MICHELE Italico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MICHELE Italico

Ugo Criscuolo

MICHELE Italico. – Letterato, fra i maggiori della prima metà del XII secolo, e uomo di chiesa bizantino, di probabile origine italica (da cui l’appellativo), fu vescovo metropolita, post 1143, di Filippopoli (Plovdiv, in Bulgaria). La data della nascita di M. può essere assegnata all’ultimo decennio del secolo XI: nella Prolusione quale nuovo «maestro dei Vangeli» pronunciata il 27 dic. 1142 (Gautier, n. 10), egli si dice canuto, giunto alla «sera della vita». La promozione episcopale fu conseguita forse non molto dopo la composizione dei due Encomi del 1143 (ibid., nn. 2, 44) per il nuovo patriarca Michele II Kourkouas (1143-46) e per il nuovo imperatore Manuele I Comneno, succeduto al padre Giovanni II, morto l’8 aprile di quell’anno. M. era ancora vescovo di Filippopoli in Niceta Coniate (II, 7, 6-7), nel 1147, durante la seconda crociata, e in Teodoro Balsamone, all’epoca del patriarca Nicola III Muzalone (1151-52).

L’origine italica di M. può ritenersi certa, benché in difetto di esplicita testimonianza. Infatti, molti dei cognomina bizantini designano la provenienza geografica dell’individuo o della famiglia. In uno degli scritti della prima fase della sua produzione, l’Epistola a Irene Ducas, madre di Giovanni II (Gautier, n. 5), M. si nomina «l’Italo»: pare improbabile che si tratti nel luogo di un errore nel codex unicus Baroccianus 131 della Bodleian Library di Oxford (dove peraltro M. è designato altrove come «Italico») per confusione con Giovanni Italo, il filosofo allievo di Michele Psello condannato per eresia nel 1082. È forse da ritenere che le due forme siano state alternative o che la modifica sia stata voluta al fine di evitare ogni collegamento con l’eretico, oggetto di damnatio memoriae. Ma occorrono anche altri indizi. La citata testimonianza di Niceta Coniate vede M., vescovo a Filippopoli nel 1147, in familiare colloquio, di certo in latino, con Corrado III di Svevia re dei Romani, che fece sosta ivi nel corso della marcia in Oriente della seconda crociata: M. «molto dotto, delizia di ogni sapienza» riuscì a sedurre il sovrano romano-germanico con la sua eloquenza, evitando rappresaglie a danno della città.

Inoltre può essere verosimile che M. sia quel «filosofo greco», «apocrisario» nella delegazione bizantina in Italia per una delle infruttuose trattative per la riunificazione delle Chiese. L’incontro con i Latini, con il papa Innocenzo II e l’imperatore Lotario II di Supplimburgo, in marcia contro Ruggero il Normanno, ebbe luogo a Lagopesole, presso Melfi, nel luglio del 1137 (un’Epistola di M. a Giovanni II – Cramer, n. 12; Gautier, n. 23 – esprime la gratitudine per l’affidamento di una non precisata missione a Roma; cfr. anche l’Epistola a Michele Camatero, Cramer, n. 11; Gautier, n. 22). Se la missione è quella del 1137, M. era all’epoca «maestro dell’apostolo» nella scuola patriarcale. Secondo la Altercatio contra Graecum quendam, sive Defensio Romanae Ecclesiae ad orationem legati Constantinopolitani imperatoris in aula Lotharii di Pietro Diacono (cfr. J.-P. Migne, Patr. Lat., CLXXIII, coll. 955-957, e l’ed. a cura di A. Amelli, in Miscellanea Cassinese, I [1897], pp. 10-32), il «filosofo greco», del quale non si fa il nome, «latrò» dinanzi a Lotario contro la Chiesa romana; da qui un vivace alterco con Pietro. Che la discussione, dall’una e dall’altra parte, sia stata tenuta in latino e senza interprete appare da quanto si legge poi nella Altercatio: a conclusione il «filosofo greco» tradusse in greco i suoi discorsi e le risposte di Pietro Diacono, perché fossero riferiti al patriarca di Costantinopoli e all’imperatore.

