siropus hydrargyri compositum: ioduro mercurio gr. 0,50, ioduro potassico 25, acqua distillata 25, sciroppo semplice 950) del quale 20 gr. contengono un centigrammo di biioduro di mercurio e cinquanta di ioduro potassico. Il cloruro mercurico (o bicloruro di mercurio, o sublimato corrosivo, HgCl2 hydrargyrum bichloratum: si ottiene per sublimazione - riscaldando un miscuglio di solfato di mercurio e di cloruro di sodio [HgSO4i 2NaCl = Na2SO4 + HgCl2] - in masse compatte, pesanti, di sapore stittico; o per cristallizzazione in prismi rombici bianchi; è solubile in 16 parti di acqua a 15°, in 3 a 100°, in 3 di alcool a 90°, in circa 17 di etere; insieme con il cloruro di sodio forma combinazioni che possono ottenersi cristallizzate: HgCl2NaCl; HgCl2 [NaCl]2 solubilissime in acqua, che non dànno coaguli con l'albumina e quindi penetrano meglio nella massa da disinfettare, per quanto diminuisca l'attività antisettica), notissimo fra gli antisettici, fu da R. Koch proposto come superiore all'acido fenico largamente adoperato da J. Lister; è caustico a causa della sua grande affinità per l'albumina e quindi un potente veleno per ogni specie di protoplasma vivente; già in soluzione all'1‰ ha energica azione battericida la quale diminuisce in presenza di sostanze albuminoidi che vengono coagulate (albuminato di mercurio, assai meno tossico) e s'annulla a contatto di sostanze organiche in putrefazione, perché l'idrogeno solforato trasforma il sublimato in solfuro inattivo. È adoperato in terapia specialmente come antiluetico; la dose massima per iniezione ipodermica è uno-due centigrammi (G. Baccelli . ne tentò l'uso endovenoso). La soluzione idro-alcoolica è nota come liquore mercuriale di Van Swieten (sublimato parti due, alcool a 95° 100, acqua 900), un grammo della quale (circa 30 gocce) contiene un milligrammo di bicloruro di mercurio. Il cloruro mercuroso o calomelano (v.), o protocloruro di mercurio (Hg2Cl2 hydrargyrum chloratum) donde l'unguento di cloruro mercuroso, o pomata di calomelano (unguentum hydrargyri chlorati: cloruro mercuroso gr. 10, lanolina o vaselina 80, olio di vaselina 10). L'ossido mercurico giallo, o precipitato giallo (HgO; hydrargyrum oxydatum flavum: polvere sottilissima, amorfa, pesante, gialla, inodora, insolubile in acqua); serve specialmente alla preparazione del collirio di ossido giallo di mercurio (collyrum hydrargyri oxydati mvi: ossido giallo di mercurio gr. 0,10. canfora 0,10, vaselina 10) e dell'unguento di ossido giallo di mercurio o pomata di ossido giallo di mercurio (unguentum hydrargyri flavum: ossido giallo di mercurio gr. 5, vaselina 85, olio di vaselina 10); la soluzione di ossido giallo di mercurio in acido oleico (preparato galenico non definito come composto chimico) forma l'oleato di mercurio (hydrargyrum oleicum: massa molle, solubile nella benzina e negli oli grassi) che fu proposto come succedaneo dell'unguento mercuriale sul quale però ha lo svantaggio di un'intensa azione irritante sulla cute. L'ossido mercurico rosso, o precipitato rosso (hydrargyrum oxydatum rubrum: polvere cristallina, pesante, inodora, insolubile in acqua), serve alla preparazione dell'unguento di ossido rosso di mercurio o pomata di ossido rosso di mercurio (unguentum hydrargyri rubrum: ossido rosso di mercurio gr. 5, lanolina o vaselina 85, olio di vaselina 10). Il protoioduro di mercurio, o ioduro mercuroso (Hg2J2, hydrargyrum iodatum: polvere finissima, pesante, giallo-verdastra, quasi insolubile in acqua) antisettico, parassiticida, antiluetico. Il salicilato di mercurio o acido anidrossimercurisalicilico (hydrargyrum salicylicum:

polvere bianca, inodora, insipida, solubile nelle soluzioni di idrato, di carbonato e di cloruro di sodio): sospeso in olio di vaselina (un grammo in 10 cc.). Viene usato come antiluetico per iniezioni intramuscolari (gr. 0,05-0,10).

Tossicologia. - Tra i sali di mercurio, il bicloruro o sublimato corrosivo costituisce il tossico responsabile del maggior numero di avvelenamenti sia volontarî sia accidentali.

La dose letale minima, per bocca, è di gr. o,18. I sali di mercurio posseggono un'azione coagulante sulle albumine e dove giungono a contatto delle mucose determinano causticazioni, necrosi e ulcerazioni gravissime e dolorose. Appare stomatite, orletto nero gengivale, scialorrea, dolori violenti gastrici, vomito ematico, diarrea mucosanguinosa, dissenteriforme. La disfagia è grave per le lesioni esofagee. L'attività cardiaca è depressa: il sistema nervoso può essere leso, e aversi paresi e tremori. Raramente manca lesione renale, interessamento degli epitelî canalicolari, oliguria, albuminuria; frequentemente l'avvelenato completamente anurico muore dopo 5-6 giorni in stato uremico. Nell'avvelenamento cronico si riscontra stomatite, caduta dei denti, necrosi del mascellare, cachessia, tremori, nefrite cronica. Più che in altri casi è raccomandabile l'urgenza nello svuotamento gastrico con la sonda maneggiata cautamente, dopo la pronta somministrazione di latte, acqua albuminosa, decozioni mucillagginose, acqua solfidrica, carbone animale.

Sconsigliabili gli emetici. Se del caso, cardiocinetici e oppiacei. Dieta lattea. Blanda purgazione e diuretici, come le ipodermoclisi, giovano nel trattamento ulteriore. Vantaggioso si dimostra il trattamento con tiosolfato sodico per iniezione endovenosa.

Il mercurialismo cronico (idrargirismo), ormai raro come malattia del lavoro, e del pari come accidente terapeutico, si può vincere con una sottrazione completa del tossico, uso di clorato potassico come colluttorio, di ioduro potassico a piccole dosi, e cure idriche, soprattutto i bagni solforati, utilissimi contro le manifestazioni cutanee.