METALLURGIA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

METALLURGIA (XXIII, p. 47; App. II, 11, p. 300)

Felice DE CARLI
Paolo SPINEDI

Negli ultimi quindici anni la m. ha conseguito notevoli progressi in campo scientifico e tecnologico. Dal punto di vista scientifico il progresso ha seguito due direzioni principali. La prima relativa all'estensione delle conoscenze di fisica dello stato solido che, in senso metallurgico, va intesa come: approfondimento delle relazioni intercorrenti tra proprietà di metalli solidi e leghe e loro caratteristiche strutturali, stato difettivo, inclusioni, impurità, comportamento sotto sollecitazioni ecc. (vedi oltre). L'altra direzione è quella relativa ai nuovi contributi nella impostazione chimico-fisica delle reazioni fondamentali, sulle quali si basano i processi estrattivi e di affinazione.

Metallurgia estrattiva.

In questo settore, già ampiamente sviluppato da tempo, soprattutto ad opera della scuola tedesca, sono stati conseguiti ulteriori progressi chiarificatori, in buona parte ad opera della scuola americana, che hanno contribuito a meglio illustrare l'aspetto chimico-fisico dei processi metallurgici, e a renderne i presupposti in termini sufficientemente semplici per la loro applicazione nella tecnica operativa. Il progresso raggiunto ha consentito di migliorare razionalmente i cicli operativi della m. tradizionale, e di raggiungere risultati pratici nella produzione di metalli iperpuri e di metalli nuovi di grande interesse per la tecnologia nucleare ed elettronica e per la produzione di leghe resistenti alle più severe sollecitazioni termiche, chimiche, meccaniche.

Le nuove esigenze, che il mondo della tecnica viene formulando in termini sempre più netti ed impegnativi, hanno costretto la m. ad un rapido aggiornamento dei presupposti scientifici dai quali dipendono le numerose e complesse trasformazioni collegate con i trattamenti termici e termochimici, la resistenza alla corrosione, ecc. La materia è molto vasta; buona parte degli argomenti sono svolti sotto altre voci di questa Appendice (v. acciaio; ghisa; leghe; siderurgia; termici, trattamenti, ecc.): qui si tratteranno solo taluni aspetti generali particolarmente connessi con i procedimenti estrattivi tradizionali e moderni.

Detti procedimenti estrattivi vengono applicati oggi su scala in progressiva ascesa con coefficienti di incremento molto elevati, sicché l'aspetto qualitativo del panorama metallurgico dei nostri giorni risulta strettamente collegato con quello quantitativo. Si deve produrre sempre di più per soddisfare il fabbisogno in continuo aumento, e sempre meglio per adeguare al massimo le proprietà dei materiali metallici alle sollecitazioni cui dovranno resistere, ed anche per aumentare, per quanto possibile, la durata dei manufatti. Le componenti economiche del profilo della moderna industria metallurgica giungono a tenere conto anche della circostanza che, se il perfezionamento tecnico è collegato a sempre maggiore fabbisogno di metalli, la disponibilità di minerali per la loro estrazione è in continuo, se pur lento, declino per progressivo impoverimento dei giacimenti.

La trattazione sarà divisa in paragrafi che, pur essendo collegati tra di loro per i rapporti con i principî termodinamici cui si è fatto cenno, diversificano negli scopi cui mirano le applicazioni di tali principî alle varie fasi della tecnologia metallurgica. Negli ultimi quindici anni hanno segnato maggiore progresso: 1) la preparazione di metalli dotati di grande affinità chimica, con la trasposizione in scala industriale o semindustriale, di metodi precedentemente adottati solo in scala di laboratorio, nonché i perfezionamenti nella produzione dei metalli tradizionali; 2) l'affinazione dei prodotti siderurgici, con particolare riguardo all'impiego di ossigeno; 3) la purificazione dei metalli di interesse nucleare, elettronico, ecc.; 4) la diminuzione del tenore di gas occlusi o disciolti nei metalli, e particolarmente nell'acciaio.

1. Ciò che ha consentito di conseguire negli ultimi anni un notevole progresso nell'applicazione dei principî chimico-fisici alle reazioni metallurgiche di interesse pratico, è stata soprattutto l'abbondanza di dati termodinamici, relativi ai composti di maggiore interesse metallurgico, dei quali si è avuta disponibilità in seguito a ricerche sistematiche iniziate una ventina di anni or sono e proseguite con sempre maggiore intensità.

È stata tra l'altro determinata, in funzione della temperatura assoluta, l'energia libera standard di formazione ΔGOT di ossidi, solfuri, alogenuri, carburi che sono i composti metallici di maggiore interesse nella tecnologia metallurgica. La variazione di ΔGOT in funzione della temperatura è riportata nei diagrammi delle figg.1, 2, 3, 4, 5, e 6 (H. J. T. Ellingham). Ciascuna curva si riferisce al ΔG0T di una determinata reazione di formazione di un ossido, di un solfuro, di un azoturo, ecc., in ogni caso riferita alla fissazione di una stessa quantità dell'elememo non metallico a quello metallico, e precisamente alla combinazione di quest'ultimo con una di carbonio.

Ciascuna figura permette di confrontare in funzione della temperatura, e in prima approssimazione, la variazione di affinità dei varî metalli per gli elementi considerati.

I diagrammi sono stati costruiti su dati sperimentali supponendo dipendenza lineare di ΔGOT dalla temperatura assoluta T:

in cui A e B sono delle costanti che dipendono: A, dal calore di formazione ΔH0298 del composto considerato alla temperatura di 298 oK (25 oC) convenzionalmente assunta come temperatura di riferimento; B dall'entropia di formazione ΔS0298 alla stessa tetmperatura; inoltre sia A sia B dipendono dalla differenza ΔCp tra il calore molecolare a pressione costante del prodotto di reazione e la somma dei calori molecolari degli elementi posti a reagire, assumendo per detti calori molecolari un opportuno valore medio calcolato in tutto l'intervallo in cui è valida la [1]. In conseguenza delle limitazioni introdotte nella [1] i diagrammi di ΔGT in funzione di T hanno l'aspetto di segmenti di retta. Il loro coefficiente angolare varia in corrispondenza delle temperature alle quali una delle sostanze partecipanti alla reazione subisce un cambiamento di stato, poiché questo è accompagnato da un calore latente e da un'entropia di trasformazione che vanno ad aggiungersi al calore e all'entropia di reazione. Inoltre, in corrispondenza del cambiamento di stato varia il calore specifico molecolare della sostanza interessata da tale cambiamento: circostanza questa che modifica ulteriormente il valore delle costanti A e B che compaiono nella [1].

Si deve notare inoltre che il cambiamento di coefficiente angolare è particolarmente rilevante nel caso della formazione o della scomparsa di un costituente allo stato gassoso (cioè in seguito al raggiungimento della temperatura di ebollizione o di sublimazione di una delle sostanze partecipanti alla reazione): infatti, in corrispondenza di tali processi è particolarmente significativa la variazione di entropia inerente alla trasformazione. Inoltre, la somma algebrica dei calori molecolari ΔCp dipende in misura notevole dalla variazione del numero di grammomolecole dei componenti gassosi che ha luogo in seguito alla reazione stessa: per es. in una reazione del tipo

ΔCp è tale da indurre un'apprezzabile deviazione nel grafico di ΔGT in funzione di T. In tal caso la [1] e la rappresentazione grafica che da essa deriva, può fornire soltanto dei dati di prima approssimazione (molto spesso tuttavia sufficienti per i calcoli orientativi richiesti dalla pratica metallurgica). Però, se tutti i dati usati per calcolare ΔGT (cioè ΔH0298, ΔS0298, ΔCp) sono noti con sufficiente precisione, può riuscire utile, per calcoli più accurati, l'introduzione di un terzo termine nella [1] che tenga conto della variazione ΔCp: la [1] prende allora la forma:

A chiarire il significato dei diagrammi delle figg. valgono alcune considerazioni riferite, per esempio, al diagramma di fig. 1, relativo agli ossidi, il più importante ai fini pratici dato che numerosi metalli si ottengono per riduzione dei loro ossidi.

Si consideri la formazione di un ossido a partire da metallo e da una mole di ossigeno e si supponga che tanto l'ossido quanto il metallo siano in fase solida o liquida:

Tra la pressione di equilibrio dell'ossigeno alla temperatura T, ossia tra la tensione di dissociazione dell'ossido alla temperatura T, e la variazione di energia libera standard intercorre la relazione

dove con po2 si indica la tensione di dissociazione dell'ossido. Dal diagramma è quindi immediatamente desumibile la temperatura normale di dissociazione dell'ossido: cioè quella temperatura alla quale la tensione di dissociazione dell'ossido eguaglia la pressione di una atmosfera. Per tale temperatura po2 = 1 atm. e quindi ΔGTo = O.

Un piccolo numero di ossidi hanno temperatura di dissociazione compresa entro limiti tecnologicamente raggiungibili (Au2O3, Ag2O, HgO). Questi ossidi si dissociano per semplice riscaldamento in ossigeno e metallo e sono quindi i più facilmente riducibili. Le curve ΔGTo/T relative a tali ossidi sono situate nella parte più alta del diagramma corrispondente ai valori meno elevati dell'energia libera. Fissato un valore della temperatura, è possibile ordinare gli ossidi secondo valori crescenti dell'energia libera standard di formazione (H. Ulich). Si ottiene così una scala dell'affinità dei metalli per l'ossigeno che è anche una scala di stabilità degli ossidi.

Questi possono essere divisi orientativamente in quattro categorie, che potranno essere meglio definite dopo avere dato qualche chiarimento sul loro comportamento generale. Alla prima appartengono quelli che si dissociano in metallo e ossigeno per semplice riscaldamento a temperature facilmente accessibili; alle altre gli ossidi la cui dissociazione è praticamente impossibile con questo sistema. Bisogna in questi casi ricorrere ad altri mezzi per raggiungere lo scopo.

