Metodo

Enciclopedia del Novecento (1979)

Metodo

GGerard Radnitzky

di Gerard Radnitzky

Metodo

sommario: 1. Introduzione. 2. Concetto e definizione di procedimento metodico, metodo e metodologia. a) Distinzione tra i vari livelli. b) Definizione di metodo. c) Consapevolezza del metodo; elaborazione, impiego e perfezionamento dei metodi. 3. Metodi cognitivi: logica e metodo scientifico. a) La ricerca (enquiry procedures/methods). b) Metodi logico-matematici. c) Il ‛metodo scientifico'. 4. Metodi dell'agire pratico. a) Prassi tecnica, tecnica e tecnologia. b) Le due dimensioni della giustificazione di una regola tecnologica. c) Descrizione tipologica delle tecnologie. d) Limiti delle tecnologie specifiche e della tecnica in generale. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Nel linguaggio corrente una successione di atti è detta ‛metodica'- intendendo con ciò che è guidata da un ‛metodo' o che si avvale di un determinato metodo - quando è più o meno sistematica, e soprattutto quando risponde a uno scopo: quando cioè il ‛modo' di procedere ci sembra adeguato a raggiungere lo stato che consideriamo come scopo della successione stessa. Nella sua essenza, il procedimento metodico è un comportamento commisurato alla soluzione di un problema, è un agire progettuale orientato verso uno scopo: abbraccia quindi una gamma che va dai procedimenti standardizzati di risoluzione dei problemi, gli algoritmi, alla ‛progettazione metodica degli scopi' e ai ‛metodi di identificazione degli scopi', dai procedimenti metodici del tipo body building ai metodi decisionali democratici, dai metodi di calcolo a quelli di meditazione. Come tutte le espressioni del linguaggio comune, anche ‛metodo' e ‛procedimento metodico' sono termini vaghi: vi sono cioè dei casi in cui restiamo nel dubbio se sussista o no un procedimento metodico. D'altra parte, l'attributo ‛metodico' appare inadatto a qualificare non solo le azioni irriflesse frutto di abitudini, ma anche ogni azione non strutturata, ogni comportamento casuale o impulsivo, ogni agire privo di scopo; la nostra idea intuitiva del procedimento metodico, del metodo, coincide all'incirca con l'idea weberiana dell'agire razionalmente secondo lo scopo. Ma prima di occuparci più da vicino del concetto di metodo, non ci sembra inopportuno introdurre alcune distinzioni importanti.

2. Concetto e definizione di procedimento metodico, metodo e metodologia

a) Distinzione tra i vari livelli

La situazione di partenza è data da una pluralità di singole concrete successioni di atti, costituite da operazioni mentali e azioni pratiche che si attuano in momenti determinati e di cui riscontriamo la razionalità secondo lo scopo. Un insieme di tali singole successioni concrete che presentino un carattere comune può costituire una prassi; se la caratteristica comune è un metodo, parleremo di procedimento metodico.

Ciò che le singole concrete successioni di atti hanno in comune è dunque qualcosa che abbiamo astratto dalla loro pluralità, e cioè il ‛modo di procedere': una qualità formale che appartiene a ciascuna di esse. Le singole successioni sono per così dire guidate da una specie di regola: ogni metodo può essere anche inteso come ‛prescrizione per l'azione', cioè come una prescrizione (o almeno una raccomandazione) circa il come, in linea di principio, occorre procedere per conseguire il risultato voluto. Un metodo è dunque un'entità astratta. Chi impiega un metodo lo fa consapevolmente, almeno nei casi in cui è indubbio che si tratti di un procedimento metodico. L'agente opera secondo un progetto o programma preliminare, che può modificarsi nel corso di un'operazione complessa: egli procede in vista di uno scopo e compie, più o meno sistematicamente, una sequenza di passi che lo portano sempre più vicino alla meta desiderata. Se questa viene raggiunta, noi diciamo che il metodo ha allora dimostrato la propria efficacia. Rimane tuttavia aperta, per il momento, la questione se la consapevolezza del metodo adoperato sia o no una condizione necessaria del procedimento metodico.

Quando da una pluralità di singole concrete successioni di atti si ‛astrae' un determinato modo di procedere, ovvero lo si giudica, raccomandandolo o criticandolo, si compie un'indagine metodologica. La disciplina che ha per oggetto i modi di procedere metodici, i metodi, può opportunamente chiamarsi ‛metodologia' o ‛teoria del metodo (dei metodi)'. Nell'uso linguistico ordinario si palesa tuttavia un'ambiguità, tipica del linguaggio comune, tra processo e risultato: con ‛metodologia' viene infatti indicato anche il risultato a cui si tende, e cioè il sapere intorno ai metodi. Un sapere siffatto può essere rappresentato sia da una teoria dell'agire metodico in generale, sia dalle varie teorie del procedimento metodico in campi specifici come la logica, la ricerca scientifica, il trattamento medico di certe malattie, ecc.

Un'‛indagine metodologica' può essere descrittiva o prescrittiva. È ‛descrittiva' quando si cerca di scoprire se in determinate successioni di atti sia stato osservato un determinato metodo, se cioè queste successioni possano essere descritte o spiegate in modo plausibile assumendo che sia stato adoperato un determinato metodo; una simile indagine appartiene al campo di ricerca proprio delle scienze sociali, della psicologia e della storia.

Un'indagine metodologica può essere anche ‛prescrittiva': anziché illustrare, mostrandone le articolazioni, un metodo già esistente, si può cercare di indicare, formulare o criticare raccomandazioni riguardo a modi di procedere. In linea di principio ciò richiede almeno tre cose: una descrizione di situazioni problematiche tipiche; raccomandazioni o indicazioni sul come occorre procedere, in un dato tipo di situazione problematica, per conseguire il risultato voluto fissato in anticipo; bisogna infine fornire valide ragioni del perché a tal fine sia opportuno (o addirittura necessario) seguire proprio quel procedimento, adoperare quel metodo, vale a dire perché esso sia preferibile a un metodo rivale, a un procedimento alternativo di soluzione del problema. Senza una tale giustificazione, il raccomandare un determinato metodo sarebbe un atto dogmatico, privo di legittimità. Secondo questa concezione, una metodologia - nel senso di risultato di un'indagine metodologica - è un sistema di regole aventi la forma di ‛imperativi ipotetici' del tipo: ‟Se ci si trova in una situazione del tipo S e si vuole conseguire il risultato R, si consiglia di applicare il modo di procedere A, in quanto con esso si consegue R, o almeno vi sono maggiori probabilità che ciò avvenga, ovvero il grado di conseguimento dello scopo è più elevato, o i costi sono minori che con qualsiasi altro procedimento attualmente noto per ottenere quel risultato". Talvolta però una metodologia - nel senso sopra precisato - è concepita come un sapere riguardante le relazioni mezzifini, ossia come ‛una conoscenza di leggi intorno ai nessi causali', nessi che in un dato contesto si presentino come una relazione mezzi-fine. Il concepire una metodologia (in quanto risultato) come un sistema di regole è evidentemente più vicino alla nostra idea intuitiva del procedimento metodico di quanto non lo sia la concezione appena menzionata. Vero è che anche in tale idea intuitiva l'imperativo ipotetico è fondato su un sapere, ovvero è giustificato da un sapere (reale o presunto) circa i nessi causali, circa le prevedibili conseguenze di determinate operazioni; ma anche quando una proposizione della forma ‟Se in una situazione del tipo S si esegue la successione di atti H si ottiene il risultato R" pretenda di rappresentare una conoscenza di leggi, il suo senso consiste pur sempre nell'affermazione che un'azione del tipo H è un mezzo efficace per conseguire uno scopo ben definito, e la proposizione stessa acquista pregnanza solo in quanto il risultato R debba essere conseguito (o evitato): se manca una valutazione positiva o negativa, uno stato di essere (Istzustand) e uno stato di dover essere (Sollzustand), in breve, se manca una rappresentazione di scopo, tale pregnanza viene meno. Appare pertanto più proficuo concettualizzare i metodi come regole anziché concepirli come conoscenza di leggi, in un contesto specifico.

Naturalmente una teoria ‛generale' del procedimento metodico, una prasseologia nel senso di T. Kotarbiński, non può che essere ‛schematica'. Per essere generale, per essere valida per ogni tipo di azione razionale secondo lo scopo, essa deve - infatti - non solo astrarre dai dati contingenti delle situazioni concrete (ed eventualmente procedere a idealizzazioni), ma deve anche prescindere dalle particolarità, ossia da ciò che è caratteristico di un determinato dominio d'azione (per es. quella dell'inferenza logica, dell'indagine sperimentale, della costruzione di ponti, ecc.). In altri termini, una simile teoria deve per così dire schematizzare le singole fasi e rimanere quindi in gran parte formale. Kotarbiński definisce la prasseologia come teoria generale dell'azione efficace: suo compito è indicare le condizioni di un'azione efficace, con rendimento crescente, stabilire criteri per la valutazione dei modi di procedere o dei metodi, nonché avallare o sottoporre a critica tali criteri. Lo stile di pensiero è quello della teoria dei sistemi o, più esattamente, del systems thinking in senso non formale. Nonostante i numerosi e fecondi tentativi di avvio, la prasseologia è rimasta in larga misura allo stato di programma. Nel senso in cui l'abbiamo intesa, è una disciplina nella quale il problema normativo è al centro dell'interesse e che si avvicina soprattutto alle cosiddette management sciences, anche se richiede, in una visione interdisciplinare, la cooperazione con i vari approcci in materia di teoria dell'azione: ad esempio con discipline in larga misura formali come le scienze dei sistemi e della programmazione, le teorie della decisione e dei giochi e la logica dell'azione in senso ristretto (M. Nowakowska, G. H. von Wright), come pure con l'economia, la politologia, la sociologia e la storiografia. Tra le metodologie speciali, assumono un valore paradigmatico la metodologia della ricerca matematica, quella della ricerca empirica e la tecnologia in senso lato, in quanto metodologia dell'azione pratica rivolta a fini concreti.

Le considerazioni finora svolte sui vari concetti e livelli ai quali bisogna por mente nell'intraprendere un'indagine sul procedimento o comportamento metodico possono riassumersi nella concezione dell'agire metodico come sistema di progettazione, come sistema adattivo-innovativo; nocciolo di un simile sistema è un processo di regolazione riguardante l'azione. Le varie funzioni che compongono la sfera operativa propria del procedimento metodico possono essere rapportate, almeno quanto all'essenziale, a un versante soggettivo e a un versante oggettivo. L'aspetto soggettivo comprende un soggetto progettante e un soggetto agente. Quest'ultimo fissa lo scopo del piano ed esegue la programmazione degli obiettivi (o vi prende parte), impartisce gli ordini di attuazione, dà incarichi al soggetto progettante ed eventualmente corregge la definizione degli obiettivi (in particolare di quelli intermedi) in base alle informazioni sui risultati della progettazione provenienti dal soggetto progettante. I due soggetti sopra indicati sono di norma una stessa persona, ma possono ovviamente essere persone o gruppi di persone distinti. Se il piano riguarda la quasi-azione di un'istituzione, si tratterà di agenti sopraindividuali, il che non incide però sul nostro schema.

Il versante oggettivo è dato dall'oggetto dell'azione e della progettazione, ossia dal sistema al quale il nostro procedimento metodico si riferisce. I sistemi che possono fungere da oggetto dell'azione sono i più svariati, e per questo il concetto di metodo è così ampio. Quando ad esempio il procedimento metodico è una ricerca, l'oggetto dell'azione è un sistema di conoscenze (una teoria, una spiegazione, ecc.) oppure un problema, un'argomentazione, e così via: in ogni caso, un'entità astratta. In un progetto di ricerca nel campo delle scienze empiriche, il procedimento metodico consiste in una combinazione di operazioni logiche ed empiriche. La ricerca nel senso più ampio è un caso paradigmatico di procedimento metodico; un altro è la tecnologia, sempre in senso lato: l'agire (il progettare e l'eseguire) rivolto a uno scopo pratico, e anche in questo caso l'oggetto dell'azione può essere il più svariato: un sistema naturale (un corso d'acqua da regolare, un sistema di trasporti, il corpo umano in relazione a una terapia medica, ecc.), o un ‛artefatto' (un certo tipo di macchina o di strumento da produrre o da perfezionare), o un sistema sociale, ivi comprese le istituzioni (un'organizzazione sanitaria, un sistema di comunicazioni, un sistema di formazione professionale, ecc.), o anche un determinato sistema di produzione da impiantare o da migliorare.

Caratteristico del procedimento metodico è il fatto che l'oggetto dell'azione, quale che esso sia, o il suo stato vengono valutati distinguendo un Istzustand e un Sollzustand. Questa valutazione, compiuta dal soggetto agente, è guidata dagli scopi generali dell'iniziativa nel suo insieme, di cui il procedimento metodico costituisce un momento parziale. La ‛rilevanza per l'azione' di un campo di oggetti appartenente all'ambiente del soggetto agente è determinata in modo preminente da questi scopi generali, prefissati nel piano complessivo. Quest'ultimo è inserito a sua volta in un contesto che, con le sue varie ‛regole del gioco', impone al piano condizioni e limiti: stabilisce cioè il ‛campo d'azione'. Nel caso di programmi tecnici, industriali o commerciali, queste condizioni generali possono essere rappresentate per esempio dalla costituzione, da singole norme e disposizioni di legge, dai meccanismi dei prezzi operanti sul mercato, dalla fattibilità tecnica, ecc. In un progetto di ricerca il ‛campo d'azione' è definito in primo luogo dalla situazione problematica reale e dalle risorse disponibili in fatto di conoscenze, tecniche, metodi, ecc. Il soggetto agente opera sull'oggetto dell'azione e si sforza di modificarlo, di farlo cioè passare dall'Istzustand al Sollzustand. I risultati di questi sforzi danno luogo a un flusso d'informazione che retroagisce sull'azione: le informazioni sui risultati intermedi, specialmente quando questi non siano soddisfacenti, possono portare a modifiche del metodo adoperato. È qui chiaramente riconoscibile il momento intermedio, consistente nella continua valutazione del metodo adoperato alla luce dei risultati conseguiti, ossia nella valutazione della capacità del metodo di produrre con efficacia ed efficienza quei tipi di ‛prodotti' o di risultati che rappresentano la raison d'être teleologica dell'intero procedimento e, nel suo ambito, del procedimento metodico: in altri termini, della capacità di un tale procedimento di modificare l'oggetto d'azione verso il Sollzustand.

