MALLIO, Michele

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALLIO, Michele

Donatella Fioretti

Nacque a Sant'Elpidio a Mare, presso Fermo, il 4 nov. 1756 dalla recanatese Antonia Pasqualini e da Girolamo, appartenente a un'antica famiglia del patriziato elpidiense dal nome prestigioso ma povera di sostanze. Dopo i primi studi in patria sotto la guida del sacerdote Filippo Gelini, entrò nel collegio Campana di Osimo.

Fu, quella del M., una buona formazione che gli permise di padroneggiare con sicurezza cultura e lingue classiche e moderne; forse acquisì a Osimo quella preparazione teologica cui egli allude nella Prefazione alle prose sacre (in Poesie e prose(, Fermo 1816, p. 123), funzionale a una carriera ecclesiastica probabilmente desiderata dalla famiglia ma che non fu portata avanti.

Fin dal 1763 la madre, rimasta vedova, aveva chiesto e ottenuto due posti nel collegio Canuti presso il collegio Piceno di Roma per il M. e per il fratello Bartolomeo, i quali ne usufruirono dopo il 1772. A Roma il M. conseguì la laurea in utroque iure, ma la carriera legale non lo attraeva. Lo appassionava invece la letteratura, in particolare la poesia, e verso di essa convogliò le sue energie e le sue aspettative di affermazione. Grazie all'abilità nell'improvvisare versi secondo la moda del tempo il M. si vide aprire le porte dei salotti cultural-mondani. Adattandosi alla nuova domanda di filosofia e scienza, propria del secolo dei Lumi, esordì nel 1779 pubblicando a Roma la traduzione (non era il primo a farla) in ottave del raffinato pastiche di Montesquieu (Ch.-L. de Secondat) Il tempio di Gnido. Nello stesso anno fu accolto con il nome di Sileno Meliaco in Arcadia, dove nel 1778 era entrato V. Monti, del quale il M. fu invidioso emulo senza tuttavia averne il genio, l'abilità poetica e la fortuna. Come Monti trovò ben presto un potente appoggio in casa Braschi, così il M. trovò il suo mecenate nel prelato Tiberio Soderini, uditore della Sacra Rota, del quale divenne segretario, come orgogliosamente si qualifica nelle ottave composte per celebrare il primo volo in aerostato compiuto nel 1783 (XIII ottave [(] sul globo aerostatico del signor di Montgolfier, Roma 1784). L'impresa aveva suscitato entusiasmi e ispirato i poeti, Monti anzitutto - com'è noto ampiamente - che a Montgolfier aveva dedicato una celebre ode, al confronto della quale i versi del M. appaiono deboli e stentati. Fu probabilmente il tentativo di seguire le orme di Monti, che nel 1786 aveva composto l'Aristodemo, a spingere il M. a cimentarsi nella tragedia con la Saira, di argomento orientale, che nel titolo richiama la Zaïre di Voltaire (F.-M. Arouet).

Pubblicata a Roma e a Firenze nel 1787, l'opera fu rappresentata nel carnevale di quell'anno al teatro Capranica con scarso successo e quindi, pare con esito meno infelice, al teatro del Vergaro di Perugia. In quello stesso 1787 la ormai diffusa gelosia verso Monti innescò una tempesta di accuse e maldicenze contro il poeta per il suo sonetto in onore di s. Nicola da Tolentino dedicato a Costanza Falconieri Braschi duchessa di Nemi.

Come molti altri poeti - da F. Gianni ad A. Galfo - il M. si schierò contro il protetto di casa Braschi criticandone con asprezza l'arte poetica in due sonetti, poi pubblicati da L. Vicchi. Monti replicò con il lungo e feroce sonetto caudato A Quirino dove in pochi versi tracciò un ritratto impietoso del M., "celebrato furfante, / cui del ventre la fame i versi ispira". Fedelmente ripreso nell'Ottocento da A. Monti e Vicchi, tale giudizio segnò indelebilmente la figura del M., anche perché le oscillazioni e le ambiguità delle sue simpatie politiche, togliendogli ulteriore credito, parvero confermare la complessiva gracilità del personaggio, come letterato e come uomo. Il suo sonetto di risposta al "Villan di Fusignano empio e vigliacco" testimonia il livore rancoroso nutrito per Monti cui la sorte aveva elargito doni a lui negati, bellezza, genio, riconoscimento sociale.

