MESSENE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

Vedi MESSENE dell'anno: 1961 - 1961 - 1973 - 1995

MESSENE (v. vol. IV, p. 1082 e s 1970, p. 477)

P. Themelis

Nel 1987 a M. ha avuto inizio un nuovo ciclo di scavi patrocinato dalla Società Archeologica di Atene (Ergon, 1986 ss.) riguardante il tempio e l'altare di Asclepio, il Sebastèion e la grande stoà a Ν di esso, il bagno (subito a S dell’Asklepièion), lo stadio, un heròon, il teatro, la fonte Klepsydra, una fontana nell'agorà, il Santuario di Artemide Limnàtis, un piccolo santuario fino a oggi ignoto, alle pendici dell'Itome a NO di quello della Limnàtis, e un grande edificio con pavimento marmoreo e statue nelle nicchie della parete settentrionale.

Il Tempio di Asclepio. - È un períptero dorico di 6 x 12 colonne, con pronao e opistodomo, entrambi con due colonne in antis. Le misure esterne dell'edificio sono di 13,67 x 27,94 m, mentre l'altezza totale si aggirava attorno ai 9 m. Poggia su una crepidine di tre gradini. Sul lato E dove si trova l'ingresso fu aggiunta più tardi una rampa in pòros, materiale impiegato anche nelle parti non visibili delle fondazioni, mentre tutto l'edificio è costruito con il compatto calcare locale. La cella vera e propria era sullo stesso piano del pronao, a eccezione della metà verso il fondo, dove era l’àdyton che si trovava su un piano più alto di un gradino, probabilmente separato dalla rimanente parte della cella da una balaustra in fondo a questo si trovava un gruppo di statue cultuali.

La crepidine del tempio, in calcare, posa su una fondazione di calcare arenario che arriva a una profondità di c.a 1,80 m fino alla roccia naturale, e comprende cinque assise. La trincea di fondazione in diversi punti era chiaramente visibile e intatta. Conteneva resti della lavorazione di blocchi, pietre, terra, poche ossa di animali e scarsi frammenti ceramici, alcuni dei quali, caratteristici, possono datarsi prima della metà del III sec. a.C.

Rifacimenti e incendi si sono susseguiti in tutta l'area fino alla tarda antichità quando una violenta distruzione, verosimilmente dovuta a un terremoto, ebbe come conseguenza il crollo del tempio e una drastica contrazione del culto e della vita in generale. In diverse trincee si sono rinvenute coppette monoansate o biansate, per lo più eseguite a mano, ma pure al tornio, frammenti di vasi ellenistici, piattelli e anche skỳphoi e kàntharoi; e ancora alcuni frammenti di lastrine votive fittili con figure a rilievo. Tanto le coppette quanto le lastrine rappresentano le consuete offerte a divinità ctonie, mentre mancano dediche proprie del culto di Asclepio come guaritore. Sembra così aver conferma l'ipotesi (Orlandos, 1976), accettata e sostenuta più recentemente con nuove argomentazioni (Feiten, 1983), che Asclepio non avesse a M. il carattere di divinità terapeutica, ma quello di figura «politica», di «cittadino di M.», per usare l'espressione di Pausania (IV, 26, 7), dal momento che il suo nome è presente nell'albero genealogico dei mitici re della Messenia, sia tra quelli che precedono, sia tra quelli che seguono il ritorno degli Eraclidi nel Peloponneso (Paus., IV, 31, 11-12). Sua madre era Arsinoe, figlia di Leucippo (una fonte dello stesso nome si trovava nell'agora della città). La descrizione di Pausania (IV, 31, 10) non è chiara riguardo l'appartenenza del grande tempio al centro del cortile porticato ad Asclepio o alla eponima eroina locale Messene, figlia di Triope. La base iscritta di un gruppo bronzeo (IG, I, 1443) attesta che l'eroina aveva l'appellativo di Hegemon, che è dato a personificazioni divinizzate di città (cfr. monete di età imperiale con testa della personificazione di M. con corona turrita sul recto e Asclepio sul verso). L'acrolito di culto «statua d'oro e di marmo pario» di M. vista da Pausania nel suo tempio doveva raffigurare la dea nel noto tipo della personificazione di città con corona turrita.

Nell'opistodomo del tempio Pausania vide e descrisse le pitture parietali raffiguranti quattordici o quindici eroi ed eroine della Messenia, opera del pittore Omphalion, allievo dell'ateniese Nikias (v. nikias,) la cui akmè si pone alla fine del IV sec. a.C.

I riempimenti argillosi che ricoprono e livellano l'anomala superficie del terreno naturale attorno al tempio contengono abbondante ceramica protogeometrica e geometrica, eseguita a mano e dipinta in una bottega locale che attesta la presenza di un abitato del IX-VIII sec. a.C. nelle immediate vicinanze, in un momento precedente e contemporaneo alle vicende della prima guerra messenica. Si rivela dunque erronea l'ipotesi che non esistano nel sito della città tracce di abitato precedenti alla fondazione della nuova M., liberata dai Tebani nel 370-369 a.C. Il primo insediamento umano nel luogo della città, attestato dal rinvenimento di due asce litiche di ottima fattura a SO del tempio e a S dello stadio, risalirebbe, infatti, al Tardo Neolitico o alla prima Età del Bronzo. Una continuità in epoca micenea è indicata dal trovamento fortuito di fuseruole di steatite, caratteristiche di quel periodo.

A 4,10 m a S dell'angolo SO del tempio si trovava un grande tratto di lastra di calcare, già messa in luce dagli scavi di Orlandos, ma trascurata nelle sue relazioni. Presenta al centro una cavità rettangolare scolpita, con due incavi circolari e uno rettangolare con canaletti per la colata del piombo, per assicurare un'opera in bronzo. Appartiene all'angolo SO del tempio ed era destinata a sostenere un acroterio angolare bronzeo. Questa scoperta ci restituisce contemporaneamente anche l'apertura dell'angolo frontonale (11°,52',26»). Della copertura in pietra si conservano diverse tegole piane con coppo incorporato, sime e gocciolatoi a protome leonina, ora nei depositi del museo.

