GORBACEV, Michail Sergeevic

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

GORBAČËV, Michail Sergeevič

Adriano Guerra

Uomo politico sovietico, nato a Privol'noe (distretto di Krasnogvardejsk, regione di Stavropol') il 2 marzo 1931 da una famiglia contadina. Conseguita nel 1955 la laurea in giurisprudenza a Mosca, dopo una prima esperienza di direzione politica svolta a Stavropol' (dapprima alla testa delle organizzazioni cittadina e regionale del Komsomol e poi del partito) venne eletto nel 1971 membro del Comitato centrale del PCUS. Con l'incarico di sovraintendere ai problemi dell'agricoltura entrò nel 1978 nella Segreteria. Nel 1979 fu eletto membro candidato e l'anno seguente membro effettivo dell'Ufficio politico. Nel periodo successivo alla morte di L. Brežnev (11 novembre 1982), durante la gestione di Ju. V. Andropov e poi di K. U. Černenko, mentre, anche per l'aggravarsi della crisi economica e politica, mutavano gli equilibri interni al gruppo dirigente, G. acquistava un ruolo sempre più importante. Alla morte di Černenko (10 marzo 1985) venne eletto, su proposta di A. A. Gromyko, segretario generale del partito. A partire dal 27° Congresso del PCUS (febbraio-marzo 1986) avviava il ''nuovo corso''.

Alla base della nuova linea, insieme alla critica del passato riguardo sia alle scelte staliniane sia alla politica di ''stagnazione'' di Brežnev, è possibile individuare: la glasnost' ("trasparenza"), e cioè la democratizzazione dei rapporti fra il potere e la società, la perestrojka ("ristrutturazione"), e cioè la ''riforma radicale'' dell'economia e al di là di essa dei meccanismi di direzione della società, la novoe myšlenie ("nuova mentalità"), e cioè il superamento di una visione ancora prenucleare della sicurezza e della politica estera, ancorata cioè, per quel che riguarda la questione della pace e della guerra, ai principi vigenti nel periodo in cui le grandi potenze non disponevano di armi nucleari. Sotto la direzione di G. e superando via via le resistenze all'interno del gruppo dirigente (con l'allontanamento di G. V. Romanov, N. A. Tichonov, V. V. Grišin e l'emarginazione dei ''brežneviani'') il volto dell'URSS, grazie soprattutto all'avvio del processo di democratizzazione e ai risultati conseguiti (col riconoscimento, sia pure soltanto parziale, della libertà di stampa e di associazione, la riabilitazione di N. I. Bucharin e di numerose altre vittime dello stalinismo, la nuova legge elettorale che seppure entro i limiti del cosiddetto ''monopartitismo pluralistico'' ha sancito il diritto dell'opposizione di manifestarsi nel paese e nel Parlamento), mutò rapidamente. La gravità della situazione economica solo marginalmente toccata dalla perestrojka, il continuo peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, il venire alla luce in modo tumultuoso e spesso anche sanguinoso di varie ''questioni nazionali'' (nelle Repubbliche baltiche e in quelle del Caucaso e dell'Asia centrale), l'acuirsi delle resistenze dei gruppi burocratici, crearono ben presto non poche difficoltà a Gorbačëv. All'interno del partito, benché alla 19ª Conferenza pansovietica del PCUS (giugno-luglio 1988) i ''rinnovatori'' fossero riusciti a far accettare un progetto di riforma del sistema politico che prevedeva il ridimensionamento del ruolo del partito stesso, G. − che il nuovo Parlamento (il Congresso dei deputati del popolo) elesse suo presidente (maggio 1989), collocandolo così anche formalmente alla testa dello stato − ha dovuto subire i condizionamenti provenienti dai gruppi che, richiamandosi a E. K. Ligačëv, interpretavano gli interessi dei settori burocratici. Con queste forze G. è stato costretto ad accettare su vari punti − riguardanti per es. lo spazio da concedere all'economia mista e a quella privata, il sistema dei prezzi, la legge elettorale e quella sulle manifestazioni di strada − soluzioni di compromesso. In varie occasioni ne sono derivate fratture fra G. e gli uomini (B. El'zin, ancora membro del PCUS, ma anche A. D. Sacharov, liberato dall'esilio di Gor'kij nel dicembre 1986 ed eletto deputato del Soviet supremo nel maggio 1989) e i vari gruppi schierati su posizioni radicali.