Abbiamo detto che la fig. 1, relativa alle variazioni di ΔGT degli ossidi con la temperatura, ci permette di porre a confronto l'affinità dei metalli per l'ossigeno a ciascuna temperatura compresa nel diagramma. Ne risulta che una reazione del tipo

sarà sempre possibile quando sia rispettata la condizione che l'affinità per l'ossigeno di Me′ sia maggiore di quella di Me.

Ne consegue che, a temperature superiori alla minima occorrente per avere una velocità di reazione praticamente utile, un elemento che si combina con l'ossigeno è capace di ridurre gli ossidi le cui curve ΔGOT/T si trovano al di sopra della curva pertinente all'elemento considerato: viceversa l'ossido di questo elemento sarà ridotto da tutti gli elementi le cui curve si trovano al di sotto della curva in esame.

Si noti ora un fatto di fondamentale importanza per la metallurgia estrattiva; mentre la stabilità di tutti gli ossidi metallici considerati nel diagramma decresce con l'aumentare della temperatura la stabilità dell'ossido di carbonio aumenta.

Se si confronta l'andamento della variazione di ΔGOT in funzione di T della reazione:

con quella degli ossidi metallici si vede che il coefficiente angolare della curva è tale da rendere possibile il suo incrocio con tutte le altre, la qual cosa conduce alla conclusione che, in linea teorica, il carbone può ridurre tutti gli ossidi perché in ogni caso esisterà un valore di T oltre il quale il ΔGOT della [5] diverrà maggiore di quello dei varî ossidi metallici, costituendosi con questo la premessa termodinamica per una combinazione di reazioni del tipo:

che pone la condizione di possibilità di riduzione degli ossidi con carbone. Ciò si verifica normalmente nei processi metallurgici per l'estrazione di metalli aventi affinità per l'ossigeno anche elevata ma sempre tale da permettere di realizzare la [6] a temperature tecnicamente accessibili. Soddisfatta questa condizione non è detto però che il problema sia da considerare univocamente risolto, perché può intervenire un'altro fattore limitativo per l'impiego pratico di questo sistema di riduzione degli ossidi metallici con carbone, e precisamente l'affinità anche notevole che numerosi metalli manifestano per il carbonio e che in molti casi porta a formazione di carburi in luogo dei metalli:

tale è il caso per es. di Be, Th, U, W, Zr, Ti, Al ecc. Ciò accade allorquando i presupposti termodinamici sono più favorevoli per la [7] che non per la [6] cioè ΔGOT′′′′ > ΔGOT′′′.

Questa circostanza era ben nota da tempo e pertanto l'averla ricordata non costituisce di per sé novità. Sono invece nuove altre circostanze, dipendenti da essa, e precisamente quelle relative alle nuove esigenze di talune m. speciali che dall'ultimo dopo guerra hanno raggiunto uno sviluppo rapido e importante. Torio, uranio, titanio, berillio, zirconio sono alcuni tipici componenti di quel gruppo di metalli cosiddetti "nuovi" che interessano particolarmente le tecnologie nucleari e la missilistica. La loro produzione ha acquistato notevole importanza e non solo in senso quantitativo, ma anche, se non soprattutto, in senso qualitativo, perché le su accennate tecnologie, per motivi di economia del flusso neutronico o di comportamento fisico-meccanico, esigono metalli di elevatissimo grado di purezza, quale non era stato mai raggiunto prima d'ora dalla metallurgia industriale.

Questa tecnologia si è dovuta pertanto adeguare alle nuove esigenze, portando maggiore attenzione alle componenti chimiche che la caratterizzano, ed attrezzandosi a nuovi metodi estrattivi e di purificazione.

I metalli "nuovi" sopra ricordati ed altri ancora di cui si dirà particolarmente in seguito hanno in comune la caratteristica di possedere grande affinità chimica per quasi tutti le specie elementari conosciute e particolarmente: O2, N2, S, P, C, Si, e quasi tutti i metalli; siccome nella scala delle affinità si trovano ai livelli più elevati ne consegue che se per la loro preparazione non si partisse da prodotti puri, sarebbe praticamente impossibile liberarli dalle impurità (specie quelle metalliche) dopo la loro estrazione dai concentrati dei minerali che li contengono.

È stato pertanto necessario generalizzare e affinare il modo di procedere già in uso per l'alluminio e cioè la seperazione dal minerale grezzo di un sale o di un ossido estremamente puro del metallo che si vuole preparare. Ne consegue che durante il successivo trattamento di estrazione si dovrà avere cura soprattutto di evitare che intervengano contaminazioni.

Questi caratteri fondamentali della nuova m. lasciano peraltro intravedere cicli operativi di stretta pertinenza chimica inusitati per la m. classica e tradizionale. Senza scendere in particolari, si può affermare che all'ottenimento delle surriferite condizioni si perviene mediante attacchi chimici, acidi e alcalini, dei minerali, e susseguente trattamento delle soluzioni ottenute in condizioni adatte per la separazione del sale che interessa dagli altri che lo inquinano.

In questa fase preparativa dei nuovi processi metallurgici hanno trovato estesa applicazione metodologie derivanti da acquisizioni che prima d'ora, per complessità e per costo, non erano uscite dall'ambiente della pratica di laboratorio. Emergono tra queste l'impiego delle resine scambiatrici di ioni, particolarmente anioniche, e indicate pertanto per quei metalli che nelle loro forme di combinazione possono dare sali con le basi (per esempio uranati), e quello della estrazione selettiva con solventi organici immiscibili con la fase acquosa.

Molti di questi solventi sono selettivi rispetto a determinati metalli come l'uranio, il torio, lo zirconio, l'afnio, il platino, il nichel, il cobalto. Con la scelta appropriata del solvente e con l'aggiunta di agenti complessanti, di natura acida o salina, si creano le condizioni adatte per separare il sale del metallo che interessa da altri che lo inquinano portandolo nella fase organica, immiscibile con quella acquosa. Separate tra di loro le due fasi, si libera quella organica dal sale metallico in essa discolta dibattendola con acqua o con soluzioni acide, cioè percorrendo il cammino inverso a quello che è stato seguito per far passare il componente metallico dalla soluzione acquosa impura al solvente organico. Con questo il solvente viene rigenerato e può rientrare in ciclo.

Nelle sue linee generali il processo, pur impiegando solventi non usuali e costosi, ha trovato impiego economico in quanto si presta a operazioni continue con riciclazione e reintegro di quantità relativamente piccole, non superiori alle normali perdite di lavorazione.

Tra i solventi più usati: l'etere dietilico, il metil-isobutil-chetone, il fosfato tributilico. Generalmente questi solventi vengono a loro volta diluiti con altro solvente meno costoso, sempre immiscibile con la fase acquosa, che fa da veicolo; si presta particolarmente allo scopo il kerosene.

Dai processi di estrazione si ottengono prevalentemente sali (per es., nitrati) dai quali per calcinazione si passa agli ossidi, che rappresentano il penultimo stadio per arrivare ai rispettivi metalli.

Infatti dallo stesso ossido, o da un alogenuro (molto spesso fluoruro) ottenuto da esso, si giunge finalmente al metallo desiderato con reazioni del tipo

sempre possibili a condizioni che Me′ abbia per l'ossigeno o, rispettivamente, per l'alogenuro (nell'esempio citato il fluoro) affinità nettamente superiore a quella del metallo Me. In tal caso risulta

e rispettivamente ΔGToMe′Fy > ΔGToMeFy; si ritorna pertanto alle condizioni termodinamiche già discusse nel caso della [6], cioè della riduzione degli ossidi con carbone, con la sola differenza che quest'ultimo tipo di reazioni riesce particolarmente utile quando il ΔH di formazione di Me′Ox e di Me′Fy è notevolmente superiore a quello di MeOx e MeFy, la qual cosa si traduce in una notevole estrinsecazione di energia termica che per la maggior parte va a riscaldare la miscela in reazione. Si tratta di reazioni a decorso molto veloce che talvolta conducono ad ottenere il metallo (Me) allo stato fuso, come nel caso dell'uranio; in altri casi come per il berillio per portare a fusione il metallo si fa avvenire la reazione in un forno elettrico ad induzione. In altri casi ancora come per il titanio, zirconio, torio, data l'alta temperatura di fusione di questi metalli, è possibile ottenerli solo allo stato di spugna, che viene separata dalla scoria e rifusa successivamente con particolari accorgimenti di cui sarà fatto cenno avanti. Talvolta è stato possibile creare condizioni adatte ad ottenere dalle reazioni [8] [9] non metalli fusi ma leghe fuse. Questo si realizza ad esempio per il torio che fonde a temperatura molto elevata (1755 oC) non raggiungibile per effetto del calore di reazione e nemmeno con comuni forni a induzione per mancanza di refrattarî idonei (v. in questa App. la voce torio).

Nelle reazioni ora descritte il metallo Me′ caratterizzato dalla maggiore affinità per l'ossigeno e per gli alogenuri è generalmente sodio, oppure calcio, o anche magnesio. In realtà anche gli altri metalli alcalini e alcalino terrosi che si presterebbero allo scopo non vengono presi in considerazione a causa della loro minore diffusione e del conseguente maggior costo. Eliminato nel modo descritto il pericolo di contaminazione del metallo Me ad opera del carbonio, occorre in casi del genere premunirsi dal contatto con ossigeno, con azoto, con materiali solidi (particolarmente i refrattarî) che potrebbero reagire coi metalli dotati di elevata affinità chimica.

Il contatto con i gas viene facilmente evitato con l'uso di recipienti di reazione a tenuta di vuoto, o condizionati con gas inerti (generalmente argon). Il contatto con i solidi è quello che ha dato le maggiori preoccupazioni, perché metalli come uranio, torio, titanio, zirconio, berillio ecc. reagiscono con quasi tutti i materiali comunemente impiegati come refrattarî (silice, allumina, cromite, ecc.). Gli unici che resistono sono gli ossidi alcalino terrosi (particolarmente la calce) e quello di magnesio, oltre naturalmente agli ossidi degli stessi metalli che si vogliono preparare, per esempio l'ossido di berillio rispetto al berillio. Talvolta si prestano bene come refrattarî composti non ossigenati: un esempio è la fluorite nella metallurgia dell'uranio.