In relazione ai diversi possibili scopi delle indagini metodologiche, questo modello di sistema d'azione adattivo-innovativo può diventare più complesso e lo schema può assumere una configurazione più particolareggiata. Per procedere in modo efficiente, il soggetto agente (e soprattutto il soggetto progettante, quando i due ruoli non coincidano in una stessa persona) ha bisogno di conoscenze sull'oggetto dell'azione, sui metodi di progettazione, ecc. Tra i singoli componenti del sistema d'azione esiste quindi un flusso d'informazione e, nelle fasi esecutive dei piani tecnologico-pratici, anche un flusso d'energia e di materiali. Gli inputs - pertinenti alla progettazione e al procedimento metodico vengono trasformati dal soggetto progettante in progetti (riguardanti gli obiettivi e/o l'azione) idonei a concretizzare gli scopi generali del soggetto agente. Alla concretizzazione dello scopo appartengono anche i cosiddetti metodi d'identificazione degli obiettivi (v. Zangenmeister, 1977, p. 229). L'importanza di questo ‛circuito parziale' diventa tanto maggiore quanto più vasta è la portata dell'operazione d'insieme, come risulta particolarmente evidente nei procedimenti metodici messi in atto da agenti che sono soggetti politico-statuali. Nel caso più comune in cui il soggetto agente e quello progettante coincidono in un unica persona, questo circuito parziale si riduce a un processo mentale, ma i principi rimangono gli stessi. Allo scopo di esaminare in modo sufficientemente realistico alcuni casi speciali, il modello può essere opportunamente arricchito di particolari, ad esempio introducendo altri soggetti agenti con obiettivi analoghi (tenendo conto dei principi della teoria dei giochi), o aggiungendo una razionale valutazione comparata del rendimento di soluzioni rivali del problema, delle capacità di metodi alternativi in fatto di raggiungimento dell'obiettivo, ecc. In tutti questi casi è necessario introdurre metodi di decisione anche per quanto riguarda i metodi da impiegare (considerati, per così dire, sul piano dell'oggetto).

Il rapporto tra metodo e oggetto dell'azione a cui viene applicato - e in particolare tra metodo e campo di oggetti nel cui ambito viene applicato - è un rapporto complesso. Alla domanda se sia plausibile disgiungere campo di oggetti e metodo viene spesso data una risposta scettica (v. Rapp, 1973, pp. 915 ss.). Se il metodo è una qualità formale di un processo d'azione e se la determinazione del contenuto avviene attraverso una pluralità di oggetti che devono avere in comune solo alcune qualità rilevanti - e precisamente quelle che rendono possibile l'applicazione del metodo - in potenza esiste sempre un campo di oggetti in cui il metodo in questione può essere applicato; ciò significa che il campo di oggetti, in un determinato momento, può consistere anche di oggetti possibili ma non ancora esistenti, ancora da realizzare. Il metodo generale dell'azione razionale, che è l'oggetto della prasseologia nel senso di Kotarbiński, ha quindi come campo di oggetti tutti i processi d'azione, attuali e potenziali, in cui sia richiesta la razionalità secondo lo scopo (ciò consegue dalla definizione programmatica del concetto di prasseologia). D'altra parte, è possibile attribuire a un metodo specifico un determinato campo di oggetti, che sia composto da tutti i possibili oggetti d'azione ai quali il metodo stesso sia applicabile. Ad esempio, in psicologia è possibile cogliere per mezzo del metodo comportamentistico certi processi di tipo molare o molecolare, descrivendoli e spiegandoli - nella misura in cui il metodo funzioni - in modo adeguato. Non è possibile invece cogliere con lo stesso metodo (e neppure ci si propone di farlo) altri fenomeni che pure ricadono nel campo d'indagine della psicologia: così ad esempio i contenuti di coscienza o gli atti mentali, per non parlare del preconscio o dell'inconscio, che appartengono al campo di oggetti del metodo psicanalitico.

Sarebbe pressoché impossibile, né avrebbe senso, redigere una classificazione sistematica dei metodi specifici, in quanto ciascun criterio produrrebbe una diversa classificazione. Una descrizione tipologica o classificatoria di metodi specifici ha un senso solo in quanto si proponga uno scopo ben definito, ad esempio la descrizione di un determinato settore della tecnica o della tecnologia (v., per es., Bunge, 1977, p. 155). Appare tuttavia non solo dotata di significato, ma importante la classificazione dicotomica (alla quale già si è accennato) secondo cui i possibili oggetti del procedimento metodico vengono suddivisi in due gruppi: i processi di pensiero e l'agire pratico. Il primo gruppo è quello degli oggetti astratti, come le teorie scientifiche, le spiegazioni, le argomentazioni, le impostazioni di problemi, ecc., e inoltre i linguaggi formalizzati, in quanto campo di oggetti della semantica, che è una branca della matematica. Secondo la terminologia di K. Popper, questi ‟pensieri in senso oggettivo" (ossia questi oggetti di possibili operazioni e metodi di pensiero) sarebbero ‟entità del terzo mondo", il mondo dei contenuti linguisticamente formulati (v. Popper, 1972, capp. 3 e 4). L'altro gruppo è formato da tutte le entità che possono essere oggetto, ‛intenzione' di un agire pratico, ivi compresi gli oggetti possibili: soprattutto, ma non esclusivamente, gli oggetti materiali. Questa distinzione fondamentale tra ‛metodi di pensiero' (in senso oggettivo, cioè non psicologico) e metodi dell'agire pratico - ossia tra logica e metodo scientifico da un lato e le tecnologie in senso lato dall'altro - è fondamentale per ogni ricerca sul metodo e le indagini metodologiche.

Le considerazioni fin qui svolte, ispirate alla teoria dei sistemi, rientrano nell'ambito di una disciplina che è ancora in formazione e che potrebbe chiamarsi ‟metametodologia" (v. Rescher, 1977, pp. 2, 8-10) in quanto indaga i metodi per stabilire, valutare, perfezionare, ecc., i metodi. Esiste naturalmente un'enorme letteratura sulla metodologia di determinati settori, come ad es. sulla metodologia della ricerca nel campo delle scienze naturali e matematiche o su quella delle varie tecnologie in senso ristretto; manca invece - a parte la Prasseologia di Kotarbiński e alcune voci di lessici e di enciclopedie - una letteratura sulla teoria generale del metodo. L'indicare espressamente come ‛metametodologiche' le considerazioni del presente paragrafo è però utile solo in quanto una mancata distinzione dei livelli possa generare confusione.

b) Definizione di metodo

Il concetto di metodo, l'‛intenzione' del termine ‛metodo' sono stati già tratteggiati a grandi linee nelle pagine precedenti; converrà ora raccogliere le componenti già accennate e metterne in luce altre, essenziali sebbene sinora non prese in considerazione. Naturalmente, si tratterà nel nostro caso di qualcosa di più di una ‛definizione', ossia di un modo di introdurre formulazioni abbreviate di una determinata espressione: si tratterà di una ‛spiegazione', di un metodo e di una proposta per sostituire - in contesti determinati - a un concetto vago del linguaggio quotidiano un concetto più fecondo, e più preciso rispetto al nostro scopo.

Al centro dell'idea di metodo vi è, come abbiamo visto, la nozione di un'azione razionale secondo lo scopo, di un modo di procedere coerente, applicato per conseguire un determinato fine. L'esistenza di un momento anticipativo - che potrà indifferentemente chiamarsi ‛rappresentazione di scopo', ‛stratagemma', ‛proposito', ecc. - è un presupposto necessario affinché un procedimento possa definirsi ‛metodico'. Etimologicamente, nella parola greca methodos c'è l'idea del percorrere una strada; un procedimento adeguato, un modo di ‛andare avanti' (per restare nella metafora della strada), a procedure which applies or a way of applying, è in linea di principio praticabile da tutti, pubblico. Veniamo così a uno dei connotati più importanti del metodo, la sua ‛oggettività'. Un metodo può essere dichiarato efficace solo quando risulti tale sempre e dappertutto: il procedimento metodico deve cioè essere ‛ripetibile'. Il metodo non può essere efficace solo quando è adoperato da un dato individuo, ma deve condurre a un determinato risultato anche quando è adoperato da altri: la sua efficacia dev'essere in linea di principio indipendente dalla persona che lo applica, e in questo senso il metodo dev'essere ‛intersoggettivo'. Quando diciamo che qualcuno ha conseguito uno scopo per caso o per fortuna, escludiamo eo ipso che lo abbia conseguito attraverso un procedimento metodico: un caso fortunato è infatti per sua natura irripetibile. Altra cosa dal metodo è la sua applicazione; la pura e semplice applicazione di un metodo può essere casuale, proprio come - per riprendere l'etimologia - può essere casuale il fatto di trovarsi a passare lungo una certa strada. Alla richiesta della ripetibilità - in linea di principio - come condizione necessaria perché esistano procedimenti metodici, si potrebbe obiettare che esistono anche metodi ‛inventivi' (v. Buchler, 1961, p. 4). Senza dubbio in alcuni metodi, ad esempio in quelli per il controllo sperimentale di un'ipotesi, sono presenti fattori inventivi e innovativi; ma non appena un metodo viene ideato, esso diventa accessibile a chiunque, e soprattutto non vi è alcun metodo per inventare metodi o per ‛trovare' o creare nuove teorie scientifiche che abbiano interesse.

Un procedimento metodico è ‛graduale', avanza passo per passo; l'etimologia stessa della parola suggerisce la metafora del ‛procedere' lungo una strada: chiamare metodo l'‛uovo di Colombo' non significherebbe altro che sfruttare un uso del linguaggio ordinario. Poiché un procedimento che svolga gradualmente un progetto viene anche detto ‛sistematico', vien fatto di chiedersi se quest'ultimo aggettivo non sia sinonimo di ‛metodico'. Il concetto di procedimento sistematico sembra essere però più ampio di quello di procedimento metodico; perché si definisca ‛metodico' un procedimento è infatti necessaria un'ulteriore condizione: che esso sia, almeno in linea di principio, ‛suscettibile di miglioramento'. Afferma ad esempio S. T. Coleridge (1818) che un procedimento, per essere considerato metodico, deve costituire a progressive transition; mentre nel dialogo socratico vi è un metodo, quando si dispongono in ordine alfabetico dei nomi si procede in modo sistematico, ma non metodico (v. Buchler, 1961, p. 36).

La metafora della strada riflessa nell'etimologia è straordinariamente feconda: come una strada deve potersi indicare, così un procedimento che abbia valore di metodo dev'essere ‛comunicabile', ‛formulabile linguisticamente', anzi ‛codificabile' come canone. Ciò consegue dall'oggettività del metodo. Una mera abilità può essere bensì mostrata ma non spiegata; un virtuoso del calcolo possiede una particolare capacità e abilità (skill), ma non un metodo. Dall'oggettività di principio di ogni metodo consegue anche che, per essere considerato metodico, un procedimento dev'essere ‛insegnabile e apprendibile' (v. Rescher, 1977, p. 75). L'interpellare un oracolo, anziché intraprendere una ricerca, non potrebbe essere definito un ‛metodo' se non in senso ironico. L'oracolo stesso potrebbe anche seguire un procedimento sistematico, e magari metodico, ma il suo metodo non è dilucidabile nelle sue articolazioni né, in linea di principio, è apprendibile da parte di altri.

Dalla caratteristica sostanziale del metodo, l'oggettività, consegue che anche la valutazione di un metodo dev'essere oggettiva. Quando un metodo non conduce al risultato voluto, quando è inefficace, si può affermare o che il metodo in questione è inadeguato, o addirittura che non è affatto un metodo. Quest'uso linguistico, che considera inerente al concetto stesso di metodo un minimo di efficacia e rende perciò valutativo il termine ‛metodo', non manca di sostenitori: ad esempio B. Lonergan definisce il metodo come ‟a normative pattern of recurrent and related operations yielding cumulative and progressive results" (v. Lonergan, 1971, pp. 5, 14). È tuttavia preferibile, a vantaggio della chiarezza, definire il metodo in modo tale che il concetto rimanga descrittivo, cosicché definizione e valutazione possano essere rigorosamente distinte.

La valutazione di un metodo consiste nel controllare se e in quale misura un certo modo di agire soddisfi determinate esigenze. I criteri di valutazione determinanti sono due: 1) il grado di efficacia del metodo, ossia il grado di conseguimento dei fini da esso consentito (questo criterio non prende in considerazione i costi); 2) l'efficienza, o meglio il grado di efficienza del metodo, ossia l'indice che esprime il rapporto tra costi e benefici (input e output) del metodo, in relazione a un determinato grado di conseguimento dei fini. La considerazione dei costi - costi di ogni genere, compresi i cosiddetti costi sociali e gli effetti collaterali - appare invero sempre opportuna, a meno che il fine da conseguire non venga stimato come il valore supremo, al quale tutto possa essere sacrificato. Un importante fattore di costo è il tempo: un metodo che conduca rapidamente al risultato voluto è preferibile, ceteris paribus, a uno più lento. La valutazione dei metodi dal punto di vista della loro efficienza relativa assume naturalmente un particolare rilievo quando vi siano più metodi in concorrenza tra loro (o, nella metafora dell'etimologia, più strade che conducano alla stessa meta).

Dall'oggettività di principio del metodo consegue che anche la sua valutazione, per essere adeguata, dev'essere oggettiva, ossia indipendente dalla persona che la compie. A tale scopo occorre in primo luogo un'esplicitazione adeguata dei concetti di ‛grado di efficacia' e di ‛grado di efficienza' del metodo (dev'essere cioè chiaramente definito che cosa debba intendersi con i corrispondenti termini); in secondo luogo, occorrono metodi d'accertamento oggettivi (intersoggettivi) mediante i quali sia possibile addurre giustificazioni valide a sostegno dell'assunto che un certo metodo possiede un determinato grado di efficacia o rappresenta, rispetto a un metodo rivale, un mezzo più efficiente per conseguire il fine in questione. In breve, l'efficacia e l'efficienza di un metodo, agli effetti dell'attuazione del fine che costituisce la raison d'être del metodo stesso, rappresentano i due piani di una critica del metodo: la quale è pertanto una critica teleologica. Afferma N. Rescher: ‟The pivotal issue is the ‛pragmatic' one of assessing whether the method actually works in practice" (v. Rescher, 1977, pp. 4, 74). D'altro canto lo stesso Rescher (ibid., p. 75) considera una black box procedure come un procedimento non metodico, in quanto non suscettibile d'insegnamento e di apprendimento. Ora, lo stridore avvertibile tra queste due asserzioni può essere eliminato se si pensa all'oggettività propria del metodo, dalla quale discende ch'esso avrà successo in tutte le situazioni ‛analoghe', anche future. Se siamo in grado di ‛spiegare' perché un dato metodo funziona, ‟why it works", in qualche misura sappiamo anche quali sono i fattori rilevanti nella situazione in cui applichiamo il metodo, e quindi anche in quali situazioni esso non funzionerà. Solo se siamo in grado di fornire una simile spiegazione conosciamo i limiti del campo d'applicazione e di validità del metodo, e solo allora possiamo indicare che cosa rende una situazione di un certo tipo ‛analoga', nel senso forte del termine, a un'altra. Per poter fornire una spiegazione corretta, come pure per fare previsioni attendibili, abbiamo bisogno di teorie: e infatti i nostri metodi più affidabili sono quelli fondati su teorie scientifiche. Non v'è nulla di più pratico di una buona teoria!