Più concreti e significativi sono stati i risultati conseguiti da G. nella politica estera. Proclamandosi (discorso all'ONU del 7 dicembre 1988) sostenitore della necessità di dar vita a un nuovo ordine internazionale passando dall'era del confronto, incompatibile con la presenza della minaccia atomica, a quella della cooperazione, così da trovare soluzioni globali ai problemi della nostra epoca, G. ha legato il suo nome agli accordi, unanimemente definiti di portata storica, sottoscritti con R. Reagan per la riduzione degli arsenali nucleari, al ritiro delle truppe dall'Afghānistān, all'abbandono della politica della presenza nel Corno d'Africa e nell'Africa australe, all'accordo con la Cina, alla ricerca di soluzioni politiche per la crisi cambogiana. Riguardo all'Europa, attraverso accordi di cooperazione con i paesi della CEE e il sostegno, nei paesi del Patto di Varsavia, alle forze impegnate nella politica delle riforme, G. ha avviato una complessa iniziativa politico-diplomatica per pervenire a forme d'integrazione sempre più ampie tra i due campi (la cosiddetta "casa comune europea").

Questa linea, che alla fine del 1989 ha dovuto misurarsi con il rapido crollo dei regimi dell'Europa centrale e orientale, e cioè con la liquidazione delle strutture stesse del sistema di alleanze dell'URSS, è stata portata avanti da G. con grande impegno personale.

A conclusione di una serie di accordi bilaterali (particolarmente significativi quelli con la Germania federale, caratterizzati dalla presa d'atto dell'inevitabilità dell'unificazione tedesca, con la Francia, la Gran Bretagna e l'Italia) e del vertice G.-Bush di Malta (23 dicembre 1989) si è potuti giungere alla Conferenza straordinaria dei capi di stato e di governo conclusa con la firma della ''Carta di Parigi per una nuova Europa'' (19-21 novembre 1990), che ha sancito la fine della guerra fredda nel continente.

Nel dicembre 1989, a conclusione del viaggio in Italia, G. ha avuto anche un incontro con papa Giovanni Paolo ii, che ha portato alla normalizzazione delle relazioni tra l'URSS e il Vaticano.

I successi in politica estera e, per contro, il progressivo arenarsi della politica delle riforme all'interno hanno fatto sì che l'influenza e il prestigio di G. aumentassero nel mondo (nell'ottobre 1990 gli è stato conferito il premio Nobel per la pace) nello stesso momento in cui diminuivano nel paese.

L'aggravarsi della situazione economica interna e l'emergere delle spinte nazionalistiche hanno permesso poi alle forze conservatrici, seppure colpite nel partito (con l'emarginazione di Ligačëv e l'estromissione di numerosi quadri dal Comitato centrale) e nel Parlamento (con le elezioni per il primo Congresso dei deputati del popolo il 25 maggio 1989), d'incominciare a raccogliere consensi anche considerevoli nelle aree del malcontento popolare.

Contemporaneamente all'espandersi nelle Repubbliche baltiche, nella Georgia (ove il 9 aprile 1989 l'intervento dei reparti speciali contro grandi masse di manifestanti si concluse con un eccidio), nell'Armenia e nell'Azerbaijan (per il controllo del territorio conteso del Nagorno-Karaback) delle spinte nazionalistiche e degli scontri interetnici, G. dovette affrontare forti tensioni sociali (del luglio-agosto sono i primi grandi scioperi dei minatori del Donbass).

A testimoniare del calo dell'autorità e del prestigio di G. (e del potere centrale) vennero poi i risultati delle elezioni nella Repubblica russa, in Ucraina, nella Bielorussia e via via nelle varie Repubbliche, che sancirono la vittoria dei candidati dell'opposizione radicale e dei Fronti nazionali (e in particolare il successo di B. El'zin, eletto alla presidenza della Repubblica russa e divenuto il massimo esponente dell'opposizione radicale). Contemporaneamente all'interno del PCUS si aprì una fase di contrasti e di rotture che portarono a un massiccio calo degli iscritti, al formarsi di partiti comunisti repubblicani sempre più autonomi rispetto al centro e al sorgere della corrente ''Piattaforma democratica'' uscita dal partito dopo il 28° Congresso del PCUS (luglio 1990).

Per reagire alle pressioni sempre più forti provenienti dai conservatori e dai radicali, ma anche, e soprattutto, dai movimenti nazionalistici, G. assunse una posizione sempre più centrista e puntò da una parte ad abolire il ruolo guida del PCUS (Congresso dei Deputati del popolo, 12-15 marzo 1990) e dall'altra ad avviare una riforma del sistema politico così da dare nuova forza e autorità al potere centrale con il rafforzamento dell'istituto del Presidente.