Poco si sa del suo governo episcopale, se si prescinde dalla citata testimonianza di Niceta Coniate. Alle sue curae nell’alta carica egli allude in alcune Epistole: in quelle al suo allievo Teodoro Prodromo (Gautier, nn. 1, 42), e ad Alessio Comneno, membro della famiglia regnante (Cramer, n. 24; Gautier, n. 35). Al periodo dell’episcopato va assegnato anche il trattatello (ibid., n. 45) in forma di epistola al «sacellario» di S. Sofia sulla data del Natale. L’unica affaire nella quale M. risulta coinvolto è quella relativa a un prete della sua metropolia, tale Kapsorhime, ricordata da Teodoro Balsamone nel commento al canone XI del concilio di Cartagine (J.-P. Migne, Patr. Gr., CXXXVIII, coll. 56D-57A): questo prete, già «escluso» dal clero da M., fu su decisione sinodale reintegrato a seguito del riconoscimento della correttezza canonica della procedura del suo appello al patriarca.

L’elemento biografico di maggior rilievo è il suo legame con la dinastia regnante e con gli uomini di potere, che risalta già dai primi scritti. L’incarico di «maestro dei medici», per quanto non gradito, gli era stato conferito per l’intervento dell’imperatrice madre Irene; per lei M. declamò un «discorso improvvisato», richiesto dall’encomiata stessa, confluito nel corpus epistolografico del Baroccianus (Cramer, n. 4; Gautier, n. 15). In effetti, la sua fama come uomo dalla sterminata cultura dovette affermarsi nel circolo letterario che Irene aveva radunato intorno a sé. Irene morì forse nel 1123, e nel 1118 era stata costretta al ritiro nel monastero della Kecharitomene con la figlia Anna, a seguito del complotto contro la successione di Giovanni al padre Alessio I in favore del marito di Anna, Niceforo Briennio. Per Anna M. compilò il prologo al testamento (ibid., n. 8); tre Epistole (Cramer, nn. 3, 5, 6; Gautier, nn. 14, 16, 17) sono indirizzate proprio a Niceforo Briennio, il «cesare». Della sua partecipazione al circolo di Irene è testimone anche la Monodia per Andronico, figlio di Irene e di Alessio I (ibid., n. 3), morto intorno al 1131. Il dissidio nella famiglia regnante fu presto risolto dall’imperatore Giovanni II, ma su M. continuò a gravare l’ombra dell’antica fronda: a conclusione dell’Encomio per Giovanni Comneno (1138), il suo testo di maggior rilievo, M., dopo aver denunciato i «sicofanti», confessa di non essere appartenuto del tutto in passato all’imperatore, benché «irrefrenabile» nella lode di lui (ibid., p. 270, nn. 10, 11). A questa dichiarazione segue il ricordo commosso della defunta Irene, del cui circolo dichiara di aver fatto parte (già nell’Epistola a Irene Ducas v’è allusione alla sua disgrazia presso l’imperatore [ibid., p. 98, nn. 22-24], alimentata da «sicofanti», che ne ostacolavano la carriera). Poco dopo (1142), M. testimoniò solidarietà a Giovanni II con una Monodia (ibid., n. 11) per la morte di due dei figli di lui, Alessio (morto ad Attalia, nel corso della campagna d’Asia) e Andronico (deceduto mentre accompagnava, via mare, la salma del fratello a Costantinopoli; cfr. anche Encomio per Manuele Comneno, Gautier, pp. 288 s.). Rapporti cordiali M. intrattenne anche con Adriano Comneno (cfr. Cramer, n. 23; Gautier, n. 34), che fu poi arcivescovo di Bulgaria con il nome di Giovanni, e con Alessio, un nipote di Alessio I (Cramer, n. 24; Gautier, n. 35).