Ritornando ora alla classificazione degli ossidi metallici, le quattro categorie si possono caratterizzare nel modo seguente:

1) Ossidi che si dissociano col calore:

2) Ossidi che non si dissociano con il calore, ma il cui ΔGOT è inferiore a quello della reazione:

per cui è possibile la loro riduzione con CO secondo lo schema:

3) Ossidi aventi affinità per l'ossigeno ancora superiore a quella dei metalli del gruppo precedente il cui ΔGOT è superiore a quello della [11] alle temperature alle quali le velocità di reazione sono praticamente utili, ma inferiore a quello della

per i quali quindi si rende possibile la riduzione degli ossidi con carbone

4) Ossidi il cui ΔGT diviene inferiore a quello della [13] a temperature troppo elevate per essere raggiungibili nella pratica dell'esercizio industriale, ed ossidi che per avere elevato ΔGOT di reazione con il carbonio darebbero luogo a formazione di carburo in luogo di metallo.

Per questi ultimi si può superare la difficoltà ricorrendo alle reazioni tra alogenuri e altri metalli aventi grande affinità per gli alogeni, come è stato accennato avanti, oppure alla elettrolisi in bagno di sali fusi, con procedimento cioè di largo impiego pratico per la produzione di metalli tradizionali, quali il sodio, il potassio, il calcio, e gli altri componenti della famiglia dei metalli alcalini ed alcalino terrosi, l'alluminio. Questo metodo è stato sperimentato anche per i cosiddetti metalli "nuovi" come uranio, torio, zirconio, berillio, ecc.

In alcuni casi particolari, come ad esempio per il silicio iperpuro, destinato ad impieghi nel dominio dell'elettronica, si è giunti a trasferire sul piano pratico reazioni molto interessanti di altro tipo. Il silicio con acido cloridrico gassoso dà luogo a una miscela di tetracloruro e di silicocloroformio:

il silico-cloroformio viene separato dal tetracloruro mediante distillazione frazionata, dopo di che viene sottoposto a dissociazione termica

Per riassumere quanto è stato detto fino a questo punto si possono riprendere i concetti esposti nelle premesse confermando che negli ultimi venti anni i maggiori progressi in fatto di m. estrattiva sono stati raggiunti grazie all'approfondimento delle conoscenze termodinamiche relative ai composti metallici che interessano la m., e alla loro applicazione su scala industriale. Ciò non solo ha permesso il sorgere di metallurgie "nuove" come quelle pertinenti alle tecnologie nucleari, elettroniche, missilistiche, ecc. ma anche il perfezionamento dei processi m. tradizionali e particolarmente della siderurgia. Si accennerà ora a titolo esemplificativo a qualche altro aspetto particolare di nuove acquisizioni in campo metallurgico.

2. Affinazione e purificazione sono due termini che in senso chimico possono esprimere presso a poco lo stesso concetto. In senso metallurgico indicano invece due procedimenti diversi. Il primo: l'affinazione, è di accezione prevalentemente siderurgica e si riferisce al passaggio dalla ghisa, o da miscele di ghisa e rottame, all'acciaio. Esso comprende oltre che l'eliminazione di elementi inquinanti come lo zolfo, il fosforo, anche la diminuzione del contenuto di componenti normali, come per esempio il carbonio fino al limite richiesto per l'acciaio che si vuole preparare. Si parla invece di purificazione a proposito di metalli non ferrosi e si intende con questo termine essenzialmente la diminuzione delle impurezze, fino a limiti molto spinti (v. oltre).

I principî informatori dell'affinazione e della purificazione sono noti da tempo. Taluni perfezionamenti e nuovi procedimenti sono anche descritti in altre voci di questa Appendice, soprattutto per l'affinazione (v. siderurgia). In questa sede l'esposizione si limita ad una caratterizzazione di massima, inquadrata ove necessario nei principî termodinamici generali esposti al principio.

L'affinazione al convertitore (Thomas, Bessemer) ha subìto la maggiore innovazione con la sostituzione dell'ossigeno all'aria come agente ossidante del carbonio, del manganese, del silicio e del fosforo (v. anche siderurgia).

Infatti, se si fa pervenire un getto di ossigeno in corrispondenza della superficie del bagno accade che l'ossido di carbonio formatosi dalla combustione del carbone disciolto nella ghisa brucia subito ad anidride carbonica e pertanto, in definitiva, ogni chilo di carbone darà luogo allo sviluppo di 7837 kcal, in luogo delle 2200 del tradizionale processo al convertitore. Oltre a ciò, non essendoci l'azoto, non si avrà nemmeno la perdita di calore dovuta al riscaldamento di questo gas inerte. Nel convertitore ad ossigeno pertanto la temperatura sale senza bisogno che il bagno contenga determinate quantità di elementi termogeni, a tal punto da consentire di caricarvi circa una quarta parte di rottami freddi, con conseguente sensibile vantaggio economico.

L'ossigeno viene impiegato in siderurgia anche come comburente dei forni a riverbero, sempre per lo stesso motivo, cioè per raggiungere temperature più elevate e per realizzare vantaggi nella cinetica delle reazioni di affinazione e nella fluidità dei bagni, fattore questo che ha grande influenza positiva nei processi di scambio tra bagno e scoria sui quali si basano le fondamentali reazioni di desolforazione e defosforazione.

3. Nel linguaggio metallurgico moderno s'intende per purificazione, come si è già accennato, il passaggio di metalli già puri nel senso tradizionale della parola ad un grado di purezza molto superiore, e tale che i residui inquinanti siano ridotti a poche parti per milione. Siffatta purificazione, fino ai limiti estremi delle possibilità, rappresenta idealmente la mèta verso cui dovrebbe tendere tutta la metallurgia industriale, al fine di ottenere da metalli e leghe le migliori prestazioni fisico-meccaniche e di resistenza alla corrosione. Senonché anche il semplice accostamento a tale mèta, allorquando trattasi di metalli purificabili per distillazione sotto pressione ridotta (per es. come magnesio, bismuto, alcalini, alcalino terrosi, zinco) è reso economicamente proibitivo dalla necessità di ricorrere a procedimenti complessi e non sempre economicamente realizzabili, specie per applicazioni su larga scala. Tali procedimenti richiedono spese di impianto e di esercizio piuttosto rilevanti e pertanto non sopportabili dai metalli di uso comune. La iperpurificazione è tuttavia praticabile nei metalli destinati ad impieghi del tutto particolari, per i quali si può prescindere abbastanza dal costo di produzione. Appartengono a questa categoria essenzialmente i metalli di interesse nucleare e i semiconduttori per applicazioni elettroniche.

Tra i possibili procedimenti di iperpurificazione due soprattutto hanno dimostrato negli ultimi anni di possedere requisiti di utilità pratica, e precisamente quello cosiddetto di fusione per zone e quello di disproporzionamento di taluni ioduri. Il procedimento di fusione per zone si basa su concetti deducibili da alcune semplici considerazioni intorno al diagramma di fig. 7.

Si supponga che un metallo A sia inquinato dal metallo B solubile nel primo sia allo stato liquido sia allo stato solido. Sia y la percentuale iniziale di B in A.

Se il metallo da purificare, sotto forma di lingotto cilindrico, viene portato e mantenuto esattamente a temperatura di poco superiore a quella di fusione in una ristretta porzione, mediante un forno anulare piuttosto sottile, si verificherà, ai bordi della zona fusa, separazione di cristalli più poveri di componente B (nel caso ipotizzato di composizione corrispondente al punto x della ascissa), mentre il liquido in equilibrio risulta più ricco di B e cioè, al limite, di composizione corrispondente al punto z.

Se ora si immagina che il piccolo forno anulare si muova lentamente da un capo all'altro del lingotto cilindrico del metallo A contenente inizialmente y % di metallo B, il fenomeno sopra descritto si ripete per l'intiera lunghezza del lingotto, e tutto il metallo A alla fine della corsa conterrà x % di B, meno la coda del lingotto ove si è concentrato il metallo inquinante. Ripetendo più volte questa operazione si perviene con successivi passaggi a purificazioni sempre più spinte del metallo A fino a limiti di impurità residua dell'ordine di poche parti per milione.

Il sistema di purificazione mediante disproporzionamento degli ioduri è fondato su particolari proprietà di taluni ioduri metallici, e particolarmente di quelli che si combinano con lo iodio in più di un rapporto. Molti di tali composti sono abbastanza volatili e si possono avere perciò allo stato gassoso a temperature relativamente moderate.

Se però vengono portati a livelli termici più elevati essi subiscono dissociazioni e disproporzionamenti del tipo:

oppure:

Le reazioni di tipo A) avvengono di regola a temperatura compresa tra 250 e 500 oC; quelle di tipo B) tra 1000 e 1100 oC.

Questo particolare comportamento degli ioduri è utilizzato ai fini pratici per separare metalli capaci di formare ioduri volatili da altri che non lo sono, e quindi per procedere ad una purificazione spinta dai primi. Si prestano ad essere purificati a questo modo, ad esempio, lo zirconio, il titanio, il torio, l'uranio.

In un cilindro di vetro Pyrex (fig. 8), chiuso al fondo, è piazzata una rete di molibdeno in modo che si crei una intercapedine tra questa e la parete interna del cilindro. L'intercapedine viene riempita con frammenti del metallo che si vuole purificare. Al centro del cilindro è disposto un filamento di tungsteno o molibdeno, o meglio dello stesso metallo che si vuole purificare; detto filamento costituisce l'elemento riscaldante, destinato a raggiungere la temperatura di disproporzionamento del triioduro (o del biioduro) e a ricoprirsi di uno strato cristallino continuo del metallo purificato. Il cilindro di Pyrex ha una diramazione laterale che può essere posta in comunicazione con la pompa per il vuoto o con una ampollina contenente iodio o tetraioduro del metallo da purificare.

