METAMATERIALI

XXI Secolo (2010)

Metamateriali

Mario Bertolotti

L’avvento delle nanotecnologie ha prodotto, nel settore dell’ottica, un profondo cambiamento modificandone la descrizione classica e facendo emergere nuovi e inaspettati comportamenti della materia. Già negli anni Ottanta del 20° sec., Eli Yablonovitch del Bell communications research e Sajeev John della Princeton university, negli Stati Uniti, pubblicarono separatamente alcuni articoli che attiravano l’attenzione sulle proprietà di strutture ottiche in cui l’indice di rifrazione fosse fatto variare su dimensioni dell’ordine della lunghezza d’onda della radiazione o addirittura più piccole. Mentre John discuteva il caso in cui la variazione d’indice di rifrazione avvenisse in modo casuale nel materiale, facendo vedere le possibili analogie tra i fotoni e la localizzazione (localizzazione di Anderson e Mott) degli elettroni nei semiconduttori disordinati, Yablonovitch osservava che se fosse stato possibile costruire strutture periodiche in cui l’indice di rifrazione fosse modulato periodicamente in tre dimensioni, con una periodicità spaziale pari alla metà della lunghezza d’onda λ di una radiazione elettromagnetica, la trasmissione di quell’onda elettromagnetica per qualunque direzione sarebbe stata proibita e nella curva di dispersione del materiale che lega la lunghezza d’onda della radiazione alla sua frequenza ν (che nel vuoto è semplicemente λ=c/ν dove c è la velocità della luce) ci sarebbero state regioni proibite con frequenze interdette: non sarebbe stato possibile avere radiazione elettromagnetica entro la struttura, esattamente come avviene nel caso delle bande proibite per le onde elettroniche nei cristalli.

Sarebbe esistito, quindi, un parallelismo fra il comportamento degli elettroni nella struttura periodica formata dagli atomi nei cristalli e i fotoni nella struttura ottica con indice di rifrazione periodicamente variabile sulle tre dimensioni nello spazio. Questa circostanza avrebbe avuto notevoli conseguenze: in particolare, un atomo nella struttura non potendo emettere a una lunghezza d’onda proibita avrebbe cambiato le sue proprietà di emissione spontanea (per es., allungamento del suo tempo di decadimento o vita media). All’epoca la tecnologia non era così avanzata da permettere la realizzazione di strutture in cui fosse possibile variare il valore dell’indice di rifrazione su lunghezze così piccole come la lunghezza d’onda della luce, su tre dimensioni, ma nel giro di una decina di anni si riuscì a costruirne con le caratteristiche richieste. Nacquero i cristalli fotonici, così denominati perché le onde elettromagnetiche nel loro interno si comportano come le onde degli elettroni all’interno dei cristalli.

Lo studio dei cristalli fotonici ha subito un grandissimo sviluppo, tale da costituire, nel primo decennio del 21° sec., una delle branche più attive dell’ottica. Con essi è possibile costruire guide d’onda con proprietà particolari, per es. di poter variare ad angolo retto il cammino della radiazione guidata e inoltre di creare microcavità capaci di abbassare enormemente la corrente di soglia dei quantum dot. Si è mostrato, in particolare, che i cristalli fotonici hanno interessanti proprietà ottiche che permettono di aumentare l’efficienza dell’interazione non lineare. Essi costituiscono l’elemento fondamentale dei futuri circuiti ottici. Come quasi sempre accade, la natura aveva già preceduto l’uomo anche in questo: infatti, i colori cangianti che osserviamo, per es., nelle ali di certe farfalle o nelle squame di alcuni pesci tropicali sono dovuti all’esistenza di strutture su scala nanometrica che sono cristalli fotonici e che permettono queste straordinarie risposte ottiche. La realizzazione dei cristalli fotonici fu resa possibile dallo sviluppo delle tecniche di deposizione dei materiali e di litografia con cui si riuscì a creare strutture di dimensioni confrontabili con la lunghezza d’onda e in cui l’indice di rifrazione è fatto variare mediante l’alternanza di materiali dielettrici diversi o di dielettrici e metalli.

La luce è un’onda elettromagnetica consistente di campo elettrico e campo magnetico oscillanti, caratterizzata dalla sua lunghezza d’onda. La risposta ottica di un materiale ordinario dipende dagli atomi che lo costituiscono: poiché questi sono molto più piccoli della lunghezza d’onda λ della luce, non vengono percepiti singolarmente e la risposta alla sollecitazione elettromagnetica si realizza attraverso una media su un volume con dimensioni dell’ordine λ3 che contiene un grande numero di singoli atomi. La risposta ottica del materiale, il suo indice di rifrazione, è appunto ottenuta operando questa media, e quella che su scala microscopica è una collezione discreta di particelle (gli atomi) viene vista dalla radiazione come un materiale continuo e omogeneo caratterizzato dai due parametri macroscopici: costante dielettrica ε e permeabilità magnetica μ che, combinandosi, danno l’indice di rifrazione. Nei cristalli fotonici la lunghezza d’onda ha dimensioni confrontabili con le periodicità di indice di rifrazione e quindi ha ancora un senso ragionare in termini di indice di rifrazione dei singoli materiali usati per creare le strutture. Tuttavia, se si riesce a sostituire agli atomi alcuni elementi unitari, che chiameremo celle, di dimensioni molto più piccole di λ, costruite in modo da fornire una risposta diversa rispetto a quella dei singoli atomi, l’onda elettromagnetica, non essendo in grado di ‘vedere’ l’interno di questo nuovo elemento, media di nuovo la risposta su un volume dell’ordine di λ3. Sebbene un tale sistema possa non soddisfare la nozione intuitiva di materiale, l’onda elettromagnetica che passa attraverso la struttura non ne rileva l’artificio e, dal punto di vista elettromagnetico, si è creato un materiale artificiale o metamateriale. Si è così arrivati a poter costruire materiali che hanno risposta ottica diversa da quella dei singoli atomi con cui è stata costituita la singola cella, che può essere progettata e ingegnerizzata in modo da rispondere alla radiazione elettromagnetica (luce o microonde, in particolare) in modo diverso da quello di qualunque altro materiale esistente in natura.