Il cursus honorum di M. prima dell’episcopato è tutto interno al patriarcato costantinopolitano: membro del clero di S. Sofia, raggiunse l’apice della carriera nella scuola patriarcale con la carica di «maestro dei Vangeli». Dalla sua citata Prolusione del dicembre 1142, e da riferimenti autobiografici in altri scritti – innanzitutto dalla conclusione dell’Encomio per Giovanni Comneno, ma anche da tre coeve Epistole indirizzate ad alti funzionari di corte (Cramer, nn. 26, 28, 29; Gautier, nn. 37, 39, 40) –, siamo informati che la dignità maggiore, insistentemente ambita, fu preceduta dal passaggio, più o meno lungo, per le due minori: fu «maestro del salterio» presumibilmente post 1130; era «maestro dell’apostolo» ancora nel 1138. È possibile che anche la carica di «maestro dei medici», disdegnata come non consona alle sue capacità, fosse interna alla scuola patriarcale: sembra che M. la esercitasse nel nosocomio degli Anargiri (Ss. Cosma e Damiano), il Cosmidion, dove peraltro, come appare dall’Epistola a Irene, aveva già ricoperto alcune funzioni (Gautier, p. 96, nn. 14-15). Di competenze mediche è fatto spesso sfoggio, per esempio nella Monodia per Michele Pantechne (ibid., n. 9), archiatra di corte alla morte di Alessio I (agosto 1118).

Sulla scuola patriarcale di Costantinopoli (ma è probabile che strutture simili sorgessero anche presso le altre sedi metropolitane), detta talora Accademia patriarcale, la critica moderna è tutt’altro che concorde. Si discute se essa avesse o meno carattere istituzionale e se le dignità maggiori fossero vere e proprie cattedre o semplicemente uffici. Pur in assenza di atti costitutivi, la scuola appare la sola struttura di insegnamento superiore dell’età dei Comneni (le prime attestazioni risalgono allo scorcio del secolo XI), ed è documentata poi fino alla caduta di Costantinopoli. L’età dei Comneni fu ispirata da un rigido controllo della cultura e dell’istruzione, e segnò una svolta reazionaria rispetto alla vivacità culturale del secolo precedente sfociata nel platonismo di Michele Psello e nell’eresia di Giovanni Italo. È significativo che non si abbiano che scarse notizie, forse ancora vivente Psello (morto nel 1078), di attività nella cosiddetta Università imperiale di Costantino IX Monomaco (1042-55), che ebbe fra i docenti Psello stesso, console dei filosofi (carica goduta anche da Giovanni Italo e attestata poi sporadicamente, forse solo a titolo onorifico) e «l’aristotelico» Giovanni Xifilino, poi patriarca costantinopolitano (1063-75), al vertice dell’insegnamento giuridico. È forse da ritenere che i maestri nella Chiesa, in numero di dodici, costituissero ab antiquo un ordine (cfr. 1 Cor. 12, 28) e che siano stati poi trasformati in veri e propri «professori», sotto la sorveglianza del patriarca e, indirecta via, dell’imperatore, e che di loro competenza fosse l’insegnamento teologico. I maestri si assumevano forse anche compiti di propaganda politica: ne sono testimoni la citata Epistola Cramer, n. 26 (Gautier, n. 37) e soprattutto le Epistole Cramer, nn. 28, 29 (Gautier, nn. 39, 40), rispettivamente al «grande domestico» Giovanni Axouch e al «logoteta del dromo» (ministro del corso pubblico) Stefano Meles; in esse M., «maestro dell’apostolo», si ripromette di salire «sul suo pulpito» e di declamare le relazioni a lui pervenute per lettera sulle vittorie asiatiche di Giovanni II (cfr. Encomio per Giovanni Comneno, Gautier, p. 268, nn. 5-9, dove è menzionato anche un epos a noi non pervenuto).

Nel periodo precedente gli inizi della carriera nella scuola, o anche in parallelo alla sua funzione di maestro, M. dovette esercitare l’insegnamento privato. È quel che appare dall’Epistola Cramer, n. 7 (Gautier, n. 18) all’«eforo» Teofane, una sorta di offerta formativa e di autopropaganda. Egli, invitando alla sua tavola un giovane, vanta, tramite la metafora del banchetto, la sua competenza in ogni campo dello scibile; il testo si conclude con la richiesta di intervento dell’alto funzionario presso l’imperatrice (ancora Irene) perché gli sia dischiuso «fino ai recessi più intimi il tempio del sapere».