Definire significa delimitare. Quali sono i limiti del metodo? Alcuni filosofi sono del parere che il procedimento metodico sia raccomandabile solo fino a un certo punto: ad esempio A. N. Whitehead ha contrapposto al metodo la ‟speculative reason", affrontando così il problema del rapporto tra libertà e metodo e avanzando addirittura la contrapposizione ‟freedom versus method". Va osservato a questo proposito (v., per es., Buchler, 1961, p. 170) che il vincolo di dipendenza del filosofo o dell'artista dalla scelta del metodo può essere meno rigido di quello che lega un ricercatore nel campo delle scienze empiriche alla metodologia generale della ricerca e ai metodi specifici della propria disciplina. Si potrebbe aggiungere che il ricercatore o l'artista possono bensì riflettere sui metodi da essi applicati ma non possono farlo nell'ambito delle rispettive discipline, in quanto tali riflessioni ricadono nel dominio della filosofia e della teoria della scienza; invece il filosofo o il teorico della scienza che indaghino o riflettano sul metodo non per questo escono dal campo di propria competenza, il che, d'altra parte, non riduce la loro dipendenza dal metodo. Il teorico della scienza P. Feyerabend ha dimostrato che la ricerca conosce la massima fioritura proprio quando viene condotta il più possibile senza metodo; il suo ultimo libro è intitolato Against method, e ancor più esplicito è il titolo dato alla traduzione tedesca, Wider den Methodenzwang (Contro la costrizione del metodo). Queste considerazioni ci portano a esaminare, nel paragrafo seguente, il problema del rapporto fra metodo e consapevolezza del metodo.

c) Consapevolezza del metodo; elaborazione, impiego e perfezionamento dei metodi

Come abbiamo visto, un metodo può essere, attraverso un'indagine metodologica, astratto da processi d'azione, in quanto appunto modo di procedere che guida quei processi. Il metodo viene così ricostruito, e ciò vale anche quando chi agisce non sia pienamente cosciente del fatto di usare un determinato metodo. Naturalmente, il caso paradigmatico è quello in cui il metodo è adoperato consapevolmente; ma in generale i processi d'azione si svolgono in un modo che non è nè esclusivamente cosciente e metodico, nè irriflesso e del tutto privo di un aspetto concettuale. Le operazioni logiche o le azioni pratiche vengono compiute in vista di certe acquisizioni di conoscenze o di certi risultati pratici, ed è naturale che l'attenzione dell'agente sia rivolta verso lo scopo. Solo quando un simile agire orientato verso lo scopo è ormai avviato, è possibile all'agente - nei momenti in cui interrompe l'azione per riflettere sui progressi compiuti e sul proprio modo di procedere - rivolgere l'attenzione al procedimento in sé e fare del metodo l'‛intenzione' di un atto mentale. La riflessione e l'indagine metodologica sono dunque ‛secondarie': perché abbia un senso impostare una tale indagine occorre che sussista già - o sia stato almeno presunto - un procedimento metodico. Un'indagine metodologica si pone come urgente solo quando il procedimento adoperato dia luogo a difficoltà o appaia bisognoso di perfezionamento.

In che modo si svolge un'indagine metodologica e con quali difficoltà deve cimentarsi? Nelle indagini metodologiche occorre prescindere dai contenuti concreti; il metodo viene ricavato mediante astrazione, eventualmente anche con l'aiuto di idealizzazioni: si tratta quindi di una ‛ricostruzione razionale'. Ai fini dell'esposizione è opportuno illustrare il processo con un esempio: si prestano particolarmente allo scopo i procedimenti metodici della ricerca empirica, giacché in essi è costante, per lo meno, il fine generale, che è il progresso della conoscenza. In quest'esempio l'indagine metodologica può essere concettualizzata in tre momenti: 1) descrizione della situazione di ricerca e del risultato; 2) valutazione del risultato: nell'esempio, valutazione di una teoria ai fini del progresso della conoscenza; 3) formulazione dell'ipotesi che nel processo di ricerca in questione sia stato adoperato un determinato metodo o sia stata seguita una determinata regola metodologica (e che sia stata proprio questa circostanza a produrre il risultato).

In che modo può essere comprovata quest'ipotesi? Occorre innanzi tutto distinguere tre casi, secondo che si tratti: a) di regole metodologiche, di metodi che l'agente - nell'esempio in questione, chi ha condotto la ricerca - sostiene di aver adoperato. In questo caso esiste evidentemente la possibilità di una dichiarazione insincera, di un inganno; b) di regole metodologiche che l'agente è convinto di aver usate. In questo caso sussiste la possibilità di un errore o di un'illusione; ad esempio Freud riteneva di applicare i metodi propri delle scienze naturali, mentre in realtà adoperava metodi in larga misura ermeneutici. I casi di illusione sono sorprendentemente numerosi anche in un campo come quello della ricerca, che pure è paradigmatico per i procedimenti razionali; non si spiegherebbe altrimenti come mai gli scienziati credano così spesso di trovare nella loro prassi quel principio di verificazione di cui già Hume riconobbe l'impossibilità logica (v., per es., Feyerabend, 1972, p. 148); c) di regole metodologiche alle quali de facto l'agente si è attenuto. L'indagine metodologica ha appunto il compito di scoprire se è stata seguita una regola e, in caso positivo, quale essa sia. Ove il ricercatore abbia seguito una regola - e noi supporremo che tale sia il risultato della nostra indagine - non per questo è lecito dedurne che egli debba esserne consapevole; resta infatti la possibilità che egli si sia attenuto alla regola con la sicurezza di un sonnambulo. In quest'ultima eventualità, sarebbe però da dubitare che si possa ancora parlare di procedimento metodico. In casi limite come questo, l'analisi degli usi linguistici correnti non soccorre. In una spiegazione che ricorra alla proposta di un concetto più adeguato (ad esempio per indagini metodologiche che per loro natura esorbitino dall'ambito del linguaggio ordinario) occorre prendere una decisione e addurre motivi validi dell'affermazione che il concetto proposto rappresenta uno strumento migliore - nel nostro caso, ai fini dell'indagine metodologica - di quello fornito dal linguaggio comune. In conformità del concetto proposto in precedenza sembra appropriato parlare anche nel caso in questione di procedimento metodico, in quanto l'agente potrebbe aver effettivamente seguito un determinato modo di procedere senza rendersene conto, e in quanto non è da escludersi che l'indagine metodologica, in cui viene ricostruito analiticamente il processo d'azione, possa effettivamente identificare appunto quel modo di procedere. Il caso citato non è forse così eccezionale come può sembrare, perché non tutti i singoli momenti di un processo di ricerca sono articolabili: alcuni di essi possono essere guidati da quella che M. Polanyi chiama ‟tacit knowledge".

Dal canto suo, P. Feyerabend parla di fattori imponderabili come il tatto o la sensibilità, necessari per applicare le regole metodologiche in modo ragionevole, ossia nel luogo e nel modo giusto; e fa notare che solo di rado queste regole sono formulate esplicitamente (v. Feyerabend, 1972, p. 147). Ma la principale difficoltà dell'ipotesi (3) nello schema sopra esposto consiste nel fatto che una ‛prassi', cioè una successione di atti, non può determinare univocamente le regole a essa presumibilmente soggiacenti o i metodi che la guidano neppure quando sia lecito presupporre che in quella successione le regole stesse non siano state mai violate o applicate in modo errato; in breve, neppure quando si possa presupporre quella sicurezza da sonnambulo a cui si accennava prima. Una medesima successione di atti concreti può essere ricostruita mediante varie regole o combinazioni di regole, e spesso è impossibile decidere quale di due ricostruzioni rivali del procedimento (rational reconstructions) sia quella corretta o - per esprimerci con maggior cautela - sia la migliore. A parte ciò, l'ipotesi della sicurezza da sonnambulo è molto lontana dalla realtà, tranne forse qualche rara eccezione; l'incertezza nasce dal fatto che un comportamento appare sovradeterminato rispetto ai metodi: dal fatto cioè che per lo più esistono vari modi di ricostruire un processo d'azione come agire metodico. Nel migliore dei casi, quindi, a sostegno dell'ipotesi (3) possono essere addotti solo dei buoni motivi.

Dall'esempio esaminato risulta anche l'insostenibilità della concezione di una scuola assai influente di teoria e storia della scienza, secondo cui sarebbe la prassi scientifica il fattore che decide come si debba valutare una data regola metodologica o un dato metodo. Ciò consegue già dal fatto, poc'anzi addotto, che nei processi d'azione complessi il metodo usato o la regola metodologica seguita non sono ricostruibili in modo univoco; ma ancor più importante è osservare che il tentativo di derivare una valutazione dalla descrizione - sia pure di tipo ricostruttivo - di una prassi non fa altro che spostare il problema alla valutazione del risultato. Nel nostro esempio si tratterebbe della valutazione metodologica della teoria (o spiegazione, ecc.) raggiunta in quanto progresso scientifico (punto 2 dell'esempio): compito che solo una disciplina prescrittiva può assolvere.

Nel definire il metodo abbiamo insistito sulla possibilità di perfezionamento che gli è in linea di principio propria, piuttosto che sul requisito della ripetibilità. Nelle successioni di atti più complesse è necessario un continuo controllo di qualità dei risultati: se in una certa fase si riscontra un cattivo funzionamento del metodo usato, si cercherà di correggerlo, ossia di affinarlo e perfezionarlo. Né potrà trattarsi di un processo puramente adattivo, perché un tale perfezionamento implica necessariamente un elemento di innovazione creativa. Da questo punto di vista vi è una vasta gamma di metodi: dagli algoritmi - metodi di decisione meccanici, il cui sviluppo si è per così dire già concluso - fino ai metodi inventivi, il cui perfezionamento rappresenta un'esigenza permanente. Se si concettualizza mediante un modello evolutivo il perfezionamento dei metodi, i presupposti di questo progresso del metodo sono i seguenti: 1) la costanza del fine generale e un perdurante interesse per l'affinamento del metodo; 2) la creatività, la capacità inventiva che consentano di avanzare proposte per il perfezionamento del metodo in questione; 3) un metodo razionale di selezione che permetta di scegliere, tra più procedimenti alternativi proposti per la soluzione di un problema, quello che ha la massima capacità di conseguire lo scopo, the most powerful method. Rescher parla a questo proposito di un method Darwinism (v. Rescher, 1977, pp. 9, 140-166). Secondo l'explicatum del concetto di metodo proposto nel paragrafo precedente, un metodo è qualcosa che è suscettibile di sviluppo: metodi nel senso proprio della parola sono soltanto i modi di procedere perfezionabili (almeno in linea di principio), mentre gli algoritmi, le routines, sono da considerarsi come metodi per così dire pietrificati.

Ciò che rende difficile l'uso del concetto di metodo è la sua ampiezza: quand'anche si prescinda dal vasto territorio in cui il suo significato rimane vago, l'estensione del termine ‛metodo' resta enorme. Dal punto di vista storico il repertorio di metodi dell'umanità presenta un ritmo d'innovazione crescente, nel senso che i metodi vengono sostituiti sempre più rapidamente da metodi migliori, mentre nascono nuove categorie di metodi. N. Rescher (v., 1977, p. 10) include addirittura nel ‛repertorio metodologico' dell'uomo l'andatura eretta; e anche questo serve a illustrare la latitudine d'uso di ‛metodo'. Senza dubbio, è in una certa misura giustificato il parlare di un nuovo ‛metodo' di locomozione. Vero è che l'andatura eretta dovrebb'essere annoverata tra le ‛abilità' (skills) normali dell'uomo, o comunque essere imputata esclusivamente alla sua dimensione somatica, ma la ‛naturalità' di questo metodo di locomozione diventa dubbia non appena si tenga conto di come in effetti sia precario l'equilibrio cardiovascolare che è alla base dell'andatura eretta: basta un raddoppiamento dell'accelerazione di gravità per bloccare in pochi minuti il meccanismo della circolazione sanguigna in posizione eretta (mentre ad esempio le larve di Drosophila sopportano per parecchi giorni un'accelerazione pari a 2.500 volte quella di gravità). Secondo l'explicatum qui proposto, un simile ‛metodo' di locomozione non dovrebbe considerarsi un metodo, in quanto in esso la condizione necessaria dell'orientamento verso lo scopo è soddisfatta solo in senso molto metaforico. Comunque sia, se consideriamo col Rescher questo nuovo modo di locomozione come fondamento delle tecniche pratiche, l'epoca della sua adozione risale, come ordine di grandezza, a 106 anni fa. L'introduzione degli utensili, e quindi dei procedimenti metodici in senso stretto (in particolare, delle tecniche artigiane primitive), risale a circa 105 anni fa; la comparsa del metodo di comunicazione mediante segni grafici a 104 anni fa; i primordi dei metodi matematici e astronomici a 103 anni fa; ad appena qualche secolo risale la nascita del metodo di ricerca proprio delle scienze naturali, al quale hanno fatto seguito, in rapida successione, i metodi specifici resi possibili dall'applicazione delle scienze alla tecnologia, tra cui ad esempio quelli riguardanti la navigazione spaziale, che contano, come molti altri, solo qualche decennio di vita.

Col sempre più rapido perfezionamento dei metodi si pone il problema del quando un metodo perfezionato in modo sostanziale debba considerarsi come un metodo nuovo, piuttosto che come la versione migliorata di un metodo già esistente. Poiché in linea di principio il progresso scientifico non ha limiti prefissati, non è possibile porre confini alle tecnologie fondate sul sapere scientifico. Quello dei metodi specifici va quindi concepito come un insieme in continua crescita, come un insieme aperto. Abbiamo cercato di mostrare che cosa possano avere in comune, in quanto metodi, i metodi specifici; entrare in maggiori particolari circa i singoli metodi specifici non avrebbe molto senso in questo contesto. Nei lessici e nelle enciclopedie sono tradizionalmente trattati il ‛metodo induttivo' di Bacone, i methods of experimental enquiry di John Stuart Mill (considerati per lo più come metodi per l'individuazione di nessi causali, ossia per la verificazione di ipotesi di legge), oppure, come esempio di metodo specifico, il ‛metodo dei minimi quadrati', nonostante che si tratti, a rigore, di un semplice algoritmo. Per quanto riguarda la filosofia, si citano ad esempio il ‛metodo trascendentale' di Kant, come metodo per ‛la determinazione delle condizioni formali di un sistema completo della ‛ragion pura' (ossia come metodo per individuare le condizioni che rendono possibile la conoscenza, in quanto si tratti di conoscenza a priori), oppure il ‛metodo fenomenologico', il ‛metodo del comprendere', e così via. Non si vede tuttavia perché debbano essere trattati questi metodi e non altri ugualmente importanti. Quali metodi siano da considerarsi rilevanti in una disciplina scientifica o in filosofia, dipende dall'orientamento della ricerca, dalla tradizione, dalla scuola, dall'indirizzo di pensiero; anche la valutazione della loro importanza relativa varia con l'indirizzo di pensiero. Il cosiddetto Methodenstreit è anche un dibattito sul tipo di metodo capace di far meglio progredire una data disciplina, capace cioè di portarla, sulla strada del progresso della conoscenza, a risultati migliori di quelli ottenibili con qualsiasi tipo alternativo di metodo. Il classico Methodenstreit tra gli studiosi tedeschi di economia politica verteva sui vantaggi e gli svantaggi del metodo razionale-matematizzante da un lato e del metodo storico-sociologico dall'altro; in effetti, si trattava piuttosto di una diversa accentuazione di campi di oggetti (o di aspetti di uno stesso campo di oggetti) e, nel contempo, di conferire a un determinato tipo di metodo una pretesa monopolistica nella caratterizzazione della disciplina.

