METAURO

Enciclopedia Italiana (1934)

METAURO (A. T., 24-25-26 bis)

Ettore Ricci

Il fiume Metauro appartiene al versante appenninico del medio Adriatico, a N. del Conero; il suo bacino di circa kmq. 1400, il maggiore del Piceno, è conformato a lungo e rastremato a triangolo, con il vertice o foce a 4 km. a SE. di Fano e della Flaminia, e con una larghissima base di sorgive, distese, per oltre 50 km., dall'Alpe della Luna al Nerone (m. 1526), alla Serra Maggiore e al Catria (m. 1702).

Il nome deriva dalla fusione dei nomi delle due sorgive più nordiche, nell'Alpe della Luna: il torrente Auro che discende dal M. Maggiore (m. 1384) e il Meta dalla Bocca Trabaria (m. 1044).

Il suo corso, che ha uno sviluppo di km. 110, e quello dei suoi affluenti, sono risaliti da antichissime vie etrusche, preromane e romane, le quali, per Bocca Trabaria, per Bocca Serriola (m. 730) e Forca Lupara (m. 632) raggiungono l'alta o media valle Tiberina.

Nella successione dei multipli rami superiori tutti confluenti allo sbocco della Gola del Furlo, procedendo da N. a S., ritroviamo, oltre l'Auro e il Meta, il Candigliano e il Burano, che confluisce nel primo ad Acqualagna (m. 204).

L'esteso e largo bacino delle sorgive e del corso superiore è in arenarie dell'Eocene e del Miocene antico e in gessi solfiferi; il mediano, in calcari cretacei e, ove sono fratture e ha operato l'erosione (Furlo), si scoprono gli strati del Giura-Liassico; l'inferiore e il deltale, in gessi solfiferi o miocenici, in sabbioni e argille plioceniche, in alluvioni e colmate quaternarie e attuali.

Il regime è affatto torrentizio; la portata media, di circa 15 metri cubi al secondo, sale, nelle massime piene, a oltre metri cubi 1100, per discendere poi nelle grandi magre a meno di 2 metri cubi: scarsa è la deposizione delle ghiaie.

Gli stretti fondi-valli superiori e medî sono ricchi di grossi nuclei umani, quali Borgo Pace, Mercatello, Sant'Angelo in Vado, Urbania, Formignano, Piobbico, Acqualagna, Cagli, Fossombrone, alcuni con dignità di cittadina; mentre, le larghe e fertili piane alluvionali e deltali del corso inferiore, intensivamente coltivate, ne sono affatto prive.

La Flaminia, fra le citate antiche strade, segue, più o meno da presso, il corso principale, sino alla confluenza del Candigliano; segue, poi, quest'ultimo, attraverso il Furlo, fino ad Acqualagna e, infine, il Burano fino alla Forca Lupara, dominante l'importantissimo quadrivio della Scheggia.

La recente ferrovia metaurense segue e risale sempre il corso principale, fino a Fermignano ove si congiunge con il tronco Urbino-Fabriano.

Battaglia Del Metauro. - Si combatté nel giugno o luglio del 207 a. C., durante la seconda guerra punica, tra l'esercito di Asdrubale calato nella primavera avanzata dalla Gallia nella Valle Padana, e di lì avviatosi a SE. verso la sponda adriatica, e le forze riunite dei consoli Marco Livio Salinatore e Tiberio Claudio Nerone. Quest'ultimo, appresa da prigionieri la marcia di Asdrubale mirante a congiungersi con Annibale nell'Italia centrale, aveva di sua iniziativa lasciato con adeguate forze l'Apulia dove egli operava, e con marcia forzata e memorabile lungo la costa adriatica si era congiunto col collega sulla destra del fiume, un po' a mezzogiorno del punto d'incontro della via costiera con la Via Flaminia. La sproporzione delle forze tra gli eserciti romani riuniti (circa 40 mila uomini) e i 30-35 mila uomini di cui disponeva Asdrubale non distolse questo dall'arrischiare la battaglia campale, onde poter compiere la sua congiunzione col fratello, allorché, presa a risalire lungo la Flaminia la riva sinistra del Metauro per passare il fiume e procedere verso S., egli fu serrato da presso dalle forze romane lanciatesi a raggiungerlo. Accampatosi presso l'attuale Monte degli Sterpeti, e sviluppata la propria fronte con l'ala sinistra tra la Flaminia e il fiume, Asdrubale attaccò col centro di Iberi e Liguri e con gli elefanti, il centro e la sinistra romana agli ordini del console Livio, e li provò duramente col peso delle sue dense colonne. Ma Nerone, rimasto inoperoso alla destra romana e con la cavalleria, per non poter superare, con attacco dal basso in alto, il prospiciente colle, fece retrocedere le sue forze a tergo delle unità combattenti, e costeggiando strettamente il fiume piombò improvviso sull'estrema destra cartaginese, sfondandola e invadendo il campo nemico. Quest'attacco di Nerone e il rinnovato sforzo del centro romano decisero della giornata. Asdrubale cadde combattendo, e il suo esercito fu annientato. Nerone, tornato velocemente in Apulia, gettò nel campo di Annibale la testa mozza del suo valoroso e sventurato fratello.

Grande fu il valore militare e politico della vittoria romana, che liberò da ogni minaccia punica l'Italia centrale, e impedì il pericoloso congiungersi dei due Barcidi, ultima carta giocata dall'offensiva cartaginese in Italia; enorme il valore morale, di prima vittoria campale dei Romani nella guerra, dissipante l'incubo novennale dell'ultima infausta giornata di Canne.

Bibl.: G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, ii, Torino 1917, pp. 488-494; J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, III, i, Berlino 1912, p. 424 segg.; J. Kromayer e G. Veith, Schlachten-Atlas, tavole 7, 7-8; B. L. Hallward, in Cambridge Ancient Hustory, VIII, Cambridge 1930, p. 91 segg.; G. Bossi, La guerra d'Annibale in Italia da Canne al Metauro, Roma 1891, pagina 181 e seguenti.