Motivi ricorrenti negli scritti di M. sono la rivendicazione del suo essere filosofo, oltre che retore, e il primato dato alla filosofia nella gerarchia delle scienze. Nella Monodia (sotto forma di epistola al fratello, peraltro ignoto) per la morte di Costantino Agiotheodorita (ibid., n. 4), suo allievo, M. si definisce filosofo e come tale in grado di reagire razionalmente alle contingenze dolorose della vita grazie alla filosofia che «tutto sovrasta» (ibid., p. 90, nn. 4-6, 16-17); l’Epistola a Irene Ducas ha avvio con l’elogio della filosofia. Nell’Epistola a Niceforo Briennio (Cramer, n. 3; Gautier, n. 14) è affermata la competenza del destinatario nella «varia filosofia», con l’aggiunta della distinzione fra la «nostra» filosofia e quella che «un tempo fu nostra» (ibid., p. 143, n. 1) ovvero, probabilmente, fra quella cristiana e quella antica. Inoltre nell’Epistola a Lizix (Cramer, n. 14; Gautier, n. 25) egli dichiara che, in quanto filosofo, respinge la conoscenza del sensibile poiché infondata (ibid., p. 178, nn. 1-2),

e infine nell’Encomio per Giovanni Comneno si professa «filosofo quanto a disposizione mentale, retore nella lingua» (Gautier, p. 270, nn. 8-9), concetto che è riformulato anche nella citata Epistola a Michele Camatero («Il tuo Italico, già filosofo e retore»: Gautier, p. 172, nn. 13-14) e che ha peraltro radici nella seconda sofistica. Alla filosofia è dato il primato in quanto «scienza delle scienze» (unica eccezione è nella Epistola Cramer, n. 2; Gautier, n. 13, dove il giudizio va a favore della retorica in quanto attività pratica; ma si tratta di un’eccezione solo apparente: la retorica che qui si esalta è quella che Platone critica nel Gorgia). Sotto questo aspetto, M. vuole essere erede nel suo tempo di Michele Psello, al quale riporta anche la vantata competenza nel neoplatonismo (Proclo) e nella tradizione caldaica (grande rilievo ha l’Epistola Cramer, n. 17; Gautier, n. 28, esquisse degli Oracoli Caldei, che ha come fonte unica, benché inconfessata, gli scritti pselliani in materia). Di interesse per la tendenza del tempo è anche l’Epistola Cramer, n. 19 (Gautier, n. 30), dove si nega che gli astri influiscano sul destino umano (di rilievo in proposito è il paragone nell’Encomio per Manuele Comneno fra l’imperatore e il Sole, ambedue al centro dei pianeti: Gautier, pp. 278, n. 26 e 279, nn. 1-6). Ma va notato che, diversamente da Psello, in M., come in altri autori del tempo, la professione del filosofo è deideologizzata, animata più da curiositas di tipo umanistico che da spirito di ricerca; in lui il retore prevale sul filosofo. Egli fu un «umanista» dalla vasta erudizione, un rappresentante tipico del «classicismo» dell’età dei Comneni, che condizionò, con poche eccezioni, gli ultimi secoli di Costantinopoli. Lo stesso può dirsi della sua «scrittura»: se è evidente il suo pieno possesso della tradizione letteraria antica (le imitazioni classiche si accompagnano e talora prevalgono su quelle scritturali, eccezion fatta per i testi interni alla Chiesa, la Prolusione e l’Encomio per il patriarca Michele), il tutto resta al livello dell’esibizione, dell’autocompiacimento; difetta, insomma, in lui – e non solo in lui – la coscienza dell’antico come «problema». Per quanto riguarda l’aspetto stilistico e linguistico, la sua prosa è cautamente asiana, la lingua è di norma conservatrice, reazionaria, per così dire, anche rispetto alla koiné pselliana, a sua volta reazionaria rispetto alle caute aperture che si erano profilate nel secolo X nell’ambiente di Costantino VII Porfirogenito.