Sir John B. Pendry, ricercatore presso l’Imperial college di Londra, ha utilizzato questo punto di vista per progettare nuovi materiali magnetici artificiali, successivamente realizzati, basati su elementi conduttori non magnetici, costruiti in modo da fornire una risposta magnetica a frequenze delle microonde e da utilizzarsi per la creazione di immagini nella risonanza magnetica usata per scopi medicali. Pendry ha anche teorizzato che sarebbe stato possibile creare un nuovo tipo di materiale, non esistente in natura (le cui proprietà erano, tuttavia, già state studiate e previste nella letteratura scientifica), che avesse contemporaneamente risposta elettrica (costante dielettrica ε), magnetica (permeabilità magnetica μ) e ottica (indice di rifrazione n), tutte contemporaneamente con valori negativi.

L’esistenza di materiali con indice di rifrazione negativo era già stata discussa da fisici russi: Leonid I. Mandel´štam (1879-1944) negli anni Trenta del 20° sec. e, successivamente, Dmitrij V. Sivuchin (nel 1957) e Vasilij Pafomov (nel 1959). Nel 1968 un altro fisico russo, Viktor G. Veselago, pubblicò una discussione dettagliata delle proprietà di un materiale con ε e μ contemporaneamente negative, senza tuttavia menzionare come lo si potesse effettivamente realizzare. I calcoli di Veselago caddero, però, nell’oblio finché Pendry suggerì come un tale materiale potesse essere costruito, inizialmente limitandosi a considerare il dominio delle microonde. Applicando tali risultati, negli anni Novanta si ebbero le prime realizzazioni sperimentali dei nuovi metamateriali NIM (Negative Index Materials, materiali con indice di rifrazione negativo).

I metamateriali sono composti macroscopici costruiti artificialmente, costituiti di celle elementari che possono avere disposizione periodica o anche non periodica, ma che devono soddisfare la condizione di avere dimensioni molto più piccole della lunghezza d’onda della radiazione con cui interagiscono. Le celle, costituite da inclusioni poste nel volume o sulla superficie di un materiale ospite, sono progettate per produrre nuove caratteristiche che non si trovano in natura. Tali proprietà nascono da funzioni di risposta della cella base, qualitativamente nuove, che non sono osservate nei singoli materiali costituenti. La condizione che la cella unitaria sia di dimensioni molto minori della lunghezza d’onda di operazione dipende, come già detto, dal fatto che la radiazione valuta la risposta del materiale operando una media su un volume che ha dimensioni dell’ordine del cubo della sua lunghezza d’onda. Mentre questo è abbastanza facile nelle microonde, dove la lunghezza d’onda è dell’ordine del centimetro, e quindi i blocchi unitari di costruzione possono avere dimensioni dell’ordine del millimetro o di una sua frazione, nel campo dell’infrarosso o del visibile le strutture devono avere dimensioni nanometriche e questo costituisce una sfida alle tecnologie moderne di costruzione di materiali innovativi.

I metamateriali così definiti sono materiali costruiti per avere un comportamento elettromagnetico che si estrinsechi in costante dielettrica (ε) e permeabilità magnetica (μ) con valori prestabiliti all’inizio della loro progettazione. È possibile anche pensare di costruire, seguendo gli stessi principi, metamateriali con particolari comportamenti termici o meccanici, ma non saranno discussi in questa sede perché per ora di essi si può dire molto poco. I metamateriali hanno mostrato una flessibilità senza precedenti nel manipolare le onde elettromagnetiche e produrre nuove funzionalità includendo, per es., la capacità di costruire sistemi ottici con potere risolutivo molto inferiore alla lunghezza d’onda (superrisoluzione) e di rendere oggetti macroscopici invisibili. Essi offrono possibilità interessanti per nuove applicazioni elettromagnetiche in diverse aree, come le immagini mediche, nuove lenti e antenne per radar, applicazioni ai sistemi di difesa e telecomunicazioni e così via.

I metamateriali a indice di rifrazione negativo

Saranno discussi in questa sede i NIM o LHM (Left-Handed Materials), così denominati perché la terna formata dai vettori campo elettrico, campo magnetico e vettore di propagazione di un’onda elettromagnetica in essi propagantesi non è destrorsa ma sinistrorsa. Essi rappresentano la classe di metamateriali di maggior interesse, alla quale taluni vorrebbero restringere l’appellativo. Dopo il suggerimento di Pendry su come materiali di questo genere potessero essere costruiti per funzionare nella regione delle microonde e dopo la loro attuazione sperimentale, all’inizio del 21° sec. si sono avute le prime realizzazioni sperimentali nel campo dell’infrarosso e del visibile e si è iniziato a discutere di alcune delle loro peculiari proprietà.