Al Congresso dei Deputati del popolo del marzo 1990, previa modifica della Costituzione, G. venne così eletto presidente dell'URSS per un periodo di 5 anni, mentre al successivo 28° Congresso del PCUS veniva riconfermato nella carica di Segretario generale del partito. Poco dopo, per far fronte alla minaccia di collasso economico e alle spinte disgregatrici sempre più forti che minacciavano lo stato unitario, G. chiese e ottenne poteri speciali.

Nonostante disponesse di poteri tanto accresciuti, G. non fu però in grado di riprendere l'iniziativa riformatrice. Favorita da una serie di rotture intervenute all'interno dello stesso gruppo più ristretto dei ''gorbačëviani'' (nel 1990 vennero allontanati o si allontanarono dal loro incarico, delusi per l'arresto intervenuto nella politica della perestrojka, alcuni di coloro − A. Jakovlev, V. Bakatin e infine E. Shevardnadze − che maggiormente erano stati vicini a G. nella prima fase del nuovo corso), prese il via anzi una ancor più marcata offensiva dei conservatori. A poco a poco essi poterono così non solo riprendere di fatto il controllo dei vari punti chiave (il governo, il ministero degli Interni, la polizia politica e soprattutto il partito) ma condizionare sempre più pesantemente lo stesso Gorbačëv. I temi sui quali maggiormente si mossero gli esponenti dell'ala conservatrice del PCUS, trovando consensi considerevoli nelle strutture burocratiche del ''complesso militare industriale'' e presso vari gruppi degli alti gradi dell'Armata rossa e della polizia politica, furono quelli della salvaguardia dell'integrità territoriale del paese (messa in discussione dalle Repubbliche − Lituania, Lettonia, Estonia, Georgia, Moldavia, Armenia − che avevano intanto proclamato la loro indipendenza) e della presenza di spinte e di conflitti interetnici, spesso sanguinosi, anche in altre Repubbliche. Ne nacque una situazione che creò un crescente allarme anche al di fuori dell'URSS per le conseguenze che l'aggravarsi della crisi avrebbe potuto determinare anche a livello internazionale.

Mentre si aggravava al centro il vuoto di potere, la prospettiva di una dittatura militare o, in ogni caso, di un ''governo forte'' − con o senza G. − per far fronte al pericolo di smembramento del paese, pareva prendere intanto concretamente piede. D'altronde anche di fronte alle varie ''questioni nazionali'' aperte nel paese e alle soluzioni da dare al problema della crisi dello stato unitario, ''gorbačëviani'', ''democratici'' e ''radicali'' si presentavano divisi. Lo scontro fra G. ed El'zin (che come presidente della Repubblica russa stringeva frattanto accordi con le altre Repubbliche al di fuori sia delle vecchie strutture che di quelle previste dal progetto di G.) divenne molto aspro. L'esito del referendum del 17 marzo 1991 sul mantenimento dello stato unitario rifondato, seppure ha potuto essere considerato un successo per G., non ha posto fine però né alle spinte centrifughe né alle pressioni dei conservatori e di El'zin.

Nello stesso periodo vennero avanzate critiche ed esercitate visibili pressioni nei confronti di G. anche sui temi della politica estera. Gli attacchi dei conservatori, connessi in particolare con la rapida disgregazione, dopo le rivoluzioni del 1989, del sistema di alleanza del Patto di Varsavia (disgregazione che venne presentata come il risultato della politica di cedimenti di G. all'Occidente) portarono alle dimissioni del ministro degli Esteri Shevardnadze.

Nei giorni della crisi apertasi dopo l'occupazione del Kuwait da parte dell''Irāq di Ṣaddām Ḥusayn e poi della guerra del Golfo, G., seppure muovendosi nel quadro delle risoluzioni dell'ONU e assegnando sempre un ruolo prioritario alle relazioni con gli Stati Uniti, tentò di avviare, utilizzando anche quel che ancora restava dell'influenza e dell'antica politica di presenza dell'URSS nell''Irāq e nel mondo arabo, un'iniziativa di mediazione perché si potesse giungere, premendo in particolare su Baghdād, a una soluzione negoziata del conflitto. Il tentativo però fallì mettendo in luce la crescente debolezza internazionale dell'URSS in un mondo che non era più, ormai, quello del bipolarismo.

In ogni caso la politica estera della perestrojka, confermata da G. ai vertici di Washington (giugno 1990), di Helsinki (settembre 1990) e infine di Mosca per la firma del trattato START (luglio 1991), sopravvisse anche alle discussioni e agli scontri con l'opposizione interna.

