METABOLISMO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

METABOLISMO (XXIII, p. 17; App. II, 11, p. 293; III, 11, p. 68)

Carlo Alfonso Rossi
Libero Martoni

Si può affermare che gli organismi viventi creano e mantengono il loro essenziale ordine interno a spese dell'ambiente circostante nel quale provocano aumento del disordine e della casualità della distribuzione molecolare (v. anche bioenergetica, in questa App.). L'ambiente che li circonda è assolutamente essenziale agli organismi viventi non solo come sorgente di energia libera ma anche come fonte di materie prime. Gli organismi viventi sono sistemi aperti poiché scambiano materia ed energia con l'ambiente; hanno la caratteristica di non essere in equilibrio con l'ambiente stesso.

Tutte le cellule viventi hanno tre fondamentali necessità: energia (generalmente sotto forma di ATP), "potere riducente" (NADPH) e materie prime per biosintesi; il modo con il quale sono soddisfatte queste necessità costituisce il criterio per la prima e più importante classificazione degli organismi in autotrofi ed eterotrofi.

Gli autotrofi soddisfano tutti e tre questi bisogni fondamentali dall'ambiente inorganico circostante senza dover ricorrere a composti prodotti da altri organismi. Così tutti i loro composti organici devono essere sintetizzati dall'unico composto inorganico del carbonio disponibile, l'anidride carbonica. Tra questi organismi, i chemoautotrofi possono ottenere "potere riducente" per ossidazione di materiali inorganici quali l'idrogeno e composti ridotti dello zolfo e dell'azoto (ogni specie di solito utilizza selettivamente un solo donatore di elettroni).

Questi medesimi composti ridotti forniscono gli elettroni per la rigenerazione dell'ATP mediante fosforilazione associata al trasferimento di elettroni (vedi oltre).

I fotoautotrofi invece ottengono l'ATP mediante fosforilazione legata al trasferimento di elettroni in un processo ciclico durante il ritorno di un elettrone eccitato fotonicamente alla clorofilla allo stato fondamentale, e sono anche in grado di utilizzare questi elettroni eccitati per ridurre il NADP+ estraendo elettroni dall'acqua per rimpiazzare quelli derivati dal sistema della clorofilla. Questi organismi hanno quindi conseguito l'indipendenza da tutte le sorgenti di energia eccetto il sole e da tutte le sorgenti di elettroni eccetto l'acqua (v. fotobiologia; fotosintesi, in questa App.).

Per questa ragione la fissazione della CO2 fotoautotrofica è la base principale della catena alimentare sia sulla terra che nel mare.

Gli eterotrofi, in genere, dipendono da composti organici preformati per tutte e tre le necessità primarie. Anche se nel m. eterotrofico un poco di anidride carbonica è "fissata", particolarmente nella sintesi di aminoacidi, le cellule eterotrofiche funzionano a spese di composti prodotti da altre cellule e sono incapaci di netta fissazione di anidride carbonica. Alcuni batteri sono in grado di rigenerare l'ATP fotochimicamente, ma non possono rifornire di elettroni l'NADP+ mediante reazioni fotochimiche. Questi fotoeterotrofi dipendono anch'essi come gli altri eterotrofi da composti organici preformati; possono tuttavia essere capaci d'incorporare nei loro componenti cellulari quasi tutta la sostanza organica che assorbono. L'apparato fotochimico mette in grado i fotoeterotrofi di utilizzare con migliore rendimento i nutrimenti organici, ma non li rende indipendenti da questi nutrimenti.

Benché dipendano tutti da composti organici preformati, gli eterotrofi si differenziano nettamente per il numero di composti essenziali. Alcuni batteri e funghi possono produrre tutti i costituenti cellulari a partire da una sola idonea sorgente di carbonio ma molte altre specie, tra cui molti microrganismi, hanno perduto qualcuna o anche molte capacità di biosintesi.

Per i mammiferi quasi la metà degli aminoacidi sono nutrienti essenziali; per di più, questi organismi sono incapaci di sintetizzare parecchi cofattori metabolici (di qui il bisogno nutritivo di vitamine).

Alcuni batteri e parassiti hanno esigenze nutritive anche più stringenti. Talvolta in uno stesso organismo multicellulare le cellule di un tipo dipendono dai prodotti del m. delle cellule di un altro tipo. Anzi, questa interdipendenza nutrizionale assurge a principio organizzativo nell'evoluzione degli organismi multicellulari. In generale le cellule degli animali superiori abbisognano per crescere di molti componenti esogeni. In realtà le complesse esigenze nutritive per coltivare certe cellule di mammifero in vitro sono tuttora ignote.

Vie metaboliche. - Le trasformazioni chimiche del mondo vivente avvengono per piccole tappe ciascuna delle quali è catalizzata da un enzima. Le reazioni e gli enzimi che da un composto portano a un altro, biologicamente importante, attraverso una serie di intermedi, costituiscono una via metabolica.

Gli enzimi sono le unità catalitiche del m.; sono catalizzatori molto efficaci, ma la loro specificità limita il loro campo d'azione. Un enzima favorisce di solito una sola reazione che apporta una ben determinata modificazione della struttura covalente del composto su cui agisce (substrato), convertendolo in un prodotto che a sua volta cadrà nel campo di specificità di un altro enzima e compirà un altro passo nella trasformazione di un precursore nel prodotto finale di un processo o via metabolica.

Le vie anaboliche e cataboliche quindi risultano costituite da serie di enzimi che funzionano in sequenza catalizzando reazioni consecutive legate da intermedi comuni, così che il prodotto del primo enzima diviene il substrato del secondo e così via (v. enzimi, in questa App.).

Trasformazioni dell'energia.

I processi metabolici costituiscono un sistema dinamico nel quale c'è un flusso netto di materia e di energia così che l'intero processo è lontano dall'equilibrio; naturalmente la direzione del flusso nella via metabolica sarà imposta dalla posizione di equilibrio delle reazioni che la costituiscono.

Un processo lontano dallo stato di equilibrio subirà una perdita di energia libera al progredire verso l'equilibrio, e questa energia libera potrà essere tutta dissipata come calore oppure, in parte, conservata in forme idonee all'impiego della cellula.

Processi come la glicolisi o l'ossidazione aerobica del glucosio saranno mantenuti continuamente lontani dall'equilibrio mediante il continuo scambio di materia e di energia fra l'organismo e l'ambiente; i substrati delle vie metaboliche sono continuamente attinti dall'ambiente e i prodotti finali continuamente restituiti all'ambiente. La condizione nella quale i substrati affluiscono continuamente e i prodotti sono continuamente rimossi, così che le concentrazioni degl'intermedi restano costanti nonostante un flusso costante attraversi la via, è nota come "stato stazionario". Può essere definita come una condizione dinamica stabile lontana dall'equilibrio, a differenza dai sistemi in equilibrio nei quali il flusso netto è zero e di conseguenza la variazione di energia libera è anche nulla.

Energia libera. - L'energia che può compiere lavoro in condizioni isotermiche è l'energia libera (o anche energia libera di Gibbs) e s'indica con il simbolo G. Le unità di G sono le calorie o le chilocalorie (kcal). Le variazioni dell'energia libera (ΔG) sono definite in termini di temperatura assoluta (T) e delle variazioni del contenuto in calore o entalpia H) e in entropia S) del sistema dalla relazione:

Si noti che il termine ΔS è negativo: quindi un aumento di S porta a una diminuzione di G. Poiché sappiamo dal secondo principio della termodinamica che S tende ad aumentare, ne segue che G deve tendere a diminuire oppure ad approssimarsi a un minimo. Ne segue un'importante generalizzazione: le reazioni che implicano un cambiamento di energia libera procederanno spontaneamente soltanto nella direzione che porta a una diminuzione dell'energia libera, cioè nella direzione che dà un valore negativo al ΔG. Il ΔG di una reazione dipende solo dall'energia libera dei prodotti (stato finale) meno quello dei reagenti (stato iniziale): indipendentemente dal meccanismo secondo il quale una trasformazione avviene. Per es., il ΔG per l'ossidazione del glucosio a CO2 ed H2O è lo stesso sia che la trasformazione avvenga per combustione in vitro o per il tramite di una serie di reazioni enzimatiche in vivo. Inoltre non ci dà informazioni sulla velocità della reazione.

Variazione standard dell'energia libera di una reazione e sue relazioni con la costante di equilibrio. - Per la reazione

il cambiamento dell'energia libera ΔG a pressione e temperatura costanti sarà dato dall'espressione:

nella quale ΔG° è la variazione standard dell'energia libera, R è la costante dei gas, T la temperatura assoluta e [A], [B], [C] e [D] sono le concentrazioni molari (più esattamente le attività) dei reagenti.

ΔG° è la variazione di energia libera per questa reazione in condizioni standard, cioè quando A, B, C e D sono presenti alla concentrazione 1 M a 293 K (25 °C) e alla pressione di 1 atmosfera. Quindi il ΔG di una reazione dipende dalla natura chimica dei reagenti e dei prodotti (che influiscono sul ΔG°) e dalle loro concentrazioni (che intervengono nel termine logaritmico dell'equazione). Per le reazioni biologiche per convenzione si considera pH7 come stato standard, per conseguenza all'attività dell'H+ corrispondente a pH7 è attribuito il valore 1 nel calcolo dei ΔG; anche l'attività dell'acqua è posta uguale a 1. Le variazioni standard di energia libera a pH7 s'indicano col simbolo ΔG°. All'equilibrio ΔG = 0 e l'equazione [3] diviene

da cui

Ricordando che la costante di equilibrio in condizioni standard è

sostituendo si ha

Quindi la variazione standard di energia libera e la costante di equilibrio sono legate da una relazione semplice.

È estremamente importante comprendere la differenza fra ΔG°, la variazione standard di energia libera, e il ΔG attuale di una certa reazione. È infatti il ΔG che determina se una reazione chimica avverrà nella direzione scritta partendo da una certa concentrazione di reagenti e di prodotti. Il ΔG può essere maggiore, minore o uguale al ΔG° a seconda della concentrazione dei reagenti. Il criterio di spontaneità è il ΔG non il ΔG°.

Quando una reazione progredisce verso l'equilibrio a temperatura e pressione costanti con declino dell'energia libera, essa può in linea teorica compiere una quantità di lavoro energeticamente equivalente alla diminuzione di energia libera. In realtà una reazione chimica potrà svolgere lavoro solo se ha luogo in un sistema capace di utilizzare quella trasformazione di energia.

Il ΔG° rappresenta il massimo lavoro che in teoria una reazione chimica potrebbe compiere, quello svolto in realtà potrà essere molto meno o anche zero a seconda dell'efficienza del "trasformatore" disponibile per convertire in lavoro la variazione di energia libera.

Natura additiva delle variazioni di energia libera standard. Reazioni accoppiate. - La variazione di energia libera complessiva di una serie di reazioni consecutive accoppiate da intermedi comuni, è uguale alla somma delle variazioni di energia libera delle reazioni individuali.

A titolo di esempio si considerino le reazioni consecutive seguenti: esse sono accoppiate tramite un intermedio comune; B è prodotto della prima e reagente della seconda, C è prodotto della seconda e reagente della terza:

La somma di queste reazioni è A D la cui variazione standard di energia libera ΔG8°′ è data dalla somma algebrica dei valori di ΔG°′ delle tappe individuali ognuna col proprio segno:

L'unico modo per trasferire energia chimica da una reazione a un'altra in condizioni isotermiche è che le due reazioni abbiano un intermedio comune. Quasi tutte le reazioni metaboliche nella cellula procedono in sequenze consecutive di questo tipo.

Nelle reazioni consecutive che realizzano trasferimenti di energia mediante l'ATP, l'energia chimica è trasferita da un composto donatore di gruppi fosforici ad alta energia libera di idrolisi all'ADP ed è conservata sotto forma di ATP prodotto nella reazione. Nelle reazioni successive, nelle quali l'ATP è un substrato, il suo gruppo fosforico terminale è trasferito su un accettore che si trasforma così in un composto a più alto contenuto energetico. L'ATP è così un intermedio comune che serve ad accoppiare reazioni enzimatiche che comportano trasferimento di gruppi fosforici ed è così un veicolo per il trasferimento dell'energia chimica. Si deve a F. A. Lipmann l'attribuzione all'ATP del ruolo di trasportatore generale dell'energia nella cellula con un meccanismo ciclico schematizzabile com'è illustrato nella fig. 1.

L'ATP, nucleotide costituito da adenina, riboso e tre residui fosforici, agisce di solito sotto forma di complesso con ioni bivalenti come il Mg++ o il Mn++.

La sua funzione di trasportatore di energia è accentrata sul gruppo trifosforico: l'ATP è una molecola ricca di energia perché i tre residui fosforici sono legati da due legami fosfoanidridici mentre il legame con il pentoso è di tipo estereo. Una grande quantità di energia libera è svolta quando l'ATP s'idrolizza in ADP e ortofosfato inorganico oppure quando s'idrolizza in AMP e pirofosfato.

Il valore elevato del ΔG°′ in confronto con il ΔG°′ d'idrolisi degli esteri fosforici semplici è la ragione per cui i primi sono talvolta denominati come "composti altamente energetici" o anche "legami fosforici altamente energetici" per i quali anche si usa il segno ~.

Il ΔG°d'idrolisi dell'ATP varia con il pH, con la concentrazione del Mg++ e nelle condizioni presenti nelle cellule è di circa 12,5 kcal mol-1.

I composti fosforilati presenti nelle cellule sono spesso classificati in relazione al valore del ΔG°′ d'idrolisi (o del potenziale di trasferimento del gruppo fosforico che è dato dal numero corrispondente al ΔG°′ cambiato di segno) (tab. 2). Come si può vedere, l'ATP occupa una posizione intermedia in questa scala della "tendenza" dei composti fosforilati a cedere il loro fosfato; va sottolineato infatti che, qualora fosse presente l'enzima adatto, tutti i composti che precedono l'ATP in questa scala tenderebbero a donare il loro fosfato a un idoneo accettore di fosfato come per es. l'ADP, e così anche l'ATP stesso farebbe nei riguardi dei composti che lo seguono. La posizione intermedia dell'ATP nella scala termodinamica dei potenziali di trasferimento dei gruppi fosforici e la specificità degli enzimi che trasferiscono il fosfato per l'ADP e l'ATP come accettore e donatore rispettivamente, significa che il sistema ATP-ADP è l'intermedio comune obbligatorio, o trasportatore di gruppi fosforici, dai composti fosforati ad alto potenziale di trasferimento generati durante il catabolismo (si pensi, per es., all'1,3 difosfoglicerato o al fosfoenol piriuvato prodotto nella glicolisi) a certi accettori di fosfato che risultano così attivati. La fosfocreatina, la fosfoarginina e ipolimetafosfati fungono da riserva di gruppi fosforici altamente energetici.

L'ATP può donare l'ortofosfato oppure il pirofosfato durante la sua utilizzazione nelle reazioni di biosintesi, convertendosi rispettivamente in ADP oppure in AMP.

