MESOPOTAMOS

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

Vedi MESOPOTAMOS dell'anno: 1973 - 1995

MESOPOTAMOS (v. s 1970, p. 474)

S. I. Dakaris

Nuovi importanti scavi e ricerche si sono svolti sia a Ephyra, sia nel Nekyomantèìon.

Ephyra. - Le recenti indagini di scavo sulle pendici occidentali della collina di «Xylokastro», nell'area delle mura ciclopiche di Ephyra, proprio dove, nel 1958, erano stati rinvenuti due vasi pithoidi eseguiti a mano, hanno messo in luce il tumulo sepolcrale A, del diametro esterno di 12 m. Il grande spessore del períbolo (1,50 m) mostra chiaramente che questo era stato costruito per sostenere la notevole quantità di terra che costituisce il tumulo, con le relative tombe. Ma poiché il muro di sostegno - inizialmente ritenuto un tratto del muro ciclopico interno - aveva in parte ceduto, apparvero, assieme alla terra del tumulo, anche le sepolture, mentre solo uno scarso e inconsistente interno era rimasto a nascondere le tombe più antiche tra le cavità naturali della roccia. Nell'insieme furono rinvenuti tre scheletri in posizione supina e, appartate, diverse sepolture secondarie. Dalla ceramica rinvenuta nel tumulo, principalmente vasi eseguiti a mano di produzione locale e, in numero assai limitato, vasi micenei e loro imitazioni, si ricava che quello era in uso nel Tardo Elladico III, senza escludere una sua utilizzazione anche più tardi, in epoca storica, a giudicare dalla ceramica più recente trovata nell'area.

Il muro ciclopico al di sopra del quale sorgeva il tumulo A, era probabilmente un muro di terrazzamento, che sosteneva un grande terrapieno, sul quale, a S del tumulo stesso, si rinvennero altri due tumuli, Β e Γ, e, subito verso N, un muro divisorio con orientamento E-O e una costruzione rettangolare di 16, 10 x 10,51 m. Anche gli interri dei tumuli Β e Γ erano stati trascinati via e si conservavano solo le sepolture più antiche, come nel tumulo A, alcune dentro le cavità naturali della roccia, altre in rozze tombe a cista, e altre, infine, circondate da una serie di pietre che trattenevano la terra dell'inumazione. Di un certo interesse è la sepoltura di una donna nel tumulo Γ, in posizione leggermente rannicchiata, con un bimbo tra le braccia. Al di sopra della testa era posto un kỳathos eseguito a mano e privo di ornamenti e, presso i piedi, un altro vaso pure lavorato a mano. Di solito i defUnti erano inumati in posizione supina, più raramente rannicchiati, e posti di fianco. Tra il tumulo A e l'edificio rettangolare, sud diviso da due tramezzi in tre vani quadrangolari di 4,65 m di lato, sorgeva un muro divisorio che probabilmente separava il vicino insediamento abitato dal tumulo sepolcrale, anche se la datazione dell'edificio rettangolare al Tardo Elladico III non è stata confermata dalle stratigrafie, dal momento che l'interro dell'edificio risultava disturbato.

La ceramica locale eseguita a mano è rappresentata dalle due note categorie di vasi di questo tipo, il Gruppo II con decorazione a rilievo, che è il più diffuso nell'Epiro, e il Gruppo III, che pure comprende vasi fatti a mano, ma in una tecnica più evoluta, in argilla cinerognola o bruna. Il repertorio delle forme vascolari comprende kàntharoi, kỳathoi, anfore. Un cratere con decorazione dipinta a fasce parallele, kỳlikes su alto piede, alàbastra schiacciati, skỳphoi, anforischi, ciotole, rappresentano la ceramica micenea. Inoltre oggetti di ornamento metallici, braccialetti, spilloni, vaghi di collana in argilla, steatite ed elettro, pugnali, completavano i consueti corredi sepolcrali.