Nel più tardo interro della cella, oltre a frammenti di elementi architettonici di ordine ionico e dorico in calcare e pòros, sono stati recuperati numerosi frammenti di statue marmoree maschili e femminili di varie epoche e di diverse dimensioni. In particolare due frammenti che conservano parti di un bastone appartengono a una figura maschile con himàtion, da identificare molto probabilmente con Asclepio. Tali frammenti dovrebbero provenire dalle statue votive che si trovavano intorno al tempio e nelle stoài dell’Asklepièion, o dagli edifici di culto dell'ala occidentale, compreso l’Artemìsion. La statua di Asclepio poteva essere eretta nell'edificio Y, dove erano poste le statue «del dio e dei suoi figli» viste da Pausania (iv, 31, 10). La statua di culto nell’àdyton della cella doveva essere, in base a tutti gli indizi, di dimensioni colossali.

L'Artemìsion e gli òikoi. - La costruzione più significativa dell'ala occidentale dell'Asklepièion è il Tempio di Artemide, a pianta rettangolare (10,30 x 5,80 m), diviso in tre navate, come nei prototipi orientali, con due doppie file di colonne disposte trasversalmente. La navata centrale, più ampia, preceduta da un ingresso tripartito con due coppie di colonne in antis al centro del lato lungo orientale, presenta sul fondo la base della statua di culto di Artemide. L'altare si trova in uno spazio ipetrale sull'asse dell'ingresso. Dinanzi alla statua di culto erano posti una tavola di offerte, di cui si conserva la base, e un bòthros. Tutt'intorno, disposti a cerchio, vi sono undici basamenti per offerte votive, la maggior parte per monumenti figurati. Altri due basamenti si trovano nella navata settentrionale; lungo i muri delle due navate sono basse banchine forse per i c.d. Sacri Vegliardi dell’Oupesìa o per coloro che partecipavano a rituali misterici. Questa Artemide di M. era venerata principalmente da donne in quanto protettrice dell'età neonatale e come nutrice (kourotròphos), al pari della Orthìa di Sparta (anche qui, nelle iscrizioni ha l'appellativo di Orthìa). Statue delle sacerdotesse erano poste nel tempio dai loro genitori o dai c.d. Sacri Vegliardi dell’Oupesìa.

Uno dei sei torsi di statue acefale di sacerdotesse rinvenute nello scavo del tempio reca un braccialetto al polso della mano sinistra mentre con l'altra mano impugna una piccola stele ermaica, pure acefala. Il torso potrebbe mettersi in rapporto con il testo inciso su due basamenti rinvenuti nelle vicinanze. In uno a parlare è la fanciulla di nome Megò, che ricorda come la sua immagine sia una dedica alla Orthìa da parte dei suoi genitori, Damonico e Timarchide. Anche l'altra iscrizione è in rapporto con la dedica della statua di Megò da parte dei genitori, a loro volta sacerdoti. Una delle basi delle sacerdotesse di Artemide reca la firma dell'artista Demetrios, figlio di Apollonios di Alessandria.

Di un certo interesse si è rivelato, nell'area dell’Artemìsìon, lo scavo degli òikoi, che attestano la presenza nel santuario di culti diversi. L’òikos M aveva una facciata con due colonne in antis; sul fondo si sono trovati basamenti rettangolari: imo più grande, al centro, che sosteneva l'immagine di Tyche e altri più piccoli che erano disposti su entrambi i lati. L’òikos Ν aveva le stesse misure del Tempio di Artemide e la stessa pianta tripartita con la differenza che invece di file di colonne trasversali aveva muri con porte nelle sezioni laterali e facciata con due colonne in antis. Nel settore centrale era posta la statua di Tebe, mentre sui due lati erano le statue di Eracle e di Epaminonda. L’òikos comunicava attraverso ima porta con il piccolo pròpylon Π; nella facciata e nella pianta mostra analogie con gli altri òikoi. Sull'esedra-basamento semicircolare erano poste le statue di Apollo e delle Muse. Il pròpylon Π aveva una porta su entrambi i lati; davanti a quella O era una tettoia. L'òikos Y era largo quanto gli altri, ma lungo m 15,20; i muri sui lati lunghi erano ciechi e attraverso una porta si accedeva al pròpylon Π e anche all'ambiente X. Nel muro occidentale si rinvenne la parte inferiore di un basamento in pietra. I due vani X e Y erano chiusi a S da un solido muro isodomo che fungeva anche da anàlemma del lato meridionale del cortile con quadriportico.