L'AMP è rifosforilato ad ADP nella reazione adenilatocinasica: ATP + AMP = 2ADP; e gli altri nucleosidi trifosfati - come il GTP, UTP, CTP, dATP, dTTP, ecc. - partecipano anch'essi come trasportatori di gruppi fosforici ad alto potenziale di trasferimento in specifiche vie biosintetiche: i rispettivi nucleosidi mono- e di- fosfati possono poi essere nuovamente fosforilati a spese dell'ATP, in reazioni del tipo:

Dinamica del ciclo di demolizione e resintesi dell'ATP nella cellula. - Nella cellula allo stato stazionario le concentrazioni dell'ATP, ADP e AMP sono relativamente costanti; la concentrazione dell'ATP è molto maggiore in rapporto a quelle della ADP e AMP, quindi il sistema adenilico è carico di fosfati ad alta energia (D. Atkinson).

A ogni richiesta di lavoro "extra" si avrà abbassamento della concentrazione dell'ATP e aumento di quella dell'ADP (e AMP), e questo è il segnale che provoca un'accelerazione dei processi che producono ATP che procederanno a velocità maggiore per adeguarsi all'aumentata velocità di defosforilazione dell'ATP. Al cessare del sovraccarico di lavoro il rapido aumento della concentrazione dell'ATP e la concomitante diminuzione di quella dell'ADP segnaleranno ai processi di sintesi dell'ATP di rallentare.

In generale, quindi, il ritmo della produzione dell'ATP nella cellula è commisurato a quello dell'utilizzazione dell'ATP in uno stato stazionario dinamico. Questo è confermato dalle misure della velocità di rinnovamento del fosfato terminale dell'ATP che risultano altissime nelle cellule batteriche ma elevate anche nelle cellule epatiche.

Fosforilazione a livello del substrato. - Fosforilazione ossidativa. - La resintesi di ATP da ADP e fosfato inorganico avviene attraverso due meccanismi principali che l'accoppiano a processi spontanei associati a variazioni di energia libera sufficientemente elevate. L'uno, comunemente denominato "fosforilazione a livello del substrato", è perfettamente compreso e ampiamente documentato. L'altro, detto "fosforilazione ossidativa" o "fosforilazione associata al trasporto di elettroni", è probabilmente molto più importante ma a tutt'oggi non completamente chiarito.

Esempio classico del primo tipo di meccanismo, nel quale un intermedio comune accoppia l'ossidazione esoergonica di un metabolita con la formazione di una molecola di ATP, è la sequenza di reazioni catalizzate dalla fosfogliceraldeide deidrogenasi e dalla fosfogliceril cinasi:

L'intermedio comune che realizza l'accoppiamento dei due processi è l'acido 1-3-difosfoglicerico, un acil fosfato, il cui ΔG°′ d'idrolisi è più che sufficiente a consentire il trasferimento del fosfato all'ADP:

Altri esempi di fosforilazione a livello del substrato sono la reazione piruvato cinasica e la reazione succinil CoA deacilasica.

La fosforilazione ossidativa dell'ADP ha luogo negli organismi superiori nei mitocondri intatti anche in vitro quando siano incubati con un substrato, fosfato inorganico, ADP, Mg++ e ossigeno.

L'energia per la fosforilazione dell'ADP è resa disponibile dalla diminuzione di energia libera correlata al fluire degli elettroni dal donatore primario (NADH o flavina ridotta) all'ossigeno molecolare (fig. 2). Infatti gli elettroni non sono in genere trasferiti direttamente sull'O2 ma ceduti dai substrati a trasportatori intermedi come i piridin-nucleotidi o le flavine.

Le forme ridotte di questi trasportatori cedono poi i loro elettroni ad alto potenziale all'ossigeno per il tramite di una catena di enzimi ossido riduttivi e di trasportatori degli elettroni, localizzata nelle membrane interne dei mitocondri.

Fra le classi più importanti di enzimi ossidoriduttivi si distinguono: 1) le deidrogenasi legate ai coenzimi piridinici che trasferiscono reversibilmente elettroni dai substrati ai coenzimi piridinici facilmente dissociabili: NAD+ e NADP+, per formare NADH e NADPH rispettivamente; 2) le deidrogenasi flaviniche i cui gruppi prostetici FMN o FAD trasportano elettroni e idrogeno da altri substrati quali NADH oppure il succinato. Inoltre le proteine a ferro-zolfo che fungono da trasportatori di elettroni attraverso i cambiamenti di valenza dal ferro e infine i citocromi che trasferiscono in serie gli elettroni dalle flavoproteine fino all'O2 (v. anche enzimi, in questa App.; ossidazione: Ossidazione biologica, App. II, 11, p. 469; III, 11, p. 332).

La catena respiratoria dei mitocondri può essere schematicamente illustrata come nella fig. 3: essa catalizza il trasporto degli elettroni dei substrati all'ossigeno per formare acqua e la concomitante conservazione di parte dell'energia libera resa disponibile dal processo ossidoriduttivo per fosforilazione dell'ADP ad ATP.

L'ATP è prodotto in tre "siti" mentre gli elettroni passano dall'NADH all'O2. Il sito 1 è localizzato tra l'NADH e il coenzima Q; il sito 2 fra il citocromo b e il citocromo c e il sito 3 tra il citocromo c e l'ossigeno. Tre ATP si formano per ogni NADH che viene ossidato mentre solo due ATP si formano nell'ossidazione di ogni coenzima flavinico ridotto poiché gli elettroni portati da questo trasportatore entrano nella catena a livello del coenzima Q, cioè dopo il primo sito fosforilativo.

Il trasporto degli elettroni è di norma strettamente accoppiato alla fosforilazione: l'NADH o l'FADH2 sono ossidati solo se l'ADP è simultaneamente fosforilato ad ATP. Questo accoppiamento, che è detto "controllo respiratorio", può essere interrotto dai disaccoppianti, con meccanismo ancora oscuro.

Il problema del meccanismo molecolare con il quale si realizza l'accoppiamento fra il trasporto di elettroni e la fosforilazione dell'ADP è tuttora aperto e non può essere trattato in questa sede (per alcuni cenni essenziali si rinvia a fotosintesi, in questa App.). Qui, tuttavia, menzioniamo il meccanismo "chemiosmotico", enunciato da P. Mitchell, che ha destato grande interesse poiché applica i concetti del m. vettoriale ai problemi della fosforilazione ossidativa e a quella fotosintetica e correla insieme questi processi a quello del trasporto attivo. La particolarità dell'ipotesi chemiosmotica consiste nel presupporre che reazioni chimiche operino vettorialmente (cioè secondo una direzione geometrica) entro la membrana interna del mitocondrio, in antitesi al processo scalare (privo di direzionalità) col quale si svolgono nelle soluzioni omogenee.

Per la specifica disposizione vettoriale delle proteine trasportatori di elettroni nella membrana interna del mitocondrio, la catena respiratoria trasloca protoni da un lato all'altro della membrana generando così un gradiente di potenziale elettrochimico per i protoni (forza protonmotrice) che consiste in una differenza di pH e in un potenziale di membrana. Le reazioni che comportano assorbimento di protoni hanno luogo nella faccia interna e quelle che liberano protoni si svolgono sul lato esterno della membrana che è impermeabile agli ioni H+ (fig. 4).

La catena di trasporto dagli elettroni assume la funzione di un congegno che converte l'energia liberata nel trasporto degli elettroni nell'energia di un gradiente elettrochimico di protoni. L'energia libera accumulata in questo gradiente è funzione della concentrazione relativa dei protoni ai due lati della membrana ed è stata denominata "forza protonmotrice".

Si ritiene che due protoni siano pompati fuori dal mitocondrio per ogni paio di elettroni che passano per ognuno dei siti ove l'energia è conservata.

Il gradiente di concentrazione degli ioni H+ costituisce la sorgente di energia libera per la formazione di ATP da ADP e fosfato inorganico (P1) in una reazione vettoriale catalizzata dall'ATPasi (complesso F1 - F0) della membrana interna; la sottrazione dell'H2O dall'ADP e dal fosfato (per formare l'ATP) può essere prospettata come una rimozione asimmetrica, o vettoriale, di H+ e OH dal substrato nel sito dell'ATPasi in modo tale che gli ioni H+ appaiano dal lato interno e gli OH dal lato esterno della membrana (fig. 5).

Regolazione dell'attività enzimatica e delle vie metaboliche.

Nell'ultimo ventennio, le ricerche sulle principali vie di degradazione delle sostanze nutritive e di biosintesi dei costituenti cellulari hanno consentito d'individuare la presenza di nuovi enzimi e d'ipotizzare l'esistenza di altri, non ancora noti. Accanto a questo stimolante campo di studio, un altro indirizzo di ricerca si è sviluppato da quando si è compreso che anche negli animali superiori sono presenti meccanismi di controllo "primitivi" caratteristici degli organismi unicellulari. Questi meccanismi, anzi, costituiscono il sistema fondamentale al quale si sovrappone l'azione esercitata dagli ormoni e dal sistema nervoso. I meccanismi "primitivi" di controllo modificano l'attività enzimatica; per attivazione o inibizione o variando la concentrazione dell'enzima.

a) Il concetto di enzima regolatore (marcapasso). - Un concetto fondamentale per la comprensione della regolazione del m. è quello di "marcapasso" riferito agli enzimi che catalizzano, in un processo metabolico, la reazione che limita la velocità dell'intero processo. Questi enzimi spesso catalizzano reazioni che determinano la velocità dell'intero processo respiratorio della cellula oppure reazioni iniziali di vie nelle quali i metaboliti non si accumulano oppure reazioni che dànno inizio a una ramificazione di un processo metabolico.

Generalmente è la prima reazione della via di biosintesi di un composto ad agire da marcapasso; spesso sono reazioni che avvengono con grandi variazioni di energia libera e che le cellule tendono a controllare strettamente; per converso le reazioni intercalate non esigono regolazione e possono operare all'equilibrio o in prossimità di esso.

Se cambiano le condizioni nella cellula una reazione "marcapasso" può non essere più quella che limita la velocità di un processo; per es. la reazione fosfofruttocinasica è spesso il marcapasso nell'utilizzazione del glucoso-6-fosfato, ma se il m. per questa via è molto rapido la reazione esocinasica può divenire la tappa che limita il processo.

b) Controllo genetico della sintesi degli enzimi. - Tutti i meccanismi regolatori cellulari dipendono in definitiva dall'informazione genetica e dalla sua espressione.

In una data cellula molti geni sono trascritti continuamente ma altri possono restare inespressi. Tanto la velocità di trascrizione quanto quella di degradazione delle molecole di RNA messaggeri sono tra i fattorì che influenzano la velocità di sintesi degli enzimi nelle cellule (v. anche genetica; nucleici, acidi, in questa App.).

Le cellule hanno meccanismi di controllo che scelgono quali proteine debbano essere sintetizzate e fanno sì che le proteine siano sintetizzate nella quantità necessaria.

Solo di recente si è cominciato a comprendere le basi molecolari di questi meccanismi e in genere limitatamente alle cellule batteriche. I batteri contengono molti enzimi la cui velocità di sintesi dipende dalla natura chimica delle sostanze nutritive disponibili nel mezzo esterno. Queste molecole esogene (corepressori o induttori) regolano la velocità della sintesi degli enzimi controllando la sintesi degli specifici RNA messaggeri. I corepressori (induttori) spesso agiscono legandosi a specifiche molecole: i repressori, proteine codificate da geni regolatori e il cui stato funzionale è determinato dalla combinazione reversibile con i rispettivi induttori (che le rendono inattive) oppure con i corepressori che li attivano.

I repressori attivi funzionano combinandosi con una regione specifica del DNA, l'operatore; questa combinazione impedisce all'RNA polimerasi di legarsi al promotore, la regione del DNA preposta all'inizio della trascrizione, con la conseguenza che risulta inibito specificamente l'inizio della sintesi del relativo RNAm.

Il segmento di DNA controllato da un ben determinato promotore si chiama operone e spesso comprende alcuni geni con funzioni metaboliche correlate (per es. la produzione di una serie consecutiva di enzimi per la sintesi di un aminoacido o di un nucleotide).

Il significato del promotore nel controllo della sintesi dell'RNA messaggero è più ampio di quanto non appaia da questi brevi cenni; infatti, il promotore è coinvolto in meccanismi di controllo positivo dell'inizio della sintesi dei messaggeri che, per es. nel caso dell'operone Lac di Escherichia coli, è stimolata dalla combinazione del complesso di una proteina specifica (CAP) e dell'adenosinmonofosfato ciclico (AMPc).

La velocità di sintesi di molte proteine non è controllata da induttori o da repressori ed è quindi indipendente dalle condizioni ambientali; queste sintesi "costitutive" possono tuttavia svolgersi con differenti velocità, elevate per alcune proteine, più basse per altre: anche questo controllo è riconducibile alle proprietà della specifica sequenza nucleotidica che costituisce i promotori di questi geni e alla loro differente affinità per l'RNA polimerasi (vedi oltre).

Oltre alla velocità di sintesi altri fattori possono modificare la quantità di enzima attivo presente nella cellula.

Alcuni enzimi sono sintetizzati come proenzimi inattivi convertibili nelle forme attive generalmente per parziale idrolisi enzimatica. Infine anche per gli enzimi, come per gli altri costituenti cellulari, la sintesi è controbilanciata dalla degradazione idrolitica che potrà essere specifica o asp ecifica.

Questi meccanismi di controllo che coinvolgono i processi di biosintesi delle proteine enzimatiche sono generalmente lenti con tempi di risposta dell'ordine delle ore o più lunghi.

c) Compartimenti e complessi multienzimatici. - La geometria della struttura cellulare concorre anch'essa ai fenomeni regolatori. La localizzazione di reazioni enzimatiche in distretti cellulari differenti delimitati da membrane consente una regolazione legata al trasporto selettivo dei metaboliti attraverso la membrana stessa. La disponibilità di una sostanza dipende in questo caso della regolazione del suo trasporto (v. anche citologia: La membrana cellulare, in questa App.).

Se molti enzimi sono dispersi liberamente nel solubile cellulare, in altri casi enzimi che catalizzano serie di reazioni consecutive sono associati a membrane e mantenuti in rapporti spaziali definiti come in un complesso organizzato. Questo sembra verificarsi per i componenti la catena respiratoria mitocondriale.

In altri casi diversi enzimi si associano a costituire un complesso di alto peso molecolare: sono esempi le chetoacido deidrogenasi mitocondriali e la acido grasso sintetasi del citoplasma solubile. In entrambi questi casi il prodotto del primo enzima è legato covalentemente a un trasportatore, e senza abbandonare il complesso è ulteriormente assoggettato all'azione degli altri enzimi del complesso. Questo facilita la regolazione ed evita la dispersione dei metaboliti intermedi.

d) Regolazione dell'attività degli enzimi. - Rapidi meccanismi regolatori agiscono direttamente sugli enzimi: un sistema molto rapido di regolazione metabolica ricorre alla modificazione di molecole preesistenti mediante formazione o scissione di composti covalenti, per es. fosforilazione o adenililazione di residui di serina o di tirosina.