Le proprietà ottiche di un materiale sono ascrivibili in larga misura al suo indice di rifrazione n, che determina in particolare il valore della velocità v=c/n della luce e la sua lunghezza d’onda λ=λ0/n (dove λ0 è la lunghezza d’onda nel vuoto) nel mezzo, caratterizzandone le proprietà rifrattive attraverso le leggi di Cartesio-Snell. La soluzione delle equazioni di Maxwell, che descrivono il comportamento ondulatorio della luce, mostra che vale la relazione n=√−−εμ. Nei NIM, poiché ε e μ sono contemporaneamente negative, si potrebbe pensare che il valore dell’indice di rifrazione resti comunque positivo. Non è così, perché la radice quadrata può essere presa con il segno positivo o negativo; in questo caso (ε e μ contemporaneamente negative) si deve prendere la radice con il segno meno. La risposta sia elettrica sia magnetica di un materiale dipende infatti dalla lunghezza d’onda della radiazione (o, in modo equivalente, dalla sua frequenza), circostanza che matematicamente comporta per qualunque materiale che ε e μ siano espresse da numeri complessi di cui la parte immaginaria è sempre positiva ed è legata all’assorbimento del materiale. Ne consegue che anche l’indice di rifrazione è una quantità complessa che varia con la lunghezza d’onda della radiazione (fenomeno che prende il nome di dispersione) di cui la parte immaginaria (positiva) è legata alla quantità di energia dell’onda che è assorbita dal materiale. Se la parte immaginaria fosse negativa il materiale non sarebbe più assorbente, ma amplificherebbe la radiazione che passa attraverso esso (è quello che accade, per es., in ogni amplificatore o in un laser). La richiesta di avere un materiale che non amplifichi e che quindi abbia le parti immaginarie di ε, μ e n positive, ma abbia contemporaneamente le parti reali di ε e μ negative, porta alla conseguenza che la parte reale di n deve essere negativa. Veselago os­servò, inoltre, che, se non c’è dispersione in frequenza e assorbimento, non è possibile avere ε e μ contemporaneamente negative poiché in questo caso l’energia totale trasportata dall’onda risulterebbe negativa.

La conseguenza più spettacolare dell’avere un indice di rifrazione negativo può aversi considerando la legge di Cartesio-Snell della rifrazione

n1senθ1=n2senθ2 [1]

Essa stabilisce che un raggio di luce che incida sulla superficie di separazione di due mezzi di indice di rifrazione rispettivamente n1 e n2 con un angolo θ1 rispetto alla normale alla superficie nel primo mezzo, viene rifratto nel secondo mezzo con un angolo θ2 dato. Se il secondo mezzo ha un indice negativo, secondo la [1] deve essere negativo il valore del seno di θ2 e quindi anche il valore di θ2: il raggio dev’essere inclinato rispetto alla normale alla superficie dalla parte opposta di quello che avverrebbe se il mezzo avesse indice positivo.

Per descrivere la propagazione si utilizza il vettore d’onda k, di modulo k=2πn/λ0 e tale che con la sua direzione individua quella in cui si muove l’onda. Dalle equazioni di Maxwell si deduce che la velocità di gruppo che caratterizza il flusso di energia dell’onda, rappresentato dal vettore di Poynting S, e la velocità di fase che caratterizza il movimento dei fronti d’onda ed è parallela a k, nei materiali ordinari (cioè con indice di rifrazione positivo) hanno la stessa direzione, essendo parallele fra loro. Invece, quando ε e μ sono negative, esse puntano in direzioni opposte (fig. 1). Poiché in un NIM i vettori E, H e k (campi elettrico e magnetico, e vettore di propagazione dell’onda) sono una terna sinistra, ne consegue che il vettore di Poynting S=E×H punta nella direzione opposta a k (fig. 1). Infine, il vettore di Poynting e la velocità di gruppo sono nella stessa direzione, ma la velocità di fase è in direzione opposta. Alcune delle conseguenze di queste caratteristiche, già individuate da Veselago, verranno sintetizzate brevemente in seguito. Com’è noto, l’effetto Doppler consiste nel fatto che se un osservatore si muove avvicinandosi a una sorgente, egli rileva un’onda di frequenza più alta, mentre se si allontana da essa, l’onda ha una frequenza più bassa rispetto a quella naturale emessa. Per un NIM, questo effetto è invertito: se una sorgente si muove verso un rivelatore, si osserva che la radiazione rilevata ha una frequenza più bassa di quella generata quando la sorgente è immobile.

Un altro effetto invertito è l’effetto Čerenkov, cioè l’emissione di luce da parte di una particella carica che si muove in un mezzo a una velocità maggiore di quella che avrebbe la luce nel mezzo stesso. In un materiale ordinario la luce viene emessa in un cono che punta in avanti nella direzione del moto della particella. In un NIM il cono è diretto all’indietro. Questi effetti derivano dalla circostanza che in un NIM le velocità di fase e di gruppo sono opposte fra loro.

Un’altra conseguenza del fatto che il flusso di energia e il vettore d’onda k sono in direzione opposta uno rispetto all’altro è che un atomo che emette spontaneamente un fotone in un NIM risente un rinculo nella stessa direzione del vettore di Poynting della luce emessa, invece che in direzione opposta come accade in un materiale ordinario. Ciò comporta che se la luce in un metamateriale incide su una superficie riflettente, essa fornisce al riflettore un impulso nella direzione opposta al vettore di Poynting. Nel passare da un mezzo ordinario a un NIM anche le formule di Fresnel, che descrivono come variano le ampiezze dei campi riflesso e rifratto, subiscono mutamenti quando l’angolo di incidenza è superiore all’angolo critico per la riflessione totale. Inoltre, nel caso in cui la luce incida da un mezzo con indice di rifrazione positivo a un mezzo con indice negativo, in modo tale che i valori assoluti delle costanti dielettriche e delle permeabilità magnetiche nei due mezzi siano uguali ma negativi nel NIM, l’indice di rifrazione è uguale in valore assoluto nei due mezzi, ma negativo nel NIM e si trova che il campo riflesso è zero.