L'òikos H, un luogo di culto, presenta, a contatto con il suo muro N, un grande basamento per una statua o un gruppo cultuale. Davanti all'edificio si rinvenne una testa di statua maschile maggiore del naturale che G. Despinis ha identificato con Apollo, riconoscendovi un'opera dello scultore Damophon di M. (v.). Della statua, che era un aerolito, si rinvennero anche il braccio destro e frammenti del piede. Reimpiegato in un muretto moderno fu trovato un tratto del coronamento di un basamento di statua che conserva sul listello della fronte parte di un'iscrizione su tre colonne che, come è stato dimostrato, si congiunge con altri due frammenti già noti dello stesso coronamento (IG, iv, ι, 1443). La base integrata con il nuovo frammento sosteneva le statue bronzee, verosimilmente anche in questo caso dell'eroina nazionale, prima mitica regina della Messenia, Messene, che reca l'appellativo di Hegemon, e di suo padre Triope, mitico re di Argo (Paus., iv, 31, 11-12). I dedicanti e scultori della prima iscrizione, Philippos e Xenophilos, appartengono probabilmente alla quarta generazione di scultori della famiglia di Damophon di M., figlio di Philippos, mentre il Damophon e lo Xenophilos della seconda iscrizione apparterrebbero alla terza generazione. Sulla base dell'albero genealogico si può localizzare con maggior precisione tanto l'attività del capostipite Damophon nel primo quarto del II sec. a.C., quanto l'opera della quarta generazione di scultori, di Philippos e di Xenophilos figli di Damophon, figlio a sua volta di Xenophilos, alla prima metà del I sec. a.C., anche in conformità al tipo di lettere dell'iscrizione in questione. Damophon figlio di Xenophilos, la cui attività va posta, per quanto finora detto, verso gli ultimi decenni del II sec. a.C., dedicò la statua di sua moglie Teofania, figlia di Filonide, nell'Artemìsion dell'Asklepièion, come pure quella di suo figlio Xenophilos nell’Asklepièion. Una statua di bronzo di Xenophilos, figlio di Damophon, era stata posta su un alto basamento a Ν del Tempio di Asclepio, come indica l'iscrizione del coronamento. Le dimensioni di questa base permettono la presenza di diverse figure o di una statua equestre con palafreniere, di cui si conserva la pianta del piede destro sul coronamento stesso.

La stoà tardoromana. - Lo scavo ha portato alla luce i resti di un portico tardoromano a Ν del Sebastèion. La sua lunghezza totale raggiunge gli 80 m c.a senza che se ne sia scoperto ancora né il limite orientale né quello occidentale. Lo stilobate, anche nel settore occidentale finora scoperto, è realizzato con lastre di diverse grandezze che provengono da basamenti di offerte votive (ortostati e coronamenti con grappe di fissaggio per statue bronzee), due delle quali con iscrizione (una con firma dell'artista Archidamos, figlio di Aristandro).

Le colonne, doriche con venti scanalature piatte, sono costituite da due o tre rocchi per un'altezza totale di 3,25 m. Non si sono trovate parti della trabeazione, epistili, triglifi, metope, gèisa, il che fa concludere che la stoà non venne mai completata o che aveva una copertura provvisoria con travi di legno e tegole. Sembra più attendibile la prima ipotesi perché manca uno strato di distruzione con tegole di copertura in terracotta o in pietra.

Non esiste infine un piano stradale chiaramente distinguibile davanti allo stilobate in corrispondenza del piano di caduta delle colonne. La stoà venne dunque realizzata alla meglio e in fretta nella tarda antichità (IV sec. d.C.) per l'inquadramento sul lato S dell'agorà, utilizzando esclusivamente materiale di recupero, senza essere stata completata né utilizzata. Un rocchio di colonna reca nella parte superiore un'iscrizione su otto linee, datata al 99 d.C.

Il sacerdote di Zeus Ithomàtas, in questo caso Onesicrate, era l'eponimo dell'anno. La registrazione delle magistrature di agoranòmos e hypagoranòmos, che sono qui ricoperte da padre e figlio, mostra che la colonna iscritta e, per estensione, tutto il colonnato della stoà, provengono da un precedente edificio con porticato dell'agorà cittadina, che dovrebbe trovarsi immediatamente a N. Saggi in profondità lungo la faccia Ν dello stilobate della stoà e a contatto con il muro dell'edificio rivenuto di fronte confermano la presenza di un piano stradale classico-ellenistico e l'assenza di un consimile livello contemporaneo alla stoà.

Nel settore orientale della stoà tardoromana, tra l’òikos Η del Sebastèion e l’odèion, sono stati scavati tre ambienti separati tra loro da muri costruiti rapidamente con pietre di media grandezza senza malta di legamento, coevi alla stoà tardoromana e a questa collegati dal punto di vista funzionale, trattandosi con ogni probabilità di botteghe o magazzini.

I muri sono fondati su un riempimento artificiale di età ellenistica che, come si è appurato sulla base degli abbondanti materiali rinvenuti, era stato creato in funzione di un rialzamento del terreno. I tempi di formazione del riempimento (verso la metà del II sec. a.C.) costituiscono un terminus ante quem per la costruzione dell’odèion, dell’òikos H e del Sebastèion. L'uso primario e la funzione di quest'ultimo non avevano dunque alcuna relazione con il successivo culto degli imperatori e di Roma.

Le terme. - L'edificio rettangolare all'esterno del lato S dell'Asklepièion è stato a lungo ritenuto un pritaneo o una casa dei sacerdoti, mentre N. Papachatzis lo interpreta come lo Hierothysion menzionato da Pausania (IV, 32, 1). I recenti scavi hanno dimostrato che in questa costruzione deve riconoscersi una terma di epoca ellenistica. Sono presenti due fornaci per il riscaldamento dell'acqua e sale pavimentate a lastre; a SO delle terme è un edificio isolato utilizzato come latrina. Lo Hierothysion o Hierothèsion può ricercarsi nell'edificio vicino a E, che contiene anche un heròon funerario con doppia tomba. Nella tarda antichità con il termine hierothèsion si indicavano anche le tombe di defunti illustri eroicizzati che venivano onorati specialmente con azioni cultuali e comprendeva anche uno spazio per pasti rituali. Il bagno presenta due fasi struttive principali: una classico-ellenistica e una tardoromana. L'ultima fase romana (III-IV sec. d.C.) non sembra avere rapporti con l'uso e la funzione dell'edificio come bagno. Comprende un complesso di quattro ambienti rettangolari, in fila, per una lunghezza complessiva di 22 m e una larghezza di 7 m, la cui superficie si solleva progressivamente da O a E. Di incerta destinazione, il complesso è stato costruito sopra il settore Ν del bagno classico-ellenistico e con materiale proveniente dal bagno stesso.