Esiti fallimentari, perché bloccato dal ''golpe di agosto'' ma anche dal ritardo con il quale la questione era stata affrontata, ebbe invece il tentativo di G. di dar vita a una nuova Unione attraverso la stipulazione di un ''patto'' fra le Repubbliche. Al fallimento si giunse − in un quadro dominato anche da crescenti tensioni sociali determinate da condizioni di vita ormai insostenibili per gran parte della popolazione −, anche se, modificando le precedenti posizioni, El'zin aveva finito per accettare il progetto faticosamente preparato, che avrebbe dovuto essere solennemente firmato ad Alma Ata il 20 agosto 1991 dai rappresentanti delle varie Repubbliche. Molto probabilmente fu proprio per il timore che con l'accordo G.-El'zin la politica delle riforme potesse essere ripresa, che i conservatori decisero di far ricorso all'arma del colpo di stato.

Il 18 agosto G. venne così bloccato con la moglie Raissa, la figlia Irina e un gruppo di collaboratori, in una località della Crimea, Foros, ove si trovava per un periodo di riposo, e, dopo il suo rifiuto di collaborare coi golpisti, fu esautorato da ogni incarico per ''ragioni di salute''. Gli autori del golpe − il capo del governo V.Y. Pavlov, i ministri degli Interni e della Difesa, il capo del KGB − proclamarono poi lo stato di emergenza e tentarono d'insediarsi alla testa del paese con il sostegno o, in ogni caso, la non-ostilità dei vertici delle strutture del potere centrale (il PCUS, il governo, il Soviet supremo, l'Armata rossa, la polizia politica). Mentre scompariva o restava inerte tutto quel che era pansovietico, decisiva fu la scelta compiuta da El'zin e il suo invito ai cittadini perché scendessero nelle strade e accorressero a presidiare il Parlamento repubblicano. La resistenza e la lotta delle forze democratiche russe sconfissero i golpisti (isolati anche sul piano internazionale in seguito soprattutto al sostegno accordato a El'zin da Bush). Rientrato a Mosca da Foros, G. trovò così una situazione totalmente nuova, con unica struttura di potere funzionante quella della Repubblica russa. Il PCUS era crollato nel momento in cui non aveva preso posizione per sostenere il suo segretario generale (e fu lo stesso G., facendo propria la scelta già compiuta da El'zin, a decretare lo scioglimento del partito).

Lo stato unitario di fatto non c'era più e anche il nuovo patto che avrebbe dovuto sancire ad Alma Ata la nascita della nuova Unione era ormai improponibile. Proprio da Alma Ata, il 21 dicembre 1991, i presidenti della Russia, dell'Ucraina e di altre nove repubbliche comunicarono a G. che era nata la nuova Comunità di Stati Indipendenti (CSI) e che l'URSS aveva cessato di esistere. Rendendo nota la sua decisione di rispettare e di far rispettare le regole democratiche nate con la perestrojka, G. rimase nel suo ufficio sino alla sera del 25 dicembre, quando la bandiera rossa del Cremlino venne sostituita col vessillo dello Stato russo.

Allontanato da ogni incarico ufficiale e divenuto un pensionato di Stato, G. − contro il quale si sono subito registrati tentativi di procedimenti giudiziari ora come sostenitore dei golpisti ora come massimo dirigente del PCUS e perciò responsabile delle illegalità imputate al partito − ha assunto verso il nuovo potere di El'zin e verso i dirigenti della CSI un atteggiamento critico rifiutando però di collocarsi a fianco dei gruppi d'opposizione. Si è anzi rivolto ai dirigenti dei paesi occidentali chiedendo loro di sostenere politicamente ed economicamente gli stati e i governi nati dal crollo dell'URSS.

All'inizio del 1992 G. ha dato vita a Mosca alla Fondazione internazionale per gli studi socio-economici ed è entrato negli organismi direttivi di istituti di studio di vari paesi, tra i quali la Fondazione Agnelli in Italia. Un nuovo caso si è aperto per il rifiuto di G. di comparire come teste (7 ottobre) nel processo intentato al PCUS di fronte alla Corte costituzionale di Russia. G. veniva per questo temporaneamente privato del passaporto diplomatico.

Bibl.: Z. Medvedev, Gorbaciov, trad. it., Milano 1986; M. Gorbaciov, Perestrojka. Il nuovo pensiero per il nostro paese e per il mondo, trad. it., ivi 1987; M. Tatu, Gorbatchev, Parigi 1987; L. Marcou, Les défis de Gorbatchev, ivi 1988; S. Bialer, Gorbachev's program of change: sources, significance, prospects, in Gorbachev's Russia and America, a cura di S. Bialer e M. Mandelbaum, Boulder 1988; M. Gorbaciov, La casa comune europea, trad. it., Milano 1989; Id., Il golpe di d'agosto. Che cosa è successo. Che cosa ho imparato, trad. it., ivi 1991.

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