La modificazione, che è catalizzata da enzimi, può portare alla comparsa o alla scomparsa dell'attività enzimatica. Poiché non sono coinvolti legami peptidici è di solito possibile, sempre per via enzimatica, ricondurre la proteina allo stato originario staccando per es. dall'enzima fosforilato o adenililato i gruppi legati. Gli enzimi soggetti a questo tipo di controllo sono detti "interconvertibili" e fra di essi ricordiamo la glicogeno fosforilasi, la glicogeno sintetasi e la glutammina sintetasi.

e) Regolazione allosterica. - Un meccanismo ancora più rapido, completamente reversibile, che non abbisogna di altri enzimi per operare e che è in grado, a differenza degli altri fin qui citati, di regolare istante per istante l'attività di un enzima, adeguandola alle esigenze metaboliche della cellula, è rappresentato dalla regolazione allosterica.

L'attività catalitica degli enzimi allosterici si modifica quando essi si legano reversibilmente, non in modo covalente, a specifici metaboliti (effettori allosterici) mediante appositi siti, distinti dal sito catalitico. Spesso catalizzano una reazione marcapasso all'inizio di una via metabolica che porta alla biosintesi di un determinato composto ed è questo che, accumulandosi, inibisce il primo enzima della via (controllo a retroazione, inibizione da prodotto finale) legandosi a un sito regolatore specifico. Con ciò viene impedito un ulteriore accumulo del prodotto finale; d'altro canto il controllo esercitato all'inizio della via impedisce l'accumulo di intermedi e rende superflua la presenza di altri enzimi regolatori lungo la stessa via.

In altri casi l'effettore allosterico incrementa l'attività catalitica dell'enzima anziché inibirla e inoltre su di un medesimo enzima possono essere presenti più siti regolatori.

La versatilità di questo metodo di controllo metabolico è grandissima anche perché non è necessario che l'effettore allosterico e substrato o prodotto della reazione enzimatica presentino analogie di struttura o di proprietà chimiche dal momento che modulano l'attività catalitica interagendo con la proteina in siti specifici distinti.

f) Azione regolatrice degli ormoni. - In questa sede ci limitiamo a ricordare che gli effetti specifici degli ormoni sono riconducibili a tre tipi di azioni: modificazioni della velocità di sintesi di enzimi e altre proteine, modulazione dell'attività catalitica di enzimi, alterazione della permeabilità delle membrane cellulari.

È evidente che gli effettori extra cellulari negli organismi multicellulari (cioè, appunto, gli ormoni ma anche gli stimoli nervosi o di diversa origine) debbono, una volta colpita la cellula bersaglio, convertire i loro segnali extracellulari in azioni intracellulari.

Un contributo di straordinario interesse per la comprensione del meccanismo molecolare con il quale questo fenomeno si realizza è stato dato dalla scoperta di E. W. Sutherland dell'adenosina monofosfato ciclico (AMPciclico o cAMP) che è stato chiamato "secondo messaggero" per la funzione che assolve. Sulla membrana plasmatica della cellula bersaglio sono presenti recettori specifici per un determinato effettore extracellulare (ormone o altra sostanza); la combinazione dell'ormone con il recettore sulla membrana provoca una stimolazione o un'inibizione di un enzima anch'esso associato alla membrana, l'adenilico ciclasi, che catalizza la conversione dell'ATP ad acido adenilico ciclico.

All'interno della cellula quindi si ha un aumento di concentrazione dell'AMP ciclico che a sua volta modula la velocità di uno o più processi. L'AMP ciclico è poi rapidamente inattivato per idrolisi dalla fosfodiesterasi, ma fino a che esiste agisce come effettore allosterico delle proteinacinasi che catalizzano la fosforilazione di enzimi interconvertibili modifcandone le proprietà catalitiche.

Nel muscolo, per es., la proteinacinasi è costituita da un'unità catalitica e un'unità regolatrice: il complesso è inattivo; l'AMP ciclico, combinandosi con la subunità regolatrice, libera la subunità catalitica che provoca la fosforilazione della glicogeno sintetasi (inattivandola) e della fosforilasi (attivandola). In tal modo l'AMP ciclico stimola la glicogenolisi e inibisce la glicogenosintesi nel muscolo.

L'AMP ciclico funge da "secondo messaggero" per molti ormoni e lo spettro dei significati biologici dei nucleotidi ciclici è molto ampio ed esula dai limiti imposti a questa trattazione.

È importante sottolineare l'amplificazione del segnale iniziale che ha luogo disponendo in cascata una serie di enzimi interconvertibili in modo tale che ognuno di essi funga da catalizzatore nella reazione di attivazione del successivo: per es. poche molecole di adrenalina attivano la adenilatociclasi il cui prodotto, l'AMP ciclico attiva la proteinacinasi e questo enzima attiva la fosforilasi cinasi che finalmente attiva la glicogeno fosforilasi che provocherà la glicogenolisi di una grande quantità di glicogeno così da influire sulla glicemia.

Questo fenomeno di amplificazione, attraverso numerosi stadi, si osserva anche nella coagulazione del sangue, attraverso l'attivazione in cascata (per transizione zimogeno-cinasi) degli enzimi proteolitici coinvolti nella conversione del fibrinogeno in fibrina.

Organizzazione del metabolismo: ruolo dei trasportatori e dei coenzimi.

I paragrafi precedenti hanno illustrato alcuni aspetti generali del m. quali il ruolo degli enzimi nella costituzione delle vie metaboliche, la conservazione dell'energia delle reazioni ossidative nella biosintesi di ATP e infine i meccanismi di regolazione metabolica.

Ora si deve ricordare che numerosi altri composti concorrono all'attivazione e al trasporto di metaboliti da una reazione enzimatica a un'altra, che attraverso questo substrato comune risulteranno accoppiate, entro la stessa via metabolica o anche fra reazioni enzimatiche di processi metabolici distinti, ma generalmente entro lo stesso compartimento intracellulare. L'esame analitico di alcuni processi metabolici è destinato anche a meglio illustrare il significato di questi trasportatori.

Fu F. A. Lipmann a enunciare esplicitamente l'importanza degl'intermedi attivati, nei quali un metabolita è legato al resto della molecola da un legame debole e quindi è termodinamicamente assai disponibile.

Già nel caso dell'ATP si è discussa l'importanza dell'instabilità termodinamica e della stabilità cinetica (in assenza di catalizzatori specifici) di questo trasportatore di "fosfato" e di "pirofosfato" ad alto potenziale di trasferimento.

Queste considerazioni valgono anche nel caso del trasporto degli elettroni da parte dei coenzimi piridinici e flavinici e in generale dei composti attivati.

La tab. 3 elenca alcuni composti attivati combinati con i relativi trasportatori: essi partecipano all'interscambio di gruppi in numerose diverse reazioni metaboliche fra le quali solo alcune saranno prese in considerazione nei paragrafi seguenti.

È degno di nota che i trasportatori svolgono funzioni analoghe in tutte le forme di vita: la loro universale diffusione è uno dei motivi unificanti della biochimica. Questo ruolo di trasportatori è spesso svolto da coenzimi e gruppi prostetici che derivano dalle vitamine.

Molte vitamine divengono parte di coenzimi o di gruppi prostetici e in questo modo assolvono alla loro funzione biologica; talvolta partecipano nel sito attivo dell'enzima al meccanismo catalitico di trasformazione del substrato oppure anche fungono da trasportatori di gruppi. Alcuni coenzimi e gruppi prostetici derivati dalle vitamine sono elencati nella tab. 4.

Anche qui le limitazioni intrinseche a una trattazione di questo tipo c'impediscono d'illustrare lo straordinario interesse delle funzioni catalitiche dei diversi coenzimi; per alcuni di essi e in particolare i coenzimi piridinici, il coenzima A e pochi altri, la concisa discussione analitica di alcune vie metaboliche offrirà l'occasione per chiarirne la collocazione nel contesto dei meccanismi metabolici. Ma solo uno studio molto più esteso e approfondito potrebbe affrontare l'esame del ruolo dei coenzimi (e dei gruppi prostetici) nei meccanismi molecolari attraverso i quali si realizza la catalisi delle reazioni enzimatiche alle quali essi partecipano. Generalmente essi formano con i substrati dei composti covalenti di tipo idoneo a rendere possibili, in concorso con i gruppi chimici localizzati sulla superficie delle proteine enzimatiche, i trasferimenti di elettroni necessari per l'attivazione delle reazioni. Alla fine dalla reazione il coenzima è rigenerato nella forma originale.

Stadi del metabolismo.

La degradazione enzimatica dei principali tipi di nutrienti delle cellule (cioè polisaccaridi, lipidi e proteine) si svolge attraverso serie di reazioni consecutive per stadi successivi (v. fig. 6, dove gli acidi nucleici non sono considerati perché, sebbene siano costituenti cellulari di primaria importanza, anche sul piano quantitativo, non sono di solito utilizzati come sorgenti di energia in molte cellule animali).

Nel primo stadio del catabolismo le macromolecole sono degradate idroliticamente: i polisaccaridi dànno esosi e pentosi; i lipidi, acidi grassi, glicerolo e altri composti; le proteine gli aminoacidi che le costituiscono. Nel secondo stadio i numerosi diversi prodotti del primo sono raccolti e convertiti in un numero minore di composti più semplici: così gli esosi, i pentosi e il glicerolo sono degradati a un intermedio come l'acido piruvico e questo finalmente è convertito in acido acetico (acetil CoA).

Analogamente, i diversi acidi grassi e gli aminoacidi sono demoliti in acetil CoA e in pochi altri composti. Infine, il gruppo acetilico dell'acetil CoA e gli altri prodotti del secondo stadio sono convogliati nella via terminale comune nella quale sono ossidati ad anidride carbonica e acqua; il terzo stadio infatti comprende il ciclo dell'acido citrico (v. metabolismo, App. III, 11, pp. 71-72) e la fosforilazione ossidativa.

Anche l'anabolismo, il complesso dei processi biosintetici, procede per stadi: un certo numero di metaboliti provenienti dalla fase terminale del catabolismo sono dapprima convertiti nei numerosissimi composti diversi che, nello stadio successivo, la cellula utilizzerà per la biosintesi delle macromolecole dalle quali dipende la funzionalità delle strutture biologiche (proteine, acidi nucleici, componenti delle membrane e così via).

Nel caso delle proteine, per es., dal terzo stadio provengono alcuni α-chetoacidi che nel secondo possono essere aminati ad aminoacidi e questi infine saranno utilizzati per biosintetizzare le proteine. Si noti che le numerose diverse sostanze nutritive sono catabolizzate attraverso vie che convergono in una unica via comune nel terzo stadio; per converso le vie biosintetiche hanno un andamento divergente: partono da pochi precursori comuni poi gradualmente divergono e si ramificano fino a dare origine nel primo stadio a numerosi tipi diversi di biomolecole.

Un'altra considerazione d'importanza generale e fondamentale riguarda l'unidirezionalità delle vie metaboliche. Fra un dato precursore e un dato prodotto, la via catabolica e la via di biosintesi non sono l'inverso l'una dell'altra ma sono vie unidirezionali distinte. Ai processi degradativi sono accoppiati meccanismi di conservazione, generalmente sotto forma di ATP, di parte dell'energia libera resa disponibile da quelle trasformazioni. L'accoppiamento enzimatico con la demolizione dell'ATP rende possibili le vie biosintetiche e converte anche questi processi in processi "spontanei".

Le vie metaboliche sono regolate singolarmente: la velocità con la quale si svolgono è controllata da meccanismi di regolazione che operano sugli enzimi modulandone l'attività o la concentrazione (vedi sopra).

Schematicamente i rapporti funzionali fra il catabolismo e l'anabolismo, nel caso di una tipica cellula eterotrofa aerobica, possono essere rappresentati dal diagramma della fig. 7, nel quale il m. della cellula è simbolizzato da tre blocchi funzionali.

a) Catabolismo. - Gli alimenti sono ossidati a CO2. Gli elettroni liberati in queste ossidazioni sono trasferiti in gran parte sull'ossigeno e a questo trasporto di elettroni è associata la produzione di ATP. Altri elettroni sono utilizzati per rigenerare l'NADPH, l'agente riducente per le biosintesi.

La glicolisi, il ciclo di Krebs, il ciclo dei pentosi, le principali vie di questo blocco, sono anche la fonte dei composti intermedi destinati ai processi di biosintesi.

b) Biosintesi. - La fase dell'anabolismo che comprende la conversione di pochi, una decina, di composti intermedi che derivano dalla glicolisi dal ciclo di Krebs e da quello dei pentosi, in numerosissimi diversi costituenti cellulari: durante questi processi quando è necessario un agente riducente è utilizzato l'NADPH mentre l'ATP assolve il ruolo di agente accoppiante universale e trasduttore di energia.

c) Sintesi delle macromolecole e delle strutture sopramolecolari. - Fra i prodotti del secondo blocco vi sono i costituenti delle complesse macromolecole dalle quali dipende la funzionalità biologica: le proteine, gli acidi nucleici, i componenti delle membrane, ecc. Queste sono formate utilizzando sia sostanze sintetizzate nella precedente fase biosintetica sia sostanze esogene che la cellula non è in grado di sintetizzare.

Mentre le cellule di molti organismi hanno perduto alcune vie anaboliche della prima fase (per es. la sintesi di alcuni aminoacidi), tutte conservano la capacità di sintesi delle macromolecole che, a differenza dei monomeri che le formano, non possono essere fornite dagli apporti alimentari o dall'ambiente esterno.

Molte sintesi macromolecolari utilizzano l'ATP indirettamente per il tramite del GTP, UTP o CTP; sussistono infatti delle specializzazioni di funzioni tra i nucleosidi trifosfati com'è accennato nella tabella dei trasportatori e dimostrato per es. nella glicogenosintesi.

Dal diagramma traspare come la convergenza delle vie cataboliche porti a un numero ridotto di composti che attraverso i processi biosintetici dànno origine a molti dei principali costituenti cellulari. Questi intermedi sono consumati nei processi di biosintesi e debbono essere continuamente reintegrati dai processi catabolici. Diverse sono le funzioni dell'NADPH e dell'ATP: i fondamentali agenti di accoppiamento del metabolismo. Quando concorrono nei processi biosintetici essi sono convertiti rispettivamente in NADP+ e in ADP o AMP. Quindi dovranno solo essere rigenerati - ridotti o rifosforilati - a spese dell'ossidazione dei substrati nelle reazioni del blocco catabolico.

Nella seconda fase anabolica non vi sono reazioni ossido riduttive. L'energia chimica, richiesta per la sintesi, serve per attivare il monomero trasformandolo in un composto ad alto contenuto energetico in grado di formare i legami chimici nella polimerizzazione.

Vi è tuttavia una distinzione fondamentale tra la sintesi dei polisaccaridi e dei lipidi e quella degli acidi nucleici e proteine. La sintesi di queste ultime sostanze richiede la presenza di uno stampo che specifichi la sequenza delle unità del polimero.

In termini di energia la costruzione di un polimero con una definita sequenza di monomeri ha un suo costo preciso. Non è infatti sufficiente disporre dello stampo da copiare, è necessario spendere energia per la copiatura.

L'energia libera d'idrolisi dei legami glicosidico, estereo, fosfodiestereo e peptidico che ritroviamo nei polisaccaridi, lipidi, polinucleotidi e proteine è inferiore alle 7,3 kcal/mol, proprie del legame ad alta energia d'idrolisi dell'ATP. Tuttavia, mentre per la formazione del legame glicosidico ed estereo è sufficiente spendere un legame ad alta energia d'idrolisi, per la sintesi del legame fosfodiestereo del DNA e dell'RNA, dove la sintesi avviene secondo uno stampo, ne sono necessari due (14,6 kcal/mol) e per la sintesi del legame peptidico, dove oltre allo stampo vi è un passaggio da un tipo di codificazione a un altro, ne sono necessari quattro (29 kcal/mol).