La fase più antica, classico-ellenistica, comprende un edificio rettangolare indipendente (23 x 34,50 m), fondato su un riempimento artificiale sostenuto da muri di contenimento isodomi a O e a S. Lungo il muro di anàlemma occidentale, che si conserva per un'altezza massima di 2,50 m e presenta un condotto di scarico alla sua estremità, corre uno stretto viottolo che termina a Ν in un ingresso con soglia e porta. La presenza di corridoi è una delle caratteristiche di questa struttura, dove sono ovviamente presenti forni per il riscaldamento dell'acqua. Un altro elemento caratteristico del funzionamento dell'edificio è la presenza di sale pavimentate a grandi lastre rettangolari di calcare (11, 13, 14 e 17) pochissime delle quali sono conservate in situ. Queste poggiano su un solido strato preparatorio di file di blocchetti di tufo orizzontali e verticali che formano delle griglie. Quelle rimaste sul pavimento della sala 17 conservano anche tracce sicure di bassi incavi rettangolari probabilmente per la sistemazione di loutères. Da un'apertura sul muro orientale della sala 14 parte un condotto di scarico che passa dentro la piccola sala 13 e sbocca verso S, fuori dell'edificio.

L'ambiente più importante dell'edificio si trova nel settore NE; non è un peristilio, come si era ritenuto all'inizio, ma una piscina quadrata (6,50 m di lato) iscritta in una sala quadrata (11,50 m di lato). Il pavimento della sala si trovava a un livello più alto di quello della piscina, alimentata da condotti dagli angoli NE (con tubi di terracotta) e NO. Altri tre condotti, di epoche diverse, lungo il lato Ν della sala sono diretti verso il pozzo dell'area 4. All'edificio si accedeva dal lato N. Dal vano 6-7 che fungeva da pròpylon si giungeva all'ambiente centrale e di lì alle sale pavimentate a lastre.

Tutti gli elementi morfologici, strutturali e funzionali dell'edificio, la presenza di corridoi, di forni, di pavimenti a lastre, di sale con condotti di scarico, di una piscina con apporto di acque, rendono sicura l'identificazione come bagno. Si tratta di un esempio particolare e isolato di complesso balneare pubblico, che può confrontarsi, senza essere uguale, con i bagni di Olimpia, di Gortys d'Arcadia e di Eretria, per rimanere nell'area della Grecia propria.

Varî sondaggi hanno fornito informazioni per la cronologia delle fasi struttive dell'edificio: la seconda può datarsi in età augustea mentre la prima inizia alla fine del IV sec. a.C. e continua fino al II sec. a.C.

La ceramica è abbondante e comprende principalmente bacini e bacinelle, dìnoi e vasi lebetoidi, coppette, vasi chiusi di diverse forme, numerosissimi unguentari e decine di lucerne. Inconsueto è il grande numero di monete, compreso anche un tesoretto di 72 monete del I sec. a.C., rinvenuto nell'angolo SE della sala 11, che contribuisce a trovare un collegamento con i gruppi di materiali ceramici per una più precisa cronologia delle fasi struttive. Tra gli oggetti metallici si ricordano un paiuolo di bronzo e un contorniato di piombo che reca impressa una protome femminile volta verso sinistra con caratteri ritrattistici, forse di Agrippina Maggiore. Intorno alla testa girali vegetali, il maggiore dei quali dietro, sulla destra, rassomiglia a un lituus.

Sala lastricata. - A una distanza di c.a 100 m a E dell’Asklepièion fu scoperto nel 1966 l'angolo NE di un edificio tardoromano. In una breve campagna di recupero effettuata in quell'occasione si rinvennero alcune sculture, tra cui una testa di marmo raffigurante verosimilmente Hermes con due piccole ali sulla sommità del capo (alt. 0,30 m) e le gambe, dalle ginocchia in giù, appartenenti probabilmente alla stessa statua di Hermes, con plinto solidale e sostegno lungo la gamba destra recanti chiare tracce, nella parte posteriore, di un chitone talare di una statua femminile, più antica, riutilizzata. È stata inoltre recuperata una statua marmorea di imperatore (alt. 1,46 m) con plinto solidale e sostegno lungo la gamba sinistra portante, vestita di un lungo chitone manicato con apòptygma e clamide fermata da una fibula sulla spalla destra; reca nella mano sinistra una sfera, mentre la destra, eseguita a parte, è protesa verso l'alto in un gesto oratorio; sulla parte posteriore del plinto e del sostegno si conservano le tracce dell'abito di una statua più antica utilizzata anche in questo caso come materiale per l'esecuzione della scultura.

Tanto la statua di Hermes quanto quella dell'imperatore sono opere della stessa officina. Le loro caratteristiche tecniche (palpebre pesanti, occhi spalancati, fori all'iride, narici sporgenti e dorso del naso piatto, acconciatura in forma di parrucca con riccioli elicoidali, marcati segni di trapano, pieghe piatte), trovano corrispondenze in ritratti tardoantichi e in dittici consolari e imperiali della fine del V e degli inizî del VI sec. d.C., ma, trattandosi di opere di una bottega locale di stampo popolare, pare probabile una datazione al IV sec. d.C.