Si osservi infine che i mezzi che hanno solo ε o solo μ negative sono fortemente assorbenti perché il prodotto delle due quantità è negativo e l’indice di rifrazione risulta un numero immaginario e quindi introduce un decadimento esponenziale in un’onda che attraversa il mezzo.

Realizzazione di materiali con indice di rifrazione negativo

Materiali in cui ε o μ possono avere valori negativi sono ben noti, ma le frequenze a cui tali valori sono rispettivamente possibili risultano molto differenti: non c’è alcun materiale naturale noto per cui ε e μ siano simultaneamente negative. Nel caso dei metalli si possono avere valori di ε negativi. Il comportamento degli elettroni in un metallo può essere modellizzato come se essi fossero dei piccoli oscillatori armonici. Un oscillatore armonico ha una frequenza di risonanza a cui una piccola forza applicata produce un grande spostamento. Nel caso degli elettroni nel metallo la frequenza di risonanza (frequenza di plasma) è proporzionale alla concentrazione degli elettroni (numero di elettroni a unità di volume) e inversamente alla loro massa efficace. Per frequenze inferiori alla frequenza di plasma, la costante dielettrica, calcolata secondo questo semplice modello (modello di Drude) in accordo assai buono con i risultati sperimentali, è negativa. Nella maggior parte dei metalli la frequenza di plasma si trova nell’ultravioletto e la loro caratteristica di avere costante dielettrica negativa alle frequenze più basse del visibile è la ragione della loro peculiare alta riflettività.

I materiali ferromagnetici mostrano a loro volta un ciclo d’isteresi con valori negativi della permeabilità magnetica che si presentano, tuttavia, a frequenze ben lontane da quelle ottiche. Si potrebbero considerare materiali magnetici la cui risposta magnetica sia di tipo risonante, in analogia ai circuiti RLC elettrici, ma essi in natura non esistono. L’ovvia conclusione è che materiali con ε e μ contemporaneamente negative non esistono in natura.

Nel 1996 Pendry ha suggerito un modo per abbassare la frequenza di plasma e creare contemporaneamente una risposta magnetica risonante con una frequenza di risonanza abbastanza alta in modo da fare coincidere alle frequenze delle microonde il comportamento elettrico e magnetico negativo. Il ragionamento è assai semplice in linea di principio. La frequenza di plasma di un metallo è proporzionale alla concentrazione degli elettroni di conduzione e inversamente proporzionale alla loro massa efficace: se nel volume ‘visto’ dalla lunghezza d’onda della radiazione si riesce a diminuire tale concentrazione si possono avere frequenze di plasma basse a piacere. Questo può essere ottenuto sostituendo alla struttura continua del metallo alcuni fili microscopici immersi nel vuoto o in un dielettrico. Gli elettroni disponibili sono in questo caso solo quelli nei fili.

Se N è la densità media degli elettroni nei fili, la densità elettronica media di questa struttura sarà N per la frazione di spazio occupata dai fili, cioè la densità effettiva sarà

Neff=Nr2/a2) [2]

dove r e a sono rispettivamente il raggio del singolo filo e la distanza fra due fili contigui. Per fili di rame di raggio r=1 μm spaziati a una distanza a=5 mm uno dall’altro, la concentrazione effettiva di elettroni diventa Neff=1,1×1022 m3. Con ragionamenti un po’ più complicati si può vedere che anche la massa efficace degli elettroni nei fili viene cambiata e può essere notevolmente aumentata rispetto alla massa degli elettroni liberi. Per il caso qui considerato si trova che la massa effettiva diventa meff=1,2×1026 kg=1,3×104m, dove m è la massa dell’elettrone. La frequenza di plasma per questa struttura scende così a un valore νp=8,2 GHz, cioè ridotta per un fattore circa 106 rispetto a un cristallo di rame. Successivi esperimenti hanno confermato che la struttura si comporta, per quanto riguarda le sue caratteristiche trasmissive, come un plasma di bassa densità con una frequenza di plasma ∼9 GHz.

Mentre la realizzazione di una ε negativa è, come visto, abbastanza semplice a frequenze delle microonde, la realizzazione di una permeabilità magnetica μ negativa è più complessa. Pendry, tuttavia, ha suggerito come realizzare alcune celle elementari in cui la permeabilità magnetica ha un comportamento risonante. Una di tali strutture, da lui denominata split ring resonator, è un risonatore a forma di doppio anello con un taglio. Il metamateriale viene costruito come un insieme planare di anelli concentrici, ciascuno con una corta interruzione. Il campo magnetico variabile dell’onda elettromagnetica incidente induce nel doppio anello una corrente che a sua volta produce un campo magnetico autoindotto che si accoppia con il campo esterno. La presenza del doppio anello e i tagli danno al circuito le caratteristiche di una autoinduzione e di una capacità e creano un circuito risonante. La risposta magnetica della struttura è, quindi, risonante e vicino alla risonanza il campo autoindotto e quello esterno dell’onda si accoppiano fortemente. In un insieme di risonatori di questo genere, se le loro dimensioni sono molto minori della lunghezza d’onda della radiazione incidente, il campo autoindotto deve essere mediato su una dimensione dell’ordine della lunghezza d’onda e vicino alla risonanza la permeabilità magnetica effettiva può essere negativa. Naturalmente la caratteristica di risonanza fa sì che il comportamento a permeabilità magnetica negativa si possa avere soltanto in un ristretto intervallo di frequenze e introduce inevitabili perdite che sono dannose per la risposta richiesta. Poiché la struttura è planare, è facile costruirla con metodi litografici su una scala appropriata per le frequenze delle microonde. Combinando la struttura a fili con gli split ring resonators è possibile progettare un materiale composito (metamateriale) che abbia contemporaneamente ε e μ negative in un piccolo intervallo di frequenze.

