CURTIZ, Michael

Enciclopedia del Cinema (2003)

Curtiz, Michael (forma anglicizzata di Kertész, Mihály)

Lorenzo Esposito

Regista cinematografico ungherese, di famiglia ebrea, naturalizzato statunitense, nato a Budapest il 24 dicembre 1888 e morto a Hollywood il 10 aprile 1962. Nell'ambito del gruppo di registi mitteleuropei emigrati negli Stati Uniti a partire dagli anni Venti del Novecento (tra i quali, Erich von Stroheim, Ernst Lubitsch, Billy Wilder, William Wyler, Otto Preminger, Max Ophuls, Robert Siodmak) C. è forse stata la figura più sottovalutata. Il suo legame con la Warner Bros. e la leggendaria rapidità realizzativa ne hanno spesso fatto scambiare l'istintiva carica sperimentale per semplice abilità esecutiva di sceneggiature più o meno riuscite. Al contrario, la produzione di C. risulta espressione emblematica della sintesi tra temi di grande fascino per il pubblico e uno stile teso alla sperimentazione di tecniche, forme e ritmi, che caratterizza da sempre il cinema hollywoodiano. Negli oltre cento film girati negli Stati Uniti (con un unico premio Oscar ottenuto nel 1943 per Casablanca, 1942) C. infatti scopre, utilizza e cataloga tutti gli archetipi del racconto cinematografico, dal sistema dei generi alla costruzione del mito di alcune star, molte delle quali iniziarono la loro carriera proprio sotto la sua direzione.

Dopo aver compiuto gli studi all'Università Markoszy e all'Accademia di studi teatrali di Budapest, svolse per un breve periodo la carriera di attore. Poi, attratto dal cinema, si trasferì nel 1912 a Copenaghen per studiare regia presso i Nordisk Studios. La sua formazione cinematografica fu quindi tutta europea così come i suoi primi film. Fra il 1912 (con l'interruzione dovuta alla guerra, durante la quale fu operatore d'attualità per l'esercito austriaco) e il 1926 (anno del suo trasferimento negli Stati Uniti), viaggiando tra Ungheria, Danimarca, Austria e Germania, girò oltre sessanta film, fra opere di pochi rulli e i primi lungometraggi. Di questi, di volta in volta firmati come Mihály Kertész o Michael Kertész, non si conosce molto, se non che almeno i più importanti, da Sodom und Gomorrah (1922) a Samson und Dalila (1924), da Labyrinth des Grauens (1921) a Fiaker Nr. 13 (1926), contribuirono alla creazione di uno stile chiaroscurale, riconducibile alle forme dell'Espressionismo cinematografico, che si sarebbe rivelato uno dei segni fondanti della sua successiva produzione statunitense. Di ombre e di oscuri moti interiori è composta infatti tutta la vastissima produzione hollywoodiana: i tesi e cupi 20.000 years in Sing Sing (1933; 20.000 anni a Sing Sing) e Angels with dirty faces (1938; Gli angeli con la faccia sporca), i corpi deformi degli horror The mystery of the Wax Museum (1933; La maschera di cera) e The walking dead (1936; L'ombra che cammina, con Boris Karloff), le gesta avventurose e solitarie dell'Errol Flynn protagonista dei film di cappa e spada Captain Blood (1935; Capitan Blood) e The adventures of Robin Hood (1938; La leggenda di Robin Hood), codiretto con William Keighley, i crudeli e visionari The sea wolf (1941; Il lupo dei mari) e The breaking point (1950; Golfo del Messico), entrambi segnati dal corpo esausto di John Garfield, o infine i foschi e notturni melodrammi The private lives of Elizabeth and Essex (1939; Il conte di Essex), con la coppia Bette Davis-Errol Flynn, Mildred Pierce (1945; Il romanzo di Mildred), film che fece vincere all'attrice protagonista Joan Crawford l'unico premio Oscar della sua carriera, e Young man with a horn (1950; Chimere) interpretato dalla coppia Kirk Douglas-Lauren Bacall.

Queste modalità figurative sono rese da C. con uno stile secco, ellittico e rigoroso, che inoltre si libera in una ritmica dinamicità dei movimenti di macchina. Si creano così traiettorie inusuali che sostanziano lo sviluppo drammatico di storie violente come il gangster film Kid Galahad (1937; L'uomo di bronzo), di melodrammi quale Four daughters (1938; Quattro figlie), di fughe avventurose come The charge of the light brigade (1936; La carica dei 600). In particolare quest'ultima opera sintetizza, nella celebre corsa finale, la propensione di C. a mescolare i generi (melodramma avventuroso ed esotico di ambientazione militare che d'improvviso vira verso il western), dispiegata mediante la forza espressiva di un montaggio sfrenato, tutto giocato sullo stratificarsi di dettagli e di incalzanti campi e controcampi. In questo modo il movimento visivo recupera il paesaggio circostante ricostruendolo come forza mentale, avvolgente e ritmica. È il segreto del cinema di C.: sfruttare le regole e i codici del sistema proprio per tradirli puntualmente e continuamente reinvertarli. In Casablanca (vincitore degli Oscar anche per il migliore film e per la sceneggiatura), lavoro in cui le atmosfere noir si mescolano alla struggente storia d'amore, risulta particolarmente evidente l'intrinseca dialettica tra le modalità di produzione di un'opera cinematografica, legata a precisi condizionamenti economico-industriali, e le logiche di comunicazione dell'immaginario collettivo, esplicitate dalla figuratività delle immagini e filtrate attraverso le regole narrative che le governano. Tutto il cinema di C. sembra impegnato a dimostrare esattamente questo. Se nella Hollywood classica, produzione, distribuzione, esercizio, star system e sistema dei generi vengono concepiti come strumento di differenziazione dei prodotti ed espediente per la razionalizzazione del processo produttivo, di fatto non ha più importanza quali tipi di opere si dirigono. Si può infatti trattare di commedie scatenate come Jimmy the gent (1934; Jimmy il gentiluomo), Front page woman (1935; Miss prima pagina) e Romance on the high seas (1948; Amore sotto coperta), di western avventurosi quali Dodge city (1939; Gli avventurieri) e Virginia city (1940; Carovana d'eroi), di musical, tra cui White Christmas (1954; Bianco Natale, film famoso per essere stato il primo in Vistavision) e The best things in life are free (1956; La felicità non si compra), oppure ancora di film storici, per es. The Egyptian (1954; Sinuhe l'egiziano), e di noir quali The scarlet hour (1956; L'ora scarlatta). Essenziali risultano invece le forme e i modi della scrittura filmica, a tal punto che proprio in essi si identifica la cifra espressiva di C., al di là del trascorrere da un genere all'altro, dell'abilità tecnica e della rapidità di realizzazione.

Bibliografia

S. Rosenzweig, Casablanca and other major films of Michael Curtiz, Ann Arbor (MI) 1982.

R. Kinnard, R.J. Vitone, The American films of Michael Curtiz, Metuchen (NJ) 1986.

J.C. Robertson, The Casablanca man: the cinema of Michael Curtiz, New York 1995.

R. Noizet, Tous les chemins mènent à Hollywood: Michael Curtiz, Paris 1997.

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