Lo scavo sistematico dell'edificio, in cui sono state rinvenute le sculture, ha messo in luce una grande sala con i muri rivestiti internamente di marmo, mentre il pavimento è lastricato con grandi placche rettangolari di calcare che affiancano un pavimento in opus sectile di marmi policromi e pietre con motivi geometrici. Qui si rinvenne una statua marmorea di Artemide rotta in dieci frammenti. La mancanza di un basamento e di qualsiasi traccia di fondazione sul pavimento e il grande spessore del muro in rapporto alle piccole dimensioni dell'opera (1,34 m) fanno concludere che la statua era sistemata in una nicchia del muro assieme a quelle di Hermes e dell'imperatore e che costituiva parte della decorazione della sala. Il plinto di marmo con i piedi risulta pertinente alla statua di Artemide che dopo il restauro è stata collocata nel museo di Mavromati. La raffigurazione della dea, nell'atto di estrarre una freccia dalla faretra, vestita di un chitone che forma un ampio kòlpos e di un himàtion avvolto al torso, è riconducibile al tipo dell'Artemide cacciatrice. La statua di M. sembra rappresentare una copia della statua acroteriale in marmo pentelico del Louvre, ritenuta a ragione la più significativa opera attica originale del IV sec. a.C. Le differenze basilari sono rappresentate dalla mancanza, nella replica di M., della faretra e del balteo, assenza che lascia sospeso e privo di significato il gesto del braccio destro sollevato oltre che, naturalmente, dalla qualità della lavorazione che risulta di molto inferiore. La replica di M. è tra i pochi esempì del tipo che conservano la testa, con in più tracce di policromia (colore biondo dei capelli). L'acconciatura trova confronti in repliche e varianti della Cnidia prassitelica. Lo stesso collegamento di elementi (testa e torso) derivanti da due diversi prototipi è un fenomeno tipico dell'epoca della copia che dovrebbe essere di età antonina, a giudicare anche dalla qualità della lavorazione. Allo stesso periodo viene datata da G. Despinis anche la statua di sacerdotessa dall'Artemìsion, che è una replica del tipo della Nemesi di Ramnunte e non rappresenta un'opera classicistica di epoca romana. Tanto l'Artemide quanto la sacerdotessa sembrano provenire dalla medesima officina in cui si lavoravano copie classicistiche.

Nello strato di distruzione della sala lastricata, oltre alla statua di Artemide, si rinvennero anche piccoli frammenti di sculture che sembra siano stati reimpiegati come materiale da costruzione. Le monete datano la distruzione dell'edificio agli ultimi decenni del IV sec. d.C., dopo il 360.

Teatro. - La menzione del teatro di M. da parte di Pausania (IV, 32, 6) è indiretta: «vicino al teatro è un Tempio di Serapide e di Iside». Esso si trova a NO dell'area dell'Asklepièion ma la maggior parte di esso è andata distrutta. Si conserva in superficie una gran parte del muro di anàlemma occidentale della cavea; sul lato occidentale presenta tre passaggi a sesto acuto, posti a distanza regolare (c.a 20 m tra l'uno e l'altro) che per mezzo di scale conducevano al diàzoma superiore. Nel rilevamento topografico generale è risultato possibile sia il calcolo approssimativo dell'estensione sia la ricostruzione della forma della cavea, che era a ferro di cavallo e misurava c.a 90 x 90 m.

Una trincea di saggio a contatto con la faccia esterna dell'anàlemma occidentale ha messo in luce per intero la porta (alt. 7,80 m) con la sua scalinata, in ottimo stato di conservazione per otto gradini. Un saggio all'esterno del teatro ha evidenziato un tratto di strada (cocci ellenistici nel battuto) con sottostante collettore costruito in pietra e coperto da grandi lastre di calcare; l'interro indica in età tardoromana il momento di riempimento e di interruzione dell'uso del condotto. Lungo il lato O della strada sono stati in parte scavati due ambienti di abitazione privata ellenistica, inserita nel tessuto urbanistico ippodameo della città. I muri recano segni evidenti di grossolani restauri con un secondo, successivo uso della casa che, in base alla ceramica e alle monete, si data in epoca tardoromana. Un secondo saggio, più a S, portò alla luce un'apertura dell’anàlemma della pàrodos occidentale verso l'orchestra, conservato fino all'altezza di tre assise di blocchi in calcare e fondato su un'euthynterìa in pòros, nonché un tratto di tre gradini di una grande scalinata con orientamento N-S che porta alla pàrodos dalla ¡terrazza posta più in basso. Trascurati rifacimenti e aggiunte di edifici attualmente di incerta natura di epoca tardoromana, ivi compresa una tomba a cista con tre scheletri, priva di corredo, rendono oscura l'immagine delle fasi ellenistiche della pàrodos.

La fontana dell'agorà. - Nel 1958, c.a 200 m a NO dell 'Asklepièion e 80 a E del teatro, erano stati scoperti i resti di un'esedra semicircolare, all'estremità occidentale di una stoà con resti di un colonnato interno che conserva parte della crepidine a tre gradini e dello stilobate con le tracce della messa in opera delle colonne (interasse 2,45 m). Un saggio, tra il muro occidentale della stoà e il muro isodomo di terrazzamento restaurato nel 1986, ha messo in luce, per una lunghezza di 6,50 m, lo stilobate di un colonnato con chiari segni circolari di posa in opera delle colonne e al centro incavi rettangolari di giunzione verticale i quali presentano un interasse di 2,20 m. Le lastre dello stilobate (0,75 x 1,10 x 1,20 m) recano contrassegni di montaggio, con lettere incise senza cura, che presentano leggere apicature, tipiche dell'epoca ellenistica. I contrassegni mostrano che lo stilobate proseguiva verso E per 5,50 m c.a, nella zona in cui era ricoperto da una struttura successiva costituita da una serie di lastre di calcare che nell'insieme provengono quasi tutte da basi di offerte votive. Questa struttura più tarda ha la forma di una piattaforma rettangolare di 5 x 3,5 m c.a che sporge fuori dallo stilobate ed è costituita da lastre di calcare e di pòros pertinenti a edifici o a basamenti più antichi. Davanti alla piattaforma, su un piano più basso di c.a 1 m, si è rinvenuta in situ parte di una base modanata pertinente a un basamento di offerta votiva a forma di π che sosteneva statue bronzee, come mostrano i tratti frammentati del coronamento modanato, che recano sulla superficie superiore cavità a forma di piante di piedi. Tre di questi frammenti conservano sulla fronte resti di iscrizioni. A contatto con la guancia interna dello stilobate e della piattaforma è stata scoperta parte del pavimento di una cisterna rettangolare di grandi dimensioni che sembra estendersi fino al muro di terrazzamento. Lungo il lato meridionale della cisterna si trovano condotti verticali fittili per l'acqua. Un canaletto di forma e di esecuzione simile a quello dell'adiacente stoà corre lungo il lato E della cisterna e si dirige con notevole pendenza verso S. Tra il canaletto e il muro occidentale della stoà si trova un ripido viottolo a gradini largo c.a 2 m.