Nella sintesi dei polisaccaridi i monosaccaridi sono attivati da nucleotidi (v. anche metabolismo: Glicogenosintesi, in App. III, 11, p. 70); in quella dei lipidi gli acidi grassi sono attivati dal CoA. Sia il DNA che l'RNA sono sintetizzati a partire dai nucleosidi trifosfati; di conseguenza questi composti forniscono sia i monomeri per la sintesi che l'energia richiesta. Nella reazione viene liberato pirofosfato che si scinde poi in fosfato ad opera di pirofosfatasi. Nella sintesi proteica due legami ad alta energia d'idrolisi sono spesi per il processo di traduzione (formazione degli amminoacil-t-RNA) e altri due per la sintesi del legame peptidico.

Catabolismo.

I glucidi, i lipidi e le proteine sono i principali fattori nutritivi e quasi tutte le cellule dispongono di analoghe serie di reazioni cataboliche per la degradazione di questi composti.

La prima fase della demolizione (primo stadio del catabolismo), per ogni tipo di macromolecola d'interesse biologico, è un'idrolisi che la dissocia nei costituenti monomeri; queste reazioni si accompagnano a moderate perdite di energia sotto forma di calore.

Anche il secondo stadio del catabolismo comprende vie metaboliche distinte per i monosaccaridi, gli acidi grassi e gli aminoacidi e in generale per i numerosi composti diversi derivanti della demolizione dei polisaccaridi, lipidi, proteine e altri costituenti cellulari.

Sono descritti qui di seguito, concisamente, alcuni esempi di queste vie cataboliche e immediatamente dopo viene illustrato il terzo stadio del catabolismo che è comune ai metaboliti intermedi prodotti dalle diverse vie costituenti il secondo stadio.

Catabolismo dei glucidi: la glicolisi. - Nel m. glucidico ha una posizione centrale il glucoso.

I due più importanti glucidi di deposito, il glicogeno negli animali e l'amido nelle piante, sono polimeri del glucoso. Negli animali, quest'ultimo rappresenta, almeno quantitativamente, il più importante glucide di origine alimentare ed è praticamente l'unico che il sangue fornisca ai tessuti. Può entrare in alcune cellule per semplice diffusione ma più generalmente permea le membrane cellulari combinato a trasportatori specifici sotto la spinta del gradiente di concentrazione fra i liquidi extracellulari e il citoplasma (per es. la concentrazione del glucoso nel sangue è circa 5 mM mentre è estremamente bassa in molte cellule animali).

In altre cellule esistono meccanismi di trasporto attivo che concentrano il glucoso anche contro un gradiente di concentrazione (trasporto attivo) utilizzando un'adeguata sorgente di energia.

Il trasporto del glucoso entro le cellule di alcuni tessuti negli animali è soggetto a regolazione ormonale (v. ormoni).

A eccezione di alcuni batteri primitivi, tutte le cellule degradano il glucoso con la medesima serie di reazioni indicate complessivamente col nome di glicolisi (v. metabolismo: Glicolisi, App. III, 11, p. 71).

Prodotto finale della glicolisi è l'acido piruvico (o l'acido lattico, facilmente interconvertibile con l'acido piruvico: v. metabolismo: Decarbossilazione dell'acido piruvico, in App. III, 11, p. 71).

La fermentazione alcolica, una fra le vie metaboliche più diffuse nei lieviti e in altri organismi, differisce dalla glicolisi solo per le ultime reazioni, infatti il piruvato è decarbossilato ad acetaldeide e questa finalmente ridotta ad alcool etilico dall'alcoldeidrogenasi a spese dell'NADH che viene riossidato a NAD+.

Nelle cellule aerobie esistono meccanismi che trasferiscono gli elettroni dall'NADH citoplasmatico alla catena respiratoria mitocondriale e da questa all'ossigeno con rigenerazione dell'NAD+ e ulteriore conservazione di energia sotto forma di ATP.

Catabolismo dei lipidi: ossidazione degli acidi grassi. - Il catabolismo dei lipidi è vario e complesso data l'eterogeneità di questa classe di composti: tuttavia l'ossidazione degli acidi grassi è processo d'importanza generale.

Negli animali superiori le maggiori riserve lipidiche sono costituite da trigliceridi e vengono mobilitate mediante reazioni idrolitiche catalizzate da enzimi interconvertibili quali la trigliceride lipasi che è attivata per fosforilazione da una proteina cinasi dipendente dall'AMP ciclico.

Il glicerolo che si libera è fosforilato dalla glicerolo cinasi a spese dell'ATP e, convertito a diossiacetone fosfato, entra nel catabolismo glucidico.

La degradazione ossidativa degli acidi grassi avviene nei mitocondri mediante la graduale rimozione di unità bicarboniose a partire dall'estremità che porta il carbossile ed è nota come β-ossidazione. La prima tappa è citoplasmatica e consiste nella formazione di un legame tioestere con il coenzima A a spese dell'ATP.

Questa reazione detta di "attivazione" poiché trasforma un composto, l'acido grasso, relativamente inerte in una molecola più reattiva è catalizzata dall'acido grasso CoA ligasi: l'acido grasso reagisce con l'ATP per formare un acil adenilato liberando PPi.

Sull'acil adenilato agisce il gruppo sulfidrilico del CoA formando Acil Coa e AMP. La reazione complessiva è spinta nel senso descritto dalla contemporanea scissione enzimatica del PPi e questo consente in pratica la degradazione dell'acido grasso anche a basse concentrazioni. L'attivazione degli acidi grassi avviene sulla membrana esterna del mitocondrio mentre la loro ossidazione è catalizzata da enzimi situati nella matrice mitocondriale (fig. 8).

Poiché gli acil CoA non possono attraversare la membrana mitocondriale vi è un sistema per favorire il loro trasporto che coinvolge la carnitina e un enzima (carnitina-CoA acil transferasi). Gli acili vengono così trasferiti su questa molecola formando acil-carnitina. Quest'ultima attraversa la barriera mitocondriale e all'interno, per opera dallo stesso enzima si ha nuovamente, in presenza di CoA, la formazione di acil CoA e la liberazione di carnitina. Gli acil CoA subiscono una prima reazione di deidrogenazione per opera di un enzima FAD dipendente (acil CoA deidrogenasi).

Si forma un enoil CoA con un doppio legame trans fra C2 e C3 che viene quindi idratato (enoil idratasi) ad L-idrossiacil CoA quindi subisce una seconda deidrogenazione NAD+ dipendente (L-idrossiacil CoA deidrogenasi).

Infine si ha la rottura del chetoacil CoA per opera di una chetotiolasi mediante l'attacco tiolitico di una seconda molecola di CoA. Si forma un frammento bicarbonioso, l'acetil CoA e resta un acil CoA avente due atomi di carbonio in meno.

Questo ciclo si ripete fino alla completa demolizione dell'acido grasso portando alla formazione di coenzimi ridotti, che vengono riossidati nella catena respiratoria, e di acetil CoA che è completamente demolito e CO2 e H2O nel ciclo di Krebs, oppure utilizzato a fini anabolici.

L'ossidazione completa per es. di palmitil CoA (C16 acil CoA) richiedendo 7 cicli ossidativi produce 7 FAD ridotti, 7 NAD ridotti e 8 acetil CoA, quindi il numero di ATP che si forma è 14 dai FAD ridotti, 21 dai NAD+ ridotti e 96 dall'acetil CoA, 131 in totale. Due legami ad alta energia vengono però consumati per l'attivazione iniziale del palmitato, la produzione netta è quindi di 129 ATP. L'efficienza di conservazione dell'energia di ossidazione degli acidi grassi in condizioni standard raggiunge una resa aggirantesi intorno al 40% come nella glicolisi, nel ciclo di Krebs e nella fosforilazione ossidativa.

Catabolismo proteico: degradazione degli aminoacidi. - La prima tappa nella degradazione delle proteine è l'idrolisi enzimatica dei legami peptidici e la conseguente liberazione degli aminoacidi. L'idrolisi delle proteine della dieta può avvenire fuori dalla cellula in speciali apparati come il canale alimentare o in vacuoli separati dal restante citoplasma da una membrana. In generale, però, le cellule degradano i loro propri costituenti e usano i risultanti monomeri ai fini metabolici. Queste idrolisi iniziali sembrano avvenire nei lisosomi o anche nel citoplasma.

Negli animali superiori gli aminoacidi sono utilizzati nella biosintesi delle proteine e di quasi tutti i composti azotati tra cui ormoni, purine, pirimidine, porfirine e altri. Dagli aminoacidi presenti in eccesso rispetto alle necessità biosintetiche vengono rimossi gli aminogruppi che in seguito sono eliminati, convertiti in urea: i prodotti della desaminazione sono poi trasformati in acetil CoA, acetoacetil CoA, piruvato e intermedi del ciclo di Krebs. Il loro destino metabolico può essere la resintesi di materiali di riserva (gluconeogenesi, lipogenesi) o l'ossidazione a CO2 + H2O (fig. 9).

I venti aminoacidi nei tessuti animali vengono demoliti da altrettante vie cataboliche diverse che tuttavia convergono, a gruppi, verso un piccolo numero di metaboliti.

La varietà e complessità delle vie di degradazione degli aminoacidi non ne consente la trattazione dettagliata ma i meccanismi enzimatici per la rimozione degli α-amino gruppi degli aminoacidi e la loro raccolta in vista della conversione nei prodotti terminali del m. azotato (ammoniaca, urea, acido urico) sono simili in tutti i vertebrati: sono costituiti dalla transaminazione e dalla deaminazione ossidativa (v. metabolismo: Transaminazione; Deaminazione, in App. III, 11, p. 74).

L'ammoniaca prodotta nelle deaminazioni idrolitiche e ossidative nei mammiferi è eliminata sotto forma di urea (v. metabolismo: Ureogenesi, in App. III, 11, p. 75).

Terzo stadio del catabolismo: La decarbossilazione ossidativa del piruvato. Il ciclo dell'acido citrico (ciclo di Krebs). - Nei mitocondri, presenti in tutte le cellule degli eucarioti aerobi, hanno luogo le reazioni del ciclo degli acidi tricarbossilici, del trasporto degli elettroni dai substrati all'ossigeno e della fosforilazione ossidativa. Il prodotto terminale della seconda fase del catabolismo del glucosio e di alcuni aminoacidi, il piruvato, va incontro a decarbolissazione ossidativa, con formazione di acetato attivo. Questa reazione è catalizzata da un complesso multienzimatico costituito dalla stretta associazione di tre enzimi, la piruvato decarbossilasi, (DPT), la diidrolipoil-transacetilasi (lipoamide) e la diidrolipoico deidrogenasi (FAD) con i relativi gruppi prostetici e cofattori (CoASH e NAD+) in rapporti molecolari e strutturali ben definiti (v. anche metabolismo: Decarbossilazione dell'acido piruvico, in App. III, 11, p. 71; per dissipare eventuali perplessità sull'interpretazione di alcuni simboli si precisa che NAD, nicotamide-adenindinucleotide, equivale a DPN, difosfo-piridin-nucleotide; e che NADP, nicotamide-adenindinucleotide fosfato, equivale a TPN, trifosfo-piridin-nucleotide).

Il ciclo dell'acido citrico è la via finale comune per l'ossidazione dei metaboliti provenienti dagli aminoacidi, acidi grassi e glucidi. Inizia con la condensazione di un acetil-CoA con l'acido ossalacetico per formare acido citrico e prosegue attraverso le reazioni descritte fino alla rigenerazione ciclica dell'acido ossalacetico (v. metabolismo: Ciclo di Krebs o dell'acido citrico, in App. III, 11, p. 71).

Il ciclo dei pentoso fosfati e la produzione di NADPH + H+. - Lo shunt dell'esosomonofosfato, o via dei pentosofosfati, è una via anfibolica citoplasmatica di demolizione ossidativa del glucoso presente in molte cellule. È la principale fonte di NADPH che è il donatore d'idrogeno e di elettroni necessario per la biosintesi riduttiva degli acidi grassi, del colesterolo e per altre reazioni biosintetiche.

Si noti che, a differenza dell'NADH, l'NADPH non è utilizzato per produrre ATP nella fosforilazione ossidativa mitocondriale. Lo shunt, inoltre, converte reversibilmente gli esosi in pentosi, in particolare riboso-5-fosfato, necessari per la sintesi dei nucleotidi: interconverte inoltre zuccheri fosforilati a 3, 4, 5, 6, 7 atomi di carbonio e correla metabolicamente questi composti con gl'intermedi della glicolisi (v. metabolismo: Shunt; Interconversione glicidica, in App. III, 11, p. 72).

La rigenerazione di una parte del glucoso-6-fosfato giustifica il nome del "ciclo dei pentosi" col quale questa via è anche indicata. Importanti relazioni la legano alle reazioni oscure dei processi fotosintetici (v. fotosintesi, in questa App.).

Processi anabolici.

Gluconeogenesi. - Un esempio di processo anabolico è costituito dalla gluconeogenesi, la biosintesi del glucoso dall'acido lattico o dagli aminoacidi glicogenetici. Ha luogo, per es., nel fegato dei mammiferi.

La gluconeogenesi parte dall'acido piruvico e conduce alla formazione di glucosio. Ricordiamo che la glicolisi parte da glucosio e porta ad acido piruvico. La gluconeogenesi è però differente come via metabolica, anche se vi sono enzimi comuni ai due processi; infatti la presenza di tre reazioni irreversibili rende unidirezionale l'intera glicolisi.

L'acido piruvico viene carbossilato in una reazione ATP dipendente, catalizzata dalla piruvico carbossilasi, un enzima contenente biotina, che produce acido ossalacetico (OAA):

È un enzima mitocondriale, regolato allostericamente dall'acetil CoA, in assenza del quale è inattivo. È la principale reazione anaplerotica del ciclo di Krebs, che rifornisce di ossalacetato eventualmente destinato a processi anabolici.

L'acido ossalacetico è trasportato dal compartimento mitocondriale a quello citoplasmatico da meccanismo apposito e convertito in fosfoenolpiruvato dalla fosfoenolpiruvico carbossicinasi in una reazione GTP dipendente.

Complessivamente la resintesi del fosfoenolpiruvato da piruvato può essere rappresentata:

Come si vede, la resintesi del fosfoenolpiruvato costa due legami altamente energetici, uno dall'ATP e uno dal GTP, equivalenti ognuno a −7.3 kcal/mole-.

Il fosfoenolpiruvato è agevolmente trasformato in fruttoso 1,6-fosfato percorrendo a ritroso le reazioni della glicolisi a cominciare dalla reazione enolasica e fino alla reazione catalizzata dalla fruttosodifosfatoaldolasi.