Il dispositivo viene messo in funzione nel modo seguente: a) Nella intercapedine vengono caricati i frammenti del metallo da purificare. b) L'ampolla viene immersa in un bagno refrigerante, al fine di portare al più basso valore possibile la tensione di vapore dello iodio o del tetraioduro. c) Si fa il vuoto in tutto l'apparecchio: lo si riempie di argon e si torna a fare il vuoto. Si ripete detta operazione più volte, per raggiungere la sicurezza che la debole tensione residua sia di argon e non di aria. d) Si riscalda l'ampolla in modo da vaporizzare lo iodio e lo ioduro contenutovi, portando tutto l'apparecchio in una stufa ad aria o in un termostato a liquido, mantenuto ad una temperatura superiore a quella di sublimazione dello iodio o ioduro. e) Si salda alla lampada l'apparecchio nel punto f. f). Si riscalda il filamento che ha resistenza nota, controllando tensione e corrente in modo da conoscere in ogni momento la temperatura. Tale temperatura, per una condotta regolare dell'operazione, deve mantenersi il più possibile costante, e siccome la resistenza del filamento varia continuamente a mano a mano che varia la sezione per effetto della deposizione su di esso dei successivi strati di metallo purissimo, è necessario regolare dall'esterno la tensione, in modo di mantenere sensibilmente costante il prodotto della radice cubica dell'intensità di corrente per la tensione applicata, I1/2 E = K, sicché si possa permanere nel campo di temperatura più favorevole al disproporzionamento.

4. Parliamo ora dell'eliminazione dei gas occlusi o disciolti (colata sotto vuoto); durante l'elaborazione dei metalli in genere e dei prodotti siderurgici in particolare si svolgono sostanze gassose: a) ossido di carbonio proveniente dalla ossidazione del carbonio: C+1/2 O2 ⇄ CO; b) idrogeno: proveniente dalla dissociazione del vapore acqueo contenuto all'inizio nell'aria comburente immessa nei forni, o presente sotto forma di umidità nel minerale e nei materiali scorificanti; c) ossigeno e azoto provenienti dall'aria impiegata come mezzo di ossidazione nei processi di affinazione, o semplicemente dall'aria con la quale il metallo fuso è rimasto a contatto durante l'elaborazione e la colata. La solubilità dei gas nei metalli decresce con la temperatura e pertanto buona parte di essi vengono espulsi durante la solidificazione e restano imprigionati nel metallo solidificato alla sommità del lingotto (materozza) dando luogo a soffiature macroscopiche che vengono eliminate prima di passare il lingotto alla lavorazione meccanica mediante asportazione dell'intiera materozza. Il gas che a questo modo si autoelimina non è però tutto, ma solo una parte; altro ne resta nel corpo del metallo, in occlusione microscopica e submicroscopica, in quantità sufficiente a determinare inconvenienti sensibili nelle caratteristiche fisico-meccaniche e strutturali. D'altra parte le esigenze della moderna meccanica soprattutto per le dimensioni che hanno raggiunto certe macchine, come ad esempio le turbine, e particolarmente alcune parti di esse, sollecitate a sforzi assai rilevanti, hanno posto il problema dell'eliminazione dei gas contenuti nei metalli in genere e nell'acciaio in particolare, fino ai limiti del possibile.

Alberi di trasmissione e rotori di turbine del peso di oltre 100 t sono tra i manufatti di normale richiesta all'industria siderurgica da parte di quella metalmeccanica. È intuitiva la necessità di perfezione nelle colate di acciaio destinate a manufatti del genere in quanto è palese il rapporto tra entità del danno e dimensione del pezzo che si rompe in caso di sinistro dovuto a difetti nel metallo.

Si è parlato di occlusioni micro- o submicroscopiche nei metalli solidificati. Ciò rappresenta il fenomeno nel modo più semplice; qualcosa di altro si può aggiungere fermandosi a descrivere il comportamento dei gas verso i metalli.

L'idrogeno ad esempio è solubile in rame, argento, molibdeno, cromo, tungsteno, ferro, cobalto, nichel, alluminio, platino in proporzione crescente con la temperatura del metallo e con la radice quadrata della pressione parziale del gas nell'ambiente nel quale trovasi il metallo fuso. Con metalli alcalini, e alcalino terrosi, come con carbonio, silicio, selenio, arsenico, l'idrogeno si combina e forma idruri. Con altri metalli come titanio, zirconio, torio, afnio, tantalio, cerio, ecc. forma pseudo idruri poco stabili. Il basso tenore di idrogeno ha molta importanza soprattutto nell'acciaio, perché si fa risalire all'idrogeno la responsabilità di produrre il difetto noto sotto il nome di "fiocchi".

L'azoto si discioglie principalmente nei metalli capaci di formare nitruri a temperatura elevata come ad esempio alluminio, zirconio, tantalio, manganese, ferro.

L'ossigeno con la maggior parte dei metalli forma ossidi e pertanto è meno facile determinare la quota parte in equilibrio con ciascun ossido. Grosso modo si può indicare che l'ossigeno si scioglie quanto l'idrogeno.

L'ossido di carbonio infine viene assorbito dai metalli con un processo analogo a quello dell'azoto, con formazione cioè di composti: in questo caso, carbonili (nichel, ferro).

La legge di solubilità dei gas biatomici nei metalli è della forma

ove: K è il coefficiente di dissoluzione; Qs il calore di assorbimento per molecola-grammo; R la costante dei gas; T la temperatura assoluta; p la pressione parziale del gas nell'ambiente ove trovasi il metallo.

È chiaro che S diminuisce col diminuire di p e di T. Sulla temperatura non si può agire in alcun modo in quanto non è una variabile indipendente ma legata alla natura della lega. Su p invece si può agire in modo concreto facendola diminuire fino a livelli assai bassi. Ciò si realizza effettuando talune operazioni metallurgiche sotto vuoto (fig. 9) con pressioni residue anche dell'ordine di 0,05 Torr. (v. anche siderurgia).

5. I progressi della m. vertono non solo sul miglioramento della qualità ma anche sull'andamento della capacità produttiva e sulla eliminazione dei costi di produzione. Anche in questa direzione è stato fatto molto. Basti accennare ai nuovi processi di affinazione al convertitore alimentato ad ossigeno cui si è fatto cenno e alla sostituzione della volta basica nei forni Martin (v. siderurgia). Molto interessante infine il processo di colata continua dell'acciaio secondo il quale ci si propone di passare direttamente, e in modo continuo, dall'acciaio nel secchione di colata alla billetta pronta per iniziare il passaggio nel laminatoio, con dispositivi automatici, muniti di servomeccanismi che consentono di ridurre l'impiego di mano d'opera non specializzata (v. siderurgia).

Bibl.: L. Colombier, Métallurgie du fer, Parigi 1957; J. F. Elliot (ed.), The physical chemistry of steelmaking, New York 1958; D. W. Hopkins, Aspects physico-chimiques de l'élaboration des métaux, Parigi 1958; O. Kubaschewski, E. LL. Evans, Metallurgical thermochemistry, Londra 1958; F. De Carli, Elementi di metallurgia generale, Roma 1960.

Metallurgia fisica.

Come si è accennato nella parte introduttiva di questa voce, si è voluto appositamente proporre la suddivisione in m. estrattiva e m. fisica perché questa appare attualmente la più razionale. Se tuttavia non è difficile comprendere quale sia il significato della prima denominazione ed è di conseguenza relativamente agevole delimitarne il campo d'azione, la progressiva inevitabile sovrapposizione tra la metallografia classica e la fisica dello stato solido, che si è venuta sempre più accentuando in questi ultimi anni, giustifica l'esistenza di questo secondo fondamentale ramo della m. e la specifica denominazione che per esso si è adottata.

Può considerarsi conveniente esaminare i metalli ed eventualmente le leghe metalliche con riferimento in primo luogo al loro stato di aggregazione: pertanto la successione logica data alla presente stesura contempla un rapido esame delle attuali conoscenze sullo stato liquido in particolare nel caso dei metalli puri (per le leghe metalliche, v. leche, in questa App.), alcune osservazioni sul passaggio di stato e, per quanto possibile, un generico esame, a scopo integrativo, di alcuni risultati conseguiti nello studio dei metalli in fase solida.

1. Lo stato liquido nei metalli puri. - I metalli allo stato fuso (e anche non poche leghe) sono stati oggetto in questi ultimi anni di ricerche abbastanza sistematiche, specie in rapporto al crescente interesse che alcuni di essi dimostrano di suscitare nel campo di tecnologie di recente introduzione, quale per es. quella dei materiali di interesse nucleare. Così il problema della "struttura" dei metalli fusi pur se non può dirsi completamente chiarito, è stato affrontato con sufficiente penetrazione anche perché non pochi metalli, per la loro "semplicità" strutturale sia in fase solida sia liquida, si prestano, meglio di altre sostanze, a sistematiche indagini sperimentali sull'argomento in oggetto.

Si è potuto così stabilire, per es. mediante l'applicazione della tecnica di diffrazione dei raggi X (solo limitatamente modificata dal punto di vista esecutivo), che è possibile parlare di uno "stato d'ordine" parziale proprio dello stato liquido (il cosiddetto stato d'ordine a breve distanza o a corto raggio) la cui esistenza si può facilmente desumere dalla entità delle "riflessioni" corrispondenti, s'intende, non già ad un ben definito valore dell'angolo di Bragg, come nel caso dei solidi, ma ad un intero intervallo comprendente una successione finita di valori dell'angolo predetti.

Il diagramma della fig. 10 illustra bene questo fenomeno: se infatti si riporta l'intensità del pennello di raggi diffratti in funzione di (sen ϑ/λ), ove λ. è la lunghezza d'onda della radiazione impiegata, si ricava una curva continua che è rappresentativa dello "stato strutturale" proprio del liquido. Da diagrammi di tal genere è abbastanza agevole ottenere "curve di distribuzione radiale", la cui costruzione permette di stabilire il numero di atomi coordinati "statisticamente" da un determinato atomo che venga assunto come riferimento. In sostanza, se r rappresenta la probabile distanza tra due atomi adiacenti, s'intende in fase liquida, e ρ(r) la densità del metallo fuso, la funzione 4πr2ρ(r)dr, che si ottiene differenziando il volume della sfera di raggio r e moltiplicando il risultato ottenuto per la densità, potrà fornire, per integrazione tra opportuni valori di r, il numero di atomi presenti intorno ad un dato individuo atomico, preso come centro di coordinazione.

Nel diagramma della fig. 11 viene appunto rappresentato tale stato di cose. I tratti verticali corrispondenti a valori di r rigorosamente definiti, indicano in tal caso, il numero di atomi coordinati, in fase solida, dall'atomo coordinante: tali atomi coordinati, possono essere distribuiti secondo aggruppamenti (per es., di 8 o 6 individui) ciascuno dei quali dista di un valore ben preciso di r dall'atomo coordinante. Sempre nel diagramma di fig. 11, la curva ad andamento approssimativamente sinusoidale smorzato è relativa al caso della fase liquida: si vede, ad es., che il numero di atomi coordinati in tale condizione può ricavarsi per integrazione grafica estesa all'intervallo compreso tra r = 0 e il valore di r che corrisponde al primo minimo (punto p) della curva di distribuzione radiale. Infine, la curva tratteggiata è rappresentativa di un comportamento puramente ideale, cioè di quello proprio dello stato aeriforme, supposta una assoluta assenza di interazioni tra gli atomi componenti.

L'osservazione più interessante che può desumersi dalla costruzione e dall'analisi di tali diagrammi consiste nel fatto che esiste una sensibile vicinanza tra i valori del numero di coordinazione che è proprio del metallo in esame in fase solida e quello che si ottiene sulla base del predetto calcolo per il medesimo metallo in fase liquida. Ciò dimostra, tra l'altro, che un metallo fuso è caratterizzato da una "struttura" che è simile a quella che lo caratterizza in fase solida, a meno di alcuni "difetti reticolari" (in particolare, posizioni atomiche "vacanti"), il cui numero e la cui distribuzione nel complesso in oggetto sono controllati da leggi statistiche, sicché in fase liquida dovrà osservarsi una congrua riduzione nel valore del numero di coordinazione che è proprio del solido. S'intende che tale analogia strutturale deve riguardarsi valida soltanto se si considera un grado d'ordine "a corto raggio", cioè limitatamente all'immediato intorno di un determinato "centro" di coordinazione. È d'altro lato evidente che il "ricordo" in fase liquida della struttura che caratterizza il solido diviene tanto più labile quanto più ci si discosta, procedendo verso valori sempre più elevati, dalla temperatura di fusione del metallo in oggetto: questo fatto è del resto assai bene messo in evidenza dalla fig. 12 relativa al sodio liquido a due diverse temperature e non necessita pertanto di ulteriori commenti.

Non molti sono attualmente i dati quantitativi di cui si dispone in questo settore di ricerca e ancora esistono controversie sulla validità e sui limiti di applicabilità delle tecniche sperimentali adottate. È probabile che il sistematico impiego della diffrazione neutronica (v. neutrone, in questa App.), accanto ad un ulteriore affinamento della tecnica tradizionale dei raggi X possa condurre a più approfondite conoscenze in questo campo. Si noti infine che utili indicazioni sulla struttura dei metalli liquidi e specie delle leghe binarie e polinarie fuse sono state ottenute attraverso misure indirette quali quelle di viscosità, tensione superficiale, resistività elettrica, diffusione, ecc. e soprattutto in seguito a sistematiche determinazioni di attività, già da tempo intraprese sia all'estero sia in Italia e basate sull'adozione di tecniche tradizionali e nuove (misure di f.e.m. in fase liquida; tensione di vapore, ecc.). È, ad esempio, pienamente acquisito il fatto che le cosiddette fasi intermedie (v. anche leche in questa App.) presentano un rilevante grado di stabilità anche in fase liquida, e che con alcune delle tecniche predette (viscosità, ossidabilità a caldo, ecc.), è talvolta apprezzabile un anomalo comportamento degli eutettici.

Infine, prescindendo da considerazioni "strutturali", i metalli e le leghe fuse sono state oggetto di recenti studî volti a determinare le loro caratteristiche di aggressività verso metalli o leghe solide che con detti metalli e leghe fuse vengano posti a contatto. La dissoluzione di solidi metallici in liquidi pure metallici comporta lo studio delle solubilità solida e liquida, della formazione di fasi intermedie all'interfacie solido-liquido, ecc., e implica la risoluzione di problemi di cinetica, di trasporto di massa, di scambio termico e simili, elementi questi di notevole significato nel settore della tecnologia dei reattori nucleari, specie di quelli di tipo omogeneo nei quali potrebbe utilmente essere impiegato, sia come fluido per lo scambio termico sia come veicolo per il combustibile, un metallo allo stato fuso, quale ad esempio il bismuto. Di qui la ragione delle molteplici recenti indagini su simili processi di dissoluzione, indagini tendenti allo stesso tempo alla ricerca e alla identificazione di sempre più idonei materiali per l'allestimento di contenitori che siano suscettibili di resistere alle predette azioni aggressive.

2. Il passaggio di stato. - Il problema della nucleazione e accrescimento dei germi di cristallizzazione sia in fase liquida sia soprattutto durante la coesistenza delle fasi liquida e solida, presenta ancora oggi varî lati oscuri, né sembra che dal tempo di G. Tammann siano stati fatti sostanziali passi avanti nella interpretazione dei sia pur numerosi dati sperimentali che attualmente si posseggono sull'argomento.

È qui opportuno ricordare soltanto che il problema della formazione dei germi di cristallizzazione è stato affrontato essenzialmente sotto l'aspetto teorico, con specifiche trattazioni di carattere termodinamico, la cui conferma sperimentale appare attualmente assai ardua.

Comunque il processo può essere osservato sotto un duplice aspetto: da un lato si dovrà prevedere la formazione dei germi in assenza di un "sostrato" al quale gli stessi possano ancorarsi e sul quale abbiano l'opportunità di svilupparsi (nucleazione omogenea); d'altro lato è da considerarsi l'effetto (che, a priori, si potrà definire benefico) svolto da un sostrato (ad es. la superficie di separazione solido-liquido nel corso del passaggio di stato) sia sulla formazione di germi sia sullo sviluppo degli stessi (nucleazione eterogenea). Semplici considerazioni termodinamiche inducono a calcolare agevolmente le dimensioni critiche che possono essere assunte dai germi di cristallizzazione: attribuendo a quest'ultimi una forma sferica si può pertanto definire qual è il valore critico del raggio per il quale la variazione dell'energia libera conseguente alla comparsa della nuova fase (i germi di cristallizzazione) assume un valore massimo. Partendo da tali premesse è agevole, per es., definire anche la legge di variazione del raggio critico con la temperatura e conseguentemente dedurre la relazione che lega il raggio stesso al sottoraffreddamento.

Nel caso della nucleazione eterogenea occorrerà tener conto dell'azione in genere cooperante, svolta dal sustrato. Per un germe che si sia ancorato alla superficie del sostrato e che abbia all'incirca una "forma iniziale" simile a quella di una goccia, avrà estrema importanza, agli effetti della sua formazione e del suo sviluppo l'angolo di contatto formato con la superficie del sostrato. Si può in particolare dedurre facilmente che condizioni particolarmente favorevoli si avranno quando sia prevedibile una "coerenza" strutturale (ossia una sensibile vicinanza dei valori dei parametri reticolari) tra germe e sostrato: il che tra l'altro porta a ridurre sensibilmente il valore del predetto angolo di contatto.

Senza entrare in ulteriori particolari sull'argomento è sufficiente ricordare a questo punto alcuni aspetti macroscopici del problema desunti dall'osservazione dei fenomeni che si manifestano all'atto della solidificazione. Dal sistematico studio strutturale di getti appare piuttosto evidente che di un gruppo di individui cristallini separatisi da un liquido e coesistenti con questo, soltanto alcuni hanno possibilità di sopravvivere: sembra infatti che l'accrescimento degli individui in questione sia legato alla condizione che una determinata direzione cristallografica dei medesimi risulti favorevolmente orientata rispetto alla direzione del flusso del calore.

Ciò è anche attestato dai recenti studî sul processo di formazione di cristalli singoli: si sa invero che tali "direzioni preferenziali di accrescimento" si osservano in monocristalli accresciuti "liberamente" dal liquido e che inoltre usando "semi" di orientazione nota (cioè innescando la crescita di un monocristallo con un piccolo individuo cristallino di cui si conosce l'orientazione), il processo di accrescimento avviene, secondo la giacitura "imposta"; inoltre, in tali condizioni il fenomeno appare sensibilmente facilitato. Sembra anche che il cosiddetto accrescimento dendritico sia condizionato dalla presenza di una direzione preferenziale di accrescimento, quest'ultima con ogni probabilità dovendo coincidere con la direzione dei bracci primarî della dendrite medesima (fig. 13). Studî abbastanza recenti (B. Chalmers, 1953) effettuati sull'accrescimento di bicristalli hanno portato, fra l'altro, alla conclusione che l'orientazione della superficie interfacciale tra due individui cristallini che si generano allo stesso tempo dal fuso, intesa relativamente alla direzione del gradiente termico, è influenzata sia dall'orientazione propria dei singoli individui componenti il cristallo sia dalla velocità di accrescimento degli stessi: ciò tra l'altro permette di interpretare perché i monocristalli accresciuti dal fuso presentano una determinata prevalente orientazione (relativamente, per es., all'asse del campione).

3. Lo stato solido - a) Monocristalli e subgrani. - Un fenomeno che trova le sue premesse genetiche all'atto del passaggio di stato e che si evidenzia totalmente allo stato solido consiste nella cosiddetta "struttura a mosaico" determinata prevalentemente da un processo di segregazione di impurezze ovvero da un accumulo di dislocazioni ai bordi dei singoli individui cristallini che compongono l'aggregato in esame. Infatti, come è noto, gli individui apparentemente monocristallini (in particolare quelli accresciuti direttamente dal liquido) sono in realtà composti da numerosissimi cristalli caratterizzati da modeste differenze di orientazione l'uno rispetto all'altro. Questa "composizione a mosaico" è stata tra l'altro attribuita ad un riflesso nel solido dello stato difettivo proprio del liquido ed è spiegabile sulla base di una "coagulazione" di vacanze tra piani reticolari caratterizzati da alte distanze interplanari, che in un secondo tempo porterebbe ad un accumulo di dislocazioni lineari.

In particolare, come si vedrà meglio in seguito, secondo recenti interpretazioni una differenza di orientazione tra individui adiacenti, almeno entro dati valori numerici dell'angolo tra corrispondenti direzioni cristallografiche, è spiegabile in termini di una particolare distribuzione di dislocazioni. Inoltre, risulterebbe che la differenziazione sopra indicata tra sub-strutture (o strutture a mosaico) derivanti da un accumulo localizzato di dislocazioni e quelle che si originano per segregazione di impurezze sia più formale che sostanziale in quanto sembra esistere un'intima relazione tra la formazione di una particolare "distribuzione spaziale" di dislocazioni e lo stesso processo di segregazione delle impurezze. La sostanziale differenza tra le superfici di separazione tra i singoli individui di una struttura a mosaico e quelle che costituiscono il confine tra i grani di un aggregato policristallino (i ben noti "bordi dei grani" della metallografia classica) sta nel fatto che nel primo caso esse separano individui cristallini che provengono dallo stesso germe iniziale, mentre nel secondo ciascun individuo si origina a partire da un particolare germe di cristallizzazione e si accresce finché non è forzatamente limitato nel suo sviluppo dagli altri individui adiacenti, che sottostanno ad un analogo processo di crescita. Ne consegue che la differenza di orientazione tra individuo e individuo può essere nel secondo caso anche assai grande, cosa questa che non può osservarsi in un cristallo singolo, quale che sia il sistema adottato per l'accrescimento del medesimo.

Oltre ai due casi limite precedentemente indicati, nei quali la natura delle fasi adiacenti è la medesima, sono in più note le seguenti varianti: a) si osserva talora una differenza di orientazione tra fasi adiacenti identiche, che soddisfa a determinate condizioni di simmetria: è questo il caso di cristalli geminati, ben noto dalla cristallografia; b) sempre in condizioni di identità tra natura delle fasi adiacenti, una medesima orientazione degli individui considerati può tuttavia coesistere con un'incorretta sequenza di piani cristallografici da un lato e dall'altro della superficie di separazione tra gli individui stessi: è questo il caso dei cosiddetti "stacking faults" derivanti dall'esistenza di dislocazioni "parziali", il minor contenuto energetico delle quali, rispetto alle dislocazioni unitarie, consente di spiegare il tipo di stato difettivo in oggetto.

b) Aggregati cristallini e bordi di grani. - Riassumiamo brevemente quali sono le attuali vedute in merito alla natura delle superfici di separazione tra grani adiacenti, orientati a caso, in aggregati policristallini. Il problema "dei bordi dei grani" ha avuto uno sviluppo razionale in questi ultimi anni per merito della teoria delle dislocazioni. Tuttavia, se esistono ragioni sufficienti per affermare che, per differenze di orientazione variabili da circa 1 a 20o) tra cristalli adiacenti, il modello basato su particolari distribuzioni di dislocazioni, già indicato nel caso dei sub-grani, permette convenientemente di spiegare il fenomeno, la constatazione che l'energia dell'interfacie cresce progressivamente con l'aumentare dell'angolo tra le orientazioni degli individui adiacenti per poi raggiungere un valore praticamente costante per angoli superiori a circa 30o, porterebbe alla conclusione che ad interfacie proprie di angoli elevati dovrebbe corrispondere una struttura particolarmente disordinata. Nulla escluderebbe tuttavia che anche in quest'ultimo caso ci si trovi in presenza di una particolare "distribuzione" di dislocazioni, tale da portare ad uno stato praticamente "amorfo" con ciò ricadendo in definitiva nella classica e nota teoria del "cemento amorfo" (G. Beilby, 1921), anche se si ha ora la certezza che lo "spessore" dello stato disturbato tra grano e grano è assai più esiguo di quello che le previsioni tradizionali lasciavano supporre.

Quando si considera la superficie di separazione tra due individui cristallini di diversa natura, o, più genericamente, superfici di separazione tra fasi diverse, ci si può di norma trovare in presenza di due tipi di interfacie, denominati rispettivamente "coerente", e "non-coerente". Nel primo caso, fermo restando il fatto che la struttura cristallina delle due fasi a contatto è diversa, è tuttavia possibile un "adattamento reticolare" della fase 1 sulla fase 2, nel modo illustrato, ad es., nella fig. 14 a. È notevole il fatto che, se la "corrispondenza" è soddisfacente e la configurazione elettronica degli atomi componenti i due cristalli non è molto differente, l'energia interfacciale deve risultare molto modesta. S'intende che quanto minore è la possibile corrispondenza tra piani reticolari diversi dell'un cristallo e dell'altro, tanto più forzatamente i due individui si adattano l'un l'altro e tanto maggiore è quindi l'energia interfacciale, sicché al limite non potrà aversi adattamento se non attraverso distorsioni e eventuali conseguenti atti di scorrimento localizzato (interfacie non-coerente). È anche prevedibile un caso intermedio, per il quale una energia elastica uniformemente distribuita all'interfacie (in seguito ad un adattamento limitatamente forzato) si risolve con la nascita di una particolare distribuzione di dislocazioni che conducono al cosiddetto tipo semi-coerente di interfacie (fig. 14 b).

4. Proprietà plastiche dei metalli. - È noto che anche nel caso di cristalli singoli di notevole perfezione strutturale la sollecitazione necessaria per determinare una deformazione plastica risulta almeno di due o tre ordini di grandezza inferiore a quella che è agevolmente calcolabile in base ad un computo delle energie di legame di tutti gli atomi appartenenti ad un dato piano di scorrimento e quindi interessati globalmente, almeno in teoria, al processo stesso di scorrimento. È evidente infatti che, ammesso che il processo si svolga secondo quest'ultimo meccanismo, la rottura di tutti i legami interplanari seguita dal ripristino dei medesimi, previo slittamento di una intera porzione del cristallo rispetto ad una seconda porzione che al processo stesso non partecipa, comporta un atto di scorrimento elementare che, sommato ad altri consimili, conduce ad apprezzare un allungamento unitario macroscopico di un campione soggetto, ad esempio, ad una sollecitazione di trazione.

Solo nel caso di individui monocristallini in forma di filamenti assai sottili (i cosiddetti whiskers, attualmente oggetto di numerose interessanti ricerche, di cui un esempio è riportato in fig. 15) si osserva un comportamento che è assai prossimo all'"idealità", nel senso che i valori dei carichi necessarî per produrre in questi uno scorrimento plastico non si discostano di molto dai valori teorici. Tale complesso di constatazioni ha portato a confermare ancora una volta la validità della teoria delle dislocazioni: essendo infatti praticamente impossibile preparare monocristalli esenti da tale tipo di difetto e dovendo pertanto ammettere l'esistenza di un numero sia pure basso di dislocazioni in cristalli filamentari (talora il filamento si accresce intorno ad una sola dislocazione di tipo elicoidale), l'unica spiegazione plausibile per l'osservato divario tra le entità dei carichi, può essere fondata sull'ammissione che la sollecitazione applicata serva a causare il movimento delle dislocazioni senza rendere quindi necessario uno scorrimento collettivo di individui atomici secondo le modalità sopra indicate. Poiché è accertato che il movimento di una dislocazione in seno a un cristallo può portare allo stesso effetto conseguibile attraverso uno slittamento di una porzione del cristallo rispetto ad un'altra che resta in quiete; e poiché l'energia necessaria per muovere una dislocazione è inferiore a quella occorrente per uno scorrimento globale sempre nel senso già indicato, è logico che i fenomeni di scorrimento plastico vengano oggi prevalentemente studiati in scala atomica alla luce della teoria delle dislocazioni. In altre parole, si dovrebbe giungere alla conclusione che, almeno entro certi limiti, la preesistenza di un dato numero di dislocazioni in un cristallo costituisce il presupposto per facilitare un qualsiasi processo di scorrimento plastico.

D'altro lato, si ricordi che la sollecitazione necessaria per provocare un crescente scorrimento plastico aumenta progressivamente col precedere della deformazione: insorge in tal caso il fenomeno dell'incrudimento, sulle conseguenze macroscopiche del quale non occorre entrare in particolari in questa sede (v. App. II, 11, pp. 683 e 691). In scala atomica, questo fenomeno può soltanto essere spiegato, ammettendo un aumento dello stato difettivo nel materiale in esame; gli efietti conseguenti ad una deformazione plastica crescente vanno ricercati nel progressivo accrescersi del numero di dislocazioni e soprattutto nelle possibili interazioni tra queste quando il numero delle stesse per superficie unitaria, cioè la loro densità superficiale, raggiunge un valore elevato. Infatti a favore di questa ipotesi giocano i seguenti fattori: 1) la progressiva distorsione del cristallo assoggettato a deformazione plastica, come è attestato dalle numerosissime indagini condotte sull'argomento con i raggi X; 2) l'aumento del contenuto energetico del cristallo, valutabile attraverso misure calorimetriche, che conduce a prevedere un numero di dislocazioni per cm2 pari a circa 1022 contro il valore di 104-106 che competerebbe ad un cristallo semi-perfetto; 3) l'aumento della resistività elettrica col progressivo accrescersi dell'entità della deformazione; 4) la determinazione del numero delle figure di attacco per superficie unitaria, che permette di accertare direttamente il progressivo aumento nella densità superficiale delle dislocazioni.

A conferma di questo modo di vedere riportiamo, a scopo esemplificativo, un tipico diagramma di trazione che è rappresentativo del comportamento sotto carichi crescenti di un monocristallo a struttura cubica a facce centrate (fig. 16). È questo un risultato piuttosto recente che, seppure ridotto a solo un diagramma schematico e quindi non sempre rispondente in pieno al comportamento reale, dimostra come, in molti casi, il fenomeno dello scorrimento plastico non possa essere rappresentato a mezzo di una relazione semplicemente parabolica tra carico e allungamento (come si riteneva fino a poco tempo fa), giacché il meccanismo appare assai più complesso e comprende almeno tre stadî distinti e successi. vi. La curva di cui alla fig. in oggetto può essere interpretata nel modo seguente:

1) Il tratto OA corrisponde ovviamente al campo del comportamento elastico e quindi non interessa il problema in esame. 2) Il tratto AB rappresenta uno stadio di transizione tra il campo elastico e quello cui compete uno scorrimento quasi libero, tratto BC: in particolare, si ammette che nel predetto tratto AB, la sollecitazione sia tale da rendere possibile la genesi di anelli di dislocazione secondo un meccanismo sul quale non è possibile fermarsi in questa sede ("sorgenti" di Frank-Read) e che nell'intorno del punto B si sia raggiunto un valore del carico tale da consentire alle stesse dislocazioni di aprirsi la via fino alla superficie limite del cristallo o di superare possibili ostacoli al loro moto, quali i bordi dei sub-grani e simili. 3) La forte deformabilità attestata dall'andamento della curva tra i punti B e C è spiegata sulla base di un effetto che Chalmers denomina "addolcimento geometrico" e che deriva da favorevoli premesse di orientazione tra la direzione secondo la quale è applicata la sollecitazione e il piano e la direzione di scorrimento. 4) Il tratto CD, inizialmente quasi lineare e quindi parabolico, rappresenta un campo nel quale si osserva un incrudimento che da principio risulta abbastanza rapido e quindi decresce al crescere della sollecitazione: i raggi X pongono in evidenza un netto aumento dello stato difettivo, cioè, tra l'altro, appare estremamente accresciuto il numero delle dislocazioni. Ci si trova qui in presenza di un fitto intersecarsi - una "foresta", ingl. forest - di dislocazioni: sono pertanto facilmente prevedibili interazioni più o meno spiccate tra le medesime; al limite (oltre il punto C), il fenomeno osservabile nello stadio intermedio del processo, quello cioè di un "libero" scorrimento dovuto alla "nascita" di un numero relativamente limitato di dislocazioni, appare profondamente mutato nelle sue premesse genetiche, in quanto ora sono le dislocazioni medesime che inibiscono il processo di scorrimento perché in parte "congelate" da campi di forze che circondano ciascuna di esse, e che finiscono con coinvolgere anche quelle viciniori, e in parte per l'intersecarsi di due o più dislocazioni la cui posizione spaziale, nel reticolo, non risulta favorevole per lo scorrimento.

È chiaro, d'altro lato, che anche a questo ultimo ramo della curva corrisponde un più o meno marcato scorrimento. Si ammette comunque che quest'ultimo intervenga in quanto, al crescere della sollecitazione applicata, divengano attive altre famiglie di piani e quindi altre direzioni di scorrimento: si usa pertanto distinguere tra scorrimento primario, quello cioè della parte mediana della curva, e scorrimento secondario, sebbene non sempre risulti facile stabilire un limite di demarcazione nettotra i due stadî del processo e sia pertanto problematico definire, per es., il valore della sollecitazione per il quale lo scorrimento secondario diviene realmente attivo.

Sarà bene qui ancora ribadire il fatto che il particolare andamento della curva finora illustrata si riferisce al caso di un monocristallo cubico a facce centrate e che occorre che siano osservate preventive condizioni di orientazione tra piani e direzioni cristallografiche di scorrimento e la direzione in cui è applicata la sollecitazione. S'intende pertanto che l'aspetto della curva varia al variare delle condizioni iniziali di orientazione e del tipo di reticolo (per es. il fenomeno è assai più complesso nel caso di cristalli cubici a corpo centrato, per i quali è difficile, tra l'altro, definire esattamente quale sia il piano o i piani di scorrimento; anche per il caso di cristalli a struttura esagonale i risultati presentano alcune difficoltà interpretative).

Sulle proprietà plastiche dei metalli esplicano, come è ovvio, spiccata influenza numerosi fattori che qui non è il caso di esaminare in particolare (basta pensare, tra l'altro, all'incidenza che può avere la temperatura su dette proprietà): si vuole soltanto ricordare che il comportamento plastico di un cristallo singolo può essere profondamente alterato dalla presenza di impurezze che fungono da soluto nel metallo base. È facilmente prevedibile che gli atomi di impurezze, col campo di forza loro associato, possono inibire in molti casi il moto delle dislocazioni e quindi modificare sensibilmente i processi di scorrimento.

Il fenomeno dello snervamento, tipico degli acciai dolci al carbonio è appunto interpretabile, tanto per dare un esempio di particolare interesse, sulla base di un'azione di ancoraggio delle dislocazioni da parte di atomi del soluto (cioè degli atomi di carbonio che "segregherebbero" intorno alle dislocazioni), permettendo il movimento delle medesime dislocazioni soltanto quando si sia raggiunto un valore tale del carico da consentirne lo svincolo e quindi il libero movimento nel cristallo; ciò fintantoché una nuova "nuvola" di atomi di carbonio non porti ad ancorarle di nuovo. Di qui l'alternarsi dei valori delle sollecitazioni tra valori massimi e minimi, fino a quando la curva di trazione non riprende il suo andamento normale.

In termini di dislocazioni si possono anche spiegare i fenomeni che presiedono alle fratture. È prevedibile che quest'ultime, prescindendo dai diversi aspetti, del resto già noti, sotto i quali esse possono presentarsi (come coronamento di una continua deformazione plastica; per clivaggio o distacco; per separazione intercristallina; per scorrimento localizzato) trovino tutte le loro premesse genetiche in un processo iniziale di scorrimento cui partecipano attivamente "sorgenti di dislocazioni". Per es., il comportamento fragile presentato dagli acciai da costruzione in determinate condizioni d'impiego può essere spiegato (A. H. Cottrell) ammettendo che i primi stadî di formazione di una frattura coincidano con un'interazione di dislocazioni contenute in due piani di scorrimento che si intersecano, le quali, fondendosi insieme, genererebbero il primo "nucleo" della frattura medesima.

5. Effetto della temperatura su metalli - Poligonizzazione. - A questo punto si aggiunge qualche notizia a quelle già date (v. App. II, 11, pp. 295 e 691), circa gli effetti prodotti da un conveniente riscaldamento cui venga sottoposto un metallo previamente assoggettato a deformazione plastica a freddo. Una delle acquisizioni di questi ultimi anni consiste appunto nell'essere riusciti a chiarire il fenomeno che va sotto il nome di poligonizzazione. Questo processo consiste in una ridistribuzione delle dislocazioni presenti in un cristallo deformato così da conseguire uno stato cui corrisponde un minor contenuto energetico, senza tuttavia che il numero di difetti presenti varî sensibilmente.

Il fenomeno può spiegarsi nel modo seguente: se si sottomette un monocristallo ad una sollecitazione, supponiamo, di piegamento, fino a rilevare effetti macroscopici (il campione cioè appare incurvato dopo la prova), il reticolo cristallino dovrà necessariamente risultare distorto, detta distorsione corrispondendo ad una definita distribuzione spaziale di dislocazioni, l'accumulo d'energia elastica del sistema derivando dalla somma delle quote parti pertinenti a ciascuna dislocazione presente, e dalle azioni mutue esistenti tra dislocazioni viciniori. Se a questo punto si porta il metallo in oggetto ad opportuna temperatura e ivi lo si mantiene per un tempo conveniente, si può rendere possibile una più adatta distribuzione delle dislocazioni presenti, tale, ad es., che esse generino una serie di bordi di grani "a piccolo angolo", con questo riducendosi in larga misura il contenuto energetico originario del sistema, per la scomparsa di quella parte dell'energia totale dovuta all'interazione diretta tra dislocazioni adiacenti. Il risultato macroscopico di questo fenomeno consiste nel fatto che dopo tale trattamento il cristallo, originariamente distorto in modo uniforme, appare ora costituito da individui cristallini o "sezioni" non distorte se considerate singolarmente, separate tra loro da bordi "a piccolo angolo" (fig. 17).

Senza entrare in altri particolari sul meccanismo di processi, in parte almeno già discussi in questa Enciclopedia (v., ad es., App. II, 11, pp. 295 e 691) e la cui evoluzione è condizionata da un opportuno trattamento termico susseguente a una deformazione plastica preventiva, riassumiamo qui brevemente quali sono le vie attraverso le quali è ammissibile si realizzi un avvicinamento ad uno stato di equilibrio termodinamico a partire da determinate condizioni iniziali di non-equilibrio: 1) per una diminuzione nel numero di atomi interstiziali e vacanze (per es., per annullamento mutuo); 2) in seguito a annullamento di dislocazioni di segno opposto; 3) con un'opportuna ridistribuzione delle dislocazioni (come nel caso già trattato della poligonizzazione); 4) con un assorbimento delle dislocazioni da parte dei bordi dei grani in seguito a movimento di detti bordi in seno al cristallo deformato;, 5) per riduzione nell'area totale dei bordi dei grani; 6) con una diminuzione di energia libera superficiale, conseguente ad una variazione di forma e di orientazione.

6. Ciclaggio termico. - Tra le numerose e già note varianti dei trattamenti termici tradizionali stanno ora assumendo sempre maggior significato quelle prove che tendono a porre in luce il comportamento di metalli puri e di leghe binarie e polinarie sotto l'effetto di riscaldamenti e raffreddamenti alterni. Come già si è accennato all'inizio di questa voce, ove si è delineato brevemente l'interesse pratico che presentano le ricerche su metalli e leghe fuse nel settore della tecnologia nucleare, così, sempre nel medesimo settore, come pure in altri di recente interesse (quali ad es. la missilistica), rivestono particolare importanza le ricerche sul ciclaggio termico, intendendosi appunto con questo un trattamento che consiste nel sottoporre campioni metallici a un riscaldamento con velocità conveniente fino a un dato valore della temperatura, a una permanenza per un tempo opportuno a detta temperatura, seguita infine da un ritorno più o meno rapido alle condizioni iniziali, tale insieme di operazioni essendo ripetuto un numero conveniente di volte.

I risultati di tali prove sono stati in molti casi particolarmente sorprendenti: essi sono di norma spiegabili sulla base dell'esistenza di un'anisotropia nell'espansione termica, anisotropia che si riflette sul conseguente diverso comportamento che due singoli cristalli adiacenti, facenti parte di un aggregato cristallino, e caratterizzati da diversa orientazione, debbono di necessità manifestare in conseguenza di variazioni di temperatura cui vengono assoggettati. Tale diverso comportamento costituisce la causa prima di fenomeni di accrescimento anisotropo, presentati da campioni policristallini, la cui entità può spesso essere rilevata anche attraverso misure macroscopiche, e che appare dipendere da numerosi "fattori strutturali originarî", non ultimo dei quali la presenza di un'orientazione preferenziale indotta attraverso precedenti lavorazioni plastiche. Il classico esempio dell'accrescimento anisotropo di campioni policristallini di uranio assoggettati a cicli termici verrà più diffusamente trattato alla voce radiazioni (v., e v. anche la voce uranio, in questa App.), giacché esistono alcune analogie formali tra le conseguenze derivanti da un'esposizione a radiazioni di provini di uranio policristallino e gli effetti di un ciclaggio termico ripetuto sul medesimo materiale, in paragonabili condizioni strutturali. Basta qui ricordare che lo studio di questi fenomeni permette tra l'altro di chiarire il gioco alterno delle tensioni interne e il meccanismo di scorrimento plastico in metalli a spiccata anisotropia strutturale sottoposti a ciclaggio termico e ciò ha significato specie agli effetti di una migliore comprensione di processi macroscopicamente già noti come quello della attenuazione delle tensioni interne (addolcimento) o della ricristallizzazione. Si noti inoltre che il ciclaggio termico permette, in qualche caso, di provocare l'anormale accrescimento di alcuni individui cristallini di un aggregato a spese degli altri viciniori: ciò offre la possibilità dello studio della migrazione dei bordi cristallini sotto "sollecitazioni" termiche ripetute e, al limite, può avere anche interesse per la preparazione di cristalli singoli in tutti quei casi in cui i sistemi tradizionali di accrescimento non si dimostrano efficienti.

c) Trasformazione allo stato solido. - Tra i fenomeni che, in fase solida, manifestano un'evoluzione essenzialmente condizionata dalla temperatura di esperienza e ancora di più da opportune variazioni di temperatura nel tempo, possiamo inserire anche le trasformazioni allo stato solido. Queste, secondo una recente classificazione, possono essere suddivise in due fondamentali classi, comprendenti rispettivamente le trasformazioni che si svolgono senza intervento di fenomeni di diffusione e le trasformazioni che, invece, in detti fenomeni trovano le loro premesse e la loro giustificazione. Come è noto, le possibili trasformazioni di fase, oltre ad essere distinte nelle due categorie predette, sono riportabili ai seguenti casi (B. Chalmers): 1) passaggio da una fase all'altra senza che intervengano fenomeni di diffusione (trasformazioni martensitiche); 2) comparsa di una nuova fase in seno a quella originaria, con conseguenti variazioni compositive in quest'ultima (reazioni di precipitazione; separazione pro-eutettoide); 3) trasformazione di una fase in due nuove fasi, quest'ultime risultando ambedue differenti, sia dal punto di vista compositivo sia, di norma, da quello della struttura, dalle caratteristiche della fase originaria (trasformazione eutettoide e peritettoide); 4) formazione di una struttura ordinata in conseguenza di una ridistribuzione degli atomi nel cristallo; 5) reazione tra solido e gas con formazione di una nuova fase o anche con conseguenti alterazioni compositive della fase solida.

Molti di questi processi hanno già avuto trattazione adeguata in questa opera o sono stati ripresi in questa stessa Appendice (così per es. per le trasformazioni di cui ai punti 2, 3: v. duralluminio, XIII, p. 291; termici, trattamenti, XXXIII, p. 557 e App. II, 11, p. 972; v. anche in questa App., diffusione).

Sarà qui ricordato soltanto qualche recente contributo interpretativo, di carattere generale, nel caso di un esempio di trasformazione dipendente dalla diffusione e di una trasformazione che ne risulta invece indipendente. Appare inoltre opportuno notare che le trasformazioni martensitiche costituiscono effettivamente una classe di trasformazioni, delle quali peraltro la più importante è quella presentata dalle leghe ferro-carbonio (0,5 ÷ 1,4% C), detta classe comprendendo tuttavia anche esempî di un certo rilievo come la trasformazione strutturale di alcune leghe ferronichel, quella del cobalto e del litio ecc.

Le ricerche recenti sul meccanismo della trasformazione γ → α negli acciai hanno portato, tra l'altro, al concetto della "tetragonalità" a lungo e a corto raggio: è noto infatti che la forzata introduzione di atomi di carbonio nel reticolo della ferrite (ferro α) porta a una distorsione localizzata che determina una trasformazione reticolare "locale" con passaggio dalla struttura cubica a corpo centrato a quella tetragonale. Ora, perché si apprezzi la trasformazione in seno a tutta la massa, con conseguenti effetti macroscopici, occorre raggiungere un dato valore critico del tenore in carbonio (circa 0,2% C), in modo che esista approssimativamente un atomo di carbonio per ogni 50 celle unitarie: questa condizione comporta il passaggio da una distribuzione sporadica di celle tetragonali disperse in un gran numero di celle cubiche ad una "tetragonalità a lungo raggio" cioè ad una "distribuzione orientata" di celle tetragonali nell'intero reticolo, con il che realizzandosi, tra l'altro, uno stato cui corrisponde un minor contenuto di energia elastica, e quindi termodinamicamente più stabile. La fig. 18 rappresenta appunto un cristallo schematizzato di martensite (il tenore in carbonio è pari a circa il 0,8%): la distribuzione degli atomi di carbonio è tale che si verifica un aumento quasi uniforme della distanza interplanare c (in seguito ad una distribuzione non occasionale e qundi co-operante degli atomi di carbonio) con conseguente leggera contrazione nelle direzioni a e b.

Sempre a proposito della martensite sarà opportuno ricordare che la sfruttata dizione "martensite aciculare" è per lo meno impropria in quanto risulta assodato che alla martensite deve in realtà attribuirsi una forma lamellare allungata, le lamelle risultando più larghe al centro che non alle estremità. Infine, la trasformazione martensitica appare indubbiamente controllata da un processo di nucleazione, la cui origine deve con ogni probabilità ricercarsi nell'austenite di partenza: invero, il fatto che la formazione della martensite, una volta raggiunto nel raffreddamento un dato valore della temperatura, risulta praticamente indipendente dal tempo, fa pensare che i nuclei, da cui il processo si innesca, siano presenti nella stessa austenite e identificabili forse con zone a contenuto di carbonio anormalmente basso o anche con dislocazioni e altri difetti puntiformi.

Circa i processi nei quali il fattore di controllo è costituito dalla cinetica di fenomeni di diffusione, aggiungiamo soltanto, a quanto è già noto, qualche richiamo sulla nucleazione di precipitati. Con B. Chalmers, elenchiamo brevemente i fattori che hanno particolare incidenza in processi di nucleazione di particelle solide di precipitato, in una matrice anch'essa solida: a) l'energia interfacciale, che appare legata alle condizioni di adattamento geometrico tra nucleo di precipitato e matrice; b) lo stato di coazione elastica, associato a diversità nella struttura cristallina tra precipitato e matrice: detta energia di tensione va considerata unitamente (ma come fattore indipendente) all'energia interfacciale di cui in a); c) l'esistenza di uno stato difettivo nella matrice, che comporta un effetto di innesco della nucleazione in corrispondenza appunto ai difetti. Ciò è vero ovviamente quando la formazione di un nucleo di precipitato su un'imperfezione comporta una riduzione del contenuto energetico (per es. energia elastica) associato a quest'ultima.

Tralasciando di sviluppare nei particolari i tre punti di cui sopra, ricordiamo soltanto che la possibilità di adattamento tra precipitato e matrice è ovviamente legata alla formazione di una superficie di separazione, o bordo, che risulti coerente o almeno semi-coerente nel senso già indicato al paragr. 3 b) di questa voce, p. 85. Inoltre la temperatura alla quale avviene la precipitazione ha un'influenza determinante sul processo di nucleazione: ciò nel senso che, ad alte temperature, la precipitazione si verifica di preferenza ai bordi dei grani cristallini e anche in corrispondenza ai punti d'incontro di dislocazioni, mentre, a temperatura più bassa, la precipitazione ha luogo in seno agli stessi individui cristallini ed è in essi uniformemente distribuita. Infine, non possiamo omettere il fatto che le modifiche nelle proprietà fisico-meccaniche che si riscontrano in leghe assoggettate al trattamento di tempra di soluzione e susseguente maturazione sono ancora una volta spiegabili in termini di dislocazioni. Per es., l'incremento progressivo della durezza in funzione del tempo di maturazione, caratteristico delle leghe rame-alluminio, è facilmente spiegabile tenendo conto delle possibili interazioni tra i campi di forza associati alle particelle di precipitato e quelli associati alle dislocazioni presenti nella matrice. Ciò comporta, come del resto si verifica macroscopicamente, una maggiore resistenza alla deformazione (rispetto s'intende alla matrice esente da precipitato o allo stato di sovrasaturazione) a causa di un'azione di ancoraggio delle dislocazioni da parte dei nuclei di precipitato; inoltre, la formazione di anelli di dislocazione attorno a ciascun ostacolo (v. fig. 19) rende sempre più difficile il passaggio delle dislocazioni, quest'effetto essendo tanto più sentito quanto più uniformemente risultano distribuiti nella matrice i nuclei di precipitato.

Bibl.: B. Chalmers (ed.), Progress in metal physics, voll. 1-9, Londra 1949-60; A. H. Cottrell, Dislocations and plastic flow in crystals, New York 1953; L. S. Darken, R. W. Gurry, Physical chemistry of metals, New York 1953; J. G. Fisher e altri, Dislocations and mechanical properties of crystals, New York 1957; R. H. Dorémus e altri (ed.), Growth and perfections of crystals, New York 1958; Liquid metals and solidification, Amer. Soc. for Metals, Cleveland 1958; B. Chalmers, Physical metallurgy, New York 1959; H. G. Van Bauren, Imperfections in crystals, Amsterdam 1960.

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