Non vi è alcun dubbio che si tratta di una struttura di fontana cittadina, alla cui prima fase struttiva appartengono lo stilobate con il colonnato, il muro di terrazzamento, il canaletto e il basamento delle statue di bronzo. Sembra che assieme all'adiacente stoà, la cui lunghezza si calcola in c.a 80 m, questa fontana chiudesse da Ν l'area dell'agorà che giungeva fino alla larga strada lungo la fronte settentrionale del Sebastèion. La grande stoà tardoromana sopra descritta costituiva l'ultima fase della storia edilizia della città (IV sec. d.C.) sul limite meridionale dell'agorà.

Pausania (IV, 31,6) afferma che «nell'agora di M. vi è una statua di Zeus Sotèr e la fonte Arsinoe, nome che deriva da quello di una figlia di Leucippo, e vi scorre l'acqua di una sorgente chiamata Klepsydra». La fontana recentemente scoperta dovrebbe effettivamente aver ricevuto acqua dalla sorgente Klepsydra, che si trova nel villaggio di Mavromati. La sua posizione presso la stoà settentrionale dell'agora consente una probabile identificazione con la fonte Arsinoe menzionata da Pausania.

Con l'agorà di M. e di fatto con il Tempio di Zeus Sotèr, la cui statua è ricordata da Pausania (IV, 31,6), va posto in relazione un frammento in pòros, rinvenuto a Ν del Sebastèion, che, al centro di una cavità romboidale, reca il fulmine alato di Zeus. Un secondo frammento, simile e meglio conservato, senza una precisa indicazione di provenienza, si conserva nei depositi del museo.

Lo stadio. - Il settore N, a ferro di cavallo, ha una lunghezza di 61 me una larghezza di 65 m, con un diametro della sphendòne di 36 m, ed è costruito interamente in calcare locale. Comprende quindici settori di gradinate (kerkỳdes) dei quali ne sono stati attualmente messi in luce sette del lato occidentale e quattro di quello orientale. Scale con diciannove gradini larghi 0,50 m spartiscono le gradinate in settori misuranti ciascuno c.a 14,60 m di lunghezza e 8,40 di larghezza. Ciascun settore comprende inoltre un massimo di diciannove file di sedili monolitici. Due corridoi larghi 0,65 m delimitano in alto e in basso le gradinate, quello inferiore che non sembra aver avuto balaustre poggia su ortostati i quali si fondano su un basamento.

La curva della sphendòne è circondata sui tre lati da stoài di ordine dorico, i cui colonnati, particolarmente lungo i lati O e N, si trovano in gran parte ancora in situ, emergendo verticalmente dal terreno. La stoà settentrionale ha una larghezza di 10,80 m ed è doppia, mentre quelle orientale e occidentale sono semplici e larghe 8 m. Le colonne doriche di calcare sono di regola monolitiche e presentano venti scanalature. La loro altezza, compreso il capitello, è di 3,15 m. Della copertura dei portici sono state rinvenute fino a questo momento tegole sia litiche, sia fittili, principalmente sime con girali vegetali e antefisse con palmette. Un tratto dello stilobate è venuto alla luce nella stoà occidentale e al centro di quella settentrionale.

Le stoài orientale e occidentale proseguono verso S anche oltre i limiti della sphendòne con una leggera inclinazione verso l'esterno coprendo tutta la lunghezza della pista. Il pendio degli spettatori nel settore meridionale, ampliato, non aveva sedili di pietra. La lunghezza della pista dal vertice della sphendòne fino al muro di fondo è di 181 m. Tale misura si accorda con quella della pista dello stadio di Epidauro che è di 181,08 m. Gli stadi di Atene e di Delfi, come pure quello di Rodi, presentano somiglianze morfologiche con lo stadio di Messene.

Non possediamo ancora indicazioni di scavo per la cronologia dello stadio, tuttavia gli elementi architettonici sono probabilmente del tardo periodo ellenistico, epoca in cui si datano tutti gli edifici pubblici e sacri fino a questo momento esplorati come il complesso porticato dell’Asklepièion con il grande tempio al centro, il Sebastèion a N, l'odèion e il synèdrion a E, e il Santuario di Artemide a O, come pure il teatro.

Un saggio effettuato dinanzi al terzo settore della gradinata sul lato O ha dimostrato che lo stadio venne abbandonato e si interrò alla fine del IV o agli inizî del V sec. d.C. Lo strato più basso di riempimento, che ricopre la pista fin circa all'altezza del primo diàzoma, conteneva centinaia di frammenti di lucerne databili a questo periodo. Il grande numero e la loro presenza qui costituisce un problema che troverà probabilmente la sua soluzione con il proseguimento dello scavo.

Heròon. - Una struttura inseparabile dallo stadio al quale è collegata sia dal punto di vista architettonico sia da quello funzionale è rappresentata dall’heròon. Si tratta di un tempio di ordine dorico, su podio rettangolare, eretto sul lato meridionale dello stadio. La facciata è rivolta verso N, guarda perciò verso l'interno dello stadio e ha il suo medesimo orientamento. Sulla base della pianta integrata e dei disegni ricostruttivi del Blouet l'edificio aveva una cella quasi quadrata (3,80 m di lato) e un più ampio vestibolo rettangolare di c.a 6,50 x 3,45 m, con due colonne doriche in antis sulla fronte settentrionale.

Il podio appare fornito di una gradinata e reca un rivestimento di lastre alternativamente di pòros (più spesse) e di calcare (più sottili). L'interno presenta un riempimento di piccole pietre irregolari legate da malta di calce poco consistente.