Autore di numerosi sonetti, canzoni, idilli, odi, come poeta il M. per lo più non andò oltre un levigato e garbato convenzionalismo classicheggiante, ma riuscì più convincente e toccante quando lasciò spazio alla vena lirica e autobiografica, per esempio nei capitoli Lamento in morte d'una figlia (in Versi di Michele Mallio, Fermo 1801, pp. 25-27) e L'addio alla patria (in Poesie e prose di M. M. professor di eloquenza in Modena, ibid. 1802, pp. 92 s.) e nei versi dell'idillio A monsignor Cesare de' conti Brancadoro (s.l. nè d.) in cui, lasciando da parte l'elogio d'occasione, piange la morte di cinque figli avuti dalla prima moglie, Margherita De Jacobis, sposata nel 1782.

Ma le prove migliori del M. restano legate alla prosa, all'attività di intellettuale impegnato, ma su fronti politici diversi, che egli venne svolgendo dal 1790 nel clima di crescente irrigidimento politico e dottrinale che fece della Roma di Pio VI il centro di una vasta campagna controrivoluzionaria.

A essa egli partecipò sia con i due canti in ottave Il trionfo della religione nella morte di Luigi XVI( (s.l. 1793) e con traduzioni dal francese, sia con gli Annali di Roma, periodico mensile pubblicato tra il 1790 e il 1797, dapprima dalla stamperia di F. Neri, poi da quella di G.B. Cannetti e ispirato al modello degli Annales politiques, civiles et littéraires du dix-huitième siècle usciti a Londra dal marzo 1777 e in veste toscana dal 1778 per opera di S.-N.-H. Linguet, singolare giornalista e poligrafo francese attestato su una posizione radicalmente e violentemente antiphilosophique.

Come dichiarò lo stesso M. nella dedica degli Annali "Ai signori associati", furono il desiderio "d'uscir fuori dall'oscurità" con il suo talento e insieme l'aspirazione a guadagnarsi benemerenze proponendosi come soggetto devoto "alla patria, alla Religione, al suo Principe" a spingerlo a cimentarsi in questo genere di scrittura. Il suo obiettivo, diverso da quello dei gazzettieri da cui prende orgogliosamente le distanze nelle Riflessioni preliminari, è tessere "una veridica istoria" raccontando, previa verifica delle circostanze, non solo quanto di interessante avviene a Roma nei vari campi della religione, della politica, delle arti e delle lettere, ma anche i fatti più rilevanti d'Europa, perché questa è l'area su cui in vario modo si esercita l'influsso della città sede del capo della Chiesa, celebrata come "la Regina e la Dominante del mondo, e come quella che è, per dir così, il centro di tutti gli occhi politici dell'Europa" (cfr. Annali di Roma, I, p. 3).

La storiografia, da D. Spadoni a R. De Felice, ha dato un giudizio severo sugli Annali, seppur temperato dal riconoscimento del loro valore di documento della percezione che a Roma si aveva della grande storia europea. Successivamente C. Verducci, rivedendo in senso più positivo la figura del M. anche sulla scorta delle equilibrate e persuasive pagine di S. Anselmi, è tornato sugli Annali e ne ha sottolineato il ruolo non limitato alla ricezione di opinioni diffuse, ma di strumento attivo, capace di orientare l'opinione pubblica e di stimolare l'interesse per le novità.

La Rivoluzione francese - "l'avvenimento più grande" del secolo, come il M. la definì nell'Aggiunta di storia preliminare dal 1787 a tutto il 1789 (Roma 1795, p. 1) - con le sue vaste ripercussioni si pone al centro del crescente interesse del M., che è spinto a sacrificare le notizie di carattere letterario-erudito a vantaggio della politica, così che il periodico si pone al confine tra il giornalismo erudito settecentesco e quello, successivo, di ispirazione prevalentemente politica. Dopo aver fatta propria la tesi, diffusa da A. Barruel, della Rivoluzione come frutto di un vasto complotto ordito da filosofi, massoni, giansenisti e giurisdizionalisti contro l'ordine costituito, politico e religioso, il M. mano a mano cerca di comprendere più realisticamente le cause di essa; sicché già con il 1796, mentre l'armata di N. Bonaparte dilaga nell'Italia settentrionale, sostiene la coerenza con cui la rivoluzione si è mantenuta fedele al suo spirito che "è senza contrasto alcuno quello della libertà, della difesa dei diritti dell'uomo da lei proclamati" (Annali di Roma, XXII, p. 3). L'apprezzamento suona quasi come il preludio della conversione al nuovo ordine, che avvenne di lì a poco. Infatti, nel febbraio 1798, proclamata la Repubblica Romana, il M., nominato commissario e amministratore provvisorio del collegio Canuti, dette vita a un nuovo giornale Il Banditore della verità, schierato su posizioni radicalmente filofrancesi e filorepubblicane.