La morte di M. va collocata prima del sinodo del 12 maggio 1157, al quale come metropolita di Filippopoli è presente tale Teodoro (cfr. Les regestes des actes du Patriarcat de Constantinople, I, 3, a cura di V. Grumel, Paris 1947, n. 1041).

Opere. Il corpus di M. consiste in 45 composizioni. La tradizione manoscritta è assicurata da alcuni codici miscellanei: in primis il Baroccianus 131 della Bodleian Library di Oxford (assegnato al XIII secolo da N.G. Wilson, The date and origin of Ms. Barocci 131, in Byzantinische Zeitschrift, LIX [1966], pp. 305 s.; al XIV da H.O. Coxe, Catalogi codicum manuscriptorum Bibliothecae Bodleianae. Pars Prima, Oxonii 1853, pp. 211-230), e indi, secondo per rilievo, il Bononiensis 2412 della Biblioteca universitaria di Bologna, del XIII secolo (cfr. V. Puntoni, Indicis codicum Graecorum Bononiensium ab Al. Oliverio compositi supplementum, in Studi italiani di filologia classica, IV [1896], pp. 370-373). Tramandano testi di minor rilievo, talora singoli, i codici Scorialensis Y-II-10 della Real Biblioteca de San Lorenzo de El Escorial, del XIII secolo (cfr. G. de Andrés, Catálogo de los códices griegos de la Real Biblioteca del Escorial, II, Madrid 1965, pp. 120 s.), Parisinus Graecus 2872 della Bibliothèque nationale di Parigi, del XIII secolo (cfr. H. Omont, Inventaire sommaire des manuscrits grecs de la Bibliothèque nationale, Paris 1888, p. 52), e il Sinaiticus Graecus 482 (1117) della Biblioteca del Monastero di S. Caterina al Sinai, del secolo XIV (cfr. V. Beneševič, Catalogus codicum manuscriptorum Graecorum qui in monasterio Sanctae Catharinae in monte Sina asservantur, I, Petropoli 1911, pp. 266-293). Lo Scorialensis tramanda, in una con il Bononiensis, una pièce di scuola, la etopea su un immaginato discorso di s. Stefano protomartire per una sua reliquia venduta ai Veneti (Gautier, n. 41, editio princeps di K. Horna, Einige unedierte Stücke des Manasses und Italikos, in Jahresbericht des k. Sophiengymnasiums in Wien, 1902, pp. 11 s.); il Parisinus, una breve lettera da Filippopoli a Teodoro Prodromo, che accompagna l’invio di un pezzo di lardo (Gautier, n. 42; editio princeps, in una con la risposta di Prodromo, di S. Papadimitriou, Feodor Prodrom, Odessa 1905, pp. 321 s.); il Sinaiticus l’Epistola al «sacellario», da Filippopoli (Gautier, n. 45). Per quanto riguarda il testimone principale, il Baroccianus, esso tramanda di seguito, ai fogli 331v-338v, come di anonimo, un corpus di 29 lettere (ibid., nn. 12-40), già edite da J.A. Cramer, Anecdota Graeca Oxoniensia …, III, Oxonii 1836, pp. 158-203 (l’attribuzione a M. fu dimostrata, in base a particolari interni, da M. Treu, Michael Italikos, in Byzantinische Zeitschrift, IV [1895], pp. 1-22). Il Baroccianus è codex unicus per buona parte dei testi. Per altri la tradizione è assicurata da due manoscritti: il Discorso improvvisato per Irene Ducas (Gautier, n. 15), la Prolusione (ibid., n. 10) e l’Encomio per Manuele Comneno (ibid., n. 44) sono tramandati dal Baroccianus e dal Bononiensis; la Monodia per la pernice (Id., n. 7) è tramandata dal Baroccianus e dallo Scorialensis (editio princeps di Horna, Einige unedierte Stücke, cit., pp. 9 s.). Alcuni dei principali testi ebbero editiones principes nella seconda metà del secolo scorso: l’Epistola a Teodoro Prodromo (Gautier, n. 1) fu edita da R. Browning, Unpublished correspondence between Michael Italicus, archbishop of Philippopolis, and Theodore Prodromos, in Byzantinobulgarica, I (1962), pp. 279-297, con la risposta di Prodromo; l’Encomio di Giovanni Comneno (Gautier, n. 43) ebbe la prima edizione da F. Fusco, Il panegirico di Michele Italico per Giovanni Comneno, in Epeteris Hetaireias Byzantinon Spoudon, XXXVII (1969-70), pp. 146-149; l’Encomio di Manuele Comneno (Gautier, n. 44) fu edito da A.M. Collesi et al., Il panegirico inedito di Michele Italico per Manuele Comneno, in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata, III (1969-70), pp. 689-727; l’Epistola Cramer, n. 17 (Gautier, n. 28) è edita anche in É. des Places, Oracles chaldaïques …, Paris 1971, pp. 214-217. A cura di U. Criscuolo le prime edizioni di vari testi: cfr. Due nuove epistole di Michele Italico, in Le parole e le idee, XLIII-XLIV (1969), pp. 330-338 (Gautier, nn. 4, 6); La «Prolusione» di Michele Italico, in Bollettino del Comitato per la preparazione dell’edizione nazionale dei classici greci e latini, n.s., XIX (1971), pp. 23-39 (Gautier, n. 10); L’epistola di Michele Italico ad Irene Ducas, in Epeteris Hetaireias Byzantinon Spoudon, XXXVIII (1971), pp. 57-70 (Gautier, n. 5); Due monodie inedite di Michele Italico, in Atti della Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 8, XXVI (1971), pp. 149-166 (Gautier, nn. 3, 11); Un discorso e una monodia inediti di Michele Italico, in Atti della Accademia delle scienze di Torino, CVI (1971-72), pp. 593-634 (Gautier, nn. 2, 9). L’Epistola all’attuario (ibid., n. 35) ha avuto ora nuova edizione e commento da C. Perassi, Un prodigioso filatterio monetale nella Costantinopoli del XII secolo: l’epistola 33 di Michele Italico (con un’appendice di C.M. Mazzucchi), in Aevum, LXXIX (2005), pp. 363-405. L’edizione M. Italikos, Lettres et discours, a cura di P. Gautier, Paris 1972, benché criticamente poco affidabile, è tuttora il punto di riferimento per l’intero corpus degli scritti.