Nelle considerazioni precedenti, partendo da un'indagine sull'uso linguistico corrente - necessaria per chiarire l'explicandum - è stato proposto un concetto perfezionato, fornito di contorni un po' più netti di quelli del concetto ordinario (per un'analisi più approfondita di quest'ultimo v. Buchler, 1961). Nel seguito intendiamo fissare l'attenzione sui due casi paradigmatici per quanto riguarda il metodo, il procedimento cognitivo e l'azione pratica. A questo proposito si fa abitualmente una distinzione fondamentale tra metodi di pensiero e metodi dell'agire pratico (v., per es. Rapp, 1973, p. 916). Ma la denominazione di ‛processi di pensiero' applicata ai modi di procedere cognitivi lascia a desiderare a causa della sua colorazione psicologistica: non sono infatti in gioco i processi mentali, il ‛pensiero' in quanto processo psicologico, ma l'inferenza logica e il metodo delle scienze empiriche. Invero, gli oggetti d'azione dei procedimenti metodici che impiegano metodi cognitivi sono, come abbiamo visto, entità astratte. ‛Logica e metodo scientifico' sarebbe un'etichetta migliore per questa prima categoria di metodi. L'altra categoria, quella dei metodi dell'agire pratico, comprende - come momenti parziali - metodi cognitivi ovvero processi guidati da tali metodi. Il senso dell'agire pratico consiste nell'interazione dell'uomo con il suo ambiente fisico e sociale, con entità concrete. Ora, questo intervento sull'ambiente viene mediato da processi mentali in senso proprio, cioè in senso psicologico, guidati a loro volta dalla logica e dal metodo scientifico: quella di siffatti processi mentali in senso psicologico è dunque una funzione mediatrice. Per la sfera generale dell'agire pratico quale l'abbiamo delineata proponiamo la denominazione ‛tecniche e tecnologie in senso lato'.

3. Metodi cognitivi: logica e metodo scientifico

a) La ricerca (enquiry procedures/methods)

L'‛oggetto d'azione' di un procedimento metodico che impiega metodi cognitivi - ossia una ricerca (enquiry procedure) logico-matematica o empirica - è costituito da entità astratte: teorie formulate, situazioni problematiche, possibili soluzioni di problemi, ecc. Ma la ricerca intesa in questo senso, ivi compresa quella matematica, non coincide con i processi di pensiero, che hanno invece per oggetto strutture quali i sistemi assiomatici, le teorie, i modelli esplicativi (explanatory patterns); queste entità rappresentano cioè l'intenzione degli atti mentali costituenti i processi di pensiero. In questi ultimi vengono adoperati i metodi della logica, le tecniche dell'inferenza logica, e così via. Pertanto, il parlare di ‛leggi del pensiero' ovvero di ‛metodi di pensiero' per indicare i metodi dell'inferenza logica o altri consimili significherebbe ricadere in uno psicologismo che, almeno nel campo della logica e della matematica, è superato sin dal tempo di Frege. Nel seguito tratteremo dapprima i metodi formali, logico-matematici, e poi il metodo generale della ricerca empirica, il cosiddetto metodo scientifico, che include in sé come momento parziale i metodi formali, ma che ha metodi e problemi (tra cui problemi di metodo) suoi propri.

b) Metodi logico-matematici

La derivazione di formule, la trasformazione - preservante il valore di verità - di formule nel quadro di un sistema deduttivo rappresentano l'esempio tipico di esattezza metodica; per questo motivo, spesso il termine ‛metodologia' viene ristretto ai soli metodi logici formali. In quest'accezione così angusta, la metodologia diventa dottrina dell'applicazione della logica ai vari campi del sapere (v. Bocheński, 19715, p. 16), e la teoria della scienza viene assai spesso, di conseguenza, concepita come logica applicata. Ma le operazioni e i metodi logici possono abbracciare solo un aspetto della ricerca scientifica, e pertanto una simile spiegazione restrittiva del concetto di metodologia non può essere accolta in questa sede.

La logica è essenzialmente il metodo della trasformazione, che preserva il valore di verità, di proposizioni o, più esattamente, delle forme di proposizioni. In altri termini, la logica è il metodo per trasferire la verità dalle premesse alla conclusione, vale a dire che, se le premesse sono vere, dev'essere vera anche la conclusione. Ne deriva anche un metodo per risalire dalla falsità di una conclusione alle premesse: se una conclusione derivata in modo corretto viene falsificata, almeno una delle premesse dev'essere falsa.

Lo sviluppo della logica matematica e della semantica è strettamente connesso con lo sviluppo di un determinato indirizzo di pensiero filosofico: quello cioè che privilegia i metodi matematici e opera con linguaggi formalizzati, e gli uni e gli altri assume inoltre come oggetto delle proprie indagini. Questo indirizzo, spesso designato come ideal language philosophy (IL-philosophy), cerca di adoperare metodi matematici per la soluzione di problemi filosofici e di teoria della scienza. Che i lavori condotti in questa chiave debbano essere attribuiti alla matematica pura ovvero alla filosofia, dipenderà dalla definizione programmatica di ‛filosofia': non si tratta quindi di un problema importante. Che cosa caratterizza l'indirizzo dell'ideal language? Alla base di esso vi sono due metodi: quello dell'assiomatizzazione, consistente nel condensare una grande quantità di informazione in pochi assunti fondamentali, e quello della formalizzazione, consistente nell'esporre le teorie mediante un linguaggio formalizzato. Per illustrare il concetto di formalizzazione occorrerà chiarire quello di linguaggio formalizzato: si tratta essenzialmente di un genere particolare di linguaggio scritto, che impiega successioni lineari di segni e in cui tutte le espressioni rappresentano sequenze composte con un repertorio finito di segni. Poiché in un linguaggio formalizzato ciò che importa è soltanto la forma dei segni, è possibile concepire un simile linguaggio come un sistema di forme di segni alle quali fa riscontro un insieme di realizzazioni concrete di segni, che esemplificano quelle forme. In un linguaggio formalizzato dev'essere possibile indicare - all'interno della classe delle sequenze finite di forme di segni formulabili nel linguaggio stesso - una sottoclasse formale chiaramente delimitata, quella cioè delle formule ben formate del sistema. Dev'essere inoltre indicato un metodo di decisione meccanico, un algoritmo, mediante il quale si possa decidere se una determinata successione di forme di segni rappresenti una formula del linguaggio. Oltre a queste regole di formazione, devono essere anche indicate regole di trasformazione e di derivazione, che possono considerarsi come metodi, preservanti il valore di verità, della trasformazione di formule ben formate.

Un linguaggio formalizzato può essere in certa misura assimilato al linguaggio comune quando sia interpretato, ossia quando, per mezzo delle cosiddette regole semantiche, si istituisca una connessione tra le forme di segni e un significato, vale a dire un qualcosa, esterno al linguaggio, che sia designato dalle forme di segni. Le regole semantiche devono essere formali, cioè l'attribuzione di significato può avvenire solo per le forme di segni; il significato di una realizzazione concreta di una data forma di segni è quindi univocamente determinato dal significato di tale forma ed è affatto indipendente dal contesto, dal tipo di atto linguistico, ecc. Un linguaggio formalizzato non è quindi utilizzabile a scopi di comunicazione: esso è una delle strutture che formano oggetto della matematica pura.

A qual fine possono essere adoperati il metodo del linguaggio formalizzato e i metodi dell'assiomatizzazione e della formalizzazione? Per la ricerca che ha come oggetto i linguaggi formalizzati è facile addurre una motivazione utilitaria: i linguaggi formalizzati sono lo strumento intellettuale appropriato per la realizzazione e l'uso degli elaboratori. La ricerca che si avvale dei linguaggi formalizzati come strumento, come metodo, è un genere particolare di ricerca matematica, condotta in vista di determinati fini filosofici. Il metodo dell'assiomatizzazione presenta evidenti vantaggi: una data quantità d'informazione, ridotta in forma assiomatica, diventa più perspicua e può essere manipolata con maggior sicurezza. Una volta che si giunga a stabilire la validità dei - pochi - postulati, non è necessario controllare i singoli teoremi (il cui numero è in linea di principio illimitato). Nella teoria della scienza il metodo assiomatico è usato specialmente nei cosiddetti foundational studies: le teorie vengono ridotte in forma assiomatica per rendere evidenti gli assunti di base e per chiarire i concetti base. Queste ricerche si associano direttamente alle corrispondenti discipline, soprattutto nel caso della fisica matematica. Sui - e con i - linguaggi formalizzati si lavora anche in vista della possibilità di elaborare un linguaggio universale perfezionato, che si spera possa servire a sua volta come importante strumento e utile metodo per perfezionare la ‛scoperta della verità', per schematizzare le teorie della decisione, ecc. L'idea di un simile linguaggio ideale, con la sua pretesa di universalità, presenta chiaramente tratti utopici. Vi sono inoltre motivi puramente filosofici che consigliano l'uso di un linguaggio formalizzato come metodo del filosofare; ciò può vedersi con particolare chiarezza nel Tractatus di L. Wittgenstein, con la sua utopia di un linguaggio logicamente completo, di una ‛logica trascendentale', col cui ausilio si possano raffigurare i tratti fondamentali della realtà materiale, si possa cioè costruire una metafisica. Sulle orme di Wittgenstein, l'empirismo logico ha edificato il suo metodo, il suo approccio alla teoria della scienza sulla nozione dell'ideal unified science, ossia su una scienza unitaria ideale, formulata per mezzo di un linguaggio che potrebbe essere grosso modo assimilato al linguaggio formalizzato elaborato da Whitehead e Russell nei Principia mathematica, corredato però di un'interpretazione empiristica. Ulteriori motivi per l'uso del metodo dell'assiomatizzazione e della formalizzazione riguardano la teoria della conoscenza e in particolare la filosofia della matematica. Storicamente, si è trattato soprattutto dei tentativi di fare della matematica una branca della logica, ‛riducendola' per così dire a quest'ultima: tale indirizzo, che ha ispirato la filosofia della matematica da Frege ai Principia mathematica, ha ancor oggi numerosi sostenitori. Con la dimostrazione, data da Gödel nel 1931, dell'incompletezza dei Principia mathematica e della teoria dei numeri ha avuto inizio per la filosofia della matematica una nuova era. La concezione oggi prevalente è che la matematica non solo non è riducibile alla logica ma ha provocato anzi una revisione critica di questa, e che la maggior parte delle teorie matematiche sono di natura ipotetico-deduttiva, e quindi la matematica pura è più vicina alle scienze naturali di quanto generalmente non si ritenesse fino a poco tempo fa; il che giustifica forse il punto di vista critico che ‟la nostra intuizione logica non si spinge molto lontano" (K. Popper). Una particolare sfida ha rappresentato anche la crisi dei fondamenti della matematica, l'insorgere di antinomie connesse soprattutto con la nascita della teoria degli insiemi. Come risposta a questa sfida è nata la cosiddetta metamatematica, con il cui aiuto si è cercato di rendere a priori impossibile ogni antinomia e ciò con la messa a punto di effettivi calcoli matematici garantiti come esenti da contraddizioni. Quelli che abbiamo qui chiamato i ‛filosofi dell'ideal language' hanno assunto a modello la metamatematica e hanno cercato di applicare il suo metodo, consistente nell'operare con linguaggi formalizzati, anche ad altri campi esterni alla matematica.

Come in ogni indirizzo di pensiero, sussiste evidentemente anche qui il pericolo di un'assolutizzazione. Un indizio del fatto che almeno alcuni tra i fautori del metodo e dell'ideale metodologico in questione hanno ceduto a tale tentazione è dato dal fenomeno della trasformazione dei problemi. Accade infatti che la ricerca venga ‛pilotata' non più dai problemi (nel senso di perseverare nei tentativi di soluzione di certi problemi), bensì dal proprio metodo preferito. Ne discende che i problemi originari si trasformano in problemi ‛derivati', indotti dai metodi stessi. Un esempio potrebbe essere la problematica dei concetti disposizionali, i condizionali contrafattuali, ecc., che nascono dalla definizione della cosiddetta implicazione materiale, del connettivo ⊃ nei Principia mathematica. M. Bunge chiama non-problems questo genere di problemi dell'empirismo logico (v., per es., Archives de l'Institut International des Sciences Théoriques, 1972, pp. 108 ss.) e biasima le theory-demolishing techniques, che del resto appaiono fondate non tanto sul metodo, quanto sulla componente empiristica di quella filosofia. P. Feyerabend parla fra l'altro di philosophical jokes (v. in proposito anche Radnitzky, 1968, ad es. le pp. 65 ss. e 137). Naturalmente l'eventuale abuso di un metodo in conseguenza della sua assolutizzazione non può essere rimproverato al metodo in sé, ma solo ad alcuni di coloro che lo adoperano.

Secondo il metodo dell'ideal language, desunto come modello metodico dalla metamatematica, una teoria scientifica viene schematicamente concepita come un sistema di postulati corredato di un'interpretazione empirica (fisica, biologica, ecc.). Data una siffatta concezione, nel valutare la validità di una derivazione è possibile farsi guidare da regole formali univoche, dai metodi della logica. È possibile inoltre utilizzare il metodo della formalizzazione per esplicitare la struttura logica di proposizioni del linguaggio comune, o di testi, dimostrazioni, ecc., formulati in una lingua naturale. A proposito di quest'ultimo campo d'applicazione del metodo della formalizzazione, sono state avanzate critiche da parte di un'altra corrente della cosiddetta filosofia analitica, la ordinary language philosophy, il cui metodo consiste essenzialmente nel risolvere (o dissolvere) i problemi filosofici mediante un'analisi degli usi linguistici ordinari. Queste critiche possono riassumersi nell'obiezione che i modelli - costruiti mediante linguaggi formalizzati - di proposizioni e di testi formulati in una lingua naturale si lasciano necessariamente sfuggire molti aspetti di questi ultimi. Sebbene una simile obiezione sia giusta, la critica non appare tuttavia calzante, perché le schematizzazioni logistiche hanno unicamente lo scopo di afferrare meglio alcune funzioni parziali o aspetti ben definiti della lingua naturale, in particolare la derivazione. Ad ogni modo, questa critica mossa dai filosofi del linguaggio ordinario ha rappresentato un utile monito contro la preoccupante sopravvalutazione delle possibilità insite nel metodo della formalizzazione.