Nel 2000, sono stati utilizzati split ring resonators fatti di rame delle dimensioni calcolate da Pendry, posti su 17 file con una spaziatura di 8 mm, costituenti un materiale dello spessore di 8 elementi lungo la direzione di propagazione delle microonde, dimostrando che a 4,8 GHz la struttura presenta il comportamento previsto. L’anno successivo, Richard A. Shelby, David R. Smith, Sheldon Schultz (2001) hanno costruito un metamateriale con caratteristiche simili e dimostrato una delle sue proprietà più caratteristiche, la rifrazione negativa. Il materiale è stato realizzato con una serie di split ring resonators e fili depositati litograficamente sui lati opposti di un supporto circuitale standard, per un’altezza della struttura di 1 cm (fig. 2). Irradiato un prisma con un fascio di microonde piane se ne è misurata la radiazione rifratta con opportuno rivelatore: un prisma di teflon (indice di rifrazione n=+1,5) ha fornito un angolo di rifrazione positivo; un prisma realizzato con il metamateriale descritto ha determinato l’angolo di rifrazione negativo (nell’esperimento n=−2,7).

Altri esperimenti sono stati eseguiti con diverse strutture costruite per avere indice di rifrazione negativo e dopo un periodo di accese polemiche in cui si è sostenuta l’erroneità delle basi teoriche della rifrazione negativa, la teoria è stata infine accettata cosicché oggi l’esistenza di metamateriali con ε, μ e n negativi non è generalmente più discussa.

Per alzare l’intervallo di frequenze in cui ε e μ siano contemporaneamente negative, così da raggiungere il dominio dell’infrarosso o del visibile, è necessario ricorrere a schemi diversi da quello proposto da Pendry. In questo caso i metalli hanno già una costante dielettrica negativa e la difficoltà risiede nel riuscire a ottenere una risposta magnetica a frequenze così alte. Lo sviluppo delle tecniche di costruzione, oggi capaci di creare strutture alla scala del nanometro, ha tuttavia permesso di costruire sistemi in cui si è riusciti ad avere ε, μ e n tutti negativi.

Fra le prime realizzazioni si può menzionare una struttura, messa a punto nel 2005, costituita da una schiera di sbarrette d’oro di dimensioni nanometriche disposte in modo da realizzare una doppia periodicità spaziale e dare una risonanza, operanti a 1,5 μm. Per questa struttura la descrizione della parte reale dell’indice di rifrazione (n′) e della sua parte immaginaria (n″) evidenzia chiaramente che in una ristretta regione fra circa 1300 e 1600 nm di lunghezza d’onda la parte reale di n ha valori negativi. Si deve tuttavia rilevare che in questa stessa regione la parte immaginaria di n è elevata, il che implica un forte assorbimento (Shalaev, Cai, Chettiar et al. 2005).

Altre disposizioni hanno usato insiemi di piramidi tronche opportunamente disposte su un substrato di base o nanotubi metallici o altro ancora. In tutti i casi si sono trovate regioni di frequenza in cui ε e μ sono contemporaneamente negative, anche se in un intervallo di frequenze piuttosto ristretto. Questi primi risultati mostrano, tuttavia, che si è sulla buona strada per riuscire a ottenere metamateriali con indice di rifrazione negativo anche nella regione dell’infrarosso e del visibile, pur se ancora numerose difficoltà devono essere superate.

L’ottica dei NIM e la superrisoluzione

Una prima applicazione della caratteristica di un metamateriale con indice di rifrazione negativo si ha nella formazione dell’immagine, come fu già osservato da Veselago. Si prenda in considerazione il caso nel quale la luce incida da un mezzo (1) con indice di rifrazione positivo su una sbarra (2) costruita con un materiale avente indice negativo tale che n1=−n2 essendo ε1=−ε2 e μ1 =−μ2 (fig. 3A). In questa condizione all’interfaccia non vi è luce riflessa per qualunque angolo di incidenza e valore della polarizzazione. Si prenda ora una sorgente puntiforme P a distanza x dalla sbarra di NIM di spessore d>x. La figura mostra il percorso di due raggi qualunque che a causa della rifrazione negativa creano nell’interno della sbarra un’immagine I1 a distanza x e una seconda immagine I2 fuori a distanza dx dalla sbarra. L’effetto netto è che, in una descrizione di ottica geometrica, una sorgente puntiforme posta di fronte a un NIM planare è focheggiata in un punto. Un NIM può essere quindi usato per realizzare una lente planare. Un tale elemento focheggiante non è una lente in senso convenzionale, perché non focheggia in un punto dei raggi che provengono dall’infinito. La dimensione di un oggetto esteso non cambia e quindi l’ingrandimento è unitario. Inoltre, mentre una lente convenzionale equalizza i cammini ottici dei vari raggi, in modo da riportarli tutti in fase nel punto immagine, nonostante che abbiano compiuto percorsi diversi, il NIM rimette in fase i raggi semplicemente perché i percorsi compiuti sono

PA‾‾‾+AI2‾‾‾=AI1‾‾‾ +I1A′‾‾‾ [3]

e il cammino nel NIM avviene con una fase che è negativa e quindi i raggi in I2 arrivano con la stessa fase che avevano in P.