Interessante appare a Ephyra l'uso, nel corso del Tardo Elladico III Α-C, di seppellire i defunti all'interno delle mura: un fenomeno che possiamo constatare anche sulla vicina collina di Haghios Ioannis, dove si trova il Nekyomantèion ellenistico. Nel cortile di quest'ultimo sono state trovate tre tombe di bambini del Tardo Elladico III, a forma di ciste, racchiuse all'interno di un ampio peribolo rettangolare, o fondazione di una casa-capanna, come talora accade in insediamenti mesoelladici di area elladica. Una delle tre tombe suddette, quella occidentale, è circondata da un muretto che racchiudeva il piccolo tumulo individuale del fanciullo.

Una simile maniera di seppellire è attestata in un insediamento di pastori dell'VIII-IV sec. a.C., a Vitsa sul Pindo, che confina con le due necropoli (quella settentrionale probabilmente è un tumulo) e dove i costumi funerari e il sistema di sepoltura sono gli stessi delle tombe dei tre tumuli di Ephyra.

Forse i tumuli di Ephyra sono dovuti allo stabilirsi di elementi provenienti dalle comunità di pastori del Pindo alla fine del XIII sec. a.C., nel periodo dei grandi spostamenti delle tribù nordoccidentali, come i Tessali, che si trasferirono dall'Epiro verso la Tessaglia (Herodot., VII, 176) scacciando i Beoti (Thuc., I, 12, 3), o i Dori che attraverso Rhion penetrarono nel Peloponneso, mentre altre tribù andavano a stabilirsi sull'antistante costa dell'Italia meridionale, come i Chaones-Chones. La presenza di elementi epiroti in Apulia è attestata dalla ceramica geometrica matt-painted del museo di Lecce, originaria della Grecia settentrionale. Il rapporto di Ephyra con la ceramica micenea del Peloponneso nord-occidentale (Teichos Dymaion) e di Itaca è attestato dalla ceramica micenea qui rinvenuta, come il craterisco skyphoide del tumulo A, con decorazione a fasce; e ancora, tra l'altro, dalle kỳlikes coniche su alto piede di Itaca, dalle spade micenee con impugnatura a T.

La prosecuzione dello scavo a Ephyra e la più precisa datazione dell'abitato e dei tumuli certamente contribuiranno alla soluzione dei problemi qui enunciati.

Nekyomantèion. - Nei pressi del villaggio di M., 600 m a Ν di Ephyra, si eleva una collina su cui sono i resti del monastero di Haghios Ioannis, risalente al XVIII sec., e il cimitero del villaggio. Al di sotto del monastero, ora in rovina, venne alla luce, in scavi effettuati tra il 1958 e il 1964 e negli anni 1975-1976, il Nekyomantèion dell'Acheronte. Ulisse, nell'avventuroso viaggio verso Itaca, visitò questo luogo dietro consiglio della maga Circe, allo scopo di interrogare lo spirito dell'indovino Tiresia circa il suo ritorno in patria (Horn., Od., X, 513-540). La descrizione omerica localizza l'ingresso al mondo degli Inferi nel punto di confluenza dei tre fiumi Acheronte, Corito, Periflegetonte, nel luogo in cui una rupe segnava l'ingresso all'Ade; secondo Erodoto (V, 92), il Mantèion si trovava presso Ephyra; Tucidide (I, 46, 3-4) pone Ephyra presso il porto di Cheimerion, nel quale sfocia l'Acheronte; Strabone (VII, 7,5) e Pausania (I, 17,5) sostengono infine che Omero doveva aver visto i luoghi presso l'Acheronte «ed ebbe il coraggio di descrivere nella sua opera il paese di Ade e di dare a quei fiumi i nomi di quelli della Tesprotide» (Paus., loc. cit.): da tutto questo si evince che proprio i resti antichi scoperti alla sommità della roccia, dove si trovava il monastero di Haghios Ioannis, appartengono al famoso Mantèion omerico, all'ingresso degli Inferi.