Nel primo capitolo si è già accennato alla stretta connessione esistente in una disciplina tra metodo e campo di oggetti, nel senso che spesso il secondo è determinato dal primo. Poiché un linguaggio formalizzato è essenzialmente una struttura costituita da forme di segni, le quali sono equiparabili a espressioni numeriche, un linguaggio siffatto può essere considerato come una sorta di struttura numerica, e rientra quindi fra le strutture studiate dalla matematica pura; ciò appare evidente soprattutto quando si prende in considerazione la teoria della dimostrazione. La semantica indaga certe relazioni tra linguaggio formalizzato e altre strutture. Sebbene nell'uso linguistico corrente l'esame di una teoria matematica in termini di teoria della dimostrazione sia considerato come ‛metamatematica' e l'analogo esame di un calcolo con interpretazione logica sia considerato come ‛metalogica' questo genere di indagini appartiene nondimeno alla matematica. Mentre la teoria della dimostrazione (metamatematica) appartiene alla matematica pura, la logica applicata è una branca della matematica applicata. Il problema della collocazione ovvero dei limiti dell'ideal language approach in filosofia coincide quindi col problema dell'applicabilità dei metodi matematici alla risoluzione dei problemi filosofici. Il dibattito, attivo specialmente negli anni cinquanta, tra la filosofia dell'ordinary language e quella dell'ideal language è pertanto una controversia metodologica interna alla filosofia analitica (e la cosiddetta filosofia analitica va essa stessa caratterizzata in base alla sua preferenza metodologica). Ambedue le scuole o indirizzi di pensiero concordano nell'affermare che il metodo generale corretto per affrontare i problemi filosofici consiste nella concentrazione metodica sulla dimensione linguistica. A questo punto però le strade si separano: da un lato il metodo della ricostruzione mediante linguaggi formalizzati e dall'altro il metodo fondato sull'analisi degli usi linguistici ordinari, ivi compresi gli atti linguistici, la situazione comunicativa, ecc.

Alla base di una marcata preferenza per un dato genere di metodo vi sono sempre determinati assunti circa la realtà; e può accadere che siffatti assunti trovino espressione in una definizione programmatica della filosofia. Com'è ovvio, tutto ciò è pienamente legittimo; non appena, però, un metodo venga assolutizzato, non appena, cioè, si avanzino a suo riguardo pretese di esclusività, gli assunti di base della tradizione filosofica che ha proclamato essere questo l'unico metodo adeguato ne risultano posti in una luce tale da palesare la loro insostenibilità, almeno in quella forma. Abbiamo già indicato alcuni limiti del campo di applicazione del metodo dei linguaggi formalizzati. Per quanto riguarda la filosofia dell'ordinary language, il metodo dell'analisi del linguaggio e della dilucidazione dei concetti non richiede naturalmente alcuna giustificazione; se però questo metodo viene proclamato l'unico legittimo modo di procedere del filosofare, è evidente che in ciò si esprime un atteggiamento antifilosofico. Soprattutto, vengono rifiutati a limine due grandi metodi filosofici: il filosofare attraverso il metodo del linguaggio formalizzato e il filosofare mediante un apparato concettuale appositamente elaborato, ossia l'intera filosofia, intesa come disciplina particolare, della tradizione filosofica. La rinunzia ai concetti speciali della filosofia tradizionale viene addirittura innalzata a metodo; sennonché, risulta a dir poco difficile essere uno specialista della non specializzazione, e il ripudio di ogni gergo tecnico da parte dei filosofi analisti del linguaggio è rimasto infatti declamatorio, dando anzi origine a un'efflorescenza terminologica che travalica largamente il linguaggio comune.

c) Il ‛metodo scientifico'

Come si è detto, alla base di un ‛metodo scientifico' vi è l'idea della cooperazione tra metodo logico e metodi empirici (metodo sperimentale e metodi di osservazione sistematica), tra la costruzione di teorie e il controllo empirico. Si è anche accennato che le indagini metodologiche possono essere descrittive o prescrittive, e che nel nostro caso il termine ‛metodologia' va inteso in senso prescrittivo. Parlare di ‛metodo scientifico' o di ‛metodologia scientifica' è linguisticamente altrettanto inammissibile quanto l'espressione ‛caserma ippotrainata d'artiglieria'. D'altra parte l'impiego del termine ‛metodologia' come abbreviazione di ‛metodologia della ricerca scientifica' è divenuto d'uso corrente e a esso ci atterremo, per comodità, in questo paragrafo. In sostanza, la ‛metodologia' nel senso anzidetto è concepita come un sistema di raccomandazioni. Come ogni dottrina prescrittiva del metodo, essa deve quindi distinguere i tipi di situazioni problematiche, formulare raccomandazioni e direttive e darne una legittimazione. In linea di principio una raccomandazione metodologica potrebbe assumere la forma seguente: ‟A un ricercatore che venga a trovarsi in una situazione del tipo S e che abbia come scopo il progresso della conoscenza si consiglia di applicare il metodo o la strategia M, perché in tal modo avrà maggiori probabilità di riuscita che con l'impiego di ogni altro metodo rivale".

La domanda se il ricercatore possa fare a meno di una metodologia rappresenta essa stessa una questione metodologica. Non è però necessaria una posizione metodologica determinata per dare una risposta negativa a tale domanda. Il ricercatore si trova infatti continuamente di fronte a problemi di decisione: ad esempio, quale tra due programmi di ricerca rivali convenga seguire, se valga o no la pena di compiere un dato esperimento, ecc. La valutazione comparativa del rendimento di più teorie rivali può essere considerata come una decisione ex post, analogamente alla decisione se un dato investimento sia risultato o no rimunerativo, o se si sarebbe potuto conseguire un maggior progresso della conoscenza applicando un diverso metodo o seguendo un diverso programma di ricerca. Altre decisioni sono invece ex ante, riguardando, come risulta dagli esempi sopra addotti, procedimenti e metodi futuri. In ogni caso, in corrispondenza di questi momenti decisionali il ricercatore non può fare a meno di riflettere sul suo modo di procedere: ogni ricercatore è quindi anche un metodologo, magari suo malgrado. Per affrontare metodicamente questo tipo di problemi decisionali, occorre innalzare a disciplina la metodologia della ricerca empirica. Naturalmente, tale metodologia non dovrà imporre prescrizioni al ricercatore né rendersi colpevole di inframmettenze: essa opera allo stesso modo di un consulente finanziario che si limiti a suggerire un investimento, lasciando però la decisione all'imprenditore disposto a correre il rischio (v. Radnitzky, Progress and..., 1979, È O).

Che genere di disciplina è la metodologia? Non può trattarsi di una scienza empirica, perché si occupa essenzialmente di valutazioni; né può essere soltanto logica applicata, perché gli aspetti logici costituiscono solo una dimensione parziale dei punti di vista rilevanti per la ricerca (per una critica della concezione della metodologia come logica applicata v. Feyerabend, 1975, cap. 17). Talvolta (ad esempio da H. Albert) la metodologia viene intesa come tecnologia del progresso della conoscenza. Questa concezione non è certo priva di valore euristico; l'analogia tra metodologia e tecnologia ha però degli aspetti negativi di cui bisogna tener conto. Innanzi tutto, mentre una tecnologia è uno strumento, più o meno affidabile, per conseguire un certo risultato, una metodologia non può far altro, nel migliore dei casi, che facilitare il progresso della conoscenza: è questo un fine per il conseguimento del quale sono necessari, oltre al metodo e alla techne, anche numerosi altri fattori, circostanze favorevoli, ecc., com'è dimostrato dalla storia delle scoperte scientifiche. In secondo luogo, le nostre tecnologie più affidabili sono fondate sul sapere scientifico; nel caso della metodologia, invece, il tentativo di basarla sul sapere scientifico porterebbe a un circolo vizioso. Infine, mentre in una tecnologia il fine è prefissato dall'esterno, la spiegazione del fine della ricerca - il progresso della conoscenza - è essa stessa uno dei compiti della metodologia.

La metodologia fornisce dunque raccomandazioni spiegando in che modo le opportunità di far progredire la conoscenza possano essere ottimizzate. Nel concetto di progresso della conoscenza, che solo la metodologia può spiegare, si esprime però pur sempre un ideale della scienza. Che cosa accade se due metodologie danno valutazioni diverse di due teorie rivali, e quindi consigliano misure differenti tra loro? Si pone in tal caso il problema di una valutazione metametodologica di metodologie rivali, valutazione che rientra anch'essa tra i compiti della metodologia. Ma poiché le metodologie sono rivali tra loro solo in quanto perseguono uno stesso ideale scientifico, la riflessione sulla metodologia è sempre riflessione sugli (o critica degli) ideali scientifici.

Nel XVII secolo le filosofie della scienza ottimistiche - l'induttivismo di Bacone come l'intellettualismo di Cartesio - rappresentavano un ideale della scienza che attribuiva alla certezza la priorità assoluta nella lista dei desiderata: l'idea fondamentale era che il vero sapere scientifico dovesse essere un sapere accertato, fatto di proposizioni sulla cui verità si fosse raggiunta la certezza. Più tardi i primi aderenti al Circolo di Vienna ritenevano ancora che le proposizioni scientifiche dovessero essere idealiter vere e che si dovesse poter dimostrare tale verità mediante appositi metodi di accertamento (verificazionismo). A tal fine il metodo principe era il cosiddetto metodo induttivo, detto anche metodo ipotetico-deduttivo positivo. In esso l'esperienza ha infatti una funzione ‛positiva': l'esperienza, l'osservazione, ecc., servono a giustificare le ipotesi di legge, donde le denominazioni di ‛positivismo' e di ‛empirismo'. L'idea di base del metodo induttivo è la seguente: da una teoria che ci si propone di giustificare vengono derivate con l'ausilio di opportune premesse addizionali, per il momento non problematizzate, ipotesi controllabili empiricamente ovvero predizioni. Se, una volta sottoposte a controllo empirico, le ipotesi così derivate risultano vere, oppure vengono assunte come tali (la questione se un tale assunto sia congruo viene anch'essa provvisoriamente accantonata), il seguace del metodo ‛induttivo' è disposto - e in ciò consiste l'essenza del metodo - a trasferire alle premesse la ‛verità' della conclusione; nell'induttivismo moderno una conferma delle ipotesi derivate è considerata come un contributo al sostegno induttivo (inductive support) della teoria: le previsioni coronate da successo rappresentano una conferma induttiva della teoria dalla quale sono state derivate, e ne accrescono così la probabilità. Si è cercato anzi di costruire con le regole di queste inferenze induttive di probabilità un intero sistema di ‟logica induttiva" (v. Carnap, 1952). Ma già Hume aveva mostrato che è logicamente impossibile dimostrare la verità di una proposizione generale mediante un numero finito di proposizioni osservative (nel nostro caso, le ipotesi derivate); la giustificazione, nel senso verificazionistico ora esposto, risulta quindi logicamente impossibile. Si è cercato perciò di trovare una premessa addizionale (il cosiddetto ‛principio d'induzione') capace di rafforzare le premesse in modo da rendere logicamente possibile questo tipo di giustificazione. Si pone allora il problema di come possa essere a sua volta giustificato un siffatto principio d'induzione. Ora, il principio dev'essere una proposizione sintetica e generale; l'assumere che sia una proposizione empirica porterebbe a un regresso all'infinito. Un'altra possibilità è offerta dall'apriorismo, secondo cui il principio sarebbe sintetico a priori; oppure si può troncare dogmaticamente a un certo punto il procedimento di giustificazione, il che contravviene però al metodo della filosofia della giustificazione (questo trilemma è stato analizzato da Popper, 1935 e da Albert, 1968). Data l'impossibilità logica di verificare le ipotesi di legge, i fautori del metodo induttivo di giustificazione hanno mitigato il loro ideale scientifico sostituendo alla certezza un grado elevato di probabilità; ma questa versione ‛probabilistica' del metodo induttivo è esposta - come già aveva visto Hume - alle stesse obiezioni e alle stesse difficoltà logiche del metodo della verificazione. Essendo necessariamente finito il numero delle osservazioni (com'è del resto il caso di ogni attività umana), mentre è infinito il numero delle possibili corroborazioni della legge generale, la probabilità di quest'ultima, conformemente al calcolo delle probabilità, è eguale a zero. In un dominio finito, enumerabile, è invece effettivamente possibile che la verità di una proposizione - certo non ‛generale' - venga progressivamente ‛coperta' attraverso la verità delle ipotesi da essa derivate, che venga cioè completato, sino alla verificazione, il suo degree of inductive support. Ad esempio, la proposizione P: ‛tutte le palline contenute in quest'urna sono rosse' può essere effettivamente ‛coperta' nel caso che l'urna contenga un numero finito (D) di palline e si assuma la verità delle proposizioni ‛la pallina n. 1 è rossa', ‛la pallina n. 2 è rossa', e così via; in questo senso è possibile dimostrare che P è vera nel dominio D. I sostenitori della logica induttiva hanno poi cercato - e cercano tuttora - di generalizzare da un dominio finito a un dominio infinito; sennonché, il contenuto d'informazione di una proposizione universale in senso proprio trascende la quantità complessiva d'informazione di un numero finito di proposizioni singolari.

Com'è noto, l'idea di Hume che l'inferenza ‛amplificativa' non rappresenta un metodo logico valido condusse a una posizione scettica che, a cominciare da Rousseau, aprì le porte all'irrazionalismo, sentito come fallimento della ragione (‛non esiste una verità oggettiva'). Un tentativo di salvare la razionalità fu intrapreso da Kant col suo apriorismo; ma gli esempi di verità sintetiche a priori da lui addotti sono risultati tutti insostenibili, anche prescindendo dalla critica avanzata dall'empirismo logico (v. Radnitzky, Progress and..., 1979, epilogo).

I moderni sostenitori del metodo induttivo mettono fra l'altro in rilievo il fatto che Bacone e Stuart Mill non furono induttivisti puri, ma tennero conto anche della funzione delle occorrenze negative: il metodo da essi raccomandato non era, dunque, semplicemente quello ipotetico-deduttivo positivo, ma includeva anche elementi del metodo ipotetico-deduttivo negativo. Secondo la loro opinione, le osservazioni che forniscono sostegno induttivo a una teoria non fanno altro, nel migliore dei casi, che eliminare una teoria rivale. Un problema che nasce direttamente da questa posizione - il cosiddetto ‛induttivismo per eliminazione' - è quello se il ‛sostegno induttivo' non perda il suo carattere di oggettività a causa della dipendenza dalle teorie rivali esistenti. Un'altra variante del neoinduttivismo è il cosiddetto induttivismo bayesiano: per mezzo della formula di Bayes la probabilità logica di un'ipotesi viene determinata non solo con riferimento alle evidenze (proposizioni osservative) disponibili, ma anche - e in ciò consiste la novità - con riferimento a un sapere di sfondo accettato. Grazie a questa formula, è possibile superare alcune difficoltà del primo induttivismo; si può ad esempio mostrare la decrescente utilità marginale dei test frequentemente ripetuti. Nel complesso, la versione moderna del metodo induttivo consiste nel tentativo di risolvere il problema del come attribuire a una proposizione universale, a un'ipotesi di legge destinata a esprimere una legge naturale, un determinato grado di probabilità logica relativa (con riferimento cioè alle evidenze disponibili ed eventualmente al ‛sapere di sfondo'); tale grado è talvolta designato col nome di ‛grado di conferma' (degree of confirmation). Il problema della relativizzazione del grado di conferma in rapporto al ‛sapere di sfondo' non è stato risolto dagli induttivisti; nella loro polemica contro i seguaci di Popper essi mettono in risalto il fatto che anche questi ultimi, nella valutazione della ‛severità' di un test, si servono del concetto di ‛sapere di sfondo', senza peraltro averlo dilucidato in modo soddisfacente. Va osservato a tale proposito che i popperiani non fanno di questo concetto un uso induttivistico; a ogni modo, il fatto che la metodologia popperiana possa trovarsi di fronte a difficoltà analoghe a quelle dell'induttivismo probabilistico non vale ad accrescere le attrattive di quest'ultimo.