Da ultimo, una lente convenzionale, non importa quanto sia buona la qualità del vetro o delle superfici, introduce sempre aberrazioni che degradano la qualità dell’immagine anche in luce monocromatica, mentre la lente planare NIM è priva di aberrazioni.

Costruendo l’immagine di oggetti estesi realizzata da una sbarra di NIM, si scoprono inoltre altre interessanti proprietà, diverse da quelle di una lente ordinaria. Per es., l’immagine che si crea in I1 è invertita rispetto all’oggetto nel senso che le due immagini si guardano come in uno specchio (fig. 3B). L’immagine in I2 è invece orientata nello stesso verso dell’oggetto. In una lente ordinaria ciò non avviene e l’immagine dell’oggetto data da una lente positiva è capovolta (fig. 3C).

Nel 2000 Pendry ha osservato che per una lente siffatta esistono ulteriori stupefacenti proprietà. Un qualsiasi oggetto illuminato da un’onda la diffrange in tutte le direzioni e la luce diffratta contiene l’informazione sulle caratteristiche dell’oggetto. Tuttavia, nel processo di diffrazione avviene che tutti i particolari dell’oggetto che si sviluppano su una scala minore della lunghezza d’onda della luce con cui esso è illuminato danno luogo a onde diffratte che non si propagano liberamente nello spazio ma decadono con legge esponenziale con la distanza allontanandosi da esso. Quindi, se si osserva l’oggetto a una distanza di poche lunghezze d’onda dalla sua superficie, tali onde non ci sono più e i dettagli sono irrimediabilmente persi. Queste onde prendono il nome di onde evanescenti ed è a causa di tale fenomeno che i microscopi ordinari hanno un potere risolutivo, cioè una capacità di distinguere come separati due punti tra loro vicini, che è di poco inferiore al valore della lunghezza d’onda utilizzata nell’illuminazione. A causa del loro decadimento esponenziale con la distanza dall’oggetto, le onde evanescenti sono definite come appartenenti al campo vicino, in contrasto con il campo lontano associato con le componenti d’onda che invece si propagano tranquillamente nello spazio e che prendono il nome di onde omogenee. L’ottica di campo vicino (per es., il microscopio a scansione) implica la necessità di collocarsi a distanze molto vicine a un oggetto, in modo da catturare le onde evanescenti che danno informazioni sull’oggetto stesso e che non sono disponibili nel campo lontano.

Una lastra di materiale a indice di rifrazione negativo in condizioni ideali, cioè quando non c’è assorbimento (condizione non ancora realizzabile, ma si può pensare di avere un materiale con un assorbimento molto piccolo) è capace di trasmettere nel piano-immagine non solo tutte le onde reali che sono emesse dall’oggetto ma anche quelle evanescenti che, se l’oggetto è sufficientemente vicino alla lastra, ancora arrivano a colpire l’interfaccia fra il mezzo ordinario e il NIM. Questo straordinario risultato è dovuto alla circostanza che le onde evanescenti vengono amplificate in modo risonante dentro il NIM e vengono trasportate sul piano-immagine così come uscite dall’oggetto; ne consegue la possibilità di costruire lenti che abbiano una risoluzione molto inferiore alla lunghezza d’onda.

Pendry ha dimostrato che, per una lente planare con indice negativo (in particolare la costante dielettrica relativa e la permeabilità magnetica relativa dovrebbero essere ambedue pari a −1), le onde evanescenti crescono con la distanza nella lente e sono trasmesse, sicché, in linea di principio, tutte le onde omogenee ed evanescenti possono contribuire all’immagine. Inizialmente questo risultato straordinario è stato causa di una violenta controversia, poi superata con la dimostrazione che ovviamente l’amplificazione di un’onda evanescente entrante in una sbarra di NIM con le caratteristiche richieste non deriva da alcun guadagno nel materiale (per es., inversione di popolazione). Le onde evanescenti non trasportano energia nella direzione in cui decadono esponenzialmente. Accade che l’onda in ingresso si accoppia con dei modi di superficie chiamati polaritoni di superficie che possono essere eccitati soltanto se il mezzo ha μ e ε negative. Tali polaritoni possono poi accoppiarsi con un insieme di polaritoni sulla superficie opposta, in un gioco in cui la sbarra di NIM funge da risonatore, per cui l’onda evanescente alla fine viene trasportata da una superficie all’altra. Quindi la lente di Veselago non soltanto cancella l’accumulazione di fase per le onde propaganti, ma ristabilisce anche le ampiezze delle componenti evanescenti, portandole entrambe a un fuoco sul piano immagine. Questa lente, che ha un potere risolutivo molto maggiore delle lenti ordinarie viene chiamata superlente.