La riconversione del fruttoso 1-6-difosfato in fruttoso-6-fosfato è catalizzata da un enzima gluconeogenetico, la fruttoso difosfatasi, regolato da effettori allosterici: è inibito dall'AMP e stimolato da 3-fosfoglicerato e da citrato. La reazione è irreversibile:

Il fruttoso-6-fosfato è convertito reversibilmente in glucoso-6-fosfato e questo, nel fegato e nel rene, è idrolizzato a glucoso:

La stechiometria della gluconeogenesi è:

Si noti che sei legami a elevata energia d'idrolisi sono stati utilizzati per biosintetizzare una molecola di glucoso da due molecole di acido piruvico mentre nella glicolisi si formano solo due molecole di ATP per molecola di glucoso convertito in piruvato.

Le quattro molecole di legami ad alta energia d'idrolisi sono necessarie a convertire in spontaneo un processo energeticamente sfavorevole.

Glicogenosintesi e glicogenolisi. - Processi metabolici di notevole importanza fisiologica per la loro correlazione con la regolazione della glicemia, di rilevante interesse biochimico per i meccanismi distinti della biosintesi e del catabolismo e per il significato generale della regolazione di queste vie ad opera degli ormoni, sono la glicogenosintesi e la glicogenolisi (v. metabolismo: Glicogenosintesi, in App. III, 11, p. 70).

La degradazione del glicogeno a glucoso-1-fosfato (glicogenolisi) è catalizzata dalla fosforilasi e avviene per azione dell'acido ortofosforico sull'ultimo legame 1,4 α glucosidico alle estremità non riducenti delle catene del glicogeno. Concorrono al processo glicogenolitico anche altri enzimi, resi necessari dalla struttura ramificata del polisaccaride. Il glucoso-1-fosfato è convertito in glucoso-6-fosfato e nel fegato può essere defosforilato a glucoso da una specifica fosfatasi. Le vie distinte di demolizione e biosintesi del glicogeno sono entrambe regolate. Nel muscolo, per es., l'attività della fosforilasi b è modulata da effettori allosterici: l'AMP la attiva mentre l'ATP e il glucoso-6-fosfato sono inibitori.

Un altro tipo di controllo esercitano gli ormoni. L'adrenalina attiva l'adenilico ciclasi e provoca un aumento dell'AMP ciclico; questo attiva la proteina cinasi che catalizza la fosforilazione della fosforilasi cinasi e quest'ultima catalizza la fosforilazione della fosforilasi b per dare la fosforilasi a. Tutte queste reazioni sono ATP dipendenti e irreversibili. L'attività della fosforilasi a è indipendente dai controlli allosterici sopra ricordati, quindi il controllo ormonale prevale su quello primitivo allosterico.

Abbiamo sopra ricordato l'effetto di amplificazione del segnale che risulta dalla disposizione "in cascata" di una serie di enzimi interconvertibili.

Un terzo tipo di controllo correla direttamente la contrazione muscolare e la fosforolisi del glicogeno; infatti, l'aumento di concentrazione degli ioni Ca++, che accompagna la contrazione del muscolo, attiva la fosforilasi cinasi (e quindi la formazione della fosforilasi a), indipendentemente dal sistema adenilato ciclasico.

Anche la glicogeno sintetasi è un enzima interconvertibile ed esiste in due forme: una defosforilata, cataliticamente attiva o forma I (indipendente) e una fosforilata, o forma D (dipendente), che diviene attiva solo in presenza di alte concentrazioni di glucoso-6-fosfato.

La fosforilazione della glicogenosintetasì è catalizzata dalla proteina cinasi e diminuisce l'attività di questo enzima (all'opposto di quanto accade per la fosforilasi).

La fosforilazione dei due enzimi è il meccanismo fondamentale per la regolazione coordinata della glicogenosintesi e della glicogenolisi. L'aumento di concentrazione dell'AMP ciclico (conseguente all'azione degli ormoni sull'adenilico ciclasi della membrana plasmatica) provoca l'attivazione della proteina cinasi e questo provoca la fosforilazione in cascata della fosforilasi cinasi e della fosforilasi che diviene così attiva, ma anche quella della glicogeno sintetasi che viene così inibita.

A ognuna delle cinasi corrisponde una fosfatasi che idrolizzando i legami covalenti con il fosfato riconvertiranno gli enzimi nella forma defosforilata mentre anche la fosfodiesterasi idrolizzerà l'AMP ciclico al cessare dello stimolo esterno.

Biosintesi degli acidi grassi. - Il processo di sintesi ex novo degli acidi grassi è distinto da quello della loro demolizione: non avviene, cioè, mediante la semplice inversione delle reazioni della β-ossidazione.

Le tappe della biosintesi sono anzitutto localizzate nel citoplasma; nella fase iniziale è richiesta CO2, e gli enzimi sono organizzati, almeno negli animali superiori, in un complesso multienzimatico con una proteina trasportatrice di acili (ACP) al centro. L'acile si accresce per aggiunte successive di frammenti bicarboniosi attivati provenienti dal malonil CoA.

L'agente riducente è costituito dal NADPH. La biosintesi si arresta quando la catena dell'acile ha raggiunto la lunghezza di 16 atomi di carbonio (ac. palmitico). Altri sistemi enzimatici sono coinvolti nell'eventuale allungamento della catena o nella sua insaturazione.

La reazione complessiva è la seguente:

La fase iniziale della biosintesi prevede la reazione tra acetil CoA e CO2 catalizzata dall'acetilCoAcarbossilasi, enzima a biotina, regolatore dell'intero processo. È richiesto ATP. La funzione della biotina è quella di trasportare la CO2 in una reazione a due tappe.

1) CO2 + ATP + enzima-biotina ⇄ carbossibiotina-enzima + ADP + Pi

2) carbossibiotina-enzima + acetil CoA ⇄ malonil CoA + biotinaenzima

Una parte significativa è svolta dall'ACP e precisamente dal sulfidrile del suo gruppo prostetico, 4 fosfopantoteina, la cui funzione è quella di mettere in contatto gl'intermedi acilici con i vari enzimi del complesso che operano sequenzialmente.

I gruppi acilici dell'acetil CoA e del malonil CoA vengono trasferiti per azione di due specifiche transacilasi al gruppo sulfidrilico dell'ACP.

A questo punto avviene la condensazione dei due composti catalizzata da acil-malonil-ACPenzimacondensante, tramite il suo gruppo − SH acetil ACP + malonil ACP → acetoacetil ACP + ACP + CO2.

Questa reazione risulta esoergonica a causa della decarbossilazione subita dal residuo malonilico; ciò conferisce una "spinta" termodinamica verso la sintesi.

In seguito l'acetacetil ACP è ridotto con NADPH a D-3-idrossibutirril ACP (3-chetoacilALCPreduttasi) che successivamente viene deidratato a crotonil ACP (enoil ACPdeidratasi).

Infine il NADPH riduce il crotonil ACP a butirril ACP (crotonil ACP reduttasi) e si completa così il primo dei sette cicli che l'acile subisce per arrivare a palmitile.

In ciascuno di essi si ha l'inserzione di un malonil ACP all'estremità carbossilica della catena dell'acile in allungamento e la perdita del carbossile distale del malonil ACP sotto forma di CO2.

Funzione degli acidi nucleici nel metabolismo cellulare. - Il programma per tutte le attività cellulari è contenuto in ciascuna cellula e dev'essere trasmesso alle cellule che ne discendono all'atto della riproduzione. Più precisamente, questo programma è racchiuso nei geni, che sono costituiti di acido desossiribonucleico (DNA). La capacità del DNA di trasmettere l'informazione da una generazione all'altra e di dirigere le funzioni cellulari è insita nella struttura della sua molecola. La conservazione e la trasmissione dell'informazione è affidata alla duplicazione del DNA.

L'espressione dell'informazione contenuta nel DNA si esplica con la sintesi delle proteine. L'informazione contenuta nel DNA controlla infatti la crescita e la riproduzione della cellula, essenzialmente dirigendo la sintesi di 2 classi di proteine specifiche: gli enzimi e le proteine strutturali. Le molecole di DNA non sono però gli stampi diretti per la sintesi proteica. Un gene dirige la sintesi di un singolo filamento di RNA o acido ribonucleico complementare a sé stesso. Questo RNA è chiamato "RNA messaggero" (RNAm). Nella cellula si formano tanti RNAm quanti sono i tipi di proteine che devono essere sintetizzate. Oltre agli RNAm nelle cellule sono presenti altri tipi di RNA, anch'essi sintetizzati usando il DNA come stampo: gli RNA ribosomiali (RNAr) e gli RNA transfer (RNAt). Tutti questi tipi di RNA partecipano alla sintesi proteica e di essi gli RNAm agiscono come stampi primari che determinano la sequenza degli aminoacidi nella proteina (DNA → RNA → proteina). Il corredo di queste proteine determina le proprietà metaboliche della cellula. Per quanto riguarda le funzioni degli acidi nucleici v. nucleici, acidi, in questa Appendice.

Componenti cellulari con struttura sopramolecolare.

Un terzo gruppo di reazioni sintetiche, meno conosciuto ma altrettanto importante per il m. cellulare, porta alla formazione di costituenti cellulari con struttura sopramolecolare, come membrane, particelle citoplasmatiche, ecc. (v. citologia, in questa App.). Anche quando la crescita netta si ferma, la sintesi degli acidi nucleici e delle proteine e la formazione della membrana deve continuare. L'essenza della vita a livello cellulare sembra essere il costante rinnovamento di tutti i polimeri e di tutte le strutture cellulari. Quando questo rinnovamento si blocca, il complesso edificio metabolico e strutturale della cellula crolla.

Le sintesi tuttavia non servono solamente per formare materiali per il rinnovo delle strutture cellulari ma anche materiali di riserva. L'alimentazione è infatti discontinua e gli organismi devono essere in grado di svolgere le loro attività e quindi di produrre energia, coenzimi ridotti e metaboliti anche per periodi relativamente lunghi senza apporto di materiali dall'esterno. Perciò vengono accumulati polisaccaridi e trigliceridi. Nei periodi di necessità sono i primi materiali a venire utilizzati per ricavarne legami ad alta energia d'idrolisi. Segue un processo di vera e propria autofagia in cui vengono demolite e utilizzate a scopo energetico le proteine cellulari.

Bibl.: J. B. Stanbury, J.B. Wyngaarden, D. S. Friedrickson, The metabolic basis of inherited disease, New York 19723; E. A. Newsholme, C. Stard, Regulation in metabolism, Londra 1973; A. L. Lehninger, Biochimica, Bologna 1975; J. D. Watson, Molecular biology of the gene, Menlo Park (SUA), 19763; L. Stryer, Biochimica, Bologna 1977; D. E. Atkinson, Cellular energy metabolism and its regulation, New York 1977; D. E. Metzler, Biochemistry, ivi 1977; Autori vari, Principles of biochemistry, ivi 19786.

Malattie congenite del metabolismo.

Da quando, nel 1908, A. E. Garrod coniò l'espressione "malattie congenite del metabolismo" ("inborn errors of metabolism") a proposito dell'alcaptonuria, sono state descritte alcune diecine di malattie alla cui base è stato individuato un errore congenito di qualche via metabolica. Nel passare in rassegna queste affezioni, trascureremo tuttavia le molte che, pur essendo malattie primarie del m., fanno parte di specifici capitoli della patologia (ematologia, endocrinologia, immunologia, ecc.).

Malattie del metabolismo dei carboidrati. - Prescindendo dal diabete mellito (vedi ricambio, Malattie del, in questa App.) e dalle emopatie da carenze enzimatiche (per es. il favismo, connesso a marcata riduzione di attività della glucoso-6-fosfato-deidrogenasi: v. sangue, in App. III, 11, p. 659), si accennerà solo alle enzimopatie primarie che coinvolgono il m. dei carboidrati.

Le turbe congenite dell'assorbimento intestinale degli zuccheri sono rappresentate dalla sindrome da malassorbimento di glucosio e di galattosio (per difetto di trasporto attivo) e dalle sindromi da malassorbimento di lattosio, di saccarosio, di isomaltosio (per difetto delle disaccaridasi).

La glicosuria renale è un difetto del riassorbimento tubulare del glucosio, con glicosuria e concentrazione ematiche normali di glucosio. Numerose enzimapatie sono alla base delle alterazioni del m. intermedio dei carboidrati. La fruttosuria essenziale, trasmessa in via autosomica recessiva, è un disordine benigno, basato su un difetto di fosfofruttochinasi, enzima che catalizza la fosforilazione del fruttosio a fruttosio-1-fosfato. Invece la fruttosemia (o intolleranza ereditaria al fruttosio), basata sul difetto di fruttosio-1-fosfato aldolasi, pure trasmessa in forma autosomica recessiva, è una condizione grave per gli effetti secondari dell'accumulo di fruttosio-1-fosfato, che inibisce la fruttosio-1,6-difosfato aldolasi e il processo della fosforolisi del glicogeno. I sintomi sono vomito, ipoglicemia, chetosi, difetto di accrescimento, epatomegalia, cachessia. Viene trattata evitando gli alimenti contenenti fruttosio. Il deficit congenito di fruttosio-1,6 difosfato fosfatasi (enzima unidirezionale) blocca il processo della gluconeogenesi dagli aminoacidi ed è causa di gravi stati acidotici e ipoglicemici, scatenati dal digiuno e dall'ingestione di fruttosio. Quest'ultimo fatto sembra doversi riferire a un blocco della fosforilasi da parte degli esteri del fruttosio. È stato anche osservato un deficit di fosfoenolpiruvato carbossichinasi epatica (enzima unidirezionale e quindi anch'esso enzima "chiave" della gluconeogenesi) che provoca un blocco del processo di gluconeogenesi in corrispondenza della trasformazione dell'acido ossalacetico in fosfoenolpiruvico. Anche in questo caso si sono osservate ipoglicemia e convulsioni.

Le malattie caratterizzate da accumulo di glicogeno (glicogenosi) formano un vasto gruppo eterogeneo nel quale oggi si distinguono almeno 8 diversi tipi, alcuni dei quali destinati a ulteriori suddivisioni. Il tipo I (malattia di von Gierke) è biochimicamente caratterizzato da un difetto di glucosio-6-fosfato fosfatasi. I sintomi cardinali sono rappresentati da ipoglicemia, chetosi, scarsa risposta al glucagone e all'adrenalina, iperlipemia, iperuricemia e, clinicamente, ipoevolutismo, epatomegalia, precoci manifestazioni gottose. Nel tipo II (malattia di Pompe) il difetto enzimatico riguarda la α-1,4-glucosidasi lisosomiale (maltasi acida); gli organi più compromessi sono il cuore (cardiomegalia) e i muscoli (ipotonia senza ipotrofia); la prognosi gravissima (evoluzione letale entro il secondo anno di vita). Nel tipo III (destrinosi limite, suddivisibile in tre sottoforme) esiste deficienza dell'enzima deramificante e abnorme struttura della molecola del glicogeno che presenta ramificazioni esterne eccessivamente corte; clinicamente è simile al tipo I, in forma attenuata. Il tipo IV (amilopectinosi) ha la sua base biochimica in un difetto di enzima ramificante; è caratterizzato da glicogeno abnorme con catene esterne eccessivamente lunghe; interessa cuore, rene, muscoli, sistema nervoso, fegato e milza (epatosplenomegalia cirrotica); evoluzione letale nel corso dei primi anni. Il tipo V (malattia di McArdle) è dovuto a deficienza di fosforilasi muscolare; si manifesta con crampi muscolari dolorosi; dopo esercizio muscolare manca l'aumento di acido lattico venoso e può presentarsi emoglobinuria. Il tipo VI (m. di Hers) comprende pazienti con difetto di fosforilasi epatica e manifestazioni simili a quelle del tipo I. Esiste una variante clinicamente simile con difetto di fosforilasi-chinasi, che però si tende oggi a classificare come un tipo a sé stante (tipo VIII). Il tipo VII riguarda pazienti con difetto di fosfofruttochinasi muscolare, che presentano sintomi sovrapponibili a quelli del tipo V. Infine è stato descritto un caso clinico con deficit di fosfoglicomutasi muscolare. Tranne la forma di deficit di fosforilasi-chinasi, legata al cromosoma X, le glicogenosi si trasmettono in forma autosomica recessiva.