Finora il metodo induttivo è stato considerato esclusivamente in rapporto a un'impostazione filosofica giustificazionistica, ossia in quanto metodo di giustificazione. Peraltro, secondo alcuni teorici della scienza, il metodo induttivo ha una funzione nella ricerca non come metodo di giustificazione, ma come metodo di formazione delle ipotesi. Si è cercato di mostrare che il metodo per arrivare all'‛invenzione' di un'ipotesi di legge parte dalle osservazioni iniziali e raggiunge lo scopo mediante il metodo induttivo (v. Pera, 1978, pp. 128-158). Questo modo di porre il problema sembra tuttavia condurre dalla metodologia alla psicologia della scienza, e in particolare alla ricerca sulla creatività. A proposito della produzione di ipotesi, vorremmo piuttosto richiamare l'attenzione sui limiti del metodo in generale: in effetti questo momento creativo (denominato da alcuni inductive leap) potrebbe anche considerarsi come intuizione. Ora, per l'intuizione non può esservi alcun metodo; essa è affine alla capacità di cogliere il momento opportuno, il kairos degli antichi Greci. I metodi atti a promuovere quest'intuizione potrebbero forse essere delle tecniche psicologiche, ma non certo delle metodologie della ricerca empirica. Non può esservi alcuna ricetta per l'invenzione di teorie fruttuose, il che rientra nella natura delle cose sol che si pensi al carattere innovativo della ricerca; per lo stesso motivo è impossibile che la metodologia fornisca metodi di decisione meccanici per il controllo delle ipotesi. Come ha dimostrato Kant, non può esservi alcuna regola o ‛metametodo' per l'applicazione di regole e metodi. Ciò che decide del successo di una ricerca è evidentemente la sensibilità del ricercatore che, oltre alle conoscenze, alla capacità, alla tenacia e a una metodologia sofisticata, ha ancora bisogno di circostanze favorevoli e magari anche di un colpo di fortuna, com'è dimostrato con dovizia di esempi dalla storia della scienza (v. Grmek, in Cappelletti e Grmek, 1979).

Il grande dibattito sul metodo induttivo come ‛il' metodo scientifico verte fin dal tempo di Hume sul problema della ‛giustificazione' delle ipotesi di legge e delle teorie. Come abbiamo visto, dopo il fallimento del tentativo kantiano la speranza in una soluzione positiva del cosiddetto problema dell'induzione si è conservata solo presso i fautori della logica induttiva o i teorici della conferma. E i tentativi fatti mediante le teorie della conferma non sembravano lasciare altra alternativa che lo scetticismo o, nel campo dell'azione pratica, l'irrazionalismo e il decisionismo. Solo con K. Popper si è avuta nella metodologia una svolta copernicana. Sino a Popper l'impostazione globale del problema era la seguente: com'è possibile, dopo il fallimento teorico di ogni impostazione giustificazionistica della teoria della scienza (ivi compreso il tentativo kantiano), ristabilire la razionalità della scienza? In che modo è possibile mostrare che, per riuscire nella ricerca scientifica, oltre alle circostanze favorevoli occorre, a onta di tutto, anche un metodo scientifico e che - nella misura in cui fra due condizioni necessarie l'una può essere considerata più importante dell'altra - il metodo appare più importante di ogni altra cosa?

Si tratta di un problema la cui importanza trascende la teoria della scienza: se infatti neppure nella scienza - che si suole considerare come esempio paradigmatico di procedimento razionale - domina, almeno nelle grandi linee, la razionalità e risulta indispensabile il procedimento metodico, come si potrà contare sulla razionalità in altri campi, ad esempio in quello dell'azione politica? Popper è il maggior critico della metodologia dell'empirismo logico e del suo metodo di giustificazione basato sulla teoria della conferma; e ciò sia per quanto riguarda le soluzioni proposte, sia soprattutto per quanto riguarda le impostazioni metodologiche, e specialmente la ricerca di una regola di accettazione delle ipotesi nel senso dell'induttivismo probabilistico. Ciò ha portato a una critica dell'ideale scientifico che è alla base dell'empirismo logico. Il nocciolo della soluzione di Popper - nella quale egli trae le conseguenze metodologiche della rivoluzione einsteiniana - consiste nell'abbandonare, in quanto irrealizzabile, l'ideale di un sapere sicuro, della certezza. Il sapere scientifico è in linea di principio fallibile. Il concetto della verità di un'ipotesi come descrizione appropriata e il concetto comparativo, a esso collegato, di vicinanza relativa alla verità (nel senso che una data ipotesi può costituire, rispetto a un'ipotesi rivale, una descrizione più appropriata di determinati aspetti della realtà) vengono mantenuti come principio regolativo.

Questi due concetti vengono però rigorosamente distinti dai metodi di accertamento della verità o della vicinanza relativa alla verità. Il realismo (ivi compreso il realismo epistemologico) viene presupposto: l'esistenza e la struttura del mondo fisico sono indipendenti dall'eventuale conoscenza che l'uomo ne ha, e non sono influenzabili da parte dei processi cognitivi. Il fallibilismo - ossia la tesi che il nostro sapere intorno alla conformazione della realtà empirica è per principio fallibile - si estende anche ai metodi di accertamento della verità o della vicinanza relativa alla verità. Lo scetticismo è giustificato dal fatto che, quand'anche vi fosse un'ipotesi assolutamente vera, non saremmo in grado di decidere o stabilire con certezza che si tratta appunto di un'ipotesi siffatta per mancanza di un metodo d'accertamento in grado di garantire la verità. È possibile associare al fallibilismo il realismo nel senso sopra richiamato mediante il metodo della discussione critica. Se è vero che non può essere giustificato (come la filosofia giustificazionistica sosteneva e tuttora sostiene), il sapere può però essere perfezionato. Talvolta ciò accade, e la storia della scienza offre esempi convincenti delle possibilità di accrescimento e di approfondimento del sapere. Questo accrescimento, questo progresso della conoscenza sono resi possibili dal metodo critico, il cui impiego, se non può certo garantire il successo, è però una delle condizioni della sua possibilità. Non siamo in grado di giustificare le nostre teorie generali, ma possiamo perfezionarle o sostituirle con altre migliori se le sottoponiamo alla critica. La funzione dell'esperienza è qui completamente diversa da quella a essa attribuita dai seguaci della filosofia giustificazionistica dell'empirismo logico, della logica induttiva e della teoria della conferma: l'esperienza non è più un'istanza che giustifica, ma solo un'istanza critica. Il metodo della discussione critica serve a distinguere il procedere ‛razionale' da quello non razionale: un modo di procedere è razionale quando (e solo quando) impiega il metodo critico. Quest'ultimo è essenzialmente un metodo ipotetico-deduttivo ‛negativo'; nella forma più generale, diremo che una proposizione è criticata con successo se e in quanto si riesca a derivarne una conseguenza che appaia ‛inaccettabile'. Una simile concezione della critica è applicabile anche fuori del dominio della teoria della scienza e della ricerca empirica.

Nell'ambito dei modi di procedere razionali si traccia una ‛distinzione' descrittiva tra ‛scienza' e ‛non scienza'. Questa distinzione è un problema di ‛esplicazione': per certi fini (esamineremo tra breve quali essi siano) è opportuno che l'idea intuitiva di scienza sia sostituita da un concetto di scienza che rappresenti uno strumento migliore per il conseguimento dei fini stessi. L'idea intuitiva di scienza, il nostro explicandum, è in parte definito dallo scopo dell'attività scientifica: il progresso della conoscenza. Questo progresso è il fine della ricerca empirica (empirical enquiry) in generale; ricerca scientifica è quella ricerca empirica che può esibire nei suoi procedimenti un minimo di metodo. Poiché il fine della ricerca è il progresso della conoscenza, ossia il perfezionamento, cioè l'accrescimento e l'approfondimento del nostro sapere intorno alla realtà empirica, è necessario che, all'interno della ricerca scientifica, il metodo (o policy) della discussione critica includa come momento essenziale la critica ‛empirica'.

Derivano da ciò due conseguenze: 1) l'esigenza che le teorie siano controllate, sottoposte alla critica empirica, ha senso solo quando le teorie siano falsificabili. Il fatto che la falsificabilità sia un componente dell'explicatum di scienza è dunque un corollario dell'idea che nella ricerca scientifica il metodo critico debba includere come elemento costitutivo la critica empirica; 2) dato che la scienza è vista essenzialmente come attività, come ricerca, i metodi e le strategie sono più importanti delle teorie. Ora, è possibile interpretare la maggior parte delle teorie in modo da renderle falsificabili; ma una teoria falsificabile può sempre essere preservata dalla falsificazione con l'introduzione di ipotesi ad hoc. Ne consegue che un metodo generale (o policy) è scientifico solo quando non vengano introdotte ad hoc ipotesi ausiliarie; oppure - ove una simile introduzione venga esplicitamente dichiarata come una misura temporanea e puramente euristica - solo quando il mantenimento delle ipotesi ausiliarie comporti la perdita del loro carattere ad hoc. Le domande ‟quando è consentito introdurre un'ipotesi ausiliaria ad hoc?" e ‟quando è illegittimo mantenere un'ipotesi addizionale, all'inizio introdotta provvisoriamente come strumento euristico ausiliario?" rappresentano quindi un problema attuale per ogni metodologia. La risposta di Popper può essere così riassunta: 1) l'introduzione di un'ipotesi addizionale ad hoc è illegittima quando avvenga per preservare la teoria dalla falsificazione e quando il prezzo da pagare per questo è una diminuzione del contenuto empirico della teoria, ossia dell'informazione contenuta nell'insieme dei suoi falsificatori potenziali (v. Popper, 1935, È 35). Per questa ragione il metodo scientifico esige che venga indicato in anticipo un falsificatore potenziale, che cioè si dichiari quale tipo di risultato o di osservazione sperimentale sarebbe riconosciuto come falsificazione della teoria. La difficoltà tuttora irrisolta consiste nel definire oggettivamente l'ad hoc: parlare a questo proposito di intenzione del ricercatore significherebbe ricadere nello psicologismo; 2) ma il punto saliente è se un'ipotesi ausiliaria, originariamente introdotta ad hoc come misura euristica (e senza diminuire il contenuto empirico della teoria), possa essere mantenuta anche quando non vi sia ragione di ritenere: a) che sia possibile controllarla indipendentemente dalla teoria, e b) che da tale controllo esca corroborata. Il fatto che una simile ipotesi ausiliaria ad hoc sia falsificabile non è di per sé sufficiente. L'essenza del metodo scientifico - in quanto metodo critico, nel senso di Popper - sta dunque nel ‛divieto di strategie d'immunizzazione'. Il requisito della falsificabilità delle teorie scientifiche non è che un corollario della necessità del metodo della critica empirica. Ma vi è anche un'altra ragione per cui il metodo della discussione critica ha un peso maggiore della falsificabilità. Un'ipotesi che non sia falsificabile appartiene al dominio della non scienza: questa constatazione è descrittiva, non valutativa. Ma se un'ipotesi che avanza pretese di scientificità viene al tempo stesso immunizzata contro la falsificazione, oltre ad essere non scienza è anche pseudoscienza. Ora, si tratta in questo caso di una valutazione negativa, e questa versione della soluzione del problema della demarcazione ha un ruolo importante nel dibattito politico e nella critica dell'ideologia.

La soluzione data dalla metodologia di Popper al problema del metodo scientifico ci esonera dall'obbligo di dichiarare in anticipo, anteriormente alla riflessione sul ‛metodo scientifico', che cosa debba intendersi per scienza. Il metodo della discussione critica, con la critica empirica in esso inclusa, è il segno distintivo della scienza, in quanto rappresenta il nocciolo del ‛metodo scientifico'. Il divieto dell'immunizzazione ha nella ricerca una funzione importante. Il requisito della falsificabilità delle teorie è infatti il presupposto perché il metodo della critica empirica risulti praticabile. Al contrario, la falsificabilità non ha pressoché alcuna funzione per quanto riguarda il confronto tra più teorie, giacché il ricercatore non si trova quasi mai a dover scegliere fra due teorie una delle quali non sia falsificabile, sia cioè priva di contenuto empirico.

L'idea fondamentale del ‛metodo della falsificazione' può essere rappresentata dal semplice schema seguente: dalle premesse ⊢TA→(JP); JP*; ⊢P*→¬P viene derivata la conclusione ¬(TA). In altri termini, dalla teoria T da controllare e dalle ipotesi ausiliarie A si può derivare un'ipotesi empirica controllabile che suona così: ‟Se sono realizzate condizioni iniziali di un certo tipo J, allora ha luogo un dato evento P, un effetto riproducibile (JP)". Posto che, realizzate le condizioni iniziali, dal nostro esperimento risulti che, in presenza delle condizioni J, non ha luogo l'evento P, ma l'evento P*, il quale sia conformato in modo tale da escludere logicamente P, ne consegue che è falsificata la congiunzione delle premesse (TA): almeno una delle premesse dev'essere falsa. La falsità della conclusione viene dunque ricondotta all'insieme delle premesse (v. Radnitzky, Progress and..., 1979, cap. II, È 2.0). Una siffatta inferenza è valida, e questo modo di procedere è un metodo logicamente corretto. La falsificazione è nondimeno, in linea di principio, sempre rivedibile: è questa una conseguenza del fallibilismo. Infatti essa è valida solo finché si riscontri che il risultato sperimentale (JP*) è empiricamente corretto e che nella derivazione (che può consistere in operazioni matematiche) non sono stati commessi errori, della qual cosa non può esservi in linea di principio certezza. Per quanto concerne l'opzione tra il considerare falsificata la teoria oppure le premesse addizionali, le ipotesi ausiliarie, nessuna metodologia può fornire un metodo di decisione meccanico: la decisione dovrà essere presa caso per caso dal ricercatore stesso. Il metodo della discussione critica si limita a stipulare che un'eventuale ipotesi addizionale (tale da non ridurre il contenuto empirico di T) introdotta ad hoc non può essere mantenuta, a meno che non vi siano buone ragioni per ritenere che possa venire corroborata indipendentemente da T (v. Radnitzky, Progress and..., 1979, cap. II, È 2.3).