Gli elementi architettonici, gli epistili con cornici, i gèisa, i triglifi uniti alle metope, i capitelli, le elaborate rosette sui capitelli dei pilastri della facciata sono testimonianze del tardo periodo ellenistico. Della copertura si sono rinvenuti diversi frammenti di tegole e di coppi di tipo corinzio, nonché sime e antefisse con palmette, tanto in pietra quanto in terracotta. Tra i voluminosi frammenti di elementi architettonici del tempio, sono stati trovati pure centinaia di frammenti di sculture di marmo. Tra questi, la base di una statua a grandezza naturale; una figura distesa su una klìne, vestita di un leggero chitone e di un himàtion ricadente sul davanti con ricche pieghe, che rappresenta uno dei più antichi esempî di monumento funerario a klìne, probabilmente di epoca augustea, noto finora in pochi esemplari (Maratona, Alessandria e Rodi); un'imago clipeata della stessa epoca, di loricato acefalo, con un elaborato gorgòneion sul petto. Inoltre una testa maschile di grandezza naturale in calcare con caratteri ideali, espressione marcata, capelli folti e lavorati, forse derivante da teste di rilievi funerari del IV sec. a.C., in cui si riconosce l'intenzione di rendere anche caratteristiche soggettive: uno «pseudo-ritratto» I che presenta difficoltà di datazione per la cattiva qualità del materiale e l'erosione.

Un'iscrizione lacunosa, rinvenuta nell'area dell'heròon tra elementi architettonici alla sommità del podio, è stata ora integrata con un nuovo frammento nel quale si legge αριών xaipe, in lettere databili in epoca tardo-ellenistica. Non vi è dubbio che si tratti dell'iscrizione di un tempietto funerario e non di un testo votivo o relativo alla costruzione di un edificio.

Certamente funerario è anche il carattere di tutte le sculture brevemente descritte. Basamenti di stele funerarie, frammenti di diversa grandezza di naìskoi funerari, iscrizioni su lastre di pòros (ευτυχεί, ευτυχείτε, ευτυχεί θαλια) si rinvennero sparse in varî punti ai lati del podio. Tutti i dati fanno concludere che l'edificio abbia carattere funerario e che si tratti di una sorta di Heròon mausoleo, forse con camera funeraria.

Un'iscrizione del I sec. a.C. rinvenuta presso lo stadio (IG, V, I, 1427) ci informa circa le modalità del culto praticato nel giorno della morte di un cittadino benemerito di Messene. Con decreto del popolo si fonda un monumento funerario con una statua in onore di un defunto illustre al quale sono resi onori annuali dall'agonoteta. Si direbbe che questa testimonianza si riferisca alla fondazione dell'heròon/mausoleo, portato alla luce a S dello stadio dalle nuove ricerche a Messene. Una personalità influente e facoltosa, alla quale, stando alla testimonianza di Pausania (IV, 32, 2), M. tributava onori eroici, era il contemporaneo gran sacerdote Saitida. Pausania aveva visto a M. nel suo heròon una raffigurazione scultorea, appartenente a un omonimo antenato del Saitida dei suoi giorni. È verosimile, anche se non ancora certo, che l'edificio dello stadio appartenesse alla famiglia dei Saitidi. In esso erano seppelliti e ricevevano onoranze eroiche i suoi membri più illustri, dal I sec. a.C., quando fu fondato, almeno fino ai tempi di Pausania (160 d.C).

La doppia tomba a cista a S dell’Asklepièion, presso il c.d. Pritaneo, è assai modesta e in ogni caso non offre elementi tali da giustificare la sua identificazione con l’heròon funerario della famiglia dei Saitidi, come sosteneva G. Oikonomos.

La presenza di questo monumento funerario nello stadio, il collegamento architettonico con lo stadio stesso e la probabile relazione con le gare che vi si svolgevano durante i Rhomàia, e probabilmente anche durante gli Asklepièia e gli Ithomàia, giochi attestati a M. da numerose testimonianze epigrafiche, richiamano le tradizioni sulla natura ctonia delle prime origini degli agoni panellenici.

La fonte Klepsydra. - In occasione di lavori di sistemazione dell'area della sorgente nel villaggio di Mavromati e della sovrastante cappella bizantina di Haghios Ioannis tou Rhiganà fu condotto uno scavo che ha permesso di verificare la presenza, nello stesso luogo, di una fontana antica di dimensioni monumentali, i cui resti erano stati incorporati nelle più recenti strutture. Comprendeva un ampio portico di c.a 6 x 112 m, di cui si conserva parte dello stilobate. Il moderno muro di sostegno della cisterna poggia sui resti di quello antico, in opera isodoma. In un riempimento presso la cisterna si rinvenne un basamento di statua, sulla cui faccia anteriore è incisa una dedica ad Acheloo, in lettere degli inizî dell'età ellenistica. Nel medesimo riempimento si rinvennero statuette fittili femminili, per lo più figure con himàtion, frammenti di una tavoletta e di astragali, alcuni frammenti ceramici di epoca geometrica ed ellenistica, il labbro di un lebete di bronzo, un frammento di coronamento di altare in calcare. Tutto questo materiale appartiene al deposito di un santuario dedicato al culto di Acheloo.

I resti architettonici del santuario, la cui fondazione, per quanto deduciamo dalla ceramica, risale al periodo geometrico al pari dell'edificio che è apparso sotto l'atrio dell’Asklepièion, si trovano sotto la chiesetta di Haghios Ioannis tou Rhiganà. Pausania menziona la fonte Klepsydra che va identificata con l'attuale fontana lungo la strada verso l'acropoli e il Santuario di Zeus Ithomàtas (Paus., IV, 33,1), ma non conosce il Santuario di Acheloo poiché, a quanto pare, questo non era più in funzione ai suoi tempi.