Il repentino cambiamento di fronte suscitò giudizi sferzanti dei contemporanei; la sua seconda impresa giornalistica fu poi giudicata negativamente anche dagli storici, per lo spazio lasciato a una retorica vuota mirata a coprire la mancanza di programmi. Certamente con Il Banditore, come con la produzione poetica di ispirazione repubblicana - dai Sonetti alla libertà alla tragedia Agide (Roma 1798), rappresentata al teatro Argentina il 29 luglio 1798 - il M. mira ad accreditarsi come intellettuale del regime e ad averne ricompense onorifiche e concrete.

Il Banditore fu impegnato non soltanto nella polemica serrata contro i pilastri del vecchio ordine, ma aveva l'ambizione di contribuire a risolvere un problema che stava molto a cuore ai nuovi ceti dirigenti: istruire il popolo nelle verità repubblicane. L'impegno pedagogico, non trascurabile nei primi numeri, restò poi offuscato dagli articoli sulla situazione interna e internazionale, sui provvedimenti del governo, sugli "insorgimenti" antifrancesi.

Caduta la Repubblica, il M. si trasferì nell'Italia settentrionale. Tornò nelle Marche per pronunciare a Corinaldo il 28 sett. 1800 il discorso Sulla educazione della gioventù, pubblicato a Fermo nello stesso anno, ispirato nelle linee generali al modello lockiano e ricco di suggestioni illuministiche. Tornò poi di nuovo al Nord e vi rimase probabilmente fino al 1808, muovendosi fra Milano, dove, come scrisse all'amico M. Araldi nel novembre 1802, trovò "qualche lucrosa occupazione", Modena, presso la cui Università insegnò eloquenza negli anni 1801-02 e 1802-03, e la vicina cittadina di Finale Emilia.

Nella produzione poetica di quegli anni, di ispirazione prevalentemente politica, si segnalano i Canti in morte di Giuseppe Parini (s.l. nè d. ma in realtà stampato a Milano alla fine del 1801 o 1802), ispirati a una aulica e composta dignità che lascia a volte trasparire accenti più vibrati, per esempio quando il M. denuncia la politica del Direttorio e prende atto del carattere, se non illusorio, certamente condizionato della "libertà per man condotta dalle Franche schiere". Ma all'accusa contro il Direttorio si contrappone la fiducia nel ritorno del "Genio dall'onda Africana" in una chiara opzione filonapoleonica. L'ode La Repubblica Italiana (s.l. nè d.) è un contributo alla creazione del mito di Napoleone, rivestito dei panni dell'eroe italico, e insieme un'occasione per dare espressione a pulsioni civili e ad aspirazioni nazionali, sentimenti che caratterizzano anche la Prolusione sull'eloquenza (rist., in Poesie e prose(, Ferrara 1802, e in Lo spirito poetico e teatrale di M. M., Bologna 1804) e i versi della Visione sull'Italia (Modena 1805).

Nel luglio 1808 il M. era di nuovo nelle Marche, come risulta dalla dedica al prefetto del Dipartimento del Metauro di uno scritto di numismatica (Serie di alcune monete antiche d'argento e metallo, Ancona 1808). Con la moglie e quattro figli maschi, due dei quali, Luigi e Felice, militari volontari, si stabilì in Ancona quale capo dell'ufficio archivio e poi caposezione nella prefettura, e fu incaricato di pubblicare la Gazzetta del Metauro. Anche allora non mancò di mettere a frutto il suo talento poetico sia nelle iscrizioni lapidarie poste nell'aula municipale di Ancona per celebrare le glorie di Bonaparte, sia in occasione delle grandi feste per la nascita del figlio di Napoleone (Il dono al nato re di Roma: cantata( eseguita nel teatro la Fenice di Ancona(, Ancona 1811). Adducendo le imperiose circostanze della numerosa famiglia, nel 1811 rinunciò all'incarico di podestà di Sant'Elpidio; nell'agosto 1813 si trasferì poi a Vigevano quale segretario del viceprefetto.