La contrapposizione tra la metodologia induttivistica, con la sua matrice filosofica giustificazionistica, e la metodologia della discussione critica di Popper costituisce la grande disputa metodologica in atto nell'odierna teoria della scienza. Gli induttivisti ritengono che il compito primario della metodologia sia la ricerca di una ‛regola di accettazione' di un metodo che indichi in quale modo un'ipotesi scientifica possa essere giustificata e quando debba ritenersi giustificata. In questa ricerca la metodologia si serve dello strumento della logica induttiva, che ammette le inferenze amplificative (i cosiddetti amplificatory methods) e cerca di stabilire una misura del grado di conferma della probabilità logica relativa. Dal canto suo, la metodologia della discussione critica, che riconosce come utopico e quindi ricusa l'ideale della certezza, non parte dalla ricerca di una regola di accettazione, ma tenta innanzi tutto di formulare e legittimare un criterio di preferenza che aiuti il ricercatore nel decidere quale di due soluzioni rivali di un problema sia la più feconda, e contribuisca così al progresso della conoscenza. La metodologia critica fornisce una regola di accettazione solo nel senso che nella valutazione epistemica viene provvisoriamente ‛accettata' la teoria che in quel momento - rispetto alle teorie rivali - risulti meglio corroborata e in test più severi. Una simile decisione può essere riveduta e non avanza alcuna pretesa di certezza; all'idea di certezza subentra così l'idea di progresso della conoscenza, di progresso scientifico. Il metodo (policy) della discussione critica viene proposto come strumento per facilitare questo progresso.

A queste due grandi tendenze della metodologia corrispondono non solo ideali diversi della conoscenza e della scienza, ma anche differenti modi di immaginare e descrivere il cammino storico della scienza. L'ideale della scienza proprio degli induttivisti e dei filosofi della giustificazione ha di mira una situazione finale ideale in cui, grazie all'accumulazione dei sostegni d'evidenza, la ‛copertura' delle ipotesi generali sia perfezionata sino a conseguire infine la certezza. A questo ideale corrisponde una concezione della scienza storicamente data secondo la quale la scienza conserva il sapere acquisito e, essendo cumulativa, seppur non consegue una condizione finale di completezza almeno vi si approssima asintoticamente. La scienza viene cioè concepita, in analogia con l'esplorazione della superficie terrestre nel Medioevo, come l'investigazione esaustiva di un dominio sostanzialmente ‛finito'. Quest'immagine descrittiva della scienza è ancora oggi accolta da molti fisici e storici della scienza di chiara fama (v. Radnitzky, The boundaries..., 1978, È 2.21). Alla metodologia della discussione critica corrisponde invece un ideale della scienza per cui il progresso della conoscenza consiste nel fatto che le teorie possono essere perfezionate o sostituite da altre migliori, dotate di maggior potere esplicativo e più approfondite. Da ogni problema risolto nascono nuovi problemi; la misura del progresso, dell'acquisizione di conoscenza, è l'‛approfondimento' dei problemi; la domanda è dunque: di quanto sono più profondi i nuovi problemi che è possibile avanzare e formulare soltanto mediante i concetti e gli assunti di base della nuova teoria? (ibid., È 2.22). È stata specialmente la rivoluzione einsteiniana a mettere in luce che la scienza corrisponde a un processo aperto e non a un processo cumulativo, tendente - come vorrebbe la concezione giustificazionistica - a uno stato finale. A ogni modo, la rispondenza alla realtà storica del progresso scientifico non può essere invocata per giustificare una metodologia prescrittiva: si cadrebbe infatti nella cosiddetta fallacia naturalistica, giacché è logicamente impossibile derivare una conclusione prescrittiva da premesse che sono tutte esclusivamente descrittive.

La metodologia di Popper e dei suoi seguaci è attualmente oggetto di critiche da parte di quegli storici della scienza e di quei metodologi che ritengono ormai la metodologia induttivistica indegna persino d'esser presa in considerazione: gli autori più noti sono Th. S. Kuhn e P. Feyerabend. Essi non si limitano ad attaccare la metodologia di Popper, ma mettono in dubbio la stessa possibilità di una metodologia prescrittiva. Queste autorevoli tendenze dell'epistemologia contemporanea si situano evidentemente nella scia dell'ultimo Wittgenstein (v. Radnitzky, Philosophie..., 1978, ÈÈ 5.2 e 6). Esse sostengono infatti la tesi dell'irrilevanza della metodologia, la quale lascerebbe ogni cosa com'è e, propriamente, non farebbe altro che dilucidare descrittivamente ciò che i ricercatori di successo hanno compiuto o compiono. Non può esistere un metodo scientifico, e quindi neppure una metodologia: i mutamenti nello sviluppo della scienza sono da spiegare con fattori esterni alla sfera di competenza della logica e del metodo sperimentale. Nel suo noto lavoro The structure of scientific revolutions (1962) Kuhn ha messo in dubbio o addirittura negato, valendosi di una serie di esempi tratti dalla storia della scienza, che la falsificabilità sia un contrassegno del sapere scientifico e ‛che il metodo della discussione critica possa essere applicato nella ricerca o possa guidare una ricerca che voglia essere fruttuosa. A suo giudizio, stando al falsificazionismo tutte le teorie dovrebbero essere rigettate, giacché per ogni teoria è possibile addurre fatti noti che la contraddicano: in poche parole, il metodo di falsificazione di Popper sarebbe troppo severo e, implicando l'incessante revisione di tutte le teorie scientifiche, condurrebbe a una strategia o metodo ‛di Penelope'. Il concetto centrale di Kuhn è quello di ‟paradigma", ossia un sistema di assunzioni e di criteri valutativi che guida la produzione di teorie. Ma in quali casi un paradigma sarà scientificamente accettabile? A questa domanda Kuhn non risponde se non richiamando l'attenzione sul fatto che spesso su un dato paradigma vi è un consenso degli scienziati. I criteri degli induttivisti (verificabilità o ‛probabilificabilità'), che erano se non altro criteri oggettivi, vengono abbandonati, e con essi anche i criteri, parimenti oggettivi, della metodologia critica (falsificabilità e corroborabilità); viene invece privilegiato il criterio soggettivistico del consenso. La posizione di Kuhn palesa una netta tendenza al soggettivismo e al relativismo: egli insiste sull'analogia tra il mutamento di paradigma nella scienza e il ‛riorientamento gestaltico' nella percezione, e anche in ciò è innegabile l'influsso dell'ultimo Wittgenstein. Accettare un nuovo paradigma significa vedere il mondo con altri occhi: i metodi e i modi di considerare il mondo non possono essere oggettivamente confrontati tra loro, i paradigmi diventano incommensurabili: non possono più, cioè, essere misurati con uno stesso metro. Viene messo in discussione il concetto stesso di progresso scientifico. Secondo Kuhn si può parlare di progresso solo in riferimento a una successione di teorie sviluppatesi sotto un medesimo paradigma: progresso significherebbe allora un'accresciuta capacità di risolvere un tipo ben definito di problemi. Nel momento stesso in cui afferma l'incommensurabilità delle teorie di una medesima disciplina Kuhn rinunzia a mostrare per via di argomentazione perché possa essere razionale preferire una di queste teorie a un'altra. In breve, il problema della valutazione va completamente perduto proprio nel punto in cui esso è più scottante; la ricerca di metodi di valutazione oggettivi (anche se fallibili) viene abbandonata a favore di un criterio soggettivistico del consenso.

Il critico più interessante della metodologia popperiana è Feyerabend, che combatte anche nel contempo il metodo in generale: Against method, tale è il polemico titolo di un suo libro. Egli acuisce le tesi di Kuhn, difende la concorrenza fra i paradigmi, il pluralismo delle teorie, e riconosce esplicitamente di poter usare il termine ‛progresso' solo nell'oratio obliqua: ‟La parola ‛progresso' va intesa nel senso in cui la intende il fautore di una determinata regola, ossia in modo differente per i vari gruppi sociali e professionali" (v. Feyerabend, 1972, pp. 168 ss.). Per Feyerabend non solo non esiste un metodo per stabilire se una data teoria rappresenta un progresso della conoscenza rispetto a un'altra, ma è impossibile fornire un explicatum adeguato della nostra idea intuitiva di tale progresso. Si tratta di una tesi volutamente provocatoria, e in effetti Feyerabend avverte che ‟il passatempo favorito [dell'epistemologo anarchico] è di confondere i razionalisti inventando ragioni cogenti a sostegno di teorie irragionevoli" (v. Feyerabend, 1975, p. 189). Tuttavia neppure quest'autore, nelle sue arringhe contro la ‛costrizione del metodo', evita del tutto di raccomandare determinati metodi. Ad esempio egli consiglia il metodo della proliferazione delle teorie: la ‛comunità scientifica' dovrebbe lavorare contemporaneamente su vari approcci teorici e potrebbe anche valere la pena sia di far rivivere certe teorie abbandonate, recuperandole dalla storia della scienza, sia ammettere incursioni da altri campi. Il metodo della diversificazione viene raccomandato allo scopo di ripartire i rischi; ma anche questo modo di liberarsi da ogni costrizione metodologica sembra avere senso solo a patto di non escludere la possibilità di un progresso della conoscenza, e, d'altra parte, il metodo della proliferazione delle teorie non può portare al successo - a prescindere da come si definisca quest'ultimo - se non è associato a un metodo di selezione. Quando ci viene consigliato di rinunziare al metodo e alla metodologia, vien fatto di chiedersi che cosa si debba collocare al loro posto. L'approccio di Kuhn non sembra offrire altro che un ritorno al sociologismo e al relativismo storico. Sia in Kuhn che in Feyerabend sono gli studi di casi tratti dalla storia della scienza a rappresentare un'utile sfida alla metodologia di Popper, grazie alle frecciate critiche dirette contro di essa. L'attuale dibattito sulla teoria della scienza, la ‛controversia metodologica' (ivi compresa la lotta condotta da Feyerabend contro la ‛costrizione del metodo') ha un interesse che va molto al di là della stessa teoria della scienza. Se infatti neppure nel campo della ricerca scientifica, paradigmatico di un comportamento razionale nella soluzione dei problemi, è possibile formulare e legittimare (nel senso di addurre buone ragioni) metodi oggettivi - anche se fallibili - di confronto delle prestazioni offerte da soluzioni rivali dei problemi, come ci si può attendere un comportamento metodico nella soluzione di problemi in altri campi, ad esempio in quello dell'azione politica?

I. Lakatos ha cercato di accettare la sfida di Kuhn, evitando però le sue implicazioni relativistiche e anarchiche in modo da salvare la razionalità della scienza. Egli si sforza di concepire in una chiave non sociologistica quelle che ritiene essere le idee di Kuhn; il suo concetto di base è quello di ‛programma di ricerca', in una metodologia che si autodefinisce methodology of scientific research programmes. Il suo problema principale: possono esserci ragioni oggettive (in contrapposizione alle ragioni socio-psicologiche di Kuhn) per rifiutare un dato programma di ricerca? Semplificando, la sua risposta può così riassumersi: un programma di ricerca può essere accettato come ‛progressivo', ossia tale da produrre un progresso della conoscenza, quando porta a nuovi enunciati, quando cioè le sue ipotesi consentono derivazioni, delle quali almeno alcune risultino corrette, vengano corroborate. Un problema che si presenta a Lakatos e ai seguaci della sua metodologia è quello di definire che cosa debba considerarsi come derivazione di un ‛nuovo' sapere. Quale sarà il termine di paragone scelto? Che cosa si dovrà considerare come ‛sfondo'? Tutto il sapere scientifico ‛accettato' in quel dato momento, o l'informazione empirica contenuta nelle premesse addizionali necessarie per la derivazione, o l'informazione che si è dimostrata necessaria per la costruzione della teoria, o la teoria rivale (si tratta infatti essenzialmente di valutare le prestazioni comparative di teorie rivali), o qualcos'altro ancora? Questo problema e altri analoghi occupano oggi i fautori della metodologia di Lakatos, che nelle loro argomentazioni si basano - come Kuhn, Feyerabend e lo stesso Lakatos - sullo studio di casi specifici tratti dalla storia della scienza (v., per es., l'indagine di E. Zahar sulla teoria della relatività speciale).

È dubbio che Lakatos sia riuscito a fornire criteri oggettivi per decidere quando sia razionale accettare un dato programma di ricerca e quando si debba invece rifiutarlo. In effetti, un programma di ricerca che finora sia risultato degenerating, che cioè abbia ‛reso' poco in fatto di accrescimento del sapere, potrebbe improvvisamente rivelarsi fecondo di nuove conoscenze. Feyerabend ritiene che Lakatos non sia in grado di risolvere questo problema e definisce la sua posizione come un anarchismo latente. Dalle ottime prestazioni che un programma di ricerca ha fornito finora non è dato concludere che esso avrà successo anche in futuro: dietro una simile estrapolazione non si cela forse l'assunto induttivistico che il futuro sia simile al passato? Si cadrebbe allora dalla padella dell'anarchismo nella brace dell'induttivismo, che l'approccio di Popper invece evita.

4. Metodi dell'agire pratico

a) Prassi tecnica, tecnica e tecnologia

Intendiamo qui per ‛fini pratici' i fini diversi dal progresso della conoscenza, e per ‛agire pratico' ogni iniziativa in cui il progresso della conoscenza, pur potendo essere uno dei mezzi per conseguire lo scopo, non è il fine generale dell'iniziativa.

Una ‛prassi tecnica' è un insieme di successioni di atti concreti; una ‛tecnica' è un modo di procedere, un metodo per realizzare un dato fine pratico (tipicamente, un modo di procedere fondato su una tecnologia); con ‛tecnologia' si intende qui un sistema di regole. Già nel cap. 2 sono stati esposti i motivi per cui abbiamo preferito l'interpretazione che vede nella tecnologia un sistema di imperativi ipotetici e non una conoscenza di leggi (come avviene ad esempio in Bunge: v., 1977, p. 154). Anche quella delle tecniche è una gamma enorme: dalla tecnica pianistica alle tecniche specifiche di un pittore o di un movimento artistico, dalla tecnica yoga della distensione a quella della navigazione spaziale. Nell'uso linguistico ordinario il vocabolo ‛tecnica' è visto soprattutto in connessione con gli artefatti, con gli hardware, ma anche con processi di produzione e con vari software.

b) Le due dimensioni della giustificazione di una regola tecnologica

Le ‛buone ragioni' che possono essere addotte per far accettare una data raccomandazione tecnologica sono riferibili a due dimensioni: 1) la tecnologia dev'essere efficace; solo se la conoscenza di leggi su cui la tecnologia è fondata consente di fare predizioni che vengono corroborate, l'osservanza della corrispondente raccomandazione tecnologica può aiutarci a realizzare lo scopo voluto; 2) il fine generale della tecnologia dev'essere espressamente ‛voluto', e devono anche essere accettati i costi di ogni genere che l'impiego degli strumenti necessari, del metodo, porta con sé. ‛Se' queste due condizioni sono soddisfatte, dobbiamo attenerci alle prescrizioni della tecnologia, altrimenti agiremmo in modo irrazionale; in questo senso viene qui affermato che le regole tecnologiche hanno la forma di imperativi ‛ipotetici'. Per quanto riguarda il primo punto, la critica circa l'attendibilità del sapere su cui la tecnologia è fondata appartiene al campo della metodologia, della ricerca scientifica. La valutazione dei fini e dei costi è invece un problema assiologico o etico, che naturalmente esula dall'ambito della tecnologia stessa.

c) Descrizione tipologica delle tecnologie

In relazione alle due dimensioni suddette, sono possibili due diverse descrizioni tipologiche delle tecnologie specifiche. In primo luogo, i ‛tipi di tecnologia' possono essere distinti secondo la natura del presunto sapere sul quale si fondano. La gamma si estende in questo caso dalla magia alle tecnologie artigianali e alle cosiddette tecnologie scientifiche: la prima è una tecnologia fondata sul mito, cioè su una teoria circa il comportamento degli dei nei riguardi degli uomini, e governa una prassi rituale (ad esempio, una danza della pioggia); le tecnologie artigianali sono fondate su di un sapere di ‛senso comune' o su correlazioni osservative e governano una prassi artigiana; le tecnologie a base scientifica si fondano su una conoscenza di leggi, spiegabile a sua volta mediante teorie. La terminologia proposta non implica che i modelli esplicativi menzionati siano adeguati, ma solo che le presunte spiegazioni - siano o no corrette - sono usuali, e che ad esse si fa appello nell'applicare una tecnologia: in questo senso si avanza la pretesa di ‛fondarsi sul sapere scientifico'.