Sempre nell'ambito delle turbe interessanti il glicogeno, è da segnalare l'aglicogenosi, forma dipendente da un difetto di glicosintetasi, che si estrinseca con grave ipoglicemia, e può essere causa di convulsioni e ritardo mentale.

La galattosemia è caratterizzata dall'incapacità a utilizzare il galattosio. Una forma, la più grave, da difetto di galattosio-1-fosfato uridil transferasi, l'altra da difetto di galattochinasi. In quest'ultima il sintomo principale è la cataratta, oltre all'aumento del galattosio nel sangue e la sua presenza nell'urina; nell'altra forma si hanno precoci sintomi di tossicità dopo ingestione di galattosio, con ittero neonatale, vomiti, inanizione, difetto di accrescimento, ritardo mentale, grave epatopatia, cataratta. I danni sembrano dovuti sia all'accumulo di galattilolo sia di galattosio-1-fosfato. L'eccesso di quest'ultimo, presente solo nella deficienza di transferasi, sembra il maggior responsabile dei danni al sistema nervoso.

Fra le turbe del m. dei carboidrati esiste anche la pentosuria essenziale, che riposa su una deficienza di xilitolo deidrogenasi NADPdipendente, enzima della via ossidativa dell'acido glicuronico. Unico sintomo di questa forma, osservata finora solo in ebrei e trasmessa per via autosomica recessiva, è l'eliminazione urinaria di L-xilulosio in quantità dosabile (g 1 ÷ 4 al giorno).

Malattie del metabolismo lipidico.

Alterazioni quantitative e qualitative dei lipidi, o di sostanze complesse contenenti lipidi, caratterizzano classi di malattie molto diverse sul piano clinico, anatomico, patogenetico. Fra le alterazioni del m. lipidico vanno comprese le lipodosi, cioè le malattie caratterizzate dall'accumulo negli organi di sostanze lipidiche specifiche.

Le condizioni da deficienza di frazioni lipoproteiche comprendono:

A-beta-lipoproteinemia, in cui sono completamente assenti le VLDL (Very Low Density Lipoproteins), le LDL (Low Density Lipopoproteins) e i chilomicroni. A carico dei grassi plasmatici vi è ipocolesterolemia e ipotrigliceridemia, inoltre è abbassata l'attività lipolitica post-eparinica. Clinicamente è caratterizzata da difetto di assorbimento dei grassi, acantocitosi, retinite pigmentosa, atassia. Sembra trasmessa in forma autosomica dominante.

La malattia di Tangier, nella quale vi è mancanza delle normali HDL (High Density Lipoproteins) e presenza di piccole quantità di HDLT strutturalmente alterate. Coesiste forte riduzione plasmatica del colesterolo totale e dei fosfolipidi con accumulo nei tessutí di esteri colesterolici, epatosplenomegalia. Tonsille grosse e color arancione. Descritti anche disturbi motori e sensoriali.

La deficienza di lecitina-colesterolo acil-transferasi, in cui l'enzimopenia si accompagna a un grave squilibrio lipidico e a una sindrome clinica caratterizzata da proteinuria, anemia, eritrociti a bersaglio, opacità della cornea. All'elettroforesi si nota assenza di pre-beta-lipoproteine e di beta-lipoproteine, per modificazioni di queste frazioni che portano ad alterazione della loro velocità di migrazione. Vi è anche una forte riduzione del colesterolo esterificato, aumento della quota libera, e iperlipemia. Sembra trasmettersi in forma recessiva. Di condizioni caratterizzate da eccesso di frazioni lipoproteiche si conoscono 5 diverse forme.

Il tipo I (iperchilomicronemia) si basa su di una deficienza di lipoproteina-lipasi. Presenta epatosplenomegalia, accumulo lipidico retinico, siero lattescente, assenza di attività chiarificante posteparinica. Sono frequenti dolori addominali e pancreatite. È evidenziabile subito dopo la nascita e presenta trasmissione autosomica recessiva.

Il tipo II (iperbeta-lipoproteinemia familiare) può anch'esso essere rivelato fino dalla nascita. È presente iperbeta-lipoproteinemia, ipercolesterolemia e in misura più modesta ipertrigliceridemia. Questi segni sono molto marcati negli omozigoti e meno accentuati ma chiaramente espressi negli eterozigoti. Vi è presenza di manifestazioni xantomatose e forte predisposizione alle trombosi vascolari.

Il tipo III (malattie delle beta larghe) deve la denominazione alla larghezza della banda elettroforetica delle beta-lipoproteine di carattere abnorme, ed è causa di elevato contenuto di trigliceridi e colesterolo nel plasma. Presenta xantomi e precoci fenomeni trombotici vascolari periferici. È propria dell'età adulta. Non è chiarita la trasmissione ereditaria e pare geneticamente collegata col tipo IV.

Il tipo IV (iperprebeta-lipoproteinemia) rispecchia sia una difficoltà al catabolismo delle VLDL che un eccesso di produzione di trigliceridi endogeni. È proprio dell'età adulta, frequentemente associato con iperuricemia, obesità, anormale tolleranza del glucosio e predispone a trombosi coronariche.

Il tipo V (iperprebeta-lipoproteinemia con iperchilomicronemia) si associa a persistente iperlipemia post-prandiale; frequenti i dolori addominali e la pancreatite. La maggior parte dei soggetti hanno diabete non chetogeno e iperinsulinemia. Rara nell'età infantile.

Lipidosi

Formano un gruppo molto vasto di malattie con accumulo lipidico, alla cui origine sta in genere un difetto di enzimi catabolizzanti, e nel cui ambito si descrivono le forme seguenti:

Malattia di Gaucher (lipidosi glucosil-ceramidica). Dipende da difetto di glucosil-ceramide idrolasi. Se ne distinguono due forme principali: una ad andamento cronico - a esordio in qualunque età, i cui sintomi prevalenti sono l'epatosplenomegalia, l'ipersplenismo e lesioni ossee - e una "acuta", a inizio nei primi mesi di vita, ad andamento rapido e progressivo, con interessamento dell'encefalo, epatosplenomegalia, disfagia, sintomi respiratori, progressivo stato distrofico. Gli organi reticolo-endoteliali contengono tipici elementi cellulari (cellule di Gaucher) con citoplasma ricco di formazioni fibrillari.

Lipidosi sfingomielinica (malattia di Niemann-Pick). Presenta accumulo di sfingomielina, cui si associa quello di colesterolo libero, epatosplenomegalia e interessamento nervoso di vario grado. Vengono distinti 4 tipi. Nei tipi A e B (distinti fra loro in quanto il tipo B ha esordio più tardivo e minor interessamento del sistema nervoso) vi è deficienza di sfingomielinasi, che è invece normale, almeno negli organi viscerali, nei tipi C e D. I sintomi nervosi hanno la maggior gravità nel tipo A, che porta a morte il paziente nei primi anni. L'esame del fondo dell'occhio rivela una macchia color rosso ciliegia nella regione foveale. Negli organi reticolo-endoteliali si trovano tipiche cellule schiumose. È trasmessa ereditariamente in forma autosomica recessiva.

Malattia di Tay-Sachs. È una gangliosidosi, con accumulo di ganglioside GM2 [N-acetilgalattosaminil-(N-acetilneuraminil)-galattosil-glucosil-N-acilsfingosina], che interessa in modo pressoché esclusivo il sistema nervoso. È dovuta a difetto di esosaminidasi A, enzima che catalizza la scissione del residuo N-acetil-galattosaminico. Presenta precoce difetto di sviluppo somatico e psicomotorio, atonia, insufficienza visiva fino alla cecità, segno della "macchia color ciliegia" alla retina. Al microscopio elettronico si osservano i cosiddetti "corpi membranosi citoplasmatici", formazioni lisosomiali. Nelle cellule nervose vi è forte accumulo di GM2 e di asialo-GM2. La malattia è più frequente fra gli ebrei e dipende da un allele autosomico recessivo.

Gangliosidosi generalizzata. Presenta accumulo di ganglioside GM1, dovuto a deficienza di GM1-β-galattosidasi. Vi è anche accumulo del corrispondente asialo-ganglioside e inoltre di un mucopolisaccaride del tipo del cheratansolfato. Gli accumuli interessano tutti i parenchini, mentre non vi è eleminazione urinaria di mucopolisaccaridi. Se ne distinguono due forme, a seconda della precocità dell'esordio e della gravità della progressione. Si osservano epatosplenomegalia, deformità ossee, decadimento psicomotorio.

Malattia di Fabry (lipidosi glicosfingolipidica). Presenta accumulo di galattosil-galattosil-glucosil-ceramide nei connettivi vasali di tutti i tessuti e nelle cellule nervose e della muscolatura liscia, per difetto di triesosil-ceramide-galattosil idrolasi. I sintomi clinici sono in relazione con le alterazioni vasali: i più caratteristici sono dolori urenti alle estremità, ectasie cutanee e congiuntivali, e infine insufficienza renale, ovvero episodi cerebrali o cardiaci.

Leucodistrofia metacromatica (lipidosi solfatidica). È trasmessa per via autosomica recessiva. Presenta accumulo di galattosio-3-solfatoceramide, per deficienza di un fattore termolabile (aril-solfatasi A) che entra a far parte della galattosil-SO4-ceramide solfatasi. Vi è demielinizzazione, con una sintomatologia paralitica e di decadimento psichico, che ha inizio entro il 2° anno e conseguenze letali entro il 10°.

Malattia di Krabbe (lipidosi galattosil-ceramidica o leucodistrofia a cellule globoidi). È dovuta a difetto di galattocerebroside galattochinasi. Nonostante si tratti di una malattia da accumulo, è caratteristica la grave perdita di glicolipidi e di mielina da parte della sostanza bianca, probabilmente a causa della progressiva riduzione di sintesi di galattocerebroside. Vi è presenza di caratteristiche cellule globoidi (macrofagi mono- o polinucleati, contenenti il cerebroside). Ha inizio nei primi mesi con accentuata irritabilità, ipertonia e progressivo deficit motorio e mentale. Si trasmette in forma autosomica recessiva.

Forme di più recente descrizione sono la fucosidosi, da difetto di α-fucosidasi, in cui vi è accumulo di glicolipidi insoliti e di mucopolisaccaridi, che si manifesta con gravi sintomi nervosi, deformazioni vertebrali, disturbi respiratori e cardio-vascolari; e la lattosil ceramidosi, da difetto di galattosil idrolasi, sindrome neurologica complessa, epatosplenomegalia e cellule schiumose nel midollo.

Malattia di Farber (lipogranulomatosi disseminata). Caratterizzata da lesioni granulomatose della cute e dei visceri, con presenza di cellule schiumose, e rigonfiamento dei neuroni. Le manifestazioni cliniche sono noduli sottocutanei, irritabilità, artropatie.

Esistono anche lipidosi con accumulo di lipidi non contenenti la sfingosina. Si ricordano le seguenti:

Malattia di Wolman. Presenta accumulo di trigliceridi e esteri colesterolici in tutti i tessuti, calcificazione delle surrenali, e clinicamente precoci sintomi gastrointestinali, steatorrea, epatosplenomegalia, progressivo decadimento e morte entro i primi mesi. È stato riconosciuto un deficit di lipasi acida.

Malattia da accumulo di esteri colesterolici. Provoca epatomegalia ed è per il resto scarsamente sintomatica. L'accumulo interessa il fegato. Non è nota la base biochimica.

Xantomatosi tendinea. Vi è accumulo nel sistema nervoso e nei tendini di esteri colesterolici e di colestanolo; si manifesta con atassia, decadimento mentale, cataratta; è compatibile con una lunga sopravvivenza.

Malattia di Refsum (lipidosi con acido fitanico). È caratterizzata da accumulo di acido fitanico specie nei reni e nel fegato. È causa di una sintomatologia nervosa (atassia, debolezza muscolare, cecità notturna) e di alterazioni ossee e cutanee. Esiste una deficienza di attività fitanico-α-idrolasica, che interessa la prima fase del m. dell'acido fitanico introdotto con la dieta.

Malattie con alterazioni del metabolismo dei mucopolisaccaridi (mucopolisaccaridosi)

Formano un vasto gruppo di malattie caratterizzato da accumulo di mucopolisaccaridi (mp.) nei tessuti e da loro eccessiva escrezione urinaria (mucopolisaccariduria). In alcune forme l'accumulo di mp. si associa a quello di gangliosidi. I mucopolisaccaridi sono polimeri ad alto peso molecolare (nell'organismo in generale legati a proteine), costituiti da acidi uronici, carboidrati, aminozuccheri e dal gruppo −SO4 formano varie famiglie di sostanze eterogenee per composizione e lunghezza della catena. I principali che interessano la patologia sono l'acido jaluronico, il condroitin-4-solfato e il condroitin-6-solfato, la condroitina; il dermatan solfato; il cheratan-solfato; eparan-solfato.

La classificazione delle mucopolisaccaridosi viene fatta in base al tipo di mucopolisaccaride accumulato e alle manifestazioni cliniche. La patogenesi dev'essere ancora in gran parte chiarita, anche se pare debba riposare fondamentalmente su un difetto del catabolismo dei mucopolisaccaridi. In alcune forme è stata messa in evidenza una deficienm di attività β-galattosidasica, ma è incerto se ad essa debba essere assegnato un ruolo determinante.

I sintomi che ricorrono più frequentemmte in queste forme, con intensità più o meno accentuata, sono: difetto di accrescimento, deformità ossee, limitazione del movimento nelle grandi articolazioni, opacità corneale, epatomegalia, ritardo mentale. Varie forme hanno in comune il caratteristico tratto fisionomico del gargoilismo.

Questi sintomi sono tutti presenti in forma accentuata nella mucopolisaccaridosi di tipo I (malattia di Hurler), che presenta accumulo tessutale ed eliminazione urinaria di dermatan-solfato e di eparansolfato, e accumulo di gangliosidi nel tessuto cerebrale.

Nel tipo II (malattia di Hunter) vi è sordità, non opacità corneale, minor grado di ritardo mentale. Quadro biochimico: come la precedente.

Il tipo III (malattia di Sanfilippo) presenta grave ritardo mentale, meno gravi alterazioni scheletriche; accumulo di eparan-solfato.

Le tre forme precedenti presentano ridotta attività della β-galattosidasi dei tessuti.

Il tipo IV (malattia di Morquio) presenta gravi deformità scheletriche, con grave compromissione dell'accrescimento, senza ritardo mentale. Cheratan-solfato e condroitin-solfato nelle urine.