Alle frequenze ottiche molti metalli hanno ε<0 ma μ>0. Si può considerare comunque il limite elettrostatico, nel quale i campi elettrico e magnetico sono disaccoppiati, accontentandosi di avere la sola costante dielettrica negativa e lasciando che la permeabilità magnetica sia positiva. Per polarizzazione parallela al piano di incidenza, nel limite che ν→0 (grande lunghezza d’onda in confronto con le dimensioni d’interesse dell’oggetto), per una sottile lamina di metallo con ε<0 si può mostrare che si può ottenere un effetto di superlente senza che μ sia negativa. Una simulazione realizzata da Pendry mostra chiaramente questo risultato. Si consideri la disposizione dei vari elementi necessari per realizzare un tale sistema (fig. 4A). Un oggetto, che nel caso presente è rappresentato da una distribuzione di potenziale elettrico, con due picchi separati fra loro da una distanza di 50 nm (fig. 4B), è posto a una distanza di 20 nm da un foglio d’argento dello spessore di 40 nm. L’immagine si forma nel piano a 20 nm di distanza dal foglio d’argento. Nei casi in cui fra i piani dell’oggetto e dell’immagine sia interposta o meno la lamina d’argento si formano due immagini diverse (fig. 4C). Quando la lamina è assente i due picchi di potenziale si confondono in un’immagine sfocata delle dimensione di circa 200 nm e i due picchi non sono risolvibili. Con la lamina d’argento inserita i due picchi sono ben visibili e chiaramente risolti. Nella simulazione si è usata una sottile lamina di Ag con ε=5,7−9(ℏω)2+0,4i (ℏω è espresso in eV, ℏ è la costante ridotta di Planck, ℏ=h/2π e ω la pulsazione dell’onda ω=2πν), scegliendo la frequenza ottimale corrispondente a un’energia dei fotoni di 3,48 eV.

Subito dopo la proposta di Pendry sono stati eseguiti esperimenti con varie forme di oggetti, per es. è stata raggiunta una risoluzione fino a 250 nm utilizzando una sottile lamina d’argento e illuminando con luce violetta proveniente da una lampada a mercurio un reticolo oggetto. Sempre mediante una lamina d’argento e luce a 433 nm di lunghezza d’onda, è stata ottenuta l’immagine di una scritta incisa con un processo litografico. Successivamente molti esperimenti simili hanno dimostrato la superrisoluzione. Altri, con disposizioni geometriche più sofisticate che permettono di avere anche ingrandimento, o mediante l’applicazione di un insieme di lamine d’argento di spessore nanometrico intervallate da strati di dielettrico, in una struttura multistrato, invece di una piccola lamina d’argento, hanno tutti confermato la possibilità di ottenere immagini con risoluzioni ben al di sotto della lunghezza d’onda impiegata per la formazione dell’immagine. Se ci si limita soltanto alla caratteristica di indice di rifrazione negativo, rinunciando a costante dielettrica e permeabilità magnetica negative, tale configurazione può essere ottenuta anche utilizzando altre strutture, per es. cristalli fotonici. In casi particolari si può anche avere velocità di gruppo e di fase in direzioni opposte come nei metamateriali e si possono usare cristalli fotonici per aumentare la risoluzione pur non esercitando i particolari accoppiamenti con polaritoni di superficie che sono stati descritti nel caso della superlente di Pendry. È stata realizzata una serie di esperimenti utilizzando cristalli fotonici per dimostrare rifrazione negativa e proprietà di focheggiamento nel campo delle microonde. Anche nel dominio del visibile è stata verificata la rifrazione negativa. In questi casi non è necessario avere velocità di fase e di gruppo dirette in senso opposto, ma si sfruttano le proprietà di dispersione in k della banda di trasmissione del cristallo fotonico.

Le potenziali applicazioni dei NIM non si limitano però soltanto ai problemi di formazione di immagini con superrisoluzione. Sono possibili applicazioni, proposte o ancora in via di sviluppo, che consentono, per es., di aumentare il campo visivo per la formazione dell’immagine oppure migliorano le caratteristiche delle antenne a microonde.

Il problema dell’invisibilità

Un’altra interessante applicazione dei metamateriali è la possibilità di nascondere un oggetto a un’onda elettromagnetica incidente. In un nuovo approccio per progettare strutture elettromagnetiche con questa capacità, proposto nel 2006, i cammini delle onde elettromagnetiche sono controllati dentro un materiale introducendo una variazione spaziale specifica nei parametri costitutivi, cioè progettando materiali in cui la costante dielettrica ε e la permeabilità magnetica μ sono funzioni del punto scelte in modo da influenzare il cammino della radiazione elettromagnetica in modo opportuno. La ricetta per determinare questa variazione si basa su trasformazioni di coordinate e permette di arrivare a strutture che altrimenti sarebbero difficili da concepire, creando un nuovo settore dell’ottica che si può chiamare transformation optics. Si possono per questo applicare diversi metodi. Quello più semplice consiste nell’utilizzare l’ottica geometrica, richiedere che ogni raggio uscente da un punto faccia un dato percorso e, applicando l’equazione dell’iconale, trovare quale deve essere il valore dell’indice di rifrazione in ogni punto per obbligare il raggio luminoso a seguire quel determinato percorso. Tale metodo ovviamente soffre di numerose limitazioni in gran parte legate all’uso dell’ottica geometrica e soprattutto non è in grado di nascondere l’oggetto a onde che provengono da tutte le direzioni.