Per evidenziare la distinzione tra la magia da un lato e le tecnologie artigianali e scientifiche dall'altro, possiamo ricorrere al criterio di demarcazione introdotto nel cap. 3, È c. Sebbene l'efficacia delle azioni rituali dirette a propiziare la pioggia possa essere controllata empiricamente, le teorie mitiche che sono alla base dell'asserita connessione tra rituale e pioggia non hanno carattere empirico: il non avverarsi della predizione non conduce infatti a rifiutare il mito, bensì a preservarlo dalla falsificazione mediante ipotesi addizionali e spiegazioni ad hoc, conduce cioè, in breve, a metodi d'immunizzazione.

Più difficile è chiarire la distinzione tra tecnologie artigianali e tecnologie a base scientifica. I metodi usati per valutare il sapere presunto e le ipotesi di legge su cui si fondano le raccomandazioni tecnologiche sono gli stessi in entrambi i casi. L'artigiano che applica nelle varie situazioni una conoscenza di leggi presunta controlla questo sapere in un modo che non differisce da quello usato nel contesto della ricerca scientifica se non per il maggior grado di metodicità, rigore e precisione di quest'ultima. Talvolta anche i risultati dell'applicazione tecnologica possono dar luogo al controllo di pretese conoscitive. Il concetto di scienza precisato mediante il criterio di demarcazione introdotto nel cap. 3, È c ha carattere descrittivo; secondo tale criterio, ad esempio, la teoria di Lysenko è scientifica (in quanto è falsificabile), nonostante che sia falsa. Una tecnologia agricola fondata su un'ipotesi di legge spiegabile con la teoria di Lysenko va quindi considerata come una ‛tecnologia a base scientifica': il fatto che una simile tecnologia non possa essere efficace, perché il sapere su cui è fondata è falso, non cambia le cose. La distinzione fra tecnologia artigianale e tecnologia a base scientifica dipende esclusivamente dalla circostanza che la conoscenza di leggi alla quale ci si appella possa essere ‛spiegata', possa cioè esser derivata da un'ipotesi di legge o da una teoria dotate di maggiore generalità. In effetti, solo quando ciò avvenga è possibile spiegare, per mezzo di tale teoria, anche perché, in determinati campi d'applicazione, l'ipotesi di legge non sia valida (ogni ipotesi di legge ha infatti un campo di validità e d'applicazione limitato). Con l'aiuto dello schema usato nel cap. 3, È c a proposito del metodo della falsificazione, la questione può essere così riassunta: la teoria T, congiunta con le ipotesi ausiliarie A, implica logicamente che se sono realizzate le condizioni iniziali del tipo J abbia luogo un evento del tipo P. Ora, nel caso di una,tecnologia artigianale o comunque di una tecnologia fondata su una correlazione osservativa, il sapere riguarda il supposto nesso ‟se J, allora P"; non è però possibile spiegare perché le cose vadano così, e quindi neppure essere sicuri che si tratti di una legge causale e non di una correlazione dovuta eventualmente a un terzo fattore. Un esempio tipico di tecnologia artigianale potrebbe essere il sistema Bessemer per la produzione dell'acciaio. Lo stesso Bessemer rilevò di aver trovato la supposta conoscenza di leggi per puro caso: le sue conoscenze ‟si limitavano a ciò che un tecnico non può fare a meno di osservare in una fonderia o in una fucina". Se non si è in grado di spiegare la proposizione ‛se-allora', non si conosce neppure il suo campo d'applicazione, e ci si può dunque trovare all'improvviso di fronte a casi in cui la tecnologia in questione non funziona. Fu appunto ciò che accadde a Bessemer: secondo quanto egli stesso racconta, si trattò per lui di un fulmine a ciel sereno (‟as a bolt from the blue"). Solo quando fu disponibile una teoria capace di spiegare la supposta ipotesi di legge su cui la tecnologia in questione si basava, fu anche possibile spiegare perché il procedimento Bessemer non funziona con minerali ferrosi contenenti fosforo. Nacque allora, col procedimento Thomas, una tecnologia fondata sulla scienza: divennero infatti disponibili - per ricorrere al nostro schema - la teoria T e le ipotesi ausiliarie A da cui derivare l'ipotesi di legge. Contrariamente a un'opinione largamente diffusa, occorre affermare che solo nel XX secolo si può parlare propriamente di tecnologie a base scientifica; a cavallo tra i due secoli l'empirical engineering aveva ancora nell'industria un'importanza di gran lunga maggiore che non le innovazioni tecnologiche basate su scoperte scientifiche. La differenza tra tecnologie a base scientifica e tecnologie artigianali può essere chiarita nel modo migliore quando si consideri il loro contesto d'origine, il context of discovery. Tipicamente, in una tecnologia scientifica troviamo la successione seguente: si parte da un problema pratico urgente e da una teoria scientifica pertinente; segue una fase ideativa in cui si cerca di elaborare, con l'ausilio ditale teoria, una tecnologia. L'esempio classico è lo sviluppo della tecnologia nucleare a partire dalla teoria atomica non appena ci si rese conto che la teoria implicava la possibilità di liberare grandi quantità di energia.

Nel caso delle tecnologie artigianali le cose stanno diversamente, come già si è visto a proposito del procedimento Bessemer: a partire dall'esperienza quotidiana o professionale, si ipotizza una concomitanza di due fattori e si cerca quindi, fidando per così dire nella buona ventura, di tradurre quest'esperienza in una prassi tecnica.

L'altra dimensione della descrizione tipologica delle tecnologie è quella della classificazione secondo ‛scopi' o ‛valori'. Così denominiamo ‛medica' una tecnologia perché i suoi fini generali riguardano valori connessi con la vita o la salute e non valori conoscitivi, o edonistici, etici, estetici, religiosi, economici, ecc. Naturalmente le due tipologie possono intersecarsi. Ad esempio, dopo aver distinto le tecnologie - in base al loro fine o valore di base - in tecnologie mediche e non mediche, è possibile distinguere le prime in base alla natura del loro oggetto d'azione (medicina umana e medicina veterinaria); le tecnologie della medicina umana possono suddividersi secondo la disciplina da cui deriva la loro conoscenza dileggi (tecnologie somatiche, psicologiche, psicosomatiche, ecc.); un'ulteriore suddivisione può riguardare la teoria di cui, nell'ambito di una disciplina, si avvale una determinata tecnologia: ad es. le tecnologie medico-psicologiche - comunemente dette psicoterapie - possono distinguersi in terapie orientate in senso psicanalitico o in senso non psicanalitico (come le terapie del comportamento); le prime possono ancora suddividersi in quelle freudiane (cosiddette ‛ortodosse') e quelle che si rifanno a diverse altre teorie di psicologia del profondo; e così di seguito.

Il concetto di tecnologia qui introdotto è un concetto assai ampio e non è nettamente distinto da quello di technical art o technological art. Ovviamente sono incluse in esso le cosiddette ‛tecniche sociali', ad esempio i vari generi di metodi decisionali: il mercato in quanto strumento di decisioni, la democrazia concorrenziale con il suo metodo di elezioni democratiche, la contrattazione (bargaining) come metodo di identificazione delle decisioni (per es. nei rapporti internazionali), i metodi decisionali gerarchico-burocratici fondati su catene di comandi (come nella sfera militare). La disciplina competente ad analizzare i vantaggi e gli svantaggi dei vari metodi decisionali è l'economia politica (cfr. ad es. P. Bernholz). Anche il dibattito sul capitalismo può essere concepito, in un contesto tecnologico, come una specie di ‛controversia metodologica': al metodo ‛capitalistico' di utilizzazione del capitale - fondato principalmente sulle decisioni decentrate del mercato - se ne contrappone un altro fondato sulla pianificazione economica.

Le classificazioni tipologiche ora esaminate riguardano le tecnologie specifiche. Una posizione particolare assume il gruppo delle tecnologie formali, a cui abbiamo accennato nel cap. 2, È a quando abbiamo considerato l'agire metodico come un sistema di progettazione costituito essenzialmente da un processo di regolazione. Queste tecnologie, che si è soliti comprendere sotto il nome di ‛tecnologie cibernetiche', hanno una collocazione intermedia tra la prasseologia e le tecnologie specifiche. Concetti chiave delle tecnologie cibernetiche sono il control (ossia il comando e la regolazione, entrambi familiari sia ai tecnici che ai biologi) e la trasmissione ed elaborazione delle informazioni.

Gli approcci cibernetici e le tecnologie che ad essi fanno capo possono essere applicati a oggetti d'azione del tipo più svariato, dagli artefatti della tecnica agli organismi biologici: nasce così, ad esempio, il campo interdisciplinare dell'engineering bionics. La fecondità del metodo cibernetico sta nel consentire l'applicazione delle conoscenze acquisite nel campo biologico agli artefatti e, viceversa, di trasferire alla natura vivente le conoscenze acquisite con gli hardware instruments creati dall'uomo. Un importante metodo ausiliario consiste nell'impiego di modelli, che possono essere linguistici (come ad es. il modello del processo di regolazione usato per concettualizzare le azioni, cap. 2, È a), oppure grafici o formali (questi ultimi sono particolarmente importanti per il metodo della simulazione).

d) Limiti delle tecnologie specifiche e della tecnica in generale

Il metodo scientifico ha evidentemente dei limiti. Se la ricerca scientifica è un processo che per principio non ammette uno stato finale, un processo che non ha un inizio e una fine determinati, al metodo scientifico sono posti confini (excluding boundaries) oltre i quali ci sono campi, come ad esempio la religione, l'arte, la riflessione filosofica, ecc., nei quali non ha alcuna competenza. Anche nell'agire pratico, nella vita activa, l'acquisizione di valori e le decisioni sui fini ‛ultimi', sugli stili di vita, sono per principio estranee alla sfera di competenza delle tecnologie. Nel campo dell'agire pratico la tradizione filosofica distingue quindi l'agire tecnico o pragmatico dall'agire etico, l'accortezza (che adopera anche gli uomini per realizzare i propri scopi e interessi) dalla morale (che considera sempre l'uomo come fine a se stesso), l'agire razionale secondo lo scopo dall'agire secondo saggezza.

Poiché la scienza è un processo senza uno stato finale determinato, anche le ‛tecnologie a base scientifica' presenteranno tale caratteristica. Tuttavia è la scienza stessa a porre certi limiti alle tecnologie: ad esempio dalla teoria matematica (dal teorema di Gödel) consegue che la costruzione di una macchina di Turing capace di calcolare qualsiasi funzione è logicamente impossibile. Da teorie scientifiche consegue l'impossibilità empirica di alcune realizzazioni tecniche; si tratta tuttavia di un pronostico che ha la medesima attendibilità delle corrispondenti teorie e che è, in linea di principio, fallibile come ogni sapere scientifico. Nell'ambito della possibilità empirica si pone il problema di quali tipi di tecnologia siano effettivamente attuabili. Ma per poter fare asserzioni in proposito sono necessarie predizioni altamente aleatorie: 1) predizioni circa il genere di risultati scientifici che appaiono possibili in riferimento a un dato orizzonte progettuale (spesso su questo punto sono possibili soltanto congetture, anche per quanto riguarda la ricerca applicativa); 2) predizioni circa le possibilità di valorizzazione tecnologica dei suddetti risultati scientifici (il technological forecasting comprende entrambi questi momenti, e in particolare il secondo); 3) predizioni circa le possibili conseguenze sociali di determinati impieghi delle tecnologie nate dalla ricerca applicativa; 4) valutazione delle conseguenze sociali (quest'ultimo compito è evidentemente di natura tutt'altro che predittiva).

Anche quando sia possibile procurarsi il sapere occorrente, si pone il problema se l'investimento di risorse materiali e intellettuali necessario per una ricerca di base suscettibile di sviluppi applicativi nonché per la relativa ricerca applicativa sia attuabile da un punto di vista economico. Si pone inoltre il problema della ‛razionalità secondo lo scopo' dell'applicazione di una data tecnologia in un dato momento: a questo proposito vanno anzitutto comparate le analisi costi/benefici dei procedimenti tecnologici rivali. Si tratta però di limitazioni che riguardano non tanto le tecnologie quanto le loro ‛applicazioni'.

L'assunto che la tecnologia ‛come tale' sia soggetta solo alle limitazioni costituite dalla possibilità o impossibilità empirica è fondato sul presupposto errato che la natura abbia un'illimitata capacità di neutralizzare tutti gli effetti secondari negativi dell'applicazione delle tecnologie specifiche. A parte la falsità di tale assunto, una posizione di ‛totale libertà di fare' non è giustificata neppure sul piano dei fini e dei valori: non esiste infatti un fine collettivo dell'umanità, riguardo al quale tutti gli altri effetti possano essere classificati come ‛secondari'. D'altra parte, un atteggiamento ostile alla tecnologia è non solo inattuale, ma anche irragionevole, in quanto già da lungo tempo l'umanità non ha possibilità di scelta in questo campo. Per la stessa ragione il cosiddetto antiscience movement rappresenta, nel migliore dei casi, un regresso romantico o piuttosto - tenuto conto della stretta interpenetrazione fra tecnologia e scienza nel XX secolo - un atteggiamento parassitario. Mai come oggi i metodi di ogni specie sono stati così altamente sviluppati e al tempo stesso così necessari. Tuttavia, all'euforica fede nella scienza, alla fiducia scientistica nell'onnipotenza del metodo scientifico e (per quanto riguarda i problemi pratici) nel potenziale di una tecnologia a base scientifica, ha fatto seguito a giusta ragione un disincanto, alla cui luce certi limiti e confini naturali possono tornare a essere universalmente riconosciuti. Come già abbiamo indicato, anche nel campo della ricerca scientifica il metodo e la metodologia non sono tutto: nella storia della scienza possiamo facilmente rintracciare chiari esempi del fatto che il successo o il fallimento non dipendono solo dalla techne - come i Greci chiamavano il sapere e il saper fare, l'ideazione ingegnosa - ma anche dalla tyche, da un potere esterno sul quale non abbiamo alcuna possibilità d'influire.

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