L'edificio messo in luce dagli scavi misura 64 x 40 m e presenta una crepidine di pietra in opera poligonale, con sovrastruttura in mattoni crudi e laterizio. È costituito da un corpo principale della prima età ellenistica e, a O, da un ampio cortile (H) recintato, con ingresso sul lato settentrionale, aggiunto successivamente nel periodo della Lega Epirotica (234-168 a.C.), dove si trovano un grande magazzino e deposito del santuario, seminterrato (B), e stanze per l'alloggio dei sacerdoti, del personale di servizio ed eventualmente per i pellegrini, che vi si trattenevano per entrare in comunicazione con le anime dei trapassati, con le «ombre dei morti».

Il corpo principale, quadrangolare, con massicci muri perimetrali (spessore 3,30 m), misura 21,80 x 21,65 m ed è circondato su tre lati da corridoi. Il corridoio settentrionale presenta, sul fondo, tre ambienti (1) - uno con bagno - dove soggiornavano coloro che desideravano consultare l'oracolo, sottoponendosi, prima di entrare in contatto con le anime dell'Oltretomba, a una preparazione spirituale, con bagni di purificazione e una specifica dieta. Nel corridoio orientale (3), ossa combuste di animali testimoniano lo svolgimento di sacrifici con il fuoco, mentre in quello meridionale (4), che aveva la forma di un labirinto e tre porte ad arco ferrate come le porte dell'Ade, sono stati rinvenuti vasi ad ampia imboccatura per l'offerta di farina d'orzo alle anime dei defunti, così come aveva fatto Ulisse nella Nèkyia. Successivamente il pellegrino accedeva alla grande sala delle ombre (5), dove si manifestavano le anime e avvenivano i colloqui. In questo luogo si effettuavano le libagioni ad Ade, Persefone e alle anime dei defunti.

Al di sotto della sala delle apparizioni è stata rinvenuta un'altra sala della medesima grandezza (15 x 4,30 m). È la buia «casa di Ade e della tremenda Persefone» (Od., X, 491, 512, 564). Il suo soffitto, che era il pavimento della sala delle apparizioni, era sostenuto da 15 archi in pòros lavorati con grande cura. Si può supporre che nella sala sotterranea si trovasse l'originaria grotta di epoca preellenistica e omerica. Sul pavimento giaceva lo scheletro di una pecora sacrificata agli dèi dell'Oltretomba, Ade e Persefone.

A destra e a sinistra della «sala delle ombre» si trovavano due ali laterali, ciascuna con tre stanze, colme di grandi pìthoi contenenti frutti carbonizzati, frumento, orzo, nelumbi, noti nell'antichità con il nome di «fave egiziane», latiridi, forse canapa (canapino) e centinaia di vasi con offerte liquide e frutti per le anime dei defunti, utensili in ferro, ruote in ferro simboleggianti le ruote del carro di Ade, oltre due decine di ruote di oricalco da catapulta e 22 pezzi di ferro, ciascuno del peso di 6-10 kg.

La messa in scena delle apparizioni delle anime veniva realizzata con l'ausilio di macchinari simili a gru. A una estremità era sospeso un fantoccio raffigurante il morto, mentre all'estremità opposta era il calderone bronzeo che è stato rinvenuto in fondo alla «sala delle ombre», assieme ai pesi di ferro che fungevano da contrappeso per la discesa delle apparizioni. Questo meccanismo era invisibile e si trovava al piano superiore della sala o nei corridoi segreti, racchiusi all'interno degli spessi muri del corpo centrale del santuario. L'ombra faceva la sua apparizione sul fondo della sala, dove si trovavano il bacino bronzeo e la maggior parte delle ruote in bronzo e dove si conserva la base in pietra di una scala che, con l'ausilio di un'altra, mobile, in legno, conduceva al piano superiore.