Fonti e Bibl.: J.-P. Migne, Patr. Gr., CXXXVIII, coll. 56D-57A (Teodoro Balsamone); Niceta Coniate, Historia, a cura di J.L. van Dieten, Berolini 1975; P. Lamma, La spedizione di Giovanni II Comneno in Cilicia e in Siria in un panegirico di M. I., in Id., Oriente e Occidente nell’Alto Medioevo, Padova 1968, pp. 337-367; Id., Manuele Comneno in un panegirico di M. I. (cod. 2412 della Biblioteca universitaria di Bologna), ibid., pp. 369-382 (i due saggi risalgono rispettivamente al 1952 e al 1953); U. Criscuolo, La politica orientale di Giovanni II Comneno alla luce di nuovi testi di M. I., in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata, V-VI (1972-73), pp. 539-552. Sui problemi della cultura e dell’insegnamento nell’età di M., cfr., fra gli altri, F. Fuchs, Die höheren Schulen von Konstantinopel im Mittelalter, Leipzig 1926; R. Browning, The patriarchal school at Constantinople in the twelfth century, in Byzantion XXXII (1962), pp. 167-202; XXXIII (1963), pp. 11-40; H.-G. Beck, Bildung und Theologie im frühmittelalterlichen Byzanz, in Polychronion. Festschrift Franz Dölger, Heidelberg 1966, pp. 69-81; J. Darrouzès, Recherches sur les offikia de l’ Église byzantine, Paris 1970; J. Lefort, Prooimion de Michel, neveu de l’archevêque de Thessalonique, didascale de l’Évangile, in Travaux et mémoires, IV (1970), pp. 375-393; U. Criscuolo, Chiesa e insegnamento a Bisanzio nel XII secolo: sul problema della cosiddetta Accademia patriarcale, in Siculorum Gymnasium, n.s., XXVIII (1975), pp. 373-390.

U. Criscuolo

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