Nel tipo V (malattia di Scheie) si osserva grave opacità della cornea, con modici segni scheletrici e scarso o nullo ritardo mentale, associati a eliminazione di dermatan-solfato.

Il tipo VI (malattia di Maroteaux - Lamy) è una variante con gravi alterazioni scheletriche.

La mannosidosi (osservata in un bambino con sindrome tipo Hurler) presenta accumulo di una sostanza contenente mannosio con diminuzione di attività della α-mannosidasi, e aumento della β-galattosidasi e di altre attività enzimatiche.

Varie altre forme sono state descritte: la lipomucopolisaccaridosi di Spranger e Weidemann, con accumulo di una sostanza non completamente studiata, e aumentata attività della β-galattosidasi epatica; la malattia a "cellule I" (De Mars e Le Roy) con aspetto hurleriano e accumulo di dermatan-solfato e di gangliosidi (mucolipidosi II). Numerose altre varianti e forme con accumulo di altre sostanze più o meno del tutto identificate sono descritte in letteratura.

La trasmissione ereditaria delle mucopolisaccaridosi è di tipo autosomico recessivo, a eccezione della malattia di Hunter, legata al cromosoma X.

Malattie da alterato metabolismo degli aminoacidi.

Sono numerose e comprendono turbe sia del trasporto degli aminoacidi che del loro m. intermedio.

La malattia più nota è la fenilchetonuria (idiozia fenilpiruvica), disturbo del m. della fenilalanina, di cui è responsabile un difetto di fenilalanina idrossilasi, enzima che agisce nella conversione della fenilalanina in tirosina. Si hanno elevati tassi di fenilalaninemia e presenza nell'urina di chetoacidi (acidi fenilpiruvico, fenil-lattico-orto-idrossifenilacetico) provenienti dalla desaminazione della fenilalanina. Si manifesta con ritardo di sviluppo mentale e disordini comportamentali (in soggetti per lo più biondi), a volte con spasticità, tremori, convulsioni. I disturbi possono essere efficacemente prevenuti da una dieta che contenga solo il fabbisogno minimo di fenilalanina (che è un amminoacido essenziale). Sono note anche forme attenuate della malattia.

Nell'ambito delle turbe a carico della tirosina, vari e a patogenesi non completamente chiarita sono i disturbi aventi origine dalle prime tappe del catabolismo di questo aminoacido. Nella forma descritta col nome di supertirosinemia si tratterebbe di un difetto dell'isoenzima solubile della tirosina transaminasi. Vi è ipertirosinemia e ipertirosinuria, associate a eliminazione urinaria di acido p-idrossifenilpiruvico (forse per una produzione renale, seguita da immediata escrezione, ad opera della quota mitocondrale dell'enzima); clinicamente, vi è ritardo mentale.

La tirosinemia ereditaria è una turba comprendente una forma acuta (a inizio nelle prime settimane con vomito, diarrea, epatosplenomegalia, emorragie, ittero) e una cronica (ipoauxia, cirrosi nodulare, ipoglicemia, ipokaliemia, tubulopatia, rachitismo, con un decorso di qualche anno). Presenta elevata e permanente eliminazione di acido p-idrossifenillattico e, in minor misura, di ac. p-idrossifenilpiruvico e tirosina, ipertirosinemia e, nelle forme acute, ipermetioninemia. La tubulopatia renale si rivela con iperaminoaciduria e iperfosfaturia. Non ancora ben chiarito il difetto di base. Sembra trasmessa in via autosomica recessiva.

L'alcaptonuria è dovuta a carenza di omogentisinico ossidasi, è caratterizzata da annerimento dell'urina a distanza di tempo dall'emissione. Nell'età adulta può aversi ocronosi e artrite; il sistema nervoso è indenne e la durata in vita normale. È trasmessa in forma autosomica recessiva.

L'albinismo è caratterizzato da depigmentazione con melanociti presenti. Ne esistono due forme con interessamento sia cutaneo che oculare: l'una, più grave, con difetto di tirosinasi, l'altra basata su una probabile incapacità di captazione della tirosina, entrambe autosomiche recessive; e inoltre una forma soltanto oculare, legata al cromosoma X.

Nell'ambito delle turbe metaboliche del triptofano si ricorda la malattia di Hartnup, trasmessa in via autosomica recessiva, consistente in un difetto di trasporto del triptofano sia attraverso la mucosa intestinale che i tubuli renali. Si accompagna a iperaminoaciduria generalizzata, oltre alla presenza di ridotto tasso di triptofanemia. Sono caratteristici di questa forma i fenomeni di fotosensibilità e i fenomeni neurologici (sindrome pellagroide da insufficiente sintesi di acido nicotinico).

Altre turbe del m. del triptofano sono la ipertriptofanemia (per difetto di triptofano pirrolasi) e la idrossichinureninemia per difetto di chinureninasi, che causano sintomi simili a quelli della malattia di Hartnup.

Un ulteriore disturbo è la piridossino-dipendenza (xanturenicoaciduria), causa di convulsioni, ritardo mentale, corretta da alte dosi di vitamina B6, probabilmente dovuta a un difetto di struttura dell'enzima chinureninasi.

Nell'ambito dell'istidina è nota una deficienza di istidinasi che è alla base dell'istidinemia. Tra i sintomi più frequenti sono: ritardo mentale, ritardo del linguaggio (anche senza parallelo ritardo intellettivo), scarsa pigmentazione, ritardo di crescita, anemia. Si osservano spesso infezioni recidivanti. Sono presenti iperistidinemia e iperistidinuria, quest'ultima non regolarmente, mentre mancano l'acido urocanico e l'acido formiminoglutammico. La trasmissione sembra essere autosomica recessiva, con diversa penetranza del gene, e in alcune famiglie dominante. È probabile ne esistano diverse varianti cliniche e biochimiche.

Altra forma collegata col m. di derivati dell'istidina è la deficienza di formimino transferasi, trasmessa in forma recessiva, nella quale è bloccata la trasformazione dell'acido formiminoglutammico in acido glutammico e la concomitante formazione di composti attivi dell'acido tetraidrofolico. Ne conseguono: ritardo psicomotorio, con spasticità, ipomotilità, atrofia della corteccia cerebrale; anemia megaloblastica, con ipersideremia; accumulo ematico dell'acido folico e urinario dell'acido formiminoglutammico.

Sintomi analoghi sono prodotti dalla deficienza di N5-metil-tetraidrofolico transferasi e, probabilmente, dalla deficienza di cicloidrolasi.

L'aciduria imidazolica è una sindrome di degenerazione cerebromaculare, a patogenesi non chiara, in cui si osserva escrezione di eccessive quantità di carnosina, anserina, omocarnosina, istidina. La peptiduria è trasmessa in via dominante, la cerebropatia in via recessiva.

Nel m. della prolina è noto un difetto di trasporto tubulare trasmesso in via recessiva, causa della prolinuria che si associa sempre a idrossi-prolinuria e glicinuria. Esiste anche un difetto di trasporto che interessa la glicilprolina, causa della glicilprolinuria di cui sono note due forme: una associata ad aumento ematico della glicilprolina, epatosplenomegalia e abnorme aspetto del collageno al microscopio elettronico; l'altra caratterizzata da elevata eliminazione urinaria di glicilprolina e da sole alterazioni ossee.

Nel m. intermedio della prolina sono note due forme. L'iperprolinemia di tipo I è dovuta a deficienza di prolina ossidasi e si accompagna a elevata eliminazione urinaria di prolina, idrossiprolina e glicina (iminoglicinuria). Clinicamente è caratterizzata da ritardo mentale e, pare, da frequente associazione con affezioni renali di varia natura, fatto però non unanimemente accettato.

L'iperprolinemia di tipo II presenta in più ipereliminazione urinaria di acido Δ1-pirrolin-5-carbossilico e si ritiene dovuta a deficienza di Δ1-pirrolin-5-carbossilico deidrogenasi. Le ultime due forme sono trasmesse in via autosomica recessiva.

Nell'ambito del m. della idrossiprolina è nota la idrossiprolinemia che comporta ritardo mentale e un elevato tasso ematico e urinario di idrossiprolina mentre l'acido Δ1-pirrolin-3-idrossi-5-carbossilico non è svelabile nel sangue né nell'urina. Si ritiene questa forma dovuta a difetto di idrossiprolina ossidasi.

Anche gli aminoacidi a catena ramificata (valina, leucina, isoleucina) sono interessati da alterazioni congenite metaboliche.

Nell'unico caso noto di ipervalinemia si è constatato un difetto di valina transaminasi (prima tappa del catabolismo) nei leucociti. Vi era ritardo psicomotorio, ipotonia, nistagmo, amaurosi, oltre a un aumento isolato della valina nel sangue e nell'urina.

La mancanza completa di decarbossilasi degli acidi α-chetonici ramificati (seconda tappa del catabolismo) è dell'origine della malattia delle urine dall'odore di sciroppo d'acero (leucinosi, cheto-aciduria ramificata). La malattia ha esordio acuto a pochi giorni dalla nascita con disordini digestivi, respiratori, neurologici (scomparsa dei riflessi, convulsioni), acidosi, evoluzione rapida in qualche settimana (forme subacute possono evolvere in uno o due anni). Si associa l'accumulo degli aminoacidi e dei loro chetoacidi nel sangue, nell'urina e nel liquido cefalo-rachidiano; frequente l'ipoglicemia. Maggiormente responsabile degli effetti tossici sembra essere la leucina e i suoi metaboliti. È trasmessa in via recessiva. Tentativi terapeutici sono stati fatti con dieta povera di proteine o con miscele artificiali di aminoacidi. Sono descritte anche: una forma intermittente, senza alterazioni mentali, con episodi di chetoacidosi e ipoglicemia, basata su un difetto parziale di attività enzimatica; una variante a sintomatologia costante, ma con deficit enzimatico parziale; una variante tiamino-dipendente.

La isovalerico-acidemia è causata da un difetto di isovaleril-CoAdeidrogenasi. Presenta vomiti, chetoacidosi e coma, scatenati da ingestione di proteine in grande quantiià o da infezioni intercorrenti. Fortemente aumentato l'acido isovalerico nel sangue e nelle urine. Probabile trasmissione autosomica recessiva.

L'acidemia propionica, alla cui base esiste un difetto di propionilCoA-carbossilasi che blocca la trasformazione del propionil-CoA in metil-malonil-CoA, inizia nel neonato con grave chetoacidosi (con chetoni a catena lunga: butanone), disordini respiratori, perdita dei riflessi, ipotonia, ipocalcemia, ipoglicemia, iperglicinemia. Sembra si debbano distinguere una forma biotino-dipendente e una non biotino-dipendente.

Sono anche note due forme di metilmalonicoacidemia, che vengono distinte in base alla risposta alla vitamina B12. Il blocco è in questo caso localizzato nella conversione del metilmalonil-CoA a succinil-CoA, cui presiede la metilmalonil-CoA mutasi. L'esordio può essere neonatale o ritardato, con accessi simili a quelli visti nella precedente forma, con chetosi avente di caratteristico l'accumulo di chetoni a catena lunga (butanone, pentanone, esanone), accumulo di acido metilmalonico nel sangue e nell'urina e iperglicinemia. Possono anche osservarsi neutropenia e piastrinopenia.

È stata anche descritta un'associazione di metil malonico aciduria con alterato m. degli aminoacidi solforati, rappresentato da accumulo di omocistina e cistationina, e ridotto tasso di metionina. Si ritiene dovuta a un difetto del m. della vit. B12, capace di compromettere la biosintesi di entrambi i coenzimi attivi della vit. B12: la 5-deossiadenosil-cobalamina, coenzima della metilmalonil-CoA mutasi, e la metilcobalamina, coenzima della omocisteina metil-transferasi.

Un deficit di β-metil-crotonil-CoA carbossilasi -metil-crotonilglicinuria) si è osservato associato a una sindrome di amiotrofia spinale tipo Werdnig-Hoffman, in cui mancavano ritardo mentale e acidosi. L'urina aveva un caratteristico odore di gatto.

È stato anche descritto un deficit di β-chetotiolasi (enzima che presiede alla scissione dell'α-metil-cheto-acetil-CoA in propionilCoA e acetil-CoA). I sintomi sono simili a quelli dell'acidemia propionica e metilmalonica, quelli cioè della "iperglicinemia con chetoacidosi", con eliminazione urinaria di chetoacidi metilati e di butanone.

Per la vicinanza clinica con le forme caratterizzate da chetoacidosi merita di essere qui ricordato il deficit dí succinil-CoA-transferasi, che è causa di blocco del trasferimento del coenzima A dal succinilCoA all'acido aceto-acetico. Le conseguenze sono chetonemia persistente con gravi epidosi di chetoacidosi, per difetto di metabolizzazione dei corpi chetonici.

Malattie del metabolismo degli aminoacidi solforati. Sono note diverse forme. La cistinuria è una condizione di alterato trasporto intestinale e tubulare degli aminoacidi cistina, lisina, ornitina, arginina. La sintomatologia è di tipo nefrolitiasico, essendo la cistina scarsamente solubile a pH acido, con conseguente precipitazione sotto forma di cristalli.

La omocistinuria è una condizione dovuta a difetto di sintesi della cistationina dalla omocisteina e dalla serina. Si distinguono due forme in base alla risposta alla vitamina B6. I sintomi sono: facilità a fatti tromboembolici, arteriosi e venosi, ritardo mentale, disturbi del comportamento, convulsioni; ectopia del cristallino, glaucoma, telangectasie cutanee; osteoporosi; elevata escrezione urinaria di omocistina e vari metaboliti correlati, alto tasso di metioninemia. La frequenza della malattia è elevata, pari a quella della fenilchetonuria. Si trasmette in forma autosomica recessiva; gli eterozigoti presentano un abbassamento del 50% dell'enzima. La terapia dietetica richiede un ridotto apporto di metionina e un alto apporto di cisteina.

La cistationinuria è dovuta a un difetto di scissione della cistationina in cisteina e omoserina, a cui presiede la cistationinasi. Pare compatibile con uno stato normale, benché nella casistica compaiano con frequenza ritardo mentale, ipotrofia, anemia. Alto tasso ematico, tessutale e urinario di cistationina, influenzabile in quasi tutti i casi da forti dosi di vitamina B6, in accordo con un difetto di struttura dell'apoenzima. È trasmessa in forma recessiva.

Su casi singoli sono stati osservati: un difetto di solfito-ossidasi, causa di una sindrome neurologica, con ectopia del cristallino e con ipereliminazione di tiosolfati, solfiti e di S-solfo-L-cisteina; e una mercaptocisteina-disulfiduria.

La cistinosi è una forma a trasmissione recessiva, il cui difetto enzimatico non è stato ancora identificato, caratterizzata da deposizione di cistina nei tessuti, da iperaminoaciduria generalizzata, da tubulopatia complessa e finale insufficieza renale.

Il m. della lisina è interessato in diverse forme. Le iperlisinemie costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie. Si distinguono forme persistenti di iperlisinemia e iperlisinuria senza iperammoniemia, e forme periodiche con iperammoniemia. I sintomi nella prima forma sono dati da ritardo mentale, ipotonia e lassità legamentosa, anemia. Responsabile della malattia è un difetto di L-lisina-α-chetoglutarico reduttasi (che presiede alla prima tappa della via principale del catabolismo della lisina, trasformandola in saccaropina); esistono tuttavia dei casi in cui la presenza di saccaropina farebbe escludere tale difetto.