La lunga preparazione all'interno del santuario di coloro che richiedevano l'oracolo, le diverse preghiere e i racconti dei sacerdoti, che Luciano riporta con scettica ironia nel Menippus seu Nekyomanteia, l'assunzione specialmente di nelumbi, di canapa indiana (?) e di lupini (che hanno proprietà tossiche e quando vengono ingeriti crudi procurano dispepsia, rilassamento dei sensi, stato di agitazione, che raggiunge anche l'acatalessia) e l'antica credenza nelle anime dei defunti, creavano nel pellegrino la condizione psicologica adatta per un'accettazione della messinscena delle apparizioni delle anime. Quando usciva, chi aveva richiesto l'oracolo non seguiva probabilmente lo stesso percorso. Era necessario che si purificasse dal contatto con i morti dell'Ade, come aveva fatto Alcesti che nell'omonima tragedia di Euripide (Ale., 1145) si sottopose a tre giorni di digiuno prima di riprendere coscienza. L'uscita avveniva dal corridoio orientale (6), in fondo al quale si trova una stanza isolata (7), usata probabilmente proprio per la purificazione. Successivamente il pellegrino scendeva dalle pendici orientali della collina verso le acque del Cocito, che scorrono a E, ai piedi di questa, dove forse prendeva un bagno purificatore, ma lo scopo del percorso era soprattutto che non vedesse alcun altro pellegrino e non comunicasse ciò che aveva visto e sentito, poiché sarebbe stato perseguito con un'accusa di empietà (Lue., Nekyom., 2).

Il santuario venne incendiato dai Romani nel 167 a.C. Le fiamme, alimentate dai frutti immagazzinati nei pìthoi delle sei stanze laterali, calcinarono per intero le superfici dei muri, mentre le tegole della copertura e i laterizî raggiunsero una temperatura di fusione. Il santuario, soprattutto, venne seppellito, fino all'altezza dei muri superstiti, dal crollo del piano superiore.

Sulle rovine di questi edifici fu fondato nel XVIII sec. un monastero, nel cui cortile, all'angolo NO, sono stati rinvenuti tre ambienti risalenti a un insediamento del I sec. a.C.

Le monete della vicina Eleas, attuale Veliani, degli anni 360-340 a.C., presuppongono fin dagli inizî il culto del Posidone ctonio e di Gea, dea della fertilità. In esse, oltre alla testa di Persefone, a Cerbero e al berretto di Ade, sono raffigurati anche il tridente e Pegaso, simboli di Posidone, «scotitore della terra» (έννοσίγαιος: Od., XI, 102; ένοσίχθων: Od., XI, 252). Con la prima colonizzazione del XIV-XIII sec. a.C. dal Peloponneso nord-occidentale o con la seconda colonizzazione degli Elei nell'VIII sec., Posidone e la dea della fertilità furono identificati con Ade e Persefone.

Bibl.: Relazioni di scavo in Ergon 1958-1964, 1975-1977 e in Prakt, 1958-1964, 1975-1977.

P. R. Franke, Die antiken Münzen von Epirus, II, Wiesbaden 1961, p. 40 ss., tavv. III-IV; S. I. Dakaris, in E. Melas (ed.), Tempel und Stätten der Götter Griechenlands, Colonia 1970, pp. 157-164; id., Cassopaia and the Elean Colonies (Ancient Greek Cities, 4), Atene 1971, pp. 4-5, figg. 7-8; id., Θεσπρωτία (Ancient Greek Cities, 15), Atene 1972, pp. 62-63, 74, 80, 95-96, 133-134, 199-200; I. P. Vokotopoulou, Οδηγός Μουσείου Ιωαννίνων, Atene 1973, pp. 40-44; D. Baatz, Hellenistische Katapulte aus Ephyra (Epirus), in AM, XCVII, 1982, pp. 211-233; S. I. Dakaris, Οδύσσεια και Ηπειρος, in Ιλιαδα και Οδύσσεια. Μύθος και Ιστορία. Πρακτικα του Δ ' Συνεδρίου για την Οδύσσεια, Ιθάκη 1984, Itaca 1986, pp. 141 ss., 151-167; I. Vokotopoulou, Βίτσα. Τα νεκροταφεία μιας μολοσσικης κώμης, III, Atene 1986; S. I. Dakaris, The Nekyomanteion of the Acheron (Archaeological Recept Found), Atene 1993.

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