Il Santuario di Artemide Limnàtis. - In località Spelouza a NE del villaggio di Mavromati, Ph. Lebas aveva individuato le fondazioni di un tempietto ionico con due colonne in antis, un altare e il recinto del témenos. Il rinvenimento nello stesso luogo di iscrizioni di sacerdoti di Artemide Limnàtis lo aveva portato all'identificazione del tempio. Un'altra iscrizione riferita a una sacerdotessa di Artemide Limnàtis è stata rinvenuta molto lontano da Spelouza.

Un'accurata pulizia dell'area ha portato alla luce i resti architettonici del tempio ionico (16,70 x 10,60 m), al centro del quale si conserva la base della statua di culto. Sono stati scoperti anche l'altare, un tratto del períbolo ed edifici annessi a S e a SO del recinto sacro.

Santuario di Zeus Ithomàtas. - L'area dell'acropoli è costituita da una serie di cime con selle fortificate. Sulla vetta più alta è stato eretto l'antico monastero di Boukranos. Più a E, sulla stessa cima, si conservano le fondazioni del Santuario di Zeus Ithomàtas, che secondo la tradizione fu fondato dai primi re della regione, Policaone e Messene. Durante il regno dell'epitide Glauco il culto si estese anche agli abitanti di stirpe dorica. Il piede bronzeo di un tripode votivo, rinvenuto presso il monastero, prova che il culto di Zeus Ithomàtas risale almeno al periodo geometrico (IX-VIII sec. a.C.).

Si ritiene che la statua di Zeus raffigurata sulle monete di M. con fulmine nella destra e aquila nella sinistra riproduca la figura di Zeus Ithomàtas. Pausania (vii, 24, 4) lo presenta come un fanciullo divino allevato dalle ninfe Neda e Itome. Il sacerdote conservava nella sua casa la statua dello Zeus fanciullo. Sembra che il tipo di Zeus con il fulmine fosse la statua di culto, mentre la piccola statua di Zeus fanciullo, che lo scultore Ageladas (fine VI - inizî V sec. a.C.) aveva eseguito per i Messeni di Naupatto, era stata collocata nel santuario dai Messeni espatriati ed era utilizzata dal sacerdote per le cerimonie rituali annuali. Aristomene sacrificò per Y Ithomàtas trecento nemici tra i quali anche il re dei Lacedemoni Teopompo. Questi sacrifici umani ricordano il culto arcadico di Zeus Lykàios. In onore dûYIthomàtas si tenevano nello stadio anche agoni, gli Ithomàia, della cui organizzazione si facevano carico sacerdoti, agonoteti, ieroteti, segretari e «caleidofori» (cfr. IG, IV, 1, 1467, 1468).

Il tempietto alle pendici dell'Itome. - Sulle pendici meridionali dell'Itome, 300 m a NO del Santuario di Artemide Limnàtis, è stato individuato un santuario finora sconosciuto. Costruito su un piano roccioso è costituito da una cella quasi quadrata (5,45 x 5,15 m). Sul lato Ν si conservano in situ gli ortostati e due assise dell'alzato per un'altezza conservata di 2,10 m.

L'angolo SO della cella è completamente distrutto; al centro del lato E si trova l'apertura di accesso, larga 1,48 m con una soglia monolitica di calcare. Nella metà meridionale del portico si consèrvano solo le lastre dell'euthynterìa, mentre in quella settentrionale si è salvato uno dei due gradini della crepidine.

Sulla superficie superiore della parte conservata del primo gradino si vede incisa l'iscrizione: θηρυλος enik' αιθιδας (I sec. d.C.).

Lungo il lato Ν del tempietto vi è un muro di terrazzamento di blocchi di calcare non lavorati, conservato per un'altezza di 2,50 m, che trattiene la terra della soprastante terrazza, sulla quale rimangono gli avanzi di una struttura rettilinea a forma di L a una distanza di 9 m; verso O si conservano i resti di un'altra struttura di incerta natura.

Lo scavo scioglierà probabilmente il problema della datazione e dell'identificazione del tempietto; tuttavia gli elementi della costruzione sembrano indicarne l'epoca ellenistica. Tra l'altro il sito del tempio sulle pendici del monte e la presenza di una mensola incorporata nell'architettura all'interno del tempio per la collocazione delle offerte costituiscono indizî di un culto ctonio che ha rapporti con una divinità della natura del mondo animale e vegetale. Tale divinità potrebbe essere Artemide Làphria, la cui festività annuale a Patrasso è descritta con molti particolari da Pausania (VII, 18, 11-13). Artemide Làphria era venerata anche a M., ma il sito del santuario con la statua di culto opera di Damophon non emerge con sicurezza dal testo di Pausania (iv, 31, 6), il quale non fa menzione neppure del Santuario della Limnàtis lungo la strada verso il Santuario di Zeus Ithomàtas, sulla vetta dell'Itome.

Le monete. - A M. sono state trovate molte monete di bronzo e quattro d'argento; per la maggior parte provengono dal bagno. Coprono in linea generale due periodi cronologici corrispondenti alle due epoche di massima fioritura e di attività architettonica della città: il periodo classico-ellenistico (IV-I sec. a.C.) e quello tardoromano (II-IVsec. d.C.).

Esse presentano un particolare interesse poiché, in rapporto con i dati di scavo, illuminano diversi aspetti della storia edilizia dell'edificio e portano provvisoriamente a distinguere una prima fase del IV-III sec. a.C. (impianto originario) e una seconda fase che abbraccia la prima metà del II sec. a.C. Ugualmente importanti sono le monete, che permettono la datazione alla metà o alla seconda metà del II sec. a.C. del riempimento effettuato per rialzare il terreno sul retro dell’òikos H e davanti alla rampa dell'odèion.

Una moneta dalla cella e tre da rinvenimenti occasionali si datano al periodo protobizantino (V-VII sec. d.C.) e vanno poste in relazione con lacerti finora sparsi di una o più basiliche paleocristiane.

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