Nella fomia periodica (intolleranza congenita alla lisina) si osservano gravi crisi di vomito, convulsioni e coma, a esordio fin dall'età neonatale se la dieta è a contenuto elevato o normale di proteine. Le crisi sono caratterizzate da iperammoniemia, iperlisinemia e iperargininemia. Il difetto localizzato a carico della lisina deidrogenasi (facente parte della via secondaria del catabolismo della lisina). L'iperammoniemia pare dovuta a inibizione secondaria dell'arginasi da parte della stessa lisina (o di qualche suo metabolita, tenendo conto dell'assenza d'iperammoniemia nell'iperlisinemia persistente).

Esistono inoltre casi in cui sono state evidenziate quantità abnormi di altri metaboliti della lisina (saccaropinuria, iperpipecolicoacidemia), pur non essendo precisato il difetto enzimatico.

I difetti congeniti del ciclo della sintesi dell'urea si accompagnano ad aumento dell'ammonio nel sangue, il quale sembra agire come responsabile principale di gravi disturbi tossici. Le forme che interessano le prime tappe del ciclo dell'urea e che presentano anche l'ammoniemia più elevata sono: il deficit di carbamilfosfato sintetasi e il deficit di ornitina-carbamil-transferasi, detti anche rispettivamente iperammoniemia di tipo I e di tipo II. I quadri clinici comprendono in generale episodi di vomito, gravi manifestazioni morbose fino al coma, ritardo mentale, avversione per i cibi proteici. Non sempre l'urea ematica è diminuita come sarebbe da attendersi, forse per il persistere di un certo grado di attività del ciclo.

Le altre forme sono: la citrullinemia (per difetto di arginino-succinico-sintetasi); l'arginino-succinico aciduria (per difetto di arginina succinasi); il deficit di arginasi.

Tutte queste forme sono trasmesse in via recessiva.

Inoltre un'iperammoniemia può essere presente in forme a patogenesi meno definita. L'intolleranza familiare alle proteine presenta sintomi non dissimili dalle forme precedenti, ma con intelligenza normale. In essa risulta presente una turba del trasporto degli aminoacidi basici. Ignoto è il difetto alla base della iperornitinemia di tipo I, anch'essa accompagnata da iperammoniemia.

Disturbi del metabolismo della glicina. Sono forme caratterizzate da aumento della glicina nel sangue, e sono rappresentate da: l'iperglicinemia con chetoacidosi, che sembra non debba costituire una malattia a sé, ma far parte del quadro di varie affezioni quali l'acidemia metilmalonica, isovalerica, propionica; l'iperglicinemia senza chetosi che ha esordio precoce con ipo- o ipertonia, convulsioni, ritardo mentale, ipotrofia. Il difetto in quest'ultima forma deve localizzarsi in un'attività enzimatica di tipo decarbossilasico, che catabolizza la glicina a CO2 ed NH3, con concomitante formazione di un composto tetraidrofolico. Si trasmette in forma recessiva.

Nell'ambito del m. della glicina possono anche inserirsi le iperossalurie primarie, in quanto l'acido ossalico nei mammiferi, oltre a essere il prodotto dell'ossidazione dell'acido ascorbico, deriva dall'ossidazione dell'acido gliossilico, i cui precursori sono la glicina, l'acido glicolico e l'acido α-cheto-glutarico. L'iperossaluria può accompagnarsi a deposizione nei tessuti (ossalosi). La sintomatologia è quella di ricorrenti episodi di litiasi a inizio fino dall'età infantile, seguiti da danno renale. Si distinguono: l'iperossaluria di tipo I (accompagnata da escrezione di acido glicolico e gliossilico), basata su un difetto di α-chetoglutarico-gliossilico carboligasi. L'esagerata sintesi di acido ossalico sembra dovuta all'eccesso di acido gliossilico non ulteriormente metabolizzato. Nel tipo II (con elevata escrezione di acido glicerico) vi è un difetto di riduzione dell'acido idrossipiruvico a glicerico (per deficit di D-glicerico deidrogenasi) e s'ipotizza un difetto, con questo combinato, di riduzione dell'acido gliossilico a glicolico.

L'ipersarcosinemia presenta forte accumulo nel plasma e nell'urina di sarcosina (metilglicina). I dati biochimici fanno ritenere si tratti di un deficit di sarcosina deidrogenasi. Presenta ritardo mentale, possibili turbe neurologiche fino dalla nascita, con difficoltà alla suzione e deglutizione.

Sono stati anche osservati disturbi del m. della β-alanina, consistenti in: iper-β-alaninemia, caratterizzata da crisi convulsive in cui il difetto si ritiene sia a carico della β-alanina-α-glutarico transaminasi; l'ipercarnosinemia, che è causa di grave cerebropatia e in cui è stato accertato un difetto di carnosinasi, enzima che scinde la carnosina (β-alanil-L-istidina) nei due aminoacidi componenti.

Malattie da alterato metabolismo purinico e pirimidinico.

Nell'ambito del m. purinico le più importanti sono le tre forme seguenti:

La sindrome di Lesch-Nyhan è caratterizzata da iperuricemia con iperproduzione di acido urico, e da sindrome neurologica rappresentata da ritardo mentale, automutilazione, spasticità, movimenti coreoatetosici. L'iperuricuria provoca con facilità una precoce formazione di calcoli. È associata a deficit d'ipoxantina-guanosina-fosforibosil transferasi ed è geneticamente legata al cromosoma X.

La gotta interessa l'età adulta e in grande prevalenza il sesso maschile (v. gotta, XVII, p. 588; App. III,1, p. 770). Nella maggioranza dei casi non esistono alterazioni enzimatiche svelabili; l'iperproduzione di acido urico può associarsi a una ridotta eliminazione renale che talora può essere l'aspetto prevalente o esclusivo; in minor numero di casi vi è difetto d'ipoxantina-guanosina-fosforibosil transferasi (legato al cromosoma X); in altri pazienti è stata anche osservata deficienza di glucoso-6-fosfato deidrogenasi (autosomicarecessiva), e di glutatione reduttasi (autosomicarecessiva e dominante).

La xantinuria si basa su un deficit di xantino-ossidasi che si manifesta con basso contenuto di acido urico nel sangue, ed eliminazione di xantina e ipoxantina invece di acido urico. Può essere causa di formazione di calcoli di xantina. Pare trasmettersi in forma recessiva.

Il m. pirimidinico è interessato nella orotico-aciduria, alla cui base sta il concomitante difetto di orotidina-5-fosfato pirofosforilasi e di orotidina-5-fosfato decarbossilasi. I sintomi sono: arresto ponderale, stato anemico, non grave ritardo mentale, ipotonia, flocculazione nell'urina di acido orotico. Risponde favorevolmente alla terapia con uridina. Si trasmette in forma autosomica recessiva.

Difetti di frazioni proteiche del plasma.

Rimandiamo ai rispettivi capitoli per le alterazioni proteiche che hanno interesse immunologico, o che riguardano la coagulazione. Altri difetti di frazione proteiche plasmatiche sono i seguenti:

Analbuminemia. Mancanza della frazione albuminica del plasma, che è causa di sintomi clinici modesti (lievi edemi e anemia). È ridotto il catabolismo dell'albumina iniettata. Vi è aumento del colesterolo plasmatico, senza interessamento delle altre frazioni lipidiche; può essere ridotto anche il calcio plasmatico.

Difetto di α1-antitripsina. È stato messo in correlazione con sindromi ostruttive delle vie respiratorie, e nel bambino con epatopatie. L'entità di queste correlazioni e i meccanismi patogenetici sono tuttora oggetto di studio.

Difetti di frazione lipoproteiche. Sono stati considerati fra i disturbi del m. lipidico.

Deficienza dell'inibitore della C′ -1 esterasi (frazione del complemento). È causa di edema angioneurotico ereditario. Si osserva notevole elevazione delle esterasi durante gli attacchi di orticaria gigante.

Un'assenza di transferrina è stata osservata in un caso che presentava anemia alla nascita e successivo ritardo nello sviluppo somatico, anemia ipocromica con epatosplenomegalia, depositi siderosici e cirrosi epatica.

La deficienza congenita di transcobalamina I è causa solo di assenza di vit. B12 dal plasma circolante, mentre è normale la presenza della vitamina nei tessuti. La deficienza di transcobalamina II, che è trasmessa in forma recessiva, è causa di grave anemia megaloblastica nel neonato, di disturbi d'ipotrofia e neurologici.

Difetti di attività enzimatiche rilevabili nel plasma.

Deficienza di lecitina-colesterolo acil transferasi. È stata considerata fra le turbe del m. lipidico.

Ipofosfatasia. Si osserva basso livello di fosfatasi alcalina del siero, elevata escrezione urinaria di fosforiletanolamina, e ridotta d'idrossi-prolina, con gravi alterazioni ossee per difetto di sintesi della matrice ossea e di calcificazione.

Assente o ridotta attività di pseudocolinesterasi. Può essere causa di prolungata apnea dopo l'uso di succinilcolina, miorilassante usato in anestesia. È anche nota la condizione su base genetica di maggior resistenza agli effetti farmacologici della succinil-colina.

Difetti enzimatici degli eritrociti.

In varie delle malattie sopra elencate dovute a difetti enzimatici il difetto stesso può essere messo in evidenza negli eritrociti. Inoltre, gli eritrociti possono presentare carenze enzimatiche che sono causa di malattie ematologiche per le quali si rimanda ai relativi capitoli.

Un altro difetto, che interessa nella maggior parte dei casi tutti i tessuti ed è svelabile negli eritrociti, è la acatalasia. Messo a contatto di perossido d'idrogeno il sangue dei soggetti che presentano assenza di catalasi diventa di colorito bruno senza sviluppare bollicine di ossigeno. L'acatalasia (trasmessa in forma autosomica recessiva) forma un gruppo geneticamente eterogeneo. Per lo più questa condizione risulta asintomatica, ma in portatorì del difetto è stata osservata la gangrena orale, nota come malattia di Takahara.

Un difetto svelabile negli eritrociti (oltre che nei leucociti e nei fibroblasti) è il deficit di glutatione sintetasi, che provoca un eccesso di acido piroglutammico nel sangue e nell'urina ed è causa di acidosi metabolica cronica (piroglutammico aciduria) decorrente senza spiccati segni clinici.

Alterazioni del metabolismo dei metalli.

Il m. del rame è alterato nella malattia di Wilson (degenerazione epato-lenticolare), che presenta come tratto caratteristico, anche se non assolutamente costante, un difetto di ceruloplasmina (frazione proteica plasmatica veicolante il rame). La forma comprende sintomi nervosi (disturbi del linguaggio, ipertonia, tremori, convulsioni) ed epatici, e presenta un segno oculare patognomonico (anello di Kayser-Fleischer). Vi è inoltre interessamento renale denunciato da iperaminoaciduria generalizzata. La causa diretta delle lesioni agli organi sembra essere la deposizione in essi del rame. Si trasmette in forma autosomica recessiva.

L'emocromatosi primitiva è legata a un eccessivo assorbimento di ferro intestinale che comporta deposizione nei tessuti di emosiderina, complesso ferro-proteico che provoca danni al fegato, al pancreas, al cuore. Nella malattia avanzata e non trattata si osservano pigmentazione bronzina cutanea, cirrosi epatica, diabete mellito. Non è stabilita la modalità di trasmissione.

Errori del metabolismo delle porfirine.

Gli errori del m. delle porfirine sono causa delle porfirie. Queste vengono classificate in due gruppi: 1) porfirie eritropoietiche; 2) porfirie epatiche.

Le porfirie eritropoietiche si suddividono in due forme: la Porfiria eritropoietica congenita (trasmessa con modalità recessiva) è caratterizzata da fotodermite e anemia emolitica. Si basa sull'incapacità presente in un'elevata quota degli eritroblasti a trasformare il porfobilinogeno in uroporfirinogeno III, mentre si ha accumulo di uroporfirina I, e sua escrezione urinaria, insieme con coproporfirina I.

La protoporfiria eritropoietica (detta anche protoporfiria) è trasmessa in forma dominante e presenta soltanto le manifestazioni cutanee, provocate dall'esposizione alla luce (risposta orticarioide transitoria ed eczema cronico). È basata su eccessiva produzione di protoporfirina 9 negli eritrociti. Vi è eliminazione fecale di protoporfirina e di coproporfirina.

Le porfirie epatiche si dividono in varie forme: porfiria acuta intermittente, porfiria variegata, porfiria cutanea tarda, coproporfiria ereditaria. Queste forme si associano a un'iperproduzione di acido δ-aminolevulinico (ALA) e di porfobilinogeno per eccesso di ALA sintetasi epatica, che presiede alla prima tappa della biosintesi delle porfirine. La forma acuta intermittente si caratterizza per crisi comprendenti manifestazioni dolorose viscerali, sintomi nervosi (in prevalenza paralitici) e psichici, ipertensione. Non è associata a manifestazioni cutanee. Le altre forme presentano manifestazioni sia cutanee che viscerali e nervose. Durante le crisi vi è forte eliminazione di ALA e di porfobilinogeno. Le porfirie epatiche sembrano trasmesse in forma autosomica dominante.

Difetti del metabolismo della bilirubina.

Comprendono forme basate o su un difetto di formazione dei composti glicuroconiugati della bilirubina, o su un difetto primario dell'escrezione da parte dell'epatocita della bilirubina coniugata.

Sindrome di Crigler - Najjar (ittero familiare non emolitico con hernicterus). È caratterizzata da difetto della coniugazione della bilirubina, per deficit di glicuronil-transferasi epatica. È in essa presente un elevato tasso plasmatico di bilirubina libera, che è causa di ittero grave neonatale e di lesioni nervose irreversibili. La morte avviene nella maggior parte dei casi nella prima infanzia. Viene trasmessa in forma recessiva. Esistono anche forme con probabile difetto parziale dell'enzima.

Sindrome di Dubin - Johnson. È costituita da un ittero cronico, a insorgenza nei primi anni di vita, accompagnato spesso da epatomegalia, dolori addominali, disordini gastro-intestinali. La causa è da ricercare in un difetto escretorio da parte dell'epatocita della bilirubina coniugata. L'ittero è caratterizzato da iperbilirubinemia con bilirubina di tipo in prevalenza coniugato. È caratteristica la presenza negli epatociti di un pigmento bruno di tipo melaninico.

Sindrome di Rotor. È clinicamente e patogeneticamente identica alla precedente, da cui si differenzia per l'assenza di pigmento nel fegato, che appare istologicamente normale.

Bibl.: J. B. Stanbury, J. B. Wyngaarden, D. S. Fredrickson, The metabolic basis of inherited disease, New York 1972; J. Boisse, Enzymopathies. Deficit des enzymes du métabolisme des amino-acides. Parigi 1972; E. R. Rosenberg, Bondi, Malattie del metabolismo, Roma 1974; C. Polonovski e altri, Erreurs innées du métabolisme, in La revue du praticien, vol. 25, n. 33, giugno 1975.

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Fosforilazione ossidativa

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