Restaurato il governo pontificio, il M., che si era stabilito a Fermo, si ridusse a vivere della rendita di un suo terreno e di lezioni di eloquenza a rampolli della nobiltà locale. Nel 1816 toccò il vertice dell'ambiguità: da un lato, infatti, tentò di riqualificarsi come letterato ortodosso e devoto pubblicando un volume di Poesie e prose (Fermo 1816), comprendente versi già editi di genere vario, anche di contenuto politico ma opportunamente mutato di segno, e prose di carattere sacro; dall'altro lato, invece, il M. prestò giuramento come carbonaro insieme con il figlio Vincenzo, forse spinto dalla nostalgia di quella libertà "che pur piaceva benché fosse un'ombra", come si era espresso nei Canti per Parini (p. 15), e magari anche dalla ambiziosa speranza di contare qualcosa nell'organizzazione settaria. Brevissima fu la sua carriera di cospiratore che si concluse, ingloriosamente, con la confessione fatta al direttore generale di polizia nel 1817, foriera di pesanti condanne per gli altri patrioti e di una pensione per l'"impunito" Mallio.

Negli anni seguenti, tranne qualche soggiorno in patria, per esempio nel 1828 quando il Comune lo incaricò di redigere i Cenni storici sul Municipio di Sant'Elpidio( (Fermo 1828) per celebrare l'elevazione al rango di città, visse per lo più a Roma, come attestano le principali pubblicazioni di quegli anni: la Traduzione poetica dei salmi di David e dei cantici (Roma 1822), le Poesie scelte edite ed inedite (ibid. 1828) in cui, spiega l'Avviso dell'Editore, "si è ommesso tutto ciò che al buon costume, e alla religione è contrario", nonché il poema La Gerusalemme distrutta (ibid. 1829), scritto sotto la suggestione del Génie du Christianisme di Fr. de Chateaubriand.

Il M. morì a Roma il 10 ott. 1831.

Altri scritti del M.: Elogio storico della signora Maria Rosa Coccia romana(, Roma 1780; Saggio di canzonette(, ibid. 1782; La tempesta, o sia Da un disordine nasce un ordine (farsa a 5 voci: musica di V. Fabrizi), e Il colombo o sia La scoperta dell'Indie (farsa a 5 voci: musica di V. Fabrizi), ibid. 1788; Aeschilus. Tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, versione poetica in verso sciolto italiano(, ibid. 1788; Versi( all'egregio cav. inglese J. Cox Hippisley, Roma 1795; La notte: ottave( dette nell'Accademia de' Forti(, ibid. 1796; Lettera dei preti e diaconi di Acaja sopra il martirio di s. Andrea Apostolo (versione dal greco), Venezia 1797; Ai cittadini commissari del potere esecutivo di Francia Roma riconoscente, s.l. né d. [ma 1798]; Saggio di sonetti offerti alla libertà, s.l. nè d.; Versi, Fermo 1801; Per la pace tra la Repubblica francese e la Gran Bretagna. Ode( offerta alla Municipalità di Modena, s.l. né d.; Capitolo( per l'egregio tipografo sig. G.B. Bodoni, Modena 1804; Lo spirito poetico e teatrale di M., Bologna 1804; Le glorie di s. Michele, capitolo recitato( in Roma(, Roma s.d.; Il solenne possesso di Pio VIII. Ottave, ibid. 1829; Il conclave in morte di Pio VIII(, ibid. 1830.

Fonti e Bibl.: Sant'Elpidio a Mare, Arch. comunale, Arch. segreto, capsa III, n. 32, c. 60; Carteggio amministrativo, 1816-1860, titt. 3, rubr. 2, b. 9; 4, rubr. 1, b. 10; 24, rubr. 1, b. 89; Arch. di Stato di Ancona, Arch. comunale, Registri della popolazione, vol. 3804; Stampe governative, b. 2, n. 53; Ancona, Biblioteca comunale, Mss., 268: C. Albertini, Storia d'Ancona (1808-1815), c. 128v; Biblioteca apost. Vaticana, Ferrajoli, 502, cc. 114v-121; 940, cc. 128-129; Chigiani, S.III.10.11; Modena, Biblioteca Estense e universitaria, Autografoteca Campori, cc. 270-274r.

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