Un secondo metodo più sofisticato consiste nell’uso delle trasformazioni conformi applicate all’ottica geometrica per cambiare il percorso rettilineo di un raggio in uno modificato a piacere dalla trasformazione che permette poi di calcolare i valori della costante dielettrica e della permeabilità magnetica necessari per realizzare il nuovo percorso. Un terzo metodo, più generale, parte dall’osservazione che se la metrica dello spazio cambia, le equazioni di Maxwell restano invariate nella forma e cambiano solo ε e μ. Un raggio che viaggia rettilineo in una metrica cartesiana, può percorrere una traiettoria qualunque cambiando la metrica dello spazio. Tuttavia, per quanto detto, cambiare la metrica equivale a cambiare ε e μ e restare nello spazio cartesiano. Questa osservazione generale e stata introdotta da Pendry e Andrew J. Ward nel 1996 e avvicina lo studio delle trasformazioni alle metodologie della relatività generale. Si può quindi far percorrere una traiettoria qualunque al raggio semplicemente assegnando a ogni punto dello spazio opportuni valori di ε e μ. In generale, questo modo di procedere porta alla costruzione di un mezzo anisotropo in cui ε e μ possono anche assumere valori negativi e quindi richiedere un metamateriale.

Tale metodo può essere applicato inoltre a un grandissimo numero di casi nella progettazione ottica. Applicato al problema dell’invisibilità, lo schermaggio può operare per onde che provengono da qualsiasi direzione e quindi l’oggetto è veramente nascosto.

L’applicazione dell’ottica delle trasformazioni all’invisibilità elettromagnetica richiede la progettazione di un materiale opportunamente strutturato per rendere un volume invisibile alla radiazione incidente. Il procedimento per progettare l’invisibilità implica una trasformazione delle coordinate che costringe lo spazio in un guscio che circonda il volume che si vuole nascondere. Le equazioni di Maxwell sono invarianti nella forma rispetto a trasformazioni di coordinate, cosicché soltanto le componenti dei tensori ε e μ sono cambiate dalla trasformazione divenendo funzioni dello spazio e rendendo il materiale anisotropo. Realizzando un materiale con queste proprietà complesse, il volume da nascondere più il suo rivestimento, quando sono visti dall’esterno, presentano le proprietà dello spazio vuoto. Non si hanno quindi onde diffuse né ombre nel campo trasmesso. Per essere più specifici, un oggetto può risultare invisibile a un’onda elettromagnetica incidente se i raggi dell’onda vengono deviati dal volume che contiene l’oggetto circondandolo e vengono poi ricompattati nell’onda originale incidente al di là di questo. L’invisibilità è ottenuta, per es., creando una cavità in cui la radiazione elettromagnetica non può entrare. La cavità viene circondata da un metamateriale progettato in modo da avere in ogni punto valori della costante dielettrica e della permeabilità magnetica tali che un fascio di radiazione viene compresso e deviato in modo da circumnavigarla e successivamente viene riportato allo stato originale (fig. 5A). L’idea base è quindi progettare un mezzo dielettrico con un indice di rifrazione specifico che letteralmente pieghi e guidi la luce attorno a un oggetto desiderato. Poiché il dispositivo stesso sarebbe invisibile, un osservatore esterno non vedrebbe l’oggetto. L’effetto ottico sarà equivalente a osservare i raggi di luce che si propagano nello spazio vuoto, perché gli oggetti dello sfondo sono visibili. I raggi che, per es., promanano da una sorgente puntiforme, vengono deviati per non passare nella regione proibita e al di là di questa riprendono il loro percorso rettilineo con origine nella sorgente, esattamente come se il volume da nascondere non esistesse (fig. 5B).

Un effetto di invisibilità perfetto basato su mezzi isotropi non è stato ancora ottenuto. Tuttavia, utilizzando mezzi anisotropi, le distorsioni introdotte dalla natura ondulatoria della luce, in via di principio, possono essere ridotte a zero. Il problema è stato affrontato applicando sia le trasformazioni conformi sia la trasformazione della metrica dello spazio, dimostrando come sia possibile creare una zona invisibile con entrambe le trattazioni. Una recente dimostrazione basata su metamateriali è riuscita a diminuire la radiazione diffusa dalle variazioni delle costanti dielettrica e magnetica dando risultati molto buoni. L’oggetto rimane invisibile su una stretta banda di frequenze alle microonde. Questi risultati hanno suscitato notevole interesse e, nei primi anni del 21° sec., la letteratura scientifica ha dedicato grande attenzione all’argomento.

Nel caso che i materiali siano dei NIM, lo stato attuale presenta un’importante limitazione costituita dalla circostanza che la banda di frequenze in cui si riesce a ottenere l’invisibilità con ε e μ contemporaneamente negative è alquanto stretta. La ricerca è appena cominciata e questa importante applicazione promette grandi sviluppi. Uno dei problemi che si incontrano nel progetto dei NIM riguarda le perdite nel materiale che invariabilmente costituiscono una forte limitazione. Tali perdite, inoltre, crescono con la frequenza e quindi possono essere molto importanti nella zona del visibile. Per ovviare all’inconveniente, taluni autori hanno suggerito che, nella costruzione della cella elementare costituente il metamateriale, sia inserito un elemento attivo che possa compensare le perdite. Questo può essere realizzato abbastanza facilmente nel dominio delle microonde mentre sembra ancora assai difficile per frequenze più alte.

Si menzionano, infine, le promettenti e interessanti possibilità dei NIM anche nel campo dell’ottica non lineare, le quali, tuttavia, non sono state ancora sufficientemente studiate.

Tutto il campo della ricerca sui NIM, che comprende sia le tecniche per realizzarli, per es. come aumentare la banda di frequenze su cui essi sono operativi e come far entrare queste frequenze nel dominio ottico, sia le loro nuove e interessanti applicazioni, è in forte espansione e promette di restare per lungo tempo un affascinante